ZANE Paolo
ZANE Paolo
Vescovo di Brescia dal 1484 al 1531. È legato da strettissimi vincoli di sangue al suo predecessore Lorenzo. Paolo Guerrini sostiene che, molto probabilmente, egli è figlio dello stesso Lorenzo Zane (v.). Con grande schiettezza il noto storiografo bresciano aggiunge che l'uso di chiamare nipote colui che in realtà è un figlio rappresenta un comodo e tollerato eufemismo, utile a mascherare l'illegittimità di una nascita.
Gli intrighi curiali di Lorenzo Zane fanno sì che il 9 novembre 1484 il pingue episcopato di Brescia venga trasmesso, quasi fosse un'eredità di famiglia, a Paolo, giovane poco più che ventenne, ancora studente presso l'università di Pavia. Se il dato anagrafico impedisce, per il momento, al nobile rampollo della famiglia Zane di accedere all'ordine episcopale, nulla può vietare al neoeletto vescovo di governare la diocesi per mezzo di suffraganei e vicari. Il Comune vorrebbe che a reggere le sorti della Chiesa locale fosse chiamato un concittadino; tale compito è invece affidato al vescovo Marco Negri, mentre ad un prelato bresciano tocca soltanto l'incarico di vicario generale. A svolgere questo ufficio è chiamato Bernardino de Fabis, canonico della cattedrale e commendatario di S. Lorenzo, uomo tanto versato nelle discipline giuridiche quanto abile nei maneggi finanziari, soprattutto se si tratti di accumulare per sé rendite e proventi ecclesiastici. Della sua abilità in simili esercizi il prelato darà ampia prova anche quando sarà promosso alla sede episcopale di Lesina in Dalmazia. Affiancato o, quando occorra, legalmente sostituito dal Negri e dal de Fabis, primi di una lunga serie di suffraganei e vicari, lo Zane governa la sua diocesi. Nel 1486 stipula una convenzione con il prevosto di S. Giovanni al quale assegna una congrua pensione perché abbandoni la parrocchia e la relativa prebenda; nel 1487, con l'approvazione di Innocenzo VIII Cibo, la chiesa viene assegnata ai canonici lateranensi di Venezia. Una importante testimonianza, pubblicata da Antonio Masetti Zannini, prova che negli ultimi mesi del 1486 Paolo Zane sta compiendo una visita pastorale nella diocesi. Lo scrive lo stesso presule in una lettera al marchese di Mantova, spedita da Cemmo in Valcamonica e datata 12 settembre 1486. Il vescovo aggiunge che è sua intenzione visitare, nel termine di un mese, anche quelle località della diocesi che nell'ordine temporale sono sottoposte alla signoria dei Gonzaga. Non si può dire se tale proposito venga mantenuto, né si può sapere quanto ampia sia l'indagine ispettiva che il presule sta conducendo poiché di questa visita pastorale, come di altre del periodo pretridentino, è irreperibile la documentazione archivistica. Risulta nondimeno da un'annotazione inedita, contenuta negli Annali del monastero di S. Eufemia redatti nel secolo XVIII da Pietro Faita, poi abate in quel cenobio, che nello stesso anno 1486 il presule intende visitare le chiese comprese nel territorio di Rezzato, ma il monastero, che esercita su di esse la diretta giurisdizione, si oppone al proposito del vescovo.
La presenza dello Zane nella sede bresciana è comunque, fin dai primi tempi dell'episcopato, saltuaria e discontinua: nel biennio 1488-1489 è infatti sostituito dal suffraganeo Carlo Boselli, di nobile famiglia bergamasca. Il 17 luglio 1488 è proprio il Boselli a benedire e porre la prima pietra del santuario cittadino di S. Maria dei Miracoli.
Finalmente il 20 agosto 1490 Paolo Zane fa il suo ingresso in Brescia, accompagnato da un folto corteo, accolto tra il consueto fasto e salutato con una ampollosa orazione pronunziata da Giovanni da Casate. Ma poco dopo egli abbandona la sede, affidata, ancora una volta, alle cure di Carlo Boselli. Il vescovo ritorna a Brescia all'inizio del 1492. Il 5 marzo, alla presenza di tutte le autorità e di una immensa folla, egli benedice la prima pietra del Palazzo della Loggia. La permanenza del presule nella diocesi non può comunque ritenersi molto prolungata poiché già nel corso di quell'anno 1492 i documenti riportano il nome del canonico Giacomo Ricci da Chiari, nominato nuovo vicario, che non tarda a scontrarsi con il capitolo della cattedrale; i padri capitolari affermano infatti che il vicario lede i loro diritti e reca offesa alle loro ragioni anche nella collazione dei benefici. Al Ricci rimproverano altresì molti abusi e numerosi ingiusti provvedimenti. Il Comune stesso si schiera con i canonici, ma il vescovo, informato della disputa, rifiuta di sostituire il suo vicario.
In questa circostanza la preoccupazione delle autorità civiche è duplice: da un lato si vigila attentamente affinché i beni dei bresciani non finiscano in mani aliene; dall'altro si vuol garantire l'integrità del patrimonio della mensa vescovile, si desidera che siano tutelati tutti i giuspatronati cittadini, e che le entrate temporali dei monasteri debbano soggiacere all'amministrazione comunale. Si può pensare che i contrasti circa queste materie o intorno a questioni affini si siano più volte accesi e rinnovati poiché il Putelli riferisce di una manifestazione di protesta organizzata nel giugno 1493 sotto le finestre della residenza episcopale. Nel 1494 il Ricci lascia il suo incarico, ma la diocesi continua ad essere retta dai suffraganei e non raramente il Comune interviene con lagnanze e proteste, invocando la presenza del vescovo dal quale si sperano tutte quelle attenzioni pastorali che i suoi vicari non possono garantire. Il desiderio di una rinascita della vita religiosa torna infatti a farsi sentire più vivo proprio mentre i bresciani vivono anni di tranquillo benessere perché la prosperità economica produce anche sfrenata libertà di costumi, episodi di violenza e di sopraffazione, decadimento di valori. Contro questi mali si è fatta udire la parola dei predicatori: dal francescano Michele da Acqui, presente in Brescia durante la Quaresima del 1487, a Girolamo Savonarola che nell'Avvento del 1489 si è intrattenuto con tonante accento sul tema dell'Apocalisse. Lo segue, dall'autunno del 1493 al principio dell'anno successivo, Bernardino da Feltre, apostolo dei Monti di Pietà. Per suo impulso nasce la Scuola del SS. Corpo di Cristo, istituita con bolla firmata da Paolo Zane il 3 settembre 1494. La confraternita ha quale suo principale scopo quello di far rifiorire il culto verso il Sacramento che deve essere convenientemente accompagnato in forma processionale quando lo si rechi come viatico ai moribondi. Della necessità di custodire con ogni onore l'Eucaristia tratta anche Laura Cereto in un'elegante lettera spedita al vescovo con la data del 21 settembre di un anno che è probabilmente il 1494.
Nel marzo 1495 Gregorio Britannico, fratello di altri quattro letterati, dedicando proprio al vescovo i suoi "Sermones funebres noviter inventi", ricorda che il prelato possiede una ricchissima biblioteca. Né la particolare e nobile istanza della Cereto né i reiterati inviti del Comune riescono tuttavia a far sì che il vescovo s'induca a preferire stabilmente le cure pastorali alla caccia, alle armi, alla buona tavola, alla vita brillante. Paolo Guerrini osserva, al riguardo, che nemmeno la consacrazione episcopale muta i costumi dello Zane: egli continua a considerare il suo ufficio quasi fosse una magistratura, importante soprattutto in quanto è fonte di cospicua rendita. Questo modo di intendere il proprio mandato non rappresenta certamente un'eccezione ma i bresciani non sono disposti a tollerare acriticamente un simile stato di cose. Si comprende dunque l'aperta soddisfazione manifestata dal Consiglio Generale della città alla notizia dello scambio di sede tra i vescovi Bartolomeo Averoldi e Paolo Zane. Secondo quanto viene riferito il primo si accingerebbe a lasciare la diocesi di Spalato per assumere la guida della Chiesa bresciana; il secondo si trasferirebbe nella città dalmata. La nuova si rivela invece falsa. Dal 1502 al 1509 la presenza dello Zane in Brescia è documentata saltuariamente e in circostanze alquanto diverse, alcune delle quali si richiamano alle occupazioni preferite dal prelato. Con lettera scritta da Brescia il 26 settembre 1502 egli ringrazia il conte Niccolò Gambara di Verolanuova per avergli procurato delle armi; chiede anzi che gli siano consegnate quanto prima. Il 13 maggio 1504, rivolgendosi con un altro messaggio allo stesso personaggio, lo prega di fargli avere un paio di pavoni maschi «con la coda longa et bella per le noze ali quali invito Vostra Magnificencia». Di quale matrimonio si tratti non è dato sapere, ma il cordiale biglietto autografo può anche riferirsi ad un avvenimento che riguarda gli affetti più cari dello Zane. Di lui si conoscono infatti almeno due figli: Alessandro (v.) e Angelo (v.). Entrambi sono avviati alla carriera ecclesiastica ed il padre ha cura di provvederli di pingui prebende diocesane: al primo assegna il beneficio parrocchiale di Montichiari; al secondo la ricca prepositura di Gambara. Sensibile ai piaceri mondani e sollecito nel governo degli affari di famiglia, lo Zane assolve, per il periodo sopra indicato, anche a taluni compiti più strettamente episcopali: il 2 marzo 1505 trasporta personalmente ai Campi Bassi le reliquie del predecessore san Tiziano; il primo maggio 1508, seguito da una solenne processione di clero e di popolo, compie analogo rito per una parte dei resti di san Silvino che sono traslati dalla cattedrale a S. Pietro in Oliveto. Indice anche un sinodo diocesano del quale rimane unica traccia negli Annali di Edolo, citati da Alessandro Sina. Dal documento risulta che il presule nel 1506 annunzia, con un editto in forma di lettera circolare, la convocazione di questa assemblea. I parroci ed i beneficiati del pievato di Edolo vi inviano un loro rappresentante. Prima della fine dell'anno il prelato è anche indotto ad adottare in tutta la diocesi un provvedimento molto serio: dal 4 novembre 1506, e per undici giorni, il Bresciano è colpito dall'interdetto. Tutte le chiese sono chiuse, cessa ogni sacro rito, sono impedite le inumazioni dei morti in terra consacrata. La ragione di così grave decisione è legata alle vicende militari e politiche del momento: corre voce che i Bentivoglio, fuggiti da Bologna e bollati dalla scomunica scagliata contro di loro dal bellicoso pontefice Giulio II Della Rovere, si siano rifugiati nel Bresciano. Giovanni Bentivoglio e i figli hanno invece trovato accoglienza a Milano dove l'autorità di Luigi XII, re di Francia, li protegge dalla temibilissima ira del papa.
Proprio l'inflessibile volontà del pontefice, deciso quant'altri mai a recuperare alla Chiesa i territori che le sono stati strappati dalla Serenissima, conduce alla grande lega antiveneziana di Cambrai, sfociata nella celebre battaglia di Agnadello. Il 14 maggio 1509 l'esercito della Repubblica di S. Marco conosce una bruciante sconfitta, risoltasi infine in rotta sanguinosa. La notizia della disfatta giunge a Brescia la sera stessa di quel giorno. Abbandonata ogni idea di resistenza, si decide di arrendersi ai Francesi e il 23 maggio Luigi XII entra da trionfatore in Brescia, da porta S. Giovanni. Il 27 seguente, giorno di Pentecoste, Paolo Zane, assistito da tre cardinali e da altri prelati, celebra in S. Maria Maggiore un solenne pontificale, in segno di ringraziamento. È presente, in atteggiamento devotissimo, Luigi XII in persona mentre a condecorare il rito provvedono i cantori della cappella regia, al seguito del nuovo sovrano. Ma la convivenza con i Francesi si rivela ben presto così poco idilliaca che, a meno di un mese dall'ingresso del re, corrono in città parole e propositi sediziosi. Alcuni tra i più noti gentiluomini sono mandati a Milano come ostaggi che garantiscano della fedeltà bresciana. Se fra questi sia compreso anche il vescovo non è certo; la sua decennale assenza dalla città può comunque farsi cominciare dai giorni nei quali maturano queste prime occulte trame contro i nuovi padroni. Il Pasero, riferendosi ad un documento pubblicato dal Putelli, afferma che forse il vescovo si reca a Milano per rendere omaggio a Luigi XII ed al potente cardinale Giorgio d'Amboise. Dei sudditi del re cristianissimo e del governatore francese in Brescia il presule mostra tuttavia di fidarsi poco: ad evitare che essi allunghino le rapaci mani sopra i beni vescovili, nel dicembre 1509 egli assegna in affitto al cognato Vittore Martinengo da Barco i feudi di Rudiano, Cizzago e Roccafranca. Nel gesto più che un atto di biasimevole nepotismo è lecito vedere la preoccupazione di salvaguardare il patrimonio della sede episcopale della quale non manca di rivendicare in ogni occasione i diritti, anche quando le sue ragioni non reggono. In una annotazione contenuta negli Annali del monastero di S. Eufemia si attesta che l'11 aprile 1509 i religiosi intentano una causa contro Paolo Zane che avanza pretese sulla collazione dei benefici vacanti. Il caso riguarda in particolare la chiesa di S. Maria del Giogo, oggetto di una disputa giudiziaria che si conclude con sentenza favorevole al monastero. Il vescovo non accetta questo verdetto e il 16 febbraio 1510 l'abate è indotto ad invocare addirittura l'intervento del re di Francia a sostegno del proprio diritto. Il presule, che il 22 dicembre 1512 si trova rifugiato nella rocca di Canneto, firma da questo luogo un decreto per il quale egli conferisce al diacono Donato Savallo il beneficio parrocchiale dei SS. Cosma e Damiano in Marmentino. È assai difficile ricostruire i movimenti dello Zane negli anni che corrono tra il 1509 e l'aprile del 1519: oltre la circostanza ora richiamata, si può riferirsi a quanto ne scrive il Pasero che lo segnala presente in Bologna nel marzo 1511 e quindi a Mantova e Venezia. Nel 1511, profittando di una trattativa in corso tra la Repubblica veneta e l'imperatore Massimiliano, lo Zane, che vanta altolocate aderenze, tenta di ottenere il cappello cardinalizio, ma non riesce nell'intento. Mentre egli è assente dalla sede, il governo della diocesi è esercitato in suo nome da numerosi vicari e suffraganei tra i quali Cristoforo Mangiavino, Pietro Duranti, Uberto Gambara, Bartolomeo Assonica, Mattia Ugoni. A loro è demandato il compito di reggere la Chiesa bresciana in anni segnati da avvenimenti gravi che si fanno tristissimi dal 1512 al 1517. Particolarmente funesto si rivela il grande saccheggio cui è sottoposta Brescia nel febbraio 1512.
A questo rovinoso evento - episodio tragico della guerra scatenata contro la Francia dalle potenze riunite nella Lega Santa - si deve aggiungere l'acuirsi dell'epidemia pestilenziale, già serpeggiante in città e nel territorio dalla primavera del 1510. Il morbo che ancora nel febbraio 1513 miete quotidianamente decine di vittime, si porta appresso una terribile carestia. Guerra, siccità e peste ripresentano la loro drammatica realtà tra il 1516 e il 1517. La Serenissima, tornata ad imporre definitivamente il suo dominio sul Bresciano dal maggio 1516, deve fronteggiare una durissima situazione. Non meno devastante è stato l'effetto degli eventi per quanto si riferisce ai beni ecclesiastici e alla realtà spirituale: chiese e conventi depredati, edifici sacri rasi al suolo, disordine nelle comunità monastiche, scompiglio grave in tutto il tessuto religioso che ora è minacciato anche dall'insorgere di preoccupanti forme di superstizione o di fanatismo e dalle prime avvisaglie dell'infiltrazione di idee luterane.
I suffraganei ed i vicari, ai quali anche dopo il ritorno dello Zane a Brescia sono affidati ampi poteri, cercano di porre qualche argine a tanti mali adoperandosi come sanno o possono a ripristinare la disciplina nei monasteri, a far ricostruire chiese, a rinnovare istituzioni, a combattere le insidie dell'eresia. In questo sforzo sono non raramente affiancati dal potere civile: di provvedimenti comunali e governativi intesi a reprimere l'immoralità dei costumi, particolarmente diffusa nel clero regolare, rimane memoria nelle provvisioni del 27 marzo 1515, del 9 dicembre 1516, del 23 novembre 1519 e ancora nelle ducali del 21 ottobre 1517, del 29 giugno 1519 e in successivi analoghi documenti. Un atto del 30 giugno 1520 prova che il cenobio cittadino di S. Maria della Pace, nel quale si conduce vita alquanto sregolata, viene sottratto dal Comune alla giurisdizione vescovile: gesti di questo genere, legati all'opera di controllo che il potere civile esercita mediante le ispezioni dei deputati super monasteria, provocano ripetuti ed aspri conflitti di competenza con l'autorità ecclesiastica ed ostacolano notevolmente ogni intendimento innovativo. Nello stesso anno 1520 Cristoforo Mangiavino e Mattia Ugoni, per mandato del vescovo s'adoperano attivamente alla riforma della curia mentre il 12 settembre 1522 si stipula tra il comune e la sede vescovile una convenzione che sancisce l'impegno di correggere la vita interna dei monasteri.
Anche alla costruzione di opere pubbliche e di edifici sacri si dà notevole impulso: il 15 marzo 1521, alla presenza di Paolo Zane, si pone la prima pietra dell'ospedale degli Incurabili; il 2 marzo 1522 il vescovo diocesano presiede la cerimonia dell'inizio dei lavori per l'erezione del nuovo santuario di S. Maria delle Grazie. Il vecchio edificio, del medesimo titolo, è stato infatti demolito, insieme con molte altre chiese suburbane, quando ragioni difensive hanno consigliato al governo veneto di fare il vuoto intorno alla cerchia delle mura cittadine. Nel 1523 è ancora lo Zane a benedire la prima pietra del torrione del Soccorso mentre il 23 giugno 1526 analogo atto è compiuto da Mattia Ugoni per l'edificazione del bastione di S. Giovanni. Questo prelato, vescovo titolare di Famagosta, è di gran lunga il più celebre tra i vicari dello Zane; a lui si devono alcuni significativi interventi di riforma del costume ecclesiastico e della vita religiosa. Egli favorisce il sorgere ed il primo svilupparsi dell'ospedale degli Incurabili cui viene affiancata la Scuola della SS. Trinità; di essa fanno parte tutti coloro che si adoperano ad alleviare le sofferenze degli ammalati ed i fedeli che sostengono finanziariamente l'ospedale, largamente beneficiato anche nelle disposizioni testamentarie del medesimo Mattia Ugoni. Nel 1521 il vescovo di Famagosta sostiene l'iniziativa di Bartolomeo Stella il quale introduce in Brescia l'Oratorio del Divino Amore; da parte sua l'Ugoni istituisce la Confraternita delle SS. Croci, alla quale offre cento lire di pianeti perché si faccia eseguire il labaro. Della sollecitudine pastorale di questo vicario danno ampia prova soprattutto i documenti di riforma emanati nel 1531, a pochi mesi di distanza dalla morte dello Zane. Un'eloquente anticipazione di tali importanti costituzioni può vedersi negli ordinamenti emanati dall'Ugoni già nel 1509, allo scopo di disciplinare le ufficiature della cattedrale.
I primi interventi intesi a contrastare le infiltrazioni dell'eresia luterana si devono a Bartolomeo Assonica, vescovo titolare di Capodistria, inviato in Brescia nel 1518 da Leone X de Medici, in qualità di inquisitore. A questo prelato lo Zane affida, sia pure per pochi anni, anche l'ufficio di vicario generale. L'inquisitore trova nel Bresciano una situazione seria: i sintomi della penetrazione di idee ereticali sono abbastanza diffusi e non raramente vengono confusi con episodi di sortilegio. Il caso è particolarmente frequente nella Valle Camonica.
Se la diffusione delle tesi protestanti tocca direttamente le valli per i più facili rapporti con i territori riformati, la situazione si fa ben presto poco tranquilla anche nella pianura e segnatamente nella zona di Chiari. Bartolomeo Assonica comincia ad usare la maniera forte e il Senato veneto - sempre attentissimo anche ad evitare possibili ed indebite ingerenze - cerca di tenere a freno i rigori dell'inquisitore.
L'intervento governativo ottiene qualche effetto almeno momentaneo poiché, con propria bolla del 15 febbraio 1521, Leone X lamenta le resistenze dell'autorità civile all'azione repressiva dei poteri ecclesiastici. Essa tuttavia non cessa d'esercitarsi in termini molto decisi: il 25 gennaio 1524 Clemente VII de' Medici esorta il proprio oratore a Venezia, Altobello Averoldi, a far bruciare i libri luterani che si ritrovino nel Bresciano, terra d'origine del medesimo diplomatico. I tentativi di arginare l'eresia con mezzi coercitivi e drastici provvedimenti conoscono anche momenti drammatici. Basti per tutti l'episodio pubblicato dallo Zanelli e ripreso nel 1976 da Vincenzo Gazich: lo studioso ricorda che nel 1526 un certo frate Benedetto Della Costa, accusato d'essersi votato anima e corpo al diavolo mentre, in realtà, si limita a professare le idee protestanti, è decapitato ed arso a Brescia, sulla pubblica piazza, al cospetto della cittadinanza. Una provvisione del 28 aprile 1528 informa che il Consiglio cittadino, preoccupato del primato che Brescia viene assumendo in fatto d'eresia, elegge tre cittadini incaricati di ricercare ed espellere i luterani. La deputazione sarà rinnovata anche negli anni seguenti. Frattanto a Bartolomeo Assonica son succeduti altri prelati particolarmente attivi nella lotta contro le idee della Riforma: si tratta di Lorenzo Muzio, Gian Pietro Ferretti, Annibale Grisonio. Dei tre, soltanto il primo agisce vivente ancora il vescovo Paolo Zane; assume infatti l'incarico di vicario generale nel 1527 mentre il vescovo si spegne nel marzo 1531, lasciando di sé un ricordo per nulla benevolo. Una preziosa croce che il presule ha lasciato in eredità alla città sarà motivo di contrasto tra il Comune e il fratello del defunto, Gerolamo.