ZANELLI Angelo
ZANELLI Angelo
(S. Felice di Scovolo, 17 marzo 1879 - Roma, 3 dicembre 1942). Di Bortolo e di Maddalena Bocca. Da S. Felice la famiglia si trasferisce nel 1884 a Puegnago e nel 1885 a Soprazocco, nel 1886 a Gavardo e nel 1887 a Salò, presso il padrino Antonio Banali e dove Angelo frequenta le prime classi elementari.
Fin da bambino ama esercitarsi nel creare figurine con la creta. Alla morte del padre, in condizioni economiche critiche, la madre gli trova lavoro presso uno scalpellino del luogo, tale Bigoni. Nel contempo il ragazzo nel 1888 frequenta la scuola d'arte "Romualdo Turrini", prediletto dal pittore Carlo Banali e dal decoratore Pollaroli. Alla scuola lascia in dono un candelabro a bassorilievo in marmo. Quattordicenne, nel 1894, entra a Brescia nel laboratorio del falegname-ebanista Passadori e, in seguito, in quelli dei marmisti Faitini in corso Magenta in città e a Rezzato, dove si misura con il marmo delle cave del cantiere Gamba di Botticino. Contemporaneamente frequenta le scuole serali "Moretto" nei corsi di Figura e di Plastica e vi viene premiato negli anni 1897, 1898, 1899 con medaglia di bronzo. Del periodo restano tondi decorativi di una Minerva e di un Marte, assieme a bassorilievi sparsi, presso privati. Nel 1898, a 19 anni, concorre al legato Brozzoni con l'opera "Uomo nudo che spacca un ceppo" e, come saggio finale, "Ragazza che prega". È il più giovane tra i concorrenti, vince una pensione triennale. Il giudizio della commissione è chiaro: «Lo scultore Zanelli è veramente il giovine semplice, che non ha appreso virtuosità da nessuna scuola, ma coglie le forme del vero così come le vedono direttamente i suoi occhi sinceri. Egli certo ha delle scorrettezze (come nell'infelice disegno a matita del nudo), ma in tutti i lavori rivela una freschezza d'ispirazione, un'intelligenza della forma, rapida, spontanea, geniale, davvero eccellente per un giovine diciannovenne. Ha di particolare un sentimento della grazia che gli fa ricercare ed accarezzare con mano amorosa le linee pure e le finezze squisite del rilievo. Un suo saggio (un adolescente nudo che ha le braccia intrecciate sulla testa arrovesciata indietro) ha veramente la grazia di un fiore; e dallo stesso amoroso intuito è avvivata anche l'accademica prova del concorso, nella quale, accanto a certe deficienze, bisogna ammirare delle parti sentite e rese con delicatezza di vero artista».
Il legato viene utilizzato per frequentare l'Accademia delle Belle Arti di Firenze dove, per cinque anni, si esercita sotto la guida di Augusto Rivalta. Nel frattempo presta servizio militare nel 73° reggimento di Fanteria a Messina. Ne approfitta per farsi una cultura, oltre che artistica, anche letteraria: l'Odissea e la Divina Commedia gli diventano familiari per tutta la vita. Al ritorno dalle armi riprende a seguire l'accademia fiorentina dove ha la fortuna di frequentare lo studio dello scultore Juan Lundberg che riterrà come uno dei maestri fra i più seguiti. Molto attribuisce della sua arte al professore di anatomia Chiareggi e all'influenza di Meunier, Rodin, Bistolfi. Assieme si appassionano alla matematica, alla fisica, alla meccanica e... alla musica.
Nel 1903 concorre con due opere: "La cava" e "L'aratura" e vince il Pensionato Artistico Nazionale sotto forma di pensione di perfezionamento della durata di quattro anni che gli offre la possibilità di trasferirsi all'Accademia di Belle Arti di Roma. Seguono quattro anni (1904-1908) di intenso e duro lavoro dei quali per alcune opere rimangono solo fotografie come l'"Idillio", "La voce del sangue". Venne poi il monumento a Giuseppe Zanardelli in bronzo inaugurato nel 1906 sul lungo lago di Salò, il busto in marmo di Gasparo da Salò (1906) per l'Amministrazione comunale locale e altre opere abbozzate o distrutte. Come saggio finale del Pensionato presenta "La portatrice o canefora". Da Roma molte sono le soste a Napoli, a Ercolano e a Pompei che determinano una formazione completa.
Terminato il Pensionato, affluiscono le prime commissioni. Esegue un fregio in bronzo di circa 15 metri intitolato "Ave vita" per il mausoleo di un milionario nordamericano (Cisolms) di cui è architetto il giovane Marcello Piacentini, mai realizzato e nel quale Valerio Terraroli ("Angelo Zanelli", 1984, p. 41-43) ha voluto vedere un possibile punto di arrivo: «È possibile considerare il fregio come il punto di arrivo dell'attività giovanile di Zanelli, nella quale confluiscono: la preparazione accademica (gli studi sui modelli classici e rinascimentali: Michelangelo, Donatello), l'esperienza di bottega e il gusto del realismo (gli animali e i piccoli brani di scene campestri, il tema del lavoro) e la conoscenza delle nuove correnti artistiche (un certo monumentalismo, molto smorzato dalle linee morbide e avvolgenti tipiche del Liberty). In esso si trovano modelli che lo scultore reimpiegherà nel fregio del Vittoriano e nella maturità, attingendo coerentemente ai temi di una cultura "mediterranea", in cui l'esaltazione della forza, della vita, dell'uomo assumerà in seguito connotazioni retoriche, lontane dalla freschezza e immediatezza d'ispirazione e modellato caratteristiche di questo lavoro».
Il successo viene con il concorso nazionale lanciato nel 1908 per il sottobasamento della statua equestre di Vittorio Emanuele nel quale è prevista, al centro, un'edicola con la dea Roma. Con il verdetto del 19 gennaio 1909 della sottocommissione Zanelli risulta vincitore davanti a scultori quali Pogliaghi, Ximenes, Dazzi e altri. Un giornale lo saluta come «uno sconosciuto ieri, un candidato alla gloria oggi», mentre Felice Carena lo dice «un pezzo di roccia alpestre rotolato fino a Roma». Modesto, austero, non rinnega le sue origini. Nel gennaio 1909 presenta a Brescia ad "Arte in famiglia" un busto ritratto di Mario Bettinelli. Ai primi di ottobre è a Bione dove porta con sé la pittrice lettone Kaehlbrandt appena sposata in Russia, dalla quale avrà Maddalena (v.). È poi a Brescia ospite di Magnocavallo dove incontra gli artisti del luogo.
Il 1° dicembre 1909, dopo una nuova prova tra lui e Dazzi, gli viene confermata la commessa per l'altare della Patria che durerà anni: infatti solo nel gennaio 1924 verrà sistemato il fregio e nell'aprile 1925 inaugurata la statua della dea Roma. Mentre lavora intorno a questa grande opera risponde a sempre più insistenti commissioni. Realizza un "canottiere" (modello è il figlio dell'amico musicista Pietro Mascagni) per il Trofeo del Club Canottieri Aniene e il tripode "l'elettricità" destinato alla promozione della gara nazionale di telegrafia di Torino dell'agosto 1911. Negli anni 1912-1913 si rincorrono nuove opere quali il ritratto del sen. Mario Lago (1912), la medaglia per la conquista della Libia (1912), il ritratto dell'amico Giulio Bargellini (1912) ed affronta per Montevideo il grande monumento equestre del generale uruguayano Artigas, che terminerà solo nel 1923. Nel 1913 il Comune di Brescia gli affida i busti ritratto di Fausto Massimini, Massimo Bonardi (sostituito poi da altro di A. Righetti), Tullio Bonizzardi. Ad essi si aggiungono i ritratti del soprano Salomea Krusceniski e del capitano Salvi. Sono di questo periodo una "Ninfa dormiente" e "Fauni danzanti".
La guerra lo vede soldato e poi ufficiale nel 73° Reggimento fanteria. Al servizio militare alterna periodi di lavoro anche intenso. Il dopoguerra è il momento dei monumenti ai Caduti. Se per contingenze locali non si realizza il monumento del suo paese nativo S. Felice di Scovolo che egli dichiara di fare gratuitamente, sorgono nel 1925-1926 il monumento di Imola, quello di Salò e quello di Tolentino nel 1928. Inoltre esegue bassorilievi con figure femminili, medaglioni di bronzo per il castello dei Cavalieri di Rodi, il rilievo in cemento raffigurante S. Elia nell'Isola delle Rose in Grecia, ecc.
Ma il dopoguerra è anche un tempo di nuove grandi opere quali il Campidoglio dell'Avana con la colossale statua bronzea (alta 22 m., del peso di 30 tonnellate) raffigurante la Repubblica di Cuba e due gruppi raffiguranti "Il lavoro" e "La Legge" di 8 metri, e sette metope di 5 m. di altezza. Nel 1929 erige il grande monumento alla medaglia d'oro gen. Alessandro Guidoni e a S. Domingo il faro monumentale, dedicato a Cristoforo Colombo. Più ridotto, ma riuscito, il monumento all'ammiraglio giapponese Togo. Rimasti invece soltanto al progetto il monumento al gen. Urquiza in Argentina (1937) e il monumento equestre a re Fuad I d'Egitto (1937-1942). Dell'opera rimasta incompiuta restano però i disegni e vari bozzetti. Lo Zanelli partecipò a varie esposizioni d'arte, italiane ed estere, ottenendo importanti premi a Bruxelles nel 1910 e a Parigi nel 1925. Fu membro di alcune commissioni ministeriali e del Governatorato di Roma; fece parte della Pontificia commissione centrale per l'arte sacra in Vaticano; fu membro corrispondente e presidente onorario di sodalizi culturali italiani e stranieri. Negli anni 1923-24 fu presidente dell'Associazione artistica internazionale e, nel 1929, dell'insigne Accademia di S. Luca alla quale apparteneva, come consigliere, fin dal 1911; fu accademico al merito della Pontificia artistica congregazione dei Virtuosi al Pantheon e professore onorario dell'Accademia di Belle Arti di Carrara. Nel 1938, con una cerimonia solenne in Campidoglio a Roma, gli venne conferito dall'Accademia d'Italia "il premio Mussolini" essendo stato prescelto come il maggiore scultore italiano. Fu anche professore dell'Accademia di Belle Arti di Milano e di Napoli e, per anni, a quella di Roma; accademico corrispondente dell'Accademia fiorentina delle Arti e del Disegno, di Torino, di Parma e di Perugia, socio corrispondente dell'Ateneo di Brescia e di Salò e anche presidente onorario della Società Operaia di mutuo soccorso di Salò. Nel 1939 venne nominato Accademico d'Italia. Fatiche e mali professionali lo portano a morte a Roma nel 1942 assistito religiosamente dall'amico don Angelo Rescalli.
Nel 1979 venne tenuta una mostra a S. Felice del Benaco, nel 1984 un'altra presso la sede A.A.B. di Brescia e, un'altra ancora, di carattere antologico a S. Felice del Benaco nel 2002. Allo Zanelli sono state intitolate una via a Brescia e una piazza a Salò.
Molti i consensi critici sull'arte di Zanelli. Corrado Ricci scrive: «L'opera di Angelo Zanelli è l'opera di un genio, degna di entrare nella schiera che novera le grandi creazioni delle età classiche e le figure di Michelangelo nostro». Diego Angeli scrive: «Angelo Zanelli è un mirabile esecutore, pieno di finezza e di eleganza, che sa sviluppare con grande leggiadria il magnifico fregio». Ugo Ojetti sottolinea come «lo Zanelli si è proposto di obbedire alle esigenze reali e ideali del monumento. I suoi ricordi classici sono ravvivati da una modellazione nervosa e precisa e da una composizione che non potrebbe essere più architettonica. Nel suo altorilievo le figure sono membrature architettoniche in movimento. Dalle parallele, dalle figure simili e vicine, dai gesti ripetuti, egli ha tratto effetti di una poesia intima e profonda e indimenticabile». Altri hanno negativamente sottolineato forzature accademiche, superficialità, se non addirittura, nei fregi dell'Altare della Patria, una tendenza al kitsch, cioè creazioni sdolcinate e di cattivo gusto. Articolato ed equilibrato il giudizio di Gaetano Panazza che ha rilevato come «lo Zanelli rivelò qui le sue doti di grande maestro, di tecnico raffinato, smaliziato, esperto nell'eseguire grandi opere decorative: l'influenza dell'arte antica si fonde con la tendenza al simbolismo e al gusto floreale propri dell'epoca. Lo Zanelli crea così queste vaste opere celebrative, dove tutto fluisce come in un grande poema epico. Una certa sovrabbondanza e un certo accademismo riconoscibili in queste opere e soprattutto nella Dea Roma, verranno poi meno in altri lavori importanti come il monumento al generale Artigas a Montevideo. L'impressionismo, la flessuosità e la ricchezza di particolari di queste opere trovano un correttivo nel 1925 circa quando nei rilievi si ha un maggior senso dei volumi, un più spaziato gioco compositivo delle scene. L'uomo schivo, modesto, tutto di un pezzo - temperamento veramente bresciano - ebbe la ventura (o la sventura) di essere quasi lo scultore o uno degli scultori dell'arte ufficiale italiana del primo trentennio del '900, cioè di uno dei periodi più discussi e più tormentosi, di maggior crisi dell'arte nostra. Questo certo non giovò alla sua fama - soprattutto oggi che si tende ad abbattere e a dissacrare ogni cosa - e in un certo senso fu anche di danno allo sviluppo libero, puro dell'arte plastica che aveva nel sangue, per la quale viveva e operava, cercando sempre di migliorare se stesso, di essere degno dei grandi temi che doveva affrontare».
Il figlio di Angelo Zanelli, Alessandro (1912-1987), fu direttore di produzione alla O.M. e si dedicò alla formazione dei giovani operai.