VEROLANUOVA

VEROLANUOVA (in dial. Veröla nöa, in lat. Virolae Alghisii)

Cittadina agricola, industriale e commerciale della Pianura Bresciana Centrale, che si stende sulle rive del fiume Strone. Confina con i comuni di Offlaga, Manerbio, Bassano Bresciano, Pontevico, Verolavecchia, Borgo S. Giacomo, San Paolo. È a m. 64 s.l.m., dista da Brescia 30 km., ha una superficie comunale di kmq. 25,8.


Frazioni: Breda Libera (a km. 3), Canove o Case Nuove (km. 2,90), Cadignano (km. 6,30).




ABITANTI (Verolesi, nomignolo àche, óche): 2180 nel 1493; 4000 c. nel 1565; 3400 nel 1572; 4000 nel 1610; 2191 nel 1630; 3400 nel 1658; 3350 nel 1727; 2374 nel 1775; 3554 nel 1791; 3554 nel 1805; 3743 nel 1819; 4190 nel 1835; 4400 nel 1848; 4740 nel 1858; 5088 nel 1868; 5250 nel 1875; 5250 nel 1887; 5850 nel 1898; 5850 nel 1908; 5850 nel 1913; 5175 nel 1926; 5750 nel 1939; 6449 nel 1949; 7100 nel 1963; 5500 nel 1971; 6151 nel 1981; 6581 nel 1991; 6821 nel 1997.




Lo stemma approvato, dopo lungo dibattito, dal presidente del Consiglio dei Ministri con decreto del 28 marzo 1952 risulta «d'azzurro alla ninfa bionda coronata di fiori di campo che stringe nella destra tre frecce d'oro e solleva con la sinistra un velo bianco, poggiata sulla mezzaluna montante d'argento. Sotto lo scudo, su lista bifida svolazzante d'azzurro il motto: «Nec fide infirma nec amoris vinculo capta» («Né incerta per la fede né schiava del vincolo d'amore»). Deriva dalla leggenda che accenna ad una «ninfa o dea Verola vissuta nei boschi» lungo lo Strone, frequentato, secondo le credenze popolari, anche da stregoni e benandanti. Esilarante l'opinione di chi ha voluto vedere, nelle macchioline che coprono il corpo della donna ignuda dello stemma, i segni del vaiolo chiamati in dialetto eröle.


Fino al sec. XI, XII la cittadina ha fatto parte del territorio che comprende ora altri comuni e frazioni (v. Verola, Verolanuova, Verolavecchia). Specificatamente per il nome di Verolanuova il Guerrini ha insistito sull'etimologia dal termine "vigriola" (dal basso latino, diminutivo di vigra) che in dialetto bresciano è stato tradotto in "vegher" cioè campagna sterile, incolta o abbandonata. Al termine "vigriola" è stato aggiunto il nome di un proprietario, latifondista, Alghisi, nel quale qualcuno ha voluto vedere addirittura Alghisio o Adalgiso o Adelchi, figlio di re Desiderio a lui associato, alla fine del regno longobardo. Gran parte dei beni passò poi a monasteri fra i quali quelli di Leno e di Serle.


Forse fin dalla preistoria esistette un castelliere di difesa delle persone disperse, che venne probabilmente rafforzato in epoca longobarda, e durante le invasioni ungare dei sec. IX-X Verolanuova ebbe il suo "castrum" o borgo fortificato, ben distinto da Castel Merlino. Sorgeva, come annota Tommaso Casanova, sul dosso oggi compreso tra il fronte posteriore delle case di via Dante, via Giacinto Gaggia, via Castellaro, via Ricurva e piazza Paola Gambara, dove oggi sorge la contrada detta ancora Castello o Castel Vecchio. All'interno del Castrum, sorse la prima chiesa di S. Lorenzo, con annesso il cimitero, nei pressi della chiesetta di S. Maria del Suffragio che fu forse la prima Disciplina di Verolanuova.


Molto dubbia l'esistenza di un Alghisio Gambara che avrebbe dato il nome a Verolanuova, ma che i documenti dicono soltanto investito di un pezzo di terra in Gambara. Tanto meno credibili sono le voci che lo dicono padre del celebre Alberto Gambara console di Brescia nel 1155-1156. Più fantasiosa ancora è l'esistenza di quell'Alghisi che, secondo la "Breve recordationis", in una battaglia di Bettegno o delle Vincellate (dove è ricordato in un'epigrafe) avrebbe sconfitto tremila nemici con un'imboscata e con taglio di piante. Per spiegare il nome di Verola Alghisi, nel 1939, in occasione della presentazione dello stemma comunale, viene evocata addirittura, non si sa da chi, una prospettiva della storia verolese completamente inedita: «Verso il 1100 la famiglia Ghisi, fiorentina, esulava dalla sua terra di origine, e si presume che ciò sia avvenuto per eventi politici e si portava a Venezia ivi trapiantandosi. Di condizioni assai facoltose, ebbe modo di mettersi in vista tra le migliori famiglie veneziane e, inclusa nel patriziato, vi rimase dopo la serrata del Gran Consiglio. Alcuni suoi appartenenti furono valorosi capitani di armi come Andrea e Girolamo Ghisi che, per le loro vittorie, ottennero per decreto della Veneta Repubblica, la signoria col titolo di Conti. La famiglia, sempre al servizio della Repubblica di Venezia, si sparse nello stato della Serenissima e apparvero alcuni suoi componenti nelle province di Mantova e Brescia e in altri luoghi della Lombardia, acquistando terre e castelli. Uno dei più fiorenti rami di questa prosapia si trapiantò in Verolanuova facendosi costruire un proprio maniero e un vasto palazzo che ancor oggi si vedono, per quanto la rocca sia trasformata in bella villa».


A questo squarcio di storia che sembra inverosimile, dopo poco tempo ne viene contrapposta un'altra, nella quale si legge che la storia di Verolanuova è collegata «per circa sette secoli a quella della celebre famiglia dei conti Gambara che ne furono i feudatari fino al 1797. I capitani di Gambara, vassalli della badia di Leno, ottennero, tra le altre terre bresciane, anche il feudo di Verola e, probabilmente, dal nome Alghisio Gambara, che primo ne fu rivestito, è derivato a Verola la denominazione di Verola-Alghise. Dal secolo XII alla fine del secolo XVIII i Gambara dominarono a Verolanuova come signori». Quando Verolanuova compare nei documenti mostra connotazioni molto precise. Infatti nell'atto di permuta del 26 febbraio 1194 siglato dal notaio Giovanni da Verola «Cecilia, badessa del monastero femminile benedettino di S. Donnino di Verolanuova, e Andrea Gambara, di Verolanuova, sottoscrivono una permuta per cui due campi del monastero, situati a Verolavecchia, sono scambiati con uno di Andrea Gambara, situato in Verolanuova». La borgata perciò non solo esiste, ma vi è un monastero, vi è addirittura un notaio, vi sono scambi di proprietà e vi si trovano già i Gambara. Pochi anni dopo un documento del 15 aprile 1197 rileva le proprietà dei Gambara anche sulla Breda che si chiamerà poi, fino al 1797, Breda Gambara. Là i Gambara erigeranno un castello assieme alla chiesa dedicata a S. Anna. Il nome di Verola compare in altri atti di notai "de Virola" senza particolare specificazione; ma più direttamente in atti del 1249, 1250 ecc. che sono riferiti al monastero di S. Donnino.


Nel 1267 sono già nominate la chiesa di S. Lorenzo ed un prete Pietro che, per procura del vescovo di Brescia Martino, viene incaricato di sistemare l'unione del monastero benedettino femminile di S. Vigilio di Padernello con quello dei SS. Cosma e Damiano di Brescia. Il prete Pietro esegue l'ordine il 29 marzo 1267, presenti, tra gli altri, certo «Zanino de pizo» abitante in Verola e un notaio verolese.


Verso il 1350 si consolida la potenza dei Gambara che si delinea sempre più nel 1371 quando "Verola Alghise" è assegnata in feudo a Gherardo Gambara e nel 1404 quando Giovanni Maria Visconti riconosce a Federico Gambara i diritti feudali su tutta la terra verolese. Barcamenandosi fra i potenti del tempo, il 29 maggio 1407 i Gambara, giurando fedeltà a Pandolfo Malatesta, oltre ad avere da lui in dono 2000 piò a Gambara ottengono il privilegio feudale sulle loro terre, tra le quali Verola Alghise. L'anno dopo il Malatesta consegna a Marsilio e Maffeo i beni tolti a Pietro Gambara.


Passati nel 1422 dalla parte dei Visconti, i Gambara ottengono, il 3 ottobre 1422 da Filippo Maria, una nuova investitura, mentre Maffeo, creato dai Visconti commissario del castello di Orzinuovi, resiste all'esercito veneziano. Ma già nel 1427 Marsilio e Maffeo qd. Federico hanno cambiato bandiera: il 3 settembre, infatti, giurano fedeltà a Venezia e «per i loro meriti di fedeltà e valore» vengono investiti, con il solo obbligo di comperare il sale a Brescia, dei privilegi feudali e della «podestà del mero imperio contro i delinquenti, secondo la natura e il tipo dei delitti: possono condannare al carcere per 2 mesi, alla berlina, ai ceppi, alla fustigazione e a multe varie, fino a 25 lire». L'anno dopo, nel 1428, Venezia, in seguito a nuove sottomissioni di Marsilio, Maffeo, Martino, Lodovico, conferma ai Gambara la legittimità sui feudi di Verola Alghise e di Pralboino. Nuovi privilegi e salvacondotti Venezia concede a Marsilio Gambara e agli abitanti di Verola, Pralboino, Milzano. La potenza dei Gambara si allarga e si rafforza sempre più con Brunoro Gambara, con l'acquisto nel 1456, oltre che delle Canove e di terre locate, al Fiorino, lungo lo Strone, alla Fornace, in contrada Cantalodi, presso il Mulino, presso S. Donnino, in contrada Scandasole, al Bertolazzo, alla Lama, al Lanzone, alla Valle del Lupo, al Boscai, a S. Giorgio, in contrada di S. Giacomo presso la cappella omonima, alla Retovina, Leppina, Piotario, Ludri, Vernazzole, Viali, ecc. «Segue - come scrive il Bonaglia - un altro documento importante ed è il testamento di questo Brunoro qd. Marsilio Gambara (17 marzo 1468). L'atto ci permette un'idea assai precisa della potenza ormai acquisita dalla famiglia anche a Verolanuova».


Con una nuova ducale del 27 giugno 1471 il doge Cristoforo Moro, per espressa volontà del Consiglio dei Quaranta, dopo aver richiamato i privilegi concessi con la precedente, dichiara ancora i Gambara esenti da qualsiasi gravame: «ipsi de Gambara sint exempti e Datiis in locis suis proprii tantum, et solvere habent Datia Civitatis et Transversus». La ripartizione dei beni e dei diritti feudali del 1473 assegna Verolanuova ai fratelli Nicolò e Gianfrancesco Gambara. Una successiva divisione assegna a Nicolò Castel Merlino, e il resto a Gianfrancesco. L'assestamento delle proprietà nella vita della borgata segna nuovi progressi. Mentre si rinnova la chiesa parrocchiale di S. Lorenzo ne vengono costruite altre. Nel frattempo, la vicinanza con il confine di stato fissato sull'Oglio espone il territorio verolese a ricorrenti pericoli come nel 1453, quando lo Sforza schiera a Verolanuova le sue truppe per impedire ai veneziani di passare il fiume. I due eserciti si fronteggiarono per qualche tempo lungo un corso d'acqua, probabilmente lo Strone, senza che vi fosse il sopravvento dell'una o dell'altra parte. Finite le lunghe contese che segnarono la seconda metà del sec. XV negli anni che seguono la pace di Bagnolo (1494), la borgata conosce un notevole progresso economico, sociale, civile. Si sviluppa, infatti, un ricco mercato di granaglie, che, dapprima abusivo, viene poi reso lecito.


Dal 1496 la contessa Lucrezia Gonzaga di Novellara (sposa nel 1490 al conte Brunoro Gambara) entra in rapporti sempre più stretti con gli ebrei dei feudi Gonzaga (Ostiano, Canneto, Castelgoffredo, Novellara) per prestiti di denaro e commercio di lino, vendita di pietre preziose e abiti di lusso, fino a quando nel 1537, chiamato a Verolanuova da Brunoro Gambara, Leone da Bassano viene autorizzato ad aprire un banco di prestiti ed una bottega di mercanzia. Quest'ultima nel 1546 viene ceduta a Leone di Soave, e via via fino a quando verrà creato nel 1580 il monte dei prestiti sottraendoli agli ebrei che alla fine del 1591 lasceranno definitivamente il paese. A ricordo della piccola, ma attiva colonia ebraica rimarrà a lungo, all'attuale via Cavour, la denominazione di contrada del Ghetto. Contemporaneamente i Gambara, e specialmente il conte Lucrezio, abbellisce sempre di più Castel Merlino.


Ambigua da sempre, la politica dei Gambara si ripete anche dopo la conferma dei privilegi da parte di Venezia. Anzi lo diventa ancor più durante gli avvenimenti degli inizi del sec. XVI che vedono in guerra Spagna, Francia e Impero, e vittime Brescia e Venezia. Sconfitto ad Agnadello (14 maggio 1509) l'esercito veneto, il conte Gianfrancesco Gambara, dopo la battaglia, passa dalla parte dei francesi vittoriosi e al servizio di Luigi XII. E subito ottiene grossi favori. Infatti, già il 17 giugno ottiene dal re di Francia, una fiera stabile a Verolanuova. Nello stesso anno vengono compiuti restauri alla chiesa parrocchiale. A confermare la sua fedeltà ai nuovi padroni, i francesi, il 15 agosto 1509 egli lancia ai Verolesi un perentorio proclama carico di minacce in caso di disobbedienza, intimando a tutti coloro che fossero al servizio di Venezia di lasciare il territorio entro quattro giorni, pena la confisca dei beni e, se catturati, l'impiccagione "per la golla". In ottobre una ventina di persone vennero dichiarate ribelli senza tuttavia conseguenze di rilievo, dato che, cambiata la situazione, furono i Gambara, e particolarmente Gianfrancesco e la moglie Alda Pio da Carpi, ad essere condannati all'esilio. Seguirono altri anni incerti, con concentramenti di truppe, come nel 1521, ai confini dell'Oglio. Ma, ritornati i Gambara, la ripresa è rapida. Ottenuta, con decreto di Carlo V del 3 gennaio 1526, l'istituzione di un mercato settimanale al giovedì, viene costruita la grande piazza per ospitarlo. Non solo, ma nel 1528 Brunoro Gambara dà il via alla costruzione del lato meridionale di un grande palazzo che nel 1539 viene completata dell'ala principale, eretta su progetto dell'arch. Zaccaria Falnetto, secondo Renato Savaresi, o dell'arch. Dionisio Baldo di Pralboino, secondo altri. Prende così fisionomia la grande piazza che in atti notarili, trovati da Renato Savaresi, viene chiamata "Mercato magno", subito completata da un'osteria, da una forneria (sull'angolo SO) e da una scuderia (sull'angolo NO). Ciò evidenzia, come ha scritto ancora il Savaresi, come «il completamento del palazzo e la realizzazione della piazza vadano di pari passo, inserendosi nello stesso disegno progettuale, carico di simboli che esaltano la potenza feudale di Casa Gambara».


Negli stessi anni viene incrementata anche la vita religiosa. Nel 1534, infatti, i Gambara si fanno promotori della erezione di una Collegiata il cui capitolo raggiunge in breve tempo il numero di 10 canonici. È in sviluppo anche la vita culturale. Nella seconda metà del '500, nonostante l'avversione dei Gambara, insegnano a Verolanuova Pietro Toni, cognato del vescovo Mattia Ugoni, e Vincenzo Zini. Nel 1580, per sollecitazione di S. Carlo Borromeo, viene fondato il Monte di pietà che, come già detto, spiazza l'attività degli ebrei e nel 1591 li costringe a lasciare il paese.


Nel suo Catastico del 1610 il Da Lezze registra un castello (Merlino) cintato da fosse, il palazzo Gambara «con molte camere e con un giardino deliziosissimo», una campagna fertile, tutto di proprietà Gambara eccetto 200 piò del monastero di S. Caterina di Brescia e i benefici della parrocchia e della Collegiata, «una bella piazza grande con sottoportici in parte con hostaria, Prestini, et Beccaria di ragione di detti SS.ri Conti». La terra è «molto fruttifera»; vi è un molino a sei ruote sulla roggia Gambaresca. L'amministrazione locale è affidata ad un podestà nominato e pagato dai conti Gambara «il quale procede in Civile et Criminale citra poenam sanguinis, et nelle cause d'appellat.ne si viene a Brescia». Compongono l'amministrazione comunale dodici consoli «che ogni due mesi da detti SS.ri né sono fatti dui et approbati, che poi li dui ultimi che restano, scrivono le Polizze con un n° che ad essi pare, et le presentano à loro SS.ri et poi eleggono quelli, che stimano esser più prattici nel governo. Dalla Vicina poi si fà il Massaro, il tesorier, et il Camparo tutti salariati. Il Commun non ha entrada, ma le gravezze si pagano sopra le teste, et beni, et rare volte succedono disordini, poiché ricorrono à detti SS.ri et essi acquietano ogni difficoltà, essendo li SS.ri Conti padroni dei Datij, così delli imbotadi, pan, vin, et altro».


La tranquillità che sembra trasparire dai documenti del tempo viene compromessa dal terribile avvenimento della peste del 1630. La falcidia di vite umane provocata dal flagello è indicata dalle cifre offerte da Renato Savaresi. Gli abitanti, risalenti a 4000 circa nel 1610, si riducono a 2191 (1809 in meno) per un 45 per cento. Cadignano perde solo il 13%, con 65 colpiti dal morbo su 500 abitanti.


Ma la ripresa stupisce. Il voto fatto durante l'epidemia trova, pochi anni dopo, dal 1633 al 1647, la risposta nell'erezione della nuova chiesa parrocchiale, che, per imponenza e ricchezza d'arte, potrebbe essere una cattedrale ed essere considerata, come lo sarà più tardi, una basilica.


E sempre viva è la carità. Oltre all'assistenza perseguita dalle Confraternite, specialmente da quella del S. Rosario, si registrano legati quale quello di Marc'Antonio Donati che, nel testamento dell'1 novembre 1633, dispone che «si nomini un hospitale per sovvenir a poveri massime infermi o impotenti, in maritar povere citelle, in aiutare poveri figliuoli a farsi religiosi et altre opere pie». E non solo, ma ordina e lascia che «a spese della sua facoltà nella terra di Virola sii stipendiato un maestro che insegni grammatica e umanità per i figli poveri di Virola con stipendio di scudi 100 ogni anno».


A rendere difficile la vita, specie dei più poveri, non mancano vere catastrofi come quella annotata nel registro dei matrimoni nella parrocchia sotto la data «adi maggio 1648 dell'Ascensione di N.S.». In esso si legge «Memoria memorabile, e spaventevole del fiume Strone, quale pioggia caduta nel spazio di sei hore in d.g.no (detto giorno) è divenuto così gonfio e precipitoso che è arrivato sino sopra il Portone del Castello con atterrare Case, e fabricati in diversi Luoghi; col spiantar Arbori, e rovinar diversi Campi, spettacolo horrendo à tutti li habitanti in q.ta (questa) Terra di Virola». Ancor più grave, a distanza di decenni, l'alluvione del 13 agosto 1689 quando lo Strone «desolò case, spiantò dalle sue radici le fucine sotto le arche, rovinò botteghe, sfiancò muraglie ecc.».


Il declino di Venezia sempre più accentuato nella seconda metà del seicento e la preponderanza dei Gambara non mancano di farsi sentire in un disagio che continuerà a lungo e che lascia segni anche a Verolanuova. L'inquietudine latente sfociò nel 1690 in una specie di sollevazione iniziata da certi Bracco e Girelli oppostisi al conte Lucrezio Gambara e al medico condotto che facevano alto e basso nell'amministrazione. I rivoltosi trovarono poi in Giovanni Tadini, soprannominato Caronte, un "Ciceruacchio" tenace ed astuto. Un processo, istituito per appurare i fatti, raccolse molte e gravi testimonianze secondo le quali i verolesi si lamentavano «di iniqui e gravosi balzelli sul lino, sul vino, sul tabacco e l'acquavite (vecchi vizi popolari di ogni tempo); nessuno poteva entrar nel mercato senza licenza di casa Gambara, la quale «perseguitava e uccideva chi volesse difendere le ragioni del comune» e rilasciava licenze di porto d'armi solo ai suoi fidi, manteneva sul territorio circa duemila pecore, usurpava il diritto di erbatico nel tezzone di Verolavecchia, affittava le osterie e gli stalli di Verolavecchia che erano fuori del dominio feudale e teneva una squadra di sbirri o bravi, che erano il terrore degli abitanti. Seguirono risse, ferite, uccisioni, arresti, processi e bandi fino a quando nel 1694 Venezia si risolse a sciogliere il Consiglio comunale, obbligando i conti feudatari a più miti consigli».


Nella guerra di successione spagnola, ai primi di settembre 1701, la cavalleria tedesca si acquartierò a Verola per poi spostarsi verso Mantova provocando requisizioni e ruberie. Né fu assente il fenomeno del "bulismo" che denota violenze dei signori sulla popolazione. Singolare è l'episodio accaduto nell'ottobre 1718 quando un giovane malghese che aveva ferito un sacerdote fu inseguito e acciuffato dalle guardie del conte Gambara, ma venne poi liberato per l'intervento di due bravi di casa Martinengo.


Ai disordini che si verificano comunque e dovunque, Verolanuova risponde anche con atti di civiltà e di progresso fra i quali l'incremento dell'istruzione. Nel 1714 vi sono almeno sei maestri di scuola, dei quali uno tiene scuola pubblica, cioè è stipendiato dalla comunità con un salario di 100 scudi bresciani. Vi sono anche tre maestre che insegnano alle fanciulle.


Anche l'economia registra notevoli progressi. Il mercato attira vere folle anche dal Cremonese, con traghetti straordinari sull'Oglio. Come si legge in un documento del 1716 «il mercato di Virola Algise è libero ... principia ogni essentione dal tramontar del sole del giorno di mercoledì sino al ora stessa del venerdì ... ... al detto mercato presiede un signor Podestà et il suo Governatore vicario posti dal Signor conte Carlo Antonio Gambara». Alla crisi economica si viene incontro con opere di carità e di assistenza. «Per procedere - scrive il canonico Sambrini il 12 ottobre 1734 - con pieno soccorso a tanti poveri giacenti in Virola, alcuni dei quali gemono perché intirizziti dal freddo, altri piangono le loro miserie perché abbandonati dai ricchi nel necessario e quotidiano sostentamento, altri si lagnano e deplorano anche sotto sordidi tetti le loro tormentose doglie, dalle quali si sentono assai più martirizzati», la contessa Elisabetta Grimani Gambara decide l'erezione di «un Ospitale in cui possino ricettare Uomini e Donne infermi veramente poveri di questa terra e dare albergo e dovuto sostegno anche a Pupilli orfani, a fine siano assistiti ed educati nel santo timor di Dio». Il 27 gennaio 1738 essa compera per 360 scudi uno stabile in contrada Provinetto, di certo Francesco Cremaschini, raccoglie una somma di lire 24.799 fra parenti e amici, costituisce una Commissione formata da tre canonici verolesi che provvede alle opere di adattamento. Tali opere vengono completate nell'aprile 1742, con la costruzione dell'ingresso in marmo di Botticino da parte del tagliapietre Francesco Venturi e del figlio Vincenzo. Al sostegno dell'opera non mancheranno, anche in seguito, benefattori.


L'estimo mercantile del 1750 comprende, per Verolanuova, 81 nominativi, di cui 61 con reddito accertato. Di questi ultimi, 37 hanno un reddito inferiore alle 200 lire e sono da considerarsi poveri; 12 denunciano un reddito compreso tra le 200 e le 700 lire, per cui la loro situazione economica può essere definita sufficiente o discreta; per redditi più alti - sono altri 12 - abbiamo a che fare con i grandi commercianti e industriali. Il più ricco di tutti è Carlo Bracchi, che ha una conceria di pellami, con analoga attività anche a Orzinuovi. Ha un reddito di 10.600 lire, quaranta volte il guadagno annuale di un salariato agricolo: in moneta attuale, siamo vicini al miliardo di lire. Ovviamente, l'attività principale resta pur sempre l'agricoltura, con oltre il 90% di occupati rispetto alla forza-lavoro. Gli abitanti, all'epoca, erano 2.903. I professionisti (notai, farmacisti, agrimensori e "cavasangue") sono 10, due gli osti, due i prestinari, un "beccaro", sei sono i venditori di formaggio, un solo venditore di candele e salame, un venditore di farina e riso, un pasticcere, dodici venditori di tessuti (panni, fili, tele), due i sarti, nove i conciatori o lavoranti cuoio, ventotto esercitano altre attività. Nel 1761 si registra l'esistenza di un filatoio.


Con il commercio e con un'incipiente attività imprenditoriale si è fatta largo nella società verolese una nuova borghesia, alla quale appartengono i Pochetti (che nel 1789 vengono chiamati "Signori"), i Basiletti, i Burlini, i Montini, i Marini, i Girelli, i Mensi, i Geroldi, i Cervati, i Sandri, i Boninsegna, i Gaggia, ecc. Sono famiglie che, sia pur limitatamente, incalzano il predominio dei Gambara fino a quando, a capovolgere la situazione, interviene nel 1797 la rivoluzione giacobina che vede poi, il 17 marzo, la fine della Repubblica veneta e l'instaurazione, sotto la protezione francese, del Governo provvisorio bresciano.


Le notizie della rivoluzione arrivano il 18 marzo e d'improvviso i Gambara diventano cittadini e così pure tutti gli altri, come il prevosto e tutti i canonici. Si innalza l'albero della libertà sotto il quale un giovanissimo prete di Quinzano, don Arcangelo Martinelli, declama versi di esaltazione giacobina, che verranno poi pubblicati negli Atti del Governo Provvisorio. Il Podestà già nominato dai Gambara cede il posto a Giuseppe Marini; Giudice di pace è don Francesco Tadini; Commissario Nazionale del Tribunale d'appello, Giulio Cirimbelli di Quinzano. Cancellato il Feudo, decadono automaticamente le rendite annesse per cui i Municipalisti, seduta stante, s'impossessano di mulini, fornerie, osterie, torcoli, beccarie, pistadora de riso, locale acquavite e tabacchi, pesa degli animali, pesa del fieno, pesa del lino e del filo e di altri proventi e diritti, che prima appartenevano ai Gambara e il 31 marzo 1797 il Governo Provvisorio decreta che «dalli Provvisori Rappresentanti il Popolo di Verola siano rilasciate le ricevute dei contamenti (pagamenti) che ad essi si fanno di tutti gli effetti, case, molini, acque ed altro, che in addietro esiggevano li ex nobili Gambara». Anche il paese cambia il nome, per cui, in un atto del notaio Francesco Bonelli, viene chiamato Verola Nova, mentre Breda Gambara si chiama da ora in poi Breda Libera.


Ma la Rivoluzione non viene del tutto digerita tanto che, a distanza di pochi giorni, si scatena una controrivoluzione locale. Infatti, come annota il curato don Anselmo Treccani nel registro dei battesimi, il 4 e 5 aprile si verifica «una sollevazione di Popolo andando con l'armi, con soni, tamburi e con scarico di mortari a Pontevico, a Verola Vecchia, ed a Quinzano». L'esaltazione popolare dura però pochi giorni e a smontarla basta che il cittadino ex conte Brunoro Gambara mandi come messaggero un suo servo perché, come registra ancora don Treccani, «tutto il popolo ravvedutosi del gran fallo» ripigli «la coccarda tricolorita» e si «umigli di nuovo alla Repubblica Sovrana di Brescia» rimediando, sottolinea ancora il cronista, «al pericolo sicuro di un gran saccheggio e rovina anche della vita e di un grande spargimento di sangue».


Oltre che risparmiare una dura repressione che altre zone del Bresciano come Salò, la Valsabbia invece registrano, Verolanuova si avvantaggia sulle zone circostanti. Infatti diventa capoluogo dell'VIII Cantone del Basso Oglio raggruppando intorno a sé paesi come Quinzano, Verolavecchia e altri. Sorta nel novembre 1797 la Repubblica Cisalpina, la borgata è capoluogo del "Circolo XI dello Strone", poi sostituito, in rapida successione, dal "Circolo VII dello Strone", dal "Distretto III" e dal "Circondario VII".


Quietatesi le acque, la nuova burocrazia giacobina procede agli adempimenti del programma prefissosi: abolisce la Collegiata, la espropria dei benefici (ed è fortuna di Verolanuova che questi vadano all'Ospedale), spoglia le Confraternite religiose. Viene risparmiato per qualche tempo il Convento dei Cappuccini perché i "cittadini" Gambara lo pagano a suon di quattrini.


Passano solo due anni e la Repubblica Cisalpina crolla sotto la pressione delle armate austro-russe. Il solito don Treccani, sempre nel registro dei battesimi, narra che il 14 aprile 1799 le avanguardie dell'esercito giungono in Verolanuova. Come prima cosa bruciano l'Albero della Libertà, proseguendo per Pontevico dove, il giorno dopo, mettono in fuga le truppe francesi e compiono lo stesso atto incendiario.


Tornato, nel 1801, Napoleone, Verolanuova è di nuovo a capo di un Distretto estesissimo composto da 56 comunità per complessivi 69.901 abitanti. L'importanza del compito giustifica anche la permanenza, nel 1802, in qualità di cancellieri distrettuali, di personaggi quali il trentino Francesco Filos. Ai Comizi di Lione (1802) assieme al conte Francesco Gambara, ultimo della dinastia ma ex giacobino, è presente però il verolese Antonio Tavelli, preferito al Filos. Costui non ne gradì la nomina, accusando il Tavelli di non aver mai indossato l'uniforme, e di essere «oscuro ed estraneo alla cosa pubblica di Brescia».


Diventati "cittadini" e non più nobili, i Gambara prima resistono, poi sono costretti ad abbandonare Verolanuova. Carlo Antonio, ultimo del casato, a partire dal luglio 1809 vende a Giovanni Battista Lizioli, «mercante di tessuti», un casamento compresovi, a ponente, il cosiddetto stallone e poi via via aliena il resto dei beni fino alla liquidazione del palazzo nel 1835.


Con un nuovo ordinamento amministrativo contemplato con decreto dell'8 giugno 1805 ed entrato in vigore nel settembre 1806 Verolanuova diventa capoluogo del «distretto 3° del Dipartimento del Mella», il quale distretto comprende tre cantoni: il cantone Primo di Verolanuova, che è insieme capoluogo di Distretto e di Cantone; il Cantone Secondo di Orzinuovi; il Cantone Terzo di Leno. A capo del distretto viene posto un Viceprefetto, assistito da tre cancellieri censuari, uno per ogni cantone. Il cantone primo di Verolanuova comprende i comuni: Verolanuova, Alfianello, Cadignano, Cigole, Faverzano, Milzano, Monticelli e Villanuova d'Oglio, Offlaga, Pontevico, Quinzano, Seniga, San Gervasio, Verolavecchia, Scorzarolo. Nuovo prestigio Verolanuova acquisisce, sempre nel 1805, quando viene fatta sede di una pretura. Sostituita nel 1806 con un giudice di pace, la Pretura verrà di nuovo ristabilita nel 1818.


L'importanza assunta da Verolanuova, purtroppo, non cancella le condizioni di vita delle popolazioni, sempre più povere, alle quali si aggiunge per la prima volta la ferma militare obbligatoria, che coinvolge parecchi verolesi e alla quale riescono a sfuggire solo coloro che hanno mezzi per farsi sostituire mentre gli altri finiscono con il morire sui campi di battaglia e, particolarmente, nella terribile ritirata di Russia. Nell'esercito napoleonico si distingue, tra i verolesi, il capitano Antonio Tadini.


Negli stessi anni si completa l'incameramento dei beni ecclesiastici e degli ordini religiosi. Nel 1810 scompaiono così i cappuccini e, negli stessi anni, il Collegio delle Dimesse. Come al suo nascere nell'aprile 1797 ancora una volta sul finire del 1813 il dominio francese fu contestato da una rivolta. La sera del 6 novembre 1813, alla notizia (falsa) portata da Brescia dal giovane Angelo Cappelletti che la città era stata invasa dagli austriaci, a Verolanuova si scatenò una vera rivolta. Intorno ad alcuni fra i più determinati, quali «Bonini Luigi, principale istigatore; Sandri Alessandro, capo; Berardi Marco, che aveva anche indotto alla protesta il fratello militare; Tadini Pietro di Angelo, sussurrone; Romanelli Tommaso, sussurrone; Carrera Antonio, seguace del Bonini e di lui più fanatico», si raccolse presto una vera turba, specialmente di contadini che vennero valutati a 500, che scendendo immantinentemente in piazza (come ha scritto Fabio Glissenti nel suo lavoro del 1887: "Di una rivolta a Verolanuova contro il governo provvisorio nel 1813") «per acclamare al nemico invadente ed a vilipendere le autorità del paese». Catturato un messaggero inviato dal vice prefetto Grassi ad avvertire il comandante della cavalleria austriaca, di stanza a Manerbio, rifiutato ogni tentativo di pacificazione anteposto dal giudice di pace, dal cancelliere censuario ecc. a nome del viceprefetto stesso (che però era fuggito di soppiatto), la folla tumultuante rimase padrona della piazza. Al suono delle campane, al grido «Morte a Napoleone, evviva la fuga del Grassi, evviva la venuta dei Tedeschi», venne tentata l'invasione della Vice prefettura e, al grido di «abbasso quell'uccellone» (cioè l'aquila napoleonica), venne abbattuto a sassate lo stemma imperiale. Il timore che sopraggiungesse da Pontevico una trentina di dragoni francesi, l'opera di pacificazione, il cedimento dei capi della rivolta fecero sbollire gli animi e, verso le due di notte, tutto era nuovamente tranquillo. Il fatto poi che «il movimento» (a sommossa) «fosse stato condotto, come scrive il Glissenti, con nessuna organizzazione e direttiva e soprattutto senza scopo, senza risultato tranne quello di fare del chiasso»; l'intervento del 19 novembre da parte del prevosto, del podestà, del giudice di pace, dell'impiegato comunale e del deputato alla Congregazione di carità; la richiesta di perdono dei capirivolta, ecc. portarono all'arresto di soli tre di loro, e presto anche al perdono generale in cambio dell'arruolamento di tre volontari nell'esercito austriaco. Tuttavia continuavano a serpeggiare sentimenti antinapoleonici espressi in discorsi d'osteria, in satire appiccicate ai muri, di sfide al vice prefetto, fino a quando gli austriaci arrivarono per davvero.


Gli anni (1815-1817) che vedono la scomparsa del dominio napoleonico e l'affermarsi di quello austriaco furono oltremodo tribolati da una lunga carestia e dalla diffusione di febbri petecchiali. Ma registrarono anche segni di ripresa. Sotto l'Austria Verolanuova è di nuovo centro del XII Distretto, un punto di riferimento di una vasta zona comprendente 12 Comuni, dei quali Quinzano e Pontevico (con consiglio e ufficio proprio); Alfianello, San Gervasio e Seniga, (con consiglio); Bassano, Cadignano, Cignano, Faverzano, Offlaga, Verolanuova con Breda, e Verolavecchia con Monticelli Oglio (convocato). La presenza di uffici di un certo rilievo richiama funzionari e impiegati e anche privilegi. Fra questi di notevole importanza è la concessione da parte dell'imperatore d'Austria Francesco I di tenere ogni anno, il 7 dicembre e per una durata di sette giorni consecutivi, una fiera di merci e bestiame, accordando «le medesime facilitazioni e gli stessi privilegi» goduti nei diversi comuni del territorio del Regno Lombardo Veneto.


La maturazione di spinte culturali illuministiche, la presenza di funzionari pubblici, la crescente scolarizzazione portata dall'Austria ed altri coefficienti creano sollecitazioni culturali nuove. Fin dal 25 marzo 1815, con atto del notaio Felice Bellesi, nasce la Società Filarmonica con «banda istrumentale» affidata al direttore Francesco Moro e al maestro Battista Merlini. Un teatro viene aperto nello stabile dell'albergo "Cannon d'oro" in piazza grande. Funzionante, aperto a orchestre, rappresentazioni teatrali, serate danzanti. Verrà chiuso soltanto nel 1927 e trasformato in ufficio delle imposte, del Registro, ecc. Nel 1840 viene trasformata in teatro addirittura la chiesa di S. Rocco.


Rilievo nell'evoluzione sociale e culturale ebbe una piccola corte che si formò nell'ex castello, già dei Gambara, o meglio intorno alla "Rovettina", e cioè alla contessa Anna Maria Ghisi (v. Ghisi Rovetta Pellegrini Anna Maria). Orfana in tenera età, era stata sposata ad un ricco commerciante di Brescia, Agostino Rovetta, dal quale ebbe Gerolamo Rovetta (v.), romanziere e commediografo che godette vastissima fama. Bella, intelligente e spensierata, essa aprì, sia a Brescia che a Verolanuova, nel 1850, salotti frequentati da ogni genere di persone di un certo nome, patrioti ed altri. Morto il marito, si risposò con un conte di Verona, Almerico Pellegrini, staccandosi a mano a mano da Verolanuova e dal figlio sempre più celebre. A Verola tornerà poi frequentemente sotto il peso dei dissesti finanziari e definitivamente nel 1911, dopo la morte del secondo marito, interessandosi con crescente impegno della vita della borgata. Vi riaprì, anche se con ritmi più modesti, il salotto riservato naturalmente ai concittadini. Questi, però, con un certo tono scherzoso, riferendosi ai convegni serali, si dicevano: «Andiamo a corte».


Il più aperto clima culturale e sociale ai problemi del tempo porta ad allargare gli orizzonti e non manca di seguire orientamenti risorgimentali. Oltre che subire un'ovvia influenza dai fratelli Ugo e Filippo Ugoni dalla vicina dimora del Campazzo e di altri patrioti, a Verolanuova nascono posizioni cospirative. Don Pietro Gaggia, implicato nelle cospirazioni, esula per l'Europa e, lasciata la tonaca, crea a Bruxelles un centro educativo ed un luogo di incontro di esuli politici. Ma è soprattutto negli anni '40 che maturano presenze di patrioti impegnati. Nel 1848 Paolo Sandri combatte nel Trentino tra i corpi franchi del gen. Allemandi lasciando un diario prezioso. Sempre nel 1848 è attivo Luigi Semenza che crea a Verolanuova uno stabilimento. Con Giacomo Pini fonda uno dei comitati di insurrezione, promossi da Tito Speri, nasconde pure armi nella sua filanda. Arrestato il 17 ottobre 1852 sfugge al patibolo ma passa cinque anni di carcere duro. Ancora nel 1848, accanto a Tito Speri, combatte Angelo Mambretti che, l'anno appresso, è ancora accanto a lui sulle barricate durante le Dieci Giornate ed è impegnato nell'aiutare l'emigrazione di giovani verso il Piemonte. Sempre nel 1848 nei battaglioni studenti è presente Gaetano Moro, che l'anno dopo si trova sul campo di Novara. Un altro verolese diede un valido apporto alle vicende insurrezionali del 1848-1849. Cesare Lizioli (Verolanuova, 1813 - Napoli, 1863), trasferitosi a Casalbuttano nel 1831 dove esercitò l'oreficeria e il commercio della seta, divenne il referente di un vasto territorio del comitato segreto di Brescia che preparò la rivolta delle Dieci Giornate (1849). Di tale attività pubblicò una relazione in un opuscolo dal titolo "Il Comitato segreto di Brescia dell'anno 1849" (Milano, 1859). Nel 1859 fu chiamato al Quartiere generale francese dove si rese di nuovo utile. Nel 1851 sono sedici i verolesi che la polizia austriaca elenca fra gli «illegalmente» assenti dalla provincia. Nel 1853 tra i profughi politici, colpito del sequestro dei beni, compare il verolese Gabriele Cò.


Ma la maggior parte della popolazione specialmente contadina era povera, sottomessa a duro lavoro, percossa da epidemie quali il colera (particolarmente violento nel 1836 e nel 1855) e da altre malattie. Assisteva curiosa, ma non particolarmente partecipe, al nuovo capovolgimento politico che sfociò nell'unità d'Italia. Il 10 giugno 1859 Verolanuova venne invasa dai carriaggi del V Corpo d'armata austriaco e il giorno dopo vi passarono i contingenti del V e VII Corpo d'armata. L'11 giugno, a Verolanuova si stanziò, proveniente da Soresina, il Quartiere Generale della II armata che il 13 si spostò a Leno, mentre a Verolanuova si acquartierava la brigata Rosgerdel del V Corpo e le armate italiane e francesi passavano qualche chilometro più a N.


La popolazione aveva visto con sollievo gli ultimi soldati austriaci svanire all'orizzonte quando, una quindicina di giorni dopo, il 26 giugno 1859, udì da lontano il rombo dei cannoni della battaglia di Solferino e San Martino. Prima ancora che giungessero notizie precise dei tragici scontri, la sera del 27 giugno, i verolesi videro fermarsi davanti all'ospedale i carriaggi che trasportavano dieci soldati francesi feriti e in gravissime condizioni. Il 28 venivano ricoverati altri 14 feriti francesi, il 29 ben 37 francesi e 26 austriaci ricolmando ogni angolo delle corsie e dei corridoi. Medici e sacerdoti furono subito al capezzale a curare e a confortare. Il 30 giugno si verificarono i primi tre decessi di austriaci; altri ne seguirono in luglio. La solerte, intensa assistenza prestata dai verolesi è documentata dall'assegnazione di riconoscimenti ai più attivi. Al dott. Giovanni Battista Corbellini e a Domitilla Mondini andarono medaglie di l classe; al chirurgo Achille Monti, all'amministratore dell'ospedale Giuseppe Tavelli, ai coniugi Scotti, a Rachele Bellegrandi e ad Antonio Tadini andarono le medaglie di II classe. Dieci anni dopo, il Consiglio Comunale decideva di erigere un monumento ai soldati sepolti nel cimitero affidandone il compito all'ing. Giuseppe Tadini. Su detto monumento nel 1900 venne incisa la seguente iscrizione: «Fraternamente congiunti vincitori e vinti / riposano in questo cimitero alquanti valorosi / che raccolti feriti il 24 giugno 1859 / sui colli cruenti di Solferino / morirono a Verolanuova / I nomi di essi qui scolpiti per voto del Comune / ed affidati alla memore pietà dei verolesi / stanno a testimonio perenne / dell'epoca gloriosa / che segnò l'alba dell'Italica libertà».


Nello stato unitario italiano Verolanuova mantiene ancora, anzi incrementa una posizione di prestigio nella Bassa Bresciana. Con una legge del 23 ottobre 1859 il Distretto istituito dall'Austria viene sostituito dal Mandamento I provinciale e dal VI Circondario di Verolanuova diventando, in base a regio decreto del 9 ottobre 1861 n. 250, sottoprefettura con competenze sul circondario. Sempre nel 1859 viene istituito l'Ufficio del Registro, ufficio dell'amministrazione periferica statale del Ministero delle finanze, dell'Intendenza di finanza e competente nel territorio del mandamento. Nel 1862 la Regia Giudicatura mandamentale sostituisce la Pretura che ridiventa di nuovo Pretura mandamentale con la legge del 6 dicembre 1865 e che avrà poi nel 1924 una sede staccata a Leno. A questi già importanti uffici amministrativi e finanziari si aggiungerà, in seguito al R.D. 29 agosto 1866, un'Agenzia delle tasse e imposte dirette con competenza nel territorio del distretto di Verolanuova che con R.D. del 24 agosto 1877 n. 4021 verrà trasformata in Ufficio distrettuale delle imposte dirette. La sede di mandamento fa di Verolanuova collegio elettorale, un centro perciò di elezioni politiche.


La tradizione patriottica di una parte della borghesia locale, e la presenza di funzionari governativi della Sottoprefettura, della Pretura, degli Uffici delle finanze incisero in senso liberale e, a volte, anticlericale. Nel 1866 Verolanuova registrò ben 21 volontari. Il collegio elettorale come l'amministrazione comunale, nei primi anni sono in mano per lo più ai liberali legati alla destra storica ed appoggiati dai sottoprefetti, "governativi" per nomina. Filippo Ugoni stesso, il primo eletto nelle elezioni del 25 marzo 1860, e, in seguito, in quelle del 3 febbraio 1861, si va sempre più staccando da Zanardelli, sconfiggendo il duumviro Luigi Contratti. Le elezioni del 23 dicembre 1863, indette in seguito alle dimissioni di Ugoni, vedono anzi la vittoria del conte G.B. Giustinian contro il generale Garibaldi. Lo stesso Giustinian sconfigge nelle elezioni del 1865 Giuseppe Guerzoni, garibaldino e zanardelliano. Dopo un'effimera vittoria dello zanardelliano, e per di più verolese, Gaetano Semenza, nel 1866, i liberali di destra hanno di nuovo la prevalenza (nel 1867) con le vittorie del conte Diogene Valotti - che subito rinuncia, sostituito dal conte Angelo Martinengo di Villagana - e del nobile Giulio Padovani (nel 1869). Tuttavia la svolta decisiva si verifica con la prova elettorale del 20-27 novembre 1870 nella quale è vincitore lo zanardelliano avv. Carlo Gorio, che per ben 39 anni, sempre in rappresentanza del collegio verolese, siederà in Parlamento, di cui diventerà vicepresidente. Anche nelle elezioni amministrative la prevalenza liberale dura per decenni. Tanto per fare un esempio nel luglio 1882, dei 300 elettori iscritti 111 voti vanno ai liberali, 86 ai "clericali".


Anche per l'appoggio di funzionari pubblici, ma soprattutto per l'intraprendenza delle amministrazioni locali non mancarono segni di progresso sociale ed economico. Già dalla metà del secolo esisteva un ufficio postale; negli anni '60 viene stabilito uno dei primi comizi agrari della provincia, sanzionato dal R.D. del 23 dicembre 1866 n. 3452. Un rilancio effettivo si verifica con la costruzione della ferrovia Brescia-Olmeneta, aperta al traffico il 15 dicembre 1866, con stazione anche a Verolanuova, e prolungata dopo sei mesi fino a Cremona e alla cui costruzione collaborano, con altri, l'ing. Giuseppe Tadini e l'ing. Carlo Morelli, verolese di adozione. Ristretta fino ad ora entro la demarcazione della Mandragola, la borgata deborda ad E, lungo la strada che porta alla stazione che diventa un poco il piccolo "Parioli" verolese. Anche il progetto di una tranvia Verolanuova-Rovato collegante Quinzano d'Oglio, Borgo S. Giacomo, Orzinuovi, Roccafranca, Chiari e poi Coccaglio-Rovato avanzata nel 1881, pur se abortita, dice molto del nuovo clima imprenditoriale che si instaura negli ultimi decenni del sec. XIX.


Non mancarono momenti tragici. Nell'estate 1867 Verolanuova viene colpita duramente ancora una volta dal colera. Su 5.000 abitanti si contarono 265 infetti con 140 morti (il 52,83 dei colpiti e il 2,8 per cento della popolazione). Il morbo è seguito dal dott. Rutilio Mensi che, nei suoi "Cenni ed osservazioni sul cholera asiatico che dominò nel comune di Verolanuova nell'estate del 1867" (Verolanuova, 1868), non manca di indicare interventi e rimedi messi in atto.


Verolanuova è tra i primi centri a dar vita, per merito di don Maurizio Franchi (1826-1884), ad un osservatorio meteorologico che dal 1872 pubblicherà nei Commentari dell'Ateneo di Brescia le rilevazioni a lungo eseguite. Avanza anche l'assistenza, in tempi di povertà generalizzata. Il 10 novembre 1871 viene aperto, sia pure provvisoriamente, il primo asilo d'infanzia con l'aiuto della Congregazione di Carità e con il sostegno delle Casse di Risparmio. Due anni dopo l'asilo ha la sua sistemazione, grazie a sovvenzioni private o ad associazioni, in una casa di proprietà Ghisi affittata dal Comune. Sostenuto da benefattori quali Antonio Bellegrandi (1874), Laura Lachini (1875) (che lasciava una sua casa come sede) il 10 maggio viene approvato lo statuto, eretto in Ente Morale con decreto reale dell'11 settembre 1879 e messo alle dipendenze di una Commissione direttrice ed amministratrice. In seguito vengono apportate, nel 1883, migliorie al fabbricato fino a quando, nel 1897, casa Lachini diventa sede permanente dell'asilo. L'assistenza verrà poi affidata alle suore di Carità (o di Maria Bambina) e più tardi alle Suore operaie di Botticino Sera.


L'8 gennaio 1890 viene inaugurato, per iniziativa di Giovanni Spalenza e della Congregazione di Carità, il Pio ricovero di mendicità, destinato ai «poveri veterani delle battaglie del lavoro». Nel ricovero venne allestita anche la cucina economica per la dispensa gratuita di minestre, oltre alle infermerie, all'ambulanza, ad una lavanderia modello. Queste opere assistenziali cercano di venire incontro ad un aggravarsi della situazione economico-sociale, causato dal diffondersi del capitalismo nelle campagne e dalla crisi agraria. Nel 1876 viene fondata, per iniziativa di Roberto Alloisio, Andrea Barbiai e Carlo Belloni, la Società Operaia. Indicativa di una società in decisa evoluzione è la presenza negli anni '70 di una tipografia (Novelli) e la pubblicazione nel 1883-1885 di un periodico dal titolo "La Bassa Bresciana".


Con l'evoluzione sociale, la presenza di funzionari pubblici, una certa maturazione culturale si va manifestando, con la diffusione di attività teatrali, nel teatro comunale o sociale. Si rappresentano opere teatrali di Ibsen, Shakespeare, Goldoni, Molière, ecc., opere liriche come il Trovatore e operette di Ranzato, Lehar, Pietro Costa. Il teatro viene restaurato poi nel 1895 e ridipinto dal pittore Roberto Galperti. Da allora ospita rappresentazioni anche da parte di una compagnia verolese istruita da Alessandro De Gaspari. I saloni dell'albergo Cannon d'Oro sulla piazza, ospitano rappresentazioni teatrali, ma anche veglioni che lo rendono rinomato. Di carattere più popolare, ma educativo è il teatrino parrocchiale. In auge la musica, anche per la presenza di ottimi maestri (Luigi Colleoni, G.B. Pea, Giovanni Premoli, Francesco Lenzi, Arnaldo Bambini, ecc.).


Più elitaria, dietro la spinta dell'on. Gorio e del zanardellismo locale, viene fondata la Società mandamentale del tiro a segno con relativo campo, che all'atto dell'inaugurazione della bandiera, il 20 aprile 1891, conta 250 soci. Ogni tanto qualche spettacolo straordinario attira tutti, come avviene l'11 maggio 1892 con l'ascensione di Cirillo Stephenson con il suo pallone aerostatico "Forza e Coraggio" fra frenetico entusiasmo della popolazione. Simbolo del progresso del sec. XIX nel 1893, viene realizzato su iniziativa di Mosè Sartorelli e ad opera della ditta milanese Fratelli Maiocchi e C., il primo impianto di elettricità, festeggiato con un gran banchetto al Cannon d'oro il 22 ottobre 1893. Come segno del secolo morente si possono prendere due commemorazioni. Nell'aprile 1899, nel 50° delle Dieci Giornate, quando venne inaugurata la lapide a p. Maurizio Malvestiti (v. Maurizio da Brescia) sulla sua casa natale, il municipio non vi partecipò in alcun modo, mentre solennissima fu, nel settembre dell'anno dopo, l'inaugurazione sull'edificio comunale della lapide a Giuseppe Garibaldi.


Il secolo, se segnò progressi anche significativi in diversi campi e settori, lasciava ancora aperti alcuni problemi, specialmente di carattere sociale, riguardanti le masse lavoratrici. Abbandonate a se stesse, in condizioni gravi di denutrizione e di malattie (pellagra, tubercolosi, tifo, ecc.), in abitazioni malsane, premono sempre più vere masse popolari, specie contadini insoddisfatti. Fin dal 1882 a Verolanuova si sono verificate proteste, agitazioni vivaci e rivendicazioni, che si ripresentano negli ultimi anni del secolo. Il 25 gennaio 1898, 150 giornalieri si presentano al sottoprefetto rivendicando lavoro e pane. Le agitazioni si moltiplicano richiamando l'attenzione specialmente dei socialisti e dei cattolici. Nel 1900 è già presente e attiva la Camera del lavoro con la Lega contadina mentre i cattolici fondano la Società operaia cattolica S. Giuseppe che nel 1904 conterà 291 soci e, nel 1909, 150 soci.


Assieme al socialismo, sulla fine del sec. XIX scendono in campo sempre più determinati i cattolici. Nel 1899 un gruppo di giovani studenti cattolici pubblica una modesta rivista, "La fin du siècle", che tuttavia dura lo spazio di una mattina. Nel 1900 viene fondata la Società operaia cattolica di mutuo soccorso; nasce un Circolo democratico cristiano e un Circolo giovanile cattolico (1908).


Agli inizi del '900 Verolanuova registrava in campo scolastico un corso completo di insegnamento, dalla prima alla sesta elementare, un corso serale di disegno promosso dall'Amministrazione Comunale e tenuto dai pittori Gottardo Este e Luigi Chiesa e dal falegname Gaetano Fontani. Nell'ospedale viene aperta (nel 1908), su pressione della sezione locale dell'Associazione nazionale medici condotti, una sala di maternità. Nel 1903 viene fondata, per iniziativa del prevosto Manfredi, la banda musicale "Stella Polare" diretta dal maestro Francesco Lenzi, che vivrà fino al 1955 e che poi risorgerà nel 1973 per iniziativa di Giuseppe Rivetti. Il mercato porta molta gente da fuori e per la frequentazione acquistano fama il Caffè Cantoni, la trattoria Burtulì (lodata da Mario Soldati).


La crescente presenza dei cattolici e dei socialisti nella vita pubblica scombina tutti i giochi di alleanze amministrative e politiche. Appoggiandosi ai socialisti capeggiati dall'avv. Giovanni Molinelli, gli zanardelliani rimangono padroni del Comune con sindaco l'avv. Pasini. Ma la polemica anticlericale per la presenza delle suore nell'ospedale e nell'asilo e quella soprattutto per l'insegnamento della religione nelle scuole è tale che alla fine, il 19 luglio 1904, prevale la lista cattolica moderata. Nonostante si manifestino, in campo cattolico, divisioni che portano di nuovo, nel 1908, in Comune gli zanardelliani, nelle elezioni del 7 marzo 1909 il "cattolico" Giovani Maria Longinotti ottiene (con voti 2139) una netta vittoria sull'on. Carlo Gorio (voti 1546), da quasi quattro decenni "padrone" del Collegio.


Ancora in maggioranza in Comune, gli zanardelliani cercano di rafforzarsi costituendo, nel settembre 1910, un Circolo democratico, accentuando l'avversione all'insegnamento religioso nelle scuole e chiamando nel giugno 1911 per un comizio l'anticlericalissimo on. Podrecca, direttore dell'"Asino". Ma un mese dopo, cattolici e moderati scalzano dal Comune gli zanardelliani, rimanendo padroni della situazione fino al 1919.


Nel 1911 è già affermata, per iniziativa di Mario Bragadina, una formazione calcistica che gioca nella gran piazza del paese in prima categoria; nel settembre dello stesso anno si tiene a Verolanuova un congresso ginnico. Lento, ma continuo è anche il progresso delle classi contadine che, dopo anni di attesa e di protesta, l'1 maggio 1912, mediatore il sindaco Ambrogio Vertua, vedono siglato il contratto fra lavoratori e conduttori di fondi. Speranza di progresso è la costituzione, il 6 luglio 1913, di un comitato pro tranvia elettrica Quinzano, Verola, Pontevico, Seniga, Alfianello su progetto del verolese ing. Marco Semenza che tuttavia poi accantona il progetto. Nella campagna di Libia Verolanuova vanta una medaglia d'oro guadagnata dal capitano Ercole De Gaspari ad Assaba.


Durante la 1a grande guerra tocca ai cattolici e ai moderati gestire l'assistenza alla popolazione. Anche il settore della "resistenza civile" rimane in mano ai cattolici e sono loro che nel 1915 costituiscono un comitato di soccorso per le famiglie bisognose dei militari al fronte.


È una sorpresa, nelle elezioni comunali nel 1919, la vittoria dei socialisti. La riscossa dei cattolici non tarda a farsi sentire. L'8 maggio 1920 infatti viene fondata la sezione del Partito Popolare Italiano.


L'amministrazione deve far fronte, nel settembre 1920, ad una paurosa alluvione provocata il 24 dallo Strone che distrugge sei case e travolge un ponte, rendendo pericolante un altro ed è costretta a notevoli opere di arginatura del fiume, ad allargare il ponte sulla strada per Orzinuovi, mentre viene affrontato nel 1921 l'ampliamento del cimitero, il cui progetto affidato all'arch. Angelo Albertini, viene poi in gran parte accantonato. Il 15 settembre 1921 viene inaugurato il campo sportivo, nel 1922 si diffonde il servizio telefonico. Di notevole importanza è l'acquisizione di una nuova sede del Comune, della Pretura e di altri enti. Avendo Maria Ghisi Rovetta, con codicillo del 6 giugno 1917, ritirato la donazione fatta il 21 ottobre 1911 del palazzo Gambara, il Comune, a partire dal 1922, lo acquista, aggiungendo poi nel 1927, con nuove compere, il sotterraneo, nel 1928 altri locali già addetti a sottoprefettura e, infine, nel 1929 gli ambienti annessi al Palazzo adibiti a Caserma dei Carabinieri. Unitamente al palazzo il Comune acquista anche il teatro detto dei Gambara, in piena efficienza. Il 16 ottobre 1923 vengono inaugurati gli edifici delle scuole tecniche e ginnasiali. Nel 1922-1924 per iniziativa del prof. Donato Scioscioli viene compiuto il tentativo di istituire un istituto tecnico per ragionieri intitolato a Crispo Sallustio, ma presto l'idea viene abbandonata. Funziona, invece, in seguito alla riforma Gentile del 1923, un corso annuale di avviamento al lavoro ad indirizzo agrario affidato al maestro Leandro Bassetti. L'iniziativa si trasforma presto in Scuola di avviamento di durata triennale. Nel 1922, per iniziativa della Croce Rossa, viene istituita, sotto la direzione del Dispensario antitubercolare, la prima Colonia elioterapica.


Ma i turbinosi anni del dopoguerra portano presto profondi turbamenti sociali e politici. Si fanno infatti più frequenti le agitazioni sindacali nelle campagne, con ripetuti scioperi e manifestazioni guidate soprattutto dalla Lega bianca, ma si rafforza sempre più il fascismo. Introdotto fin dal settembre 1920 dall'ex combattente e decorato al v. m. Sergio Zappavigna, nel mese successivo ha la sua prima affermazione pubblica con un comizio di Augusto Turati, in contraddittorio con il socialista Bernasconi. Nonostante i socialisti chiamino i maggiori esponenti del partito, quali Costantino Lazzari, il fascio si costituisce ufficialmente il 24 aprile 1921 ed inaugura la "fiamma" di una squadra d'azione denominata «Ricciotti Garibaldi» che ha come primo comandante Cristoforo Ruggeri. Primo Segretario politico è Remo Moro, al quale succedono Cristoforo Ruggeri, Giovanni Grassi e Remo Abrami. Come scrive il Vecchia: «Le azioni a cui presero parte gli squadristi locali furono numerosissime, sia a Brescia che in provincia, ed in modo speciale nei paesi limitrofi Verolavecchia, Cadignano, Motella, Padernello, Quinzano, Pontevico e frazioni, Manerbio e Bassano Bresciano, e costarono il carcere a Cristoforo Ruggeri. Alla violenza fascista, alla quale si accompagna quella del massimalismo socialista, cercano di far da argine la lega bianca contadina e, nel 1921, la Federazione dei piccoli proprietari di fondi.


Ma non si arresta il disordine sociale: tensioni gravi si manifestano nel maggio 1922 durante lo sciopero agrario. Il 16 i fascisti Clemente Dugnani e Luigi Pini, giunti a Verolanuova ad affiggere manifesti antisciopero, vengono cacciati dagli scioperanti. Colpito da una sassata Pini, i due estraggono le rivoltelle e sparano tutte le cartucce, facendo sei feriti. Saliti sul treno in corsa, raggiungono Manerbio, dove vengono arrestati dai carabinieri e ritradotti a Verolanuova dove scontano 17 giorni di reclusione. La vertenza agraria va aggravandosi tanto che, in una rissa tra scioperanti e liberi lavoratori, vengono esplosi da un affittuale due colpi di pistola che feriscono seriamente tale Giovanni Pelosi.


Nel 1923 cade l'amministrazione socialista e viene nominato commissario prefettizio l'ing. Giulio Ruggeri. Dopo le aggressioni e gli scontri violenti, le azioni goliardiche, come il taglio della barba, nel giorno di Natale 1923, all'ex sindaco socialista Ugo Cantoni, il fascismo è sempre più padrone della situazione. Oltre ai socialisti il partito prende di mira anche le istituzioni cattoliche. Nel 1922-1923 si ripetono i tentativi di chiudere l'oratorio e il gruppo di Azione Cattolica, prendendosela, in particolare, con don Marco Amighetti e don Benedetto Gallignani. Nel marzo 1923 viene inaugurato il Viale delle Rimembranze e l'1 aprile 1924 viene scoperta nella sede municipale la lapide commemorativa dei Caduti, opera dello scultore Giulio Cantoni e del marmista Gino Cominelli di Verolanuova.


Ereditate dalle amministrazioni democratiche, il 16 marzo 1923 sono inaugurate le Scuole medie inferiori. Continua inoltre la ristrutturazione e l'utilizzazione del palazzo Gambara che via via ospita gli uffici comunali, mentre nell'ex Municipio vengono sistemate la Pretura e le Carceri e, in seguito, gli uffici del Telegrafo, del Telefono e la filiale della Cassa di Risparmio. Il 3 aprile 1925 viene aperto, su progetto dell'ing. Delai di Brescia, il nuovo ponte sullo Strone, in sostituzione di quello distrutto dall'alluvione del 1920. Dal 1924 al 1929 venivano avviati: l'ampliamento degli uffici comunali, il potenziamento dell'illuminazione pubblica, la promozione di una Scuola di Avviamento al lavoro di carattere agricolo.


La soppressione, in base a decreto legge del 2 gennaio 1927 n. 1, della Sottoprefettura non fu certo sopperita dall'unione dei comuni di Verolavecchia e di Cadignano voluta dal R.D. 15 dicembre 1927 n. 2509. L'unione non fu mai accettata dalla popolazione di Verolavecchia e fu continuamente contestata. Per farla accettare vi fu chi pensò addirittura di costruire uffici comunali e scuole a metà strada fra le due borgate, proposta assurda che avrebbe scontentato e messo a disagio le due popolazioni. Sotto l'amministrazione dell'avv. Ercole Paroli (1932-1937) venne riordinata la piazza da tempo ribattezzata Vittorio Emanuele, fu dato il via alla costruzione della fognatura e dell'acquedotto e fu fondato l'Istituto Magistrale.


In seguito a diffida dell'autorità fu abbandonato il vecchio teatro (per il momento sostituito con un teatro all'aperto). Nel settembre 1933 venne presentato il progetto dell'ing. Alberto Lenzi e del geom. Remo Moro, per un nuovo teatro che, dopo un iter molto contrastato, fu accantonato il 31 dicembre 1937. Negli anni '30, in tempi di crisi della banda musicale per iniziativa del geometra Remo Moro venne costituita la fanfara, composta da giovani fascisti, e diretta da Francesco Cervati. Il 12 marzo 1934 fu inaugurata la Casa del fascio dedicata alla memoria della medaglia d'oro De Gaspari. Nell'ottobre 1934 si avvia, con circa 40 alunni, la Scuola Magistrale che dall'1 ottobre 1938 funzionerà come Istituto Magistrale Comunale legalmente riconosciuto. Intitolato a Gerolamo Rovetta, viene suddiviso in "inferiore" (tre anni) e "superiore" (quattro anni). Ad esso si aggiunge nel 1940 la "scuola media".


Nonostante anni non floridi economicamente, Verolanuova registra un notevole sviluppo edilizio con un certo numero di nuove abitazioni, con la realizzazione di un piano regolatore per il Largo Stazione e via Mazzini, con miglioramenti del Cimitero, dell'illuminazione pubblica, lo scavo di nuovi pozzi artesiani, ecc. Il teatro comunale rinnovato, l'attività dell'oratorio con la sua vivace filodrammatica, l'esistenza perfino di una Tipografia Del Balzo e altri segni danno l'idea come non manchi un certo risveglio culturale.


Come altrove, la II guerra mondiale segna nuovi anni di crisi: richiede il sacrificio di numerose vite, provoca gravi difficoltà economiche e registra momenti di grave tensione. Ciò non manca di creare reazioni sempre più forti al fascismo per cui dal 1941, specialmente nel seno dell'Azione Cattolica, per impulso di don Benedetto Gallignani, si forma un gruppo di giovani di orientamento antifascista. Dall'autunno del '43, costoro collaborano all'organizzazione della propaganda clandestina, assistono e nascondono gli sbandati dell'ex regio esercito italiano; a contatto coi renitenti ai bandi della RSI, li indirizzano verso le formazioni partigiane di montagna; reperiscono viveri, armi e finanziamenti per queste stesse formazioni. Si forma il CLN ad opera soprattutto di Mario Bonvicini (DC) e di Ugo Luigi Cantoni (PSI). L'abitazione di don Gallignani diventa sede di incontri clandestini e vi convergono pure elementi di collegamento con i paesi vicini (Verolavecchia, Quinzano, Pontevico, Manerbio, Borgo S. Giacomo, ecc.), ma anche nascondiglio di armi, munizioni, esplosivi e materiali vari. Quando manca un sufficiente numero di copie della stampa clandestina, si provvede a diffonderne delle copie dattiloscritte. Viene richiesta agli Alleati una radio ricetrasmittente ed essa viene effettivamente lanciata da un aereo il 6 febbraio '44. Ma è reperita da una persona estranea al movimento, che la consegna ai carabinieri. Nell'agosto 1944 hanno luogo rastrellamenti, durante i quali viene ferito il giovane Pelucco, morto poi in agosto nell'ospedale di Manerbio. Sfuggono ad ogni ricerca due signore ebree nascoste in canonica. Altri rastrellati vengono liberati per l'intromissione del prevosto e dal curato don Gallignani, o vengono ingaggiati nella Todt. Negli ultimi mesi di guerra Verolanuova subisce numerose incursioni aeree: il 21 agosto 1944 una ventina di apparecchi sorvolano l'abitato e vi indirizzano alcuni ordigni. Azioni di disturbo si ripetono il 10 e il 12 novembre. In un mitragliamento il 22 novembre viene ferito un carrettiere e ucciso il suo asino. Un'incursione si ripete il 10 dicembre. Il 22 dicembre 1944 otto aerei sganciano bombe sulla linea ferroviaria. Mitragliamenti hanno luogo al Bettolino il 15 marzo 1945 mentre il 21 marzo vengono incendiati due carri ferroviari. Un autocarro viene centrato il 4 aprile sulla strada per Borgo S. Giacomo, un altro il 17 aprile. Tragica la giornata del 19 aprile 1945 quando alle ore 10,30 un bombardiere, staccatosi da una grossa formazione, sgancia alcune bombe nei pressi del cimitero uccidendo tre persone e ferendone cinque. Poche ore dopo tre caccia mitragliano alcuni carri merci della stazione ferroviaria. Lo stesso 19 aprile alle ore 22,30 alcuni aerei bombardano il centro abitato danneggiando irrimediabilmente alcune case. Tre le vittime sotto le macerie tra le quali un bambino di 4 anni. Altre due persone estratte muoiono all'ospedale di Manerbio.


Il gruppo di patrioti, formatosi negli ultimi mesi di occupazione, non ha occasioni di agire in azioni di scontro, giacché la sola colonna di 500 tedeschi che transita per Verolanuova il 26 aprile si arrende in seguito ad una raffica sparata in aria da un patriota. Essi credevano infatti di essere presi di mira dalle finestre aperte lungo le strade. Nessuna difficoltà incontra nemmeno il Comitato di liberazione nel prendere in mano la situazione.


Alla fine dell'aprile 1945 viene, dal C.L.N., nominato sindaco Luigi Cantoni (socialista), e vicesindaco Nullo Biaggi (Democrazia Cristiana); alle amministrative del marzo 1946, con l'elezione del sindaco Luigi Bogarelli, ottiene la maggioranza il partito dello Scudo Crociato, che la manterrà per oltre 50 anni. I primi anni di amministrazione comunale sono dedicati al riordino delle varie attività degli uffici e all'assistenza pubblica con l'istituzione del servizio veterinario (1948), di una nuova farmacia, e con l'allargamento dell'acquedotto.


Finalmente, con grande soddisfazione della popolazione, con Decreto 6 marzo 1948, viene restituita l'autonomia comunale a Verolavecchia. E subito, l'anno seguente, viene realizzato il servizio automobilistico Verolanuova-Manerbio e Verolanuova-Quinzano. Nel 1950 vengono restaurati i portici della piazza ora divenuta "piazza della Libertà", ed è avviata la pavimentazione delle strade. La sistemazione degli argini dello Strone, il rimodernamento degli edifici della Pretura e delle Carceri, l'acquisto e l'adattamento a scuole del palazzo Maggi di Cadignano, l'erezione di un nuovo edificio scolastico nella frazione Breda, lo sviluppo dell'illuminazione pubblica ed altri interventi segnano i primi anni del Dopoguerra, ma non cancellano la depressione economica nella quale la grossa borgata si dibatte da lungo tempo.


Nel 1965 sorge, accanto alla Pretura, la Caserma dei Carabinieri che ospita la Tenenza e la stazione dell'Arma. Già sulla fine degli anni '50 si sviluppa l'edilizia familiare che vede impegnate, oltre che lo Stato, le Cooperative "Rinascita Verolese" e "La Famiglia" con Villaggio Marcolini a E e a S del centro. Fra le realizzazioni di maggior rilievo è da ricordate il completamento, nel febbraio 1971, della circonvallazione Verolanuova-Verolavecchia. Degna di menzione è la fiera di Verolanuova. Fu istituita il 19 dicembre 1821. Seguirono poi diverse interruzioni. L'ultima è stata imposta dalla guerra. Risorta nel 1954, la manifestazione è andata raccogliendo un numero sempre maggiore di adesioni; la fiera si avvalse dell'alto consenso del Ministero dell'Agricoltura cui era affidato il patrocinio della Mostra zootecnica bovina che iniziò il suo ciclo nel maggio del 1959. Tale manifestazione, con carattere eminentemente agricolo e merceologico, avverrà periodicamente a Orzinuovi, Leno e Verolanuova con un ciclo triennale.


Parallelo allo sviluppo economico-sociale e industriale vi è quello delle strutture che vede via via negli anni '80 il restauro della facciata e degli interni (ricchi di numerosi affreschi d'autore) del palazzo municipale "Lattanzio Gambara"; il recupero, con la destinazione ad uffici finanziari, del palazzo ex sede dell'Istituto tecnico commerciale "Primo Mazzolari"; l'apertura al pubblico di un parco in via Tito Speri; la realizzazione della tangenziale della Breda libera, in consorzio con il comune di Offlaga e in collaborazione con la Provincia, che sarà anche collegata con la provinciale n. 1 Lonato-Orzinuovi; il completamento del centro sportivo; il recupero ad abitazione di alcune fattorie di proprietà comunale (Cascina grossa, case di via Leonini). L'approvazione nell'agosto 1987 del progetto formulato dall'olandese Lieuwe Op "The Land" per la ristrutturazione e l'abbellimento di Piazza della Libertà scatenò riserve e polemiche che si protrassero per mesi, alimentate anche da "Italia Nostra" e da un gruppo di cittadini. Vennero contestati la pavimentazione, i lampioni scelti per l'illuminazione, ecc. Dopo modifiche e interventi vari i lavori iniziarono nel settembre 1989 e si conclusero nel settembre 1991.


Nel 1994 veniva realizzata in località Vincellate una centralina per la produzione di 15 mila kw/ore e attrezzato in via Foscolo un parco per ragazzi. Nel 2005 veniva aperta al pubblico l'area ristrutturata dell'ex giardino botanico Morelli. Il grandissimo parco di 50.000 mq., rinnovato ad opera dei fratelli Nocivelli, veniva dedicato alla memoria di Angelo Nocivelli, fondatore dell'Ocean. Nel 2002 nasceva la Server s.r.l. per la gestione del gas. Nel 2002-2003, sull'area della vecchia Conceria, venivano realizzati il centro commerciale "Castello", un supermercato, negozi e uffici.


Nel 2003 veniva dato il via, fra Verolanuova e Verolavecchia, alla costruzione, su un'area di 12 mila mq., del centro polifunzionale (alloggi, negozi, aziende) chiamato "Le Verole". Nuove aree residenziali furono realizzate nel 2004 a E della ferrovia e a Cadignano. Nasceva inoltre la caserma dei Vigili del fuoco, venivano ristrutturate le scuole. Finite le opere di urbanizzazione, nel 2003 l'area industriale di Verolanuova occupava 2.000.000 di mq. mentre si verificavano nuovi importanti insediamenti quali quelli della EL-MI (motori elettrici), della Full Service e di altre aziende oltre al trasferimento di imprese dal centro abitato. Nel marzo 1998 compare a cura della Giunta municipale "Verolanuova Nuova - Notiziario Comunale".


In progresso è da segnalare anche l'assistenza pubblica e privata che va dal refettorio benefico "Morelli" istituito nel 1951, al lascito di Rina Morelli del Castel Merlino trasformato in un nido di accoglienza affidato alle Suore operaie di Botticino. Al nome di Rina Morelli verrà istituito un premio della bontà. L'assistenza pubblica continua a registrare numerose novità. Nel 1971 l'Ospedale civile, l'infermeria cronici e l'istituto cronici vengono riuniti in un unico ente collocato in una nuova struttura con 90 posti oltre ai 60 dell'infermeria. Nel 1975-1976 sorgono una casa albergo per anziani con mini alloggi e un centro diurno con l'assistenza di giovani volontari del soccorso. Un altro centro diurno, questo per riabilitazione e svago, viene aperto nel 1996 nella casa di riposo Gambara-Tavelli. Nel 2001 il Comune promuove nell'ex Istituto Cronici nuovi ambulatori inaugurati nell'ottobre 2003 nei locali dell'ex distretto scolastico. contemporaneamente la Casa di riposo e l'Asilo infantile vengono eretti in "fondazioni".


Il volontariato intensifica la sua presenza dal 1975 con la fondazione dell'AVIS. Notevole successo ha dal 1987-1988 il Gruppo Verolese Volontari del soccorso, avente come scopo di affiancare il Pronto Soccorso nel trasporto di malati e feriti con autoambulanze, con sede operativa prima in via Grimani, poi in via Gramsci. Iniziativa originale è l'apertura nel 2000 del Centro di riabilitazione equestre "Orsini" (ANIRE), gestito dall'Associazione "Liocorno". Nel 2005 il Comune acquista l'immobile dell'ospedale destinandolo all'edilizia sociale e ad utilizzo socio-sanitario.




SCUOLA, CULTURA, SPORT. Titolo d'onore per Verolanuova da lungo tempo, la scuola diviene nel secondo Dopoguerra oggetto di particolari cure ed iniziative. A decorrere dall'anno scolastico 1953-1954 viene resa autonoma la scuola media fino ad allora sezione staccata della "Ugo Foscolo" di Brescia. Per una legge del 1962, la preesistente Scuola media e la Scuola di Avviamento vengono gradualmente assorbite, a decorrere dal 1963, dalla Scuola Media unica. Dal 1957-1958, entrato in crisi, l'Istituto Magistrale viene trasformato in Istituto Tecnico commerciale statale con indirizzo amministrativo che funziona dapprima come sezione staccata del "Ballini" di Brescia, e successivamente (dall' 1 ottobre 1966) viene reso autonomo ed intitolato a "Don Primo Mazzolari". Dall'anno 1984-85 si arricchisce anche di una sezione per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere. Negli anni '60 del secolo XX vengono costruite le nuove sedi della Scuola Media e delle scuole di Cadignano. In continuazione di corsi complementari, nel 1962, viene approntato il Centro di Addestramento Professionale, che indirizza e prepara i giovani ai compiti dell'industria moderna, gestito dall'I.N.I.A.S.A. (Istituto Nazionale per l'Istruzione e l'Addestramento nel Settore Artigiano) per conto del Ministero dei LL. PP. Nel 1971 viene completamente ristrutturato, grazie alla famiglia Nocivelli, l'asilo infantile. Nel 1972 viene restaurato l'Istituto Tecnico Commerciale (I.T.C.) "Primo Mazzolari", che negli anni seguenti viene arricchito di nuovi corsi e di strutture e diventa poi Centro di Formazione Professionale (C.F.P.). L'istituto viene ampliandosi nel 1998 con nuovi laboratori.


Vivo successo ha nel 1951 il Premio Verolanuova per gli alunni delle scuole medie di Brescia, Bergamo e Cremona, che ingaggia numerosi critici e artisti. Ma nascono anche un gruppo fotografico e altre associazioni culturali. Esempio per molti altri importanti centri della provincia è l'"Università aperta" fondata da Rino Bonera. Nel 1996 viene lanciata una "Mostra d'arte moderna 1x1". Mostre d'arte, di fotografia, di grafica, del ritratto (1997) vengono organizzate a Palazzo Gambara.


La musica ha a Verolanuova una nicchia privilegiata. Nel 1983 nasce il gruppo "Amici della musica"; nel 1984, per iniziativa della maestra Elena Allegretti Camerini, viene costituito il coro "Virola Alghise"; nel 1991 l'associazione "Balla coi lupi" organizza il "Diapason d'oro" per "musica giovane". Centro di molte di queste attività e di altre è la Biblioteca Comunale inaugurata nel 1973 a palazzo Gambara.


Il tempo libero trova nello sport uno dei suoi capisaldi. Mentre continua la tradizione calcistica, nel II dopoguerra piazza Libertà vede ripetersi i concorsi ippici. Nel 1981 viene organizzato il I Concorso ippico interregionale di formula 1 e 2. Nel 1965 sorge uno dei primi centri di impianti sportivi della provincia, dedicato alla memoria del sindaco Enrico Bragadina. Nel 1965-1966 viene ricostituita la Polisportiva Verolese, che nel 1967 registra la sezione basket. Nel 1972 nasce il Gruppo Sportivo Verolese; nel 1979 il Pedale Verolese Amatori e la squadra di calcio Ocean, protagonista di significative vittorie. Nel 1976 viene costruita la piscina coperta. Nel giro di pochi anni, dal 1970 al 1980, il paese si arricchisce di attività sportive (calcio, nuoto, atletica, pallavolo, tennis, karatè, basket, motocross, bocce). Particolare attività svolgono il Gruppo Sportivo Verolese, il Pedale Verolese, il "Leo Club Bassa Bresciana". Nel 1996 sorge un nuovo campo da tennis. Ad una piscina esistente da anni ne viene accostata, nel 2000, una nuova. Il nuovo G.S. Verolanuova Calcio, nato nel 2002, viene ospitato nel 2004 nel nuovo stadio coperto di 400 posti dedicato a E. Bragadina. Nel 2005 nasce la Virtus S. Lorenzo di pallavolo.




ECCLESIASTICAMENTE. Si possono far risalire al IV secolo i primi segni di una presenza cristiana nel territorio di Verolanuova attorno ad alcuni loca sanctorum e poi ad una diaconia della pieve di Quinzano entrando in seguito nell'ambito della parrocchia di Verolavecchia dalla quale si sarebbe resa indipendente nel sec. XIV . Nel frattempo, come scrive Paolo Guerrini, diventato il territorio un vasto latifondo ecclesiastico, venne suddiviso fra i monasteri di Leno, di S. Eufemia (le Canove erano fondi di questo monastero), di S. Donnino, di S. Silvestro di Nonantola e di S. Lorenzo di Cremona; i signori di Gambara, o "Capitanei de Gambara", erano divenuti a poco a poco gli appaltatori e i conduttori di tutte queste proprietà della Chiesa, creandosi lentamente una posizione privilegiata che doveva fatalmente riuscire, durante la spaventosa crisi dello scisma occidentale, all'assorbimento completo della proprietà fondiaria del territorio mediante la trasformazione dei diritti feudali nei diritti allodiali, con l'enfiteusi, le usurpazioni, le compra-vendite e altri mezzi più o meno legali.


Un caposaldo della vita religiosa della zona fu certo il monastero femminile di S. Donnino, ricordato ancora oggi da una chiesa ricostruita molto dopo. Compare, come si è ricordato, la prima volta in un documento del 1194 e che oltre a comunità monastica fu anche, come sembra e come confermerebbe il culto di S. Gottardo invocato contro la gotta e le malattie artritiche, un ospizio, xenodochio.


Duri furono i sec. XIII-XIV tanto che le monache di S. Donnino dovettero ricorrere a un mutuo di dieci lire mezzane per sanare la situazione economica del monastero danneggiata da guerre, coloni infedeli, usurpazioni; denari che restituirono il 20 luglio 1228, ma che non arrestarono la rovina del monastero. «Difatti, come scrive Paolo Guerrini, pochi anni dopo, cioè fra il 1245 e il 1250, il vescovo di Brescia Azzone da Torbiato, non sappiamo per quali ragioni, ma probabilmente per togliere le monache da un luogo malsicuro e insidiato dai masnadieri e malviventi che infestavano la pianura bresciana, levava le ultime suore di S. Donnino e le collocava nel monastero di S. Pietro a Fiumicello, nel suburbio occidentale di Brescia, e a questo monastero femminile univa tutte le proprietà del monastero verolese soppresso. Contro questa soppressione e incorporazione insorgeva Bocadeluzius Gambara che, ricorrendo al Delegato pontificio, otteneva vari interventi di giudizio che finirono con una sentenza pronunciata il 20 febbraio 1251, la quale rimetteva ai Gambara i diritti sul monastero di S. Donnino, sciogliendolo dall'unione col monastero di Fiumicello, ma non arrestava il lento processo di decadenza e di sfacelo dell'istituto monastico, che rimasto quasi proprietà assoluta di casa Gambara andava trasformandosi in una prepositura secolare, e più tardi, nel cinquecento, diventerà coi suoi fondi la dotazione beneficiaria del Capitolo della Collegiata, eretta dal card. Uberto Gambara a decoro della parrocchia di Verolanuova.


Al di là comunque delle vicende di monasteri o di prebende e benefici la vita religiosa di Verolanuova va organizzandosi intorno alla chiesa della diaconia di S. Lorenzo che compare la prima volta nei documenti finora conosciuti nel 1267, quando il «pre Petrus presbiter ecclesie sancti Laurentii de Virla» veniva incaricato dal vescovo di Brescia Martino da Gavardo di dare al monastero di S. Cosma il possesso del soppresso monastero di S. Vigilio di Macerata a Padernello. Qui abbiamo un prete ma non ancora un prevosto, sebbene non si possa escludere che anche in quell'anno la chiesa di S. Lorenzo avesse già alcuni preti e fra essi un "praepositus". Secondo Paolo Guerrini «probabilmente la fondazione della Prevostura verolese si deve fissare intorno al 1250, dopo la sentenza ottenuta dai Gambara, Guido e Boccadilupo, contro la soppressione violenta del monastero di S. Donnino e la sua unione al monastero di S. Pietro». Ciò che è rilevante invece è che la chiesa verolese doveva essere importante se il 21 settembre 1275 tra i canonici elettori del vescovo Berardo Maggi è presente un Alberto da Verola. Data l'importanza del personaggio, il Bonaglia si sente autorizzato ad attribuire a lui le pratiche dell'erezione a Verolanuova di una parrocchia autonoma. Il Bonaglia ritiene che la prima chiesa parrocchiale di S. Lorenzo sia stata una chiesetta che secondo gli atti della visita del vescovo Bollani esisteva ancora nel 1563, molto malandata ma ancora agibile, accanto alla Disciplina e che lo studioso pensa si possa datare tra il 1000 e il 1100. Ormai in completa rovina, i suoi resti sarebbero stati utilizzati per la costruzione della Basilica, mentre il titolo di S. Lorenzo sarebbe passato alla attigua Disciplina. D'altro canto, in base ad una documentazione consistente, altri hanno ritenuto e ritengono che invece sia stata inizialmente la chiesa poi divenuta la Disciplina.


Nel 1410 la chiesa di S. Lorenzo, pur dotata da un beneficio di 300 piò, ha un solo sacerdote ed un solo chierico, ma già intorno al 1430 il vescovo Marerio concede il titolo di prepositura dietro la corresponsione ogni anno di due libbre di cera. Non si hanno notizie sulla comunità parrocchiale fino a quando nel 1477 il beneficio viene dato in commenda con diritto di patronato ai Gambara e viene nominato prevosto parroco mons. Marsilio Gambara (m. nel 1497), già in possesso dei benefici di Gambara e Pralboino e sempre assente in quanto addetto alla curia romana. Gli succede il celebre mons. Mattia Ugoni, vescovo di Famogosta, che, contestato dai Gambara, nel 1501 dovette lasciare libero il campo ad un altro Gambara, il conte Uberto vescovo di Tortona e cardinale che tenne il beneficio dall'età di 13 anni fino al 1541.


Nella seconda metà del '400, come indica la data 1473 che si legge ancora sulla torre, venne restaurata o addirittura ricostruita la chiesa a poi forse completata, come suggerisce la data 1509 incise sulla facciata. La chiesa fu poi abbellita. Ma non è solo la chiesa in quanto edificio a migliorare, è la comunità parrocchiale che progredisce. Infatti, nonostante l'assenza dei titolari e la cura affidata a preti "mercenari", fioriscono la devozione e la pratica religiosa.


Oltre alla Disciplina della Confraternita del SS. Sacramento, vi è quella di S. Maria, della quale esiste il ricordo in un testamento del 1513 ma che deve essere molto più antica. L'atto del 7 giugno 1518, con il quale i confratelli verolesi della confraternita vengono aggregati dal francescano fra Paolo da Laude all'ospedale romano di S. Spirito in Sassia di Roma, fa pensare a echi rimasti di quella che doveva essere stata la prima diaconia di S. Lorenzo sorta alle origini del cristianesimo in terra verolese e della quale la Confraternita continua probabilmente la benefica tradizione rivivificata dopo la peste che infuriò a Verola nel 1512-1513. La Confraternita ha sede nell'oratorio di S. Maria «sopra il cimitero», ricordata in documenti dal 1496, ma certo molto più antica e distrutta poi per ordine di S. Carlo Borromeo nel 1580. La chiesa e la Confraternita furono arricchite, in epoche varie, di lasciti e legati testamentari.


Nel 1527 si accenna pure all'esistenza di una Confraternita di S. Pietro Martire detta anche della "Crosetta", per un piccola croce che i confratelli portavano sull'abito corale e della quale non si hanno notizie più precise se non di una dozzina di testamenti che la beneficano.


Secondo Paolo Guerrini, per ragioni nobili (quelle di ovviare alle conseguenze degli abusi comportati dalla commenda e «ristabilire un po' di ordine e di dignità nella parrocchia»), ma anche per ambizioni "ecclesiastiche" e soprattutto perseguendo «un piano di concentrazione e di rafforzamento della signoria dei Gambara nel territorio di Verola (perché la Collegiata doveva costituire come un feudo ecclesiastico della famiglia attraverso il diritto di patronato, esercitato per maggiorasco), Prevosto e Canonici dovevano essere eletti dai feudatari, e la ricca prebenda prepositurale, sgravata dell'onere della cura d'anime dopo la legislazione tridentina con la erezione della Vicaria parrocchiale, doveva restare come una commenda perpetua, esente da tributi e da manomissioni ereditarie, a beneficio della famiglia dei patroni». Quali che fossero le ragioni di fondo, dietro supplica del 1534 del vescovo di Tortona mons. Uberto Gambara, papa Paolo III con Bolla "Sacri apostolatus ministerio" del 4 marzo 1534 erigeva la chiesa di San Lorenzo di Verola in Collegiata insigne, di patronato dei Gambara, con tutti gli oneri e i privilegi inerenti alle Collegiate. Per ottenere questo onore il conte Brunoro, feudatario di Verola, spendeva 400 ducati d'oro nel riparare la chiesa, che minacciava rovina, e ad aumento della dote della Prevostura aveva assegnato certi diritti d'acqua della seriola Gambaresca che avevano aumentato di un terzo le rendite del beneficio. «Inoltre il vescovo di Tortona mons. Uberto fondava col suo patrimonio personale le quattro prebende dei Canonicati e la massa comune delle distribuzioni corali» che P. Guerrini definisce «piccole restituzioni di beni ecclesiastici, illecitamente, se non illegalmente, usurpati alla Chiesa con l'accumulazione di rendite beneficiarie di varia provenienza». Risulta che i primi quattro Canonicati sono fondati il 20 agosto 1535 e consistono in una prebenda di 11 piò di terra ciascuno per una rendita di circa £. 280 milanesi annue. Un quinto ed un sesto sono eretti il 5 agosto 1611 dal pontefice Paolo V ed hanno una prebenda di 7 piò e mezzo ciascuno ed una rendita annua di £. 210 milanesi. A distanza di 85 anni, l'11 ottobre 1696, da monsignor Bartolomeo Gradenigo vescovo di Brescia sono eretti altri quattro Canonicati con una prebenda di piò 7 ciascuno ed una rendita di £. 175 annue.


Un documento del 1703 attesta che i beni posseduti dalla Collegiata sono: «Piò 48 di terra siti sul territorio di Virola in contrada Smantiani, i quali servono a quattro Canonicati istituiti sin l'anno 1535 e possono valere in tutti scudi 6.000 circa; altri 24 piò sopra il territorio in contrada Battaglie che servono per due altri Canonicati instituiti in l'anno 1611 e possono valere scudi 2.500; altri piò 30 sopra il territorio in contrada Castegna per quattro Canonicati instituiti l'anno 1696 e possono valere scudi 3.000; piò 7 di terra in contrada Battaglie servono per il Diacono ed il Sottodiacono e possono valere scudi 500».


Nel 1549 anche il successore nella prepositura, il giovanissimo nipote Gianfrancesco, che pure diventerà Cardinale, e altri Gambara potenziarono la Collegiata dando, come scrive Paolo Guerrini, «alla nascente Collegiata tutto lo splendore possibile, curando per mezzo di idonei Vicari che l'ufficiatura corale quotidiana e le altre funzioni più solenni si tenessero regolarmente e con decoro, a edificazione del popolo. Donarono alla chiesa prepositurale paramenti e vasi preziosi per le sacre funzioni, e mantennero a proprie spese una piccola cappella musicale, che eseguiva musica sacra almeno a quatto voci, poiché alcune partiture di messe e vespri del cinquecento (di Palestrina, di Croce, e altri insigni maestri del tempo) furono conservate nell'archivio della chiesa. Ai quattro canonicati primitivi i fratelli conti Lucrezio e Nicolò Gambara aggiunsero nel 1561 altri due canonicati di propria dotazione, eretti con Bolla di Pio IV del 14 aprile 1561 "Circa curam parochialis officii" riservandone ai fondatori il giuspatronato. Più tardi la famiglia dei conti Gambara aggiunse altri quattro canonicati ai sei precedentemente fondati, ma a nessuno dei dieci canonicati fu accollato l'onere della cura d'anime, che rimase sempre unicamente al beneficio prepositurale. In fondo questi canonicati servivano come benefici semplici per dare un patrimonio e una occupazione al numeroso clero che si affollava come una clientela cortigianesca intorno ai signori di Castel Merlino. Il cardinale Gianfrancesco Gambara, da Roma, dove risiedeva ordinariamente, emanò nel 1577 anche uno statuto della sua Collegiata di Verola per normalizzare la vita del Capitolo», ricco di regole le più diverse. Come ha osservato ancora Paolo Guerrini, «la cura d'anime della popolosa parrocchia era affatto estranea alla vita del Capitolo; battesimi, esequie, cura degli infermi, istruzione catechistica, assistenza alle confessioni e comunioni, predicazione, tutta la vita religiosa sostanziale di una parrocchia gravava sempre sul Prevosto, come onere inerente alla ricca prebenda del suo beneficio, che aveva fondamentalmente la cura d'anime anche prima di essere elevato a Dignità del Capitolo collegiale. Il Prevosto sempre assente si faceva rappresentare e sostituire da un vicario, che restava però estraneo al Capitolo, creando dualismi e difficoltà molto evidenti». Solo il Concilio di Trento prima e l'opera riformatrice del vescovo mons. Bollani e di S. Carlo Borromeo poi segnarono una svolta anche nella vita parrocchiale di Verolanuova. Per decenni il beneficio rimane ancora in mano a vescovi e cardinali lontani che si succedono sempre nel godimento del beneficio: dal 1541 al 1548 al conte Agostino Gambara e dal 1548 al 1587 il card. Gianfrancesco Gambara. Nonostante le continue assenze, la vita parrocchiale procede. Ne danno ampie notizie gli atti della visita pastorale del vescovo Bollani del 24-25 settembre 1565. Sappiamo dagli atti della visita che «la chiesa era consacrata, e pure consacrati erano l'altar maggiore e l'altare di S. Catterina, la protettrice dei mugnai. Sull'altar maggiore vi era una vecchia icona, sulla quale erano dipinte le figure dei due diaconi S. Lorenzo e S. Stefano; il vescovo ordinava di rimuoverla perché troppo vecchia e indecente, e di sostituirvi un affresco. Oltre l'altar maggiore e quello di S. Catterina vi erano l'altare dell'Immacolata Concezione (devozione di influsso francescano sulla casa Gambara), l'altare della Scuola o Confraternita del SS. Sacramento sempre fiorente e attiva, l'altare di S. Giacomo apostolo, e quelli di S. Giovanni ev., di S. Matteo ev., di S. Antonio abate, dello Spirito Santo, l'altare del conte Lucrezio Gambara e due altri piccoli altari che il vescovo ordinava di togliere per decenza. Con tanti altari e tanto clero mancavano i sacristi e gli inservienti; quindi il vescovo obbligava il capitolo a tenersi almeno due chierici per il servizio delle messe e del coro.


La Scuola del SS. Sacramento era ben governata. C'era pure un Monte di Pietà con 130 some di frumento, che veniva dispensato ai poveri a pegno. Aggiungeva il curato di avere sotto di sé le chiese campestri di S. Giorgio con 60 tavole di fondo circostante, governata da un eremita; quella di San Donnino che era stata da poco ricostruita "seu transportata de una alia ecclesia veteri"; quella di S. Rocco di patronato della nobile famiglia Sala, con beneficio di dieci o undici piò di terra per celebrarvi due o tre messe ogni settimana, di cui era rettore il sacerdote d. Bernardino Sala; la chiesa della Disciplina governata dai Disciplinati; la chiesa di S. Maria, che stava presso il cimitero parrocchiale, era consacrata e officiata per il legato perpetuo del canonico Guarino de Lucii; la chiesa di S. Anna alla Breda, con battistero, cimitero e cura d'anime, sebbene soggetta alla parrocchiale di Verola. La moralità pubblica era buona: due soli pubblici concubinari venivano denunciati al vescovo, Lauro Fosco di Chiari probabilmente maestro e organista, e G.B. Spalenza; del resto il curato teneva la dottrina cristiana, spiegava il vangelo ogni festa, celebrava la messa ogni giorno, ascoltava le confessioni in chiesa e soltanto di giorno ed esercitava bene la cura d'anime con l'approvazione degli Esaminatori Sinodali e del vescovo. Dieci i preti residenti, dei quali due o tre risposero discretamente bene e vennero approvati; gli altri furono gentilmente invitati a studiare il Catechismo del Canisio in volgare, perché non sapevano nemmeno leggerlo nel testo latino!». Ma erano in compenso di buona, anzi esemplare condotta, per cui i consoli del comune sentivano di dichiarare che la loro chiesa era «molto ben attesa e governata».


Ad interventi circa gli edifici sacri riservano le loro osservazioni mons. Pilati nel 1572 e S. Carlo Borromeo nel 1580. Questi però ordinò oltre che si allargasse la chiesa, si costruisse «la canonica per il parroco e per i curati, possibilmente più vicina alla chiesa parrocchiale e prepositurale; ordinò poscia al vicario ed ai curati canonici che osservassero gli statuti del conte Proposto e che secondo le assunte obbligazioni cantassero in coro le ore canoniche».


Certo per intervento del vescovo Bollani e le pressioni di S. Carlo con Bolla «Circa curam pastoralis officii» papa Gregorio XIII il 10 giugno 1579 decretava che la cura d'anime completa della parrocchia di Verola passasse a un Vicario perpetuo del Prevosto, da lui eletto "ad nutum" e dotato di beneficio, coadiuvato da un secondo curato, pure beneficiato. Il Prevosto perdeva la cura d'anime e restava soltanto la prima e unica Dignità della Collegiata, mentre il Vicario e il curato diventavano i due veri parroci di Verola, e appunto perché avevano la cura d'anime non potevano appartenere al Capitolo e venivano nominati dal vescovo.


Pur continuando le nomine per commenda i prevosti si interessarono di più della parrocchia mentre, sia pure più nascostamente, operarono vicari spesso zelanti. Non sono abbondanti le notizie offerte dal Da Lezze nel Catastico del 1610. Elenca, infatti: «Chiesa di S.ta Anna officiata ogni giorno da un Capellano pagato dalli Massari della Breda. Chiesa di S. Lorenzo principale collegiata, dove vi sono sei Canonici, et è Juspatronatus delli SS.ri Conti hanno però ogni uno di essi pocca entrada, che trazono da beni stabili. Vi è la prepositura goduta dal Prevosto di detta chiesa con entrada di 1500 scudi, che si cava da terreni aradori. Disciplina di S. Rocco senza entrada vestono li disciplini di verde in N° de 25. Disciplina della Croce senza entrada anche essi in n° de 25. Vestono di bianco con la Croce Negra et bianca». Probabilmente in seguito alla terribile peste del 1633 nell'ambito della Confraternita del SS. Sacramento nasce la Confraternita del Santissimo Suffragio. Sembra che a fondarla sia stato p. Alessandro Segala. Il 22 ottobre di tale anno i confratelli del SS. Sacramento supplicavano il pontefice Urbano VIII di aggregare l'altare della Madonna della Viticella, nella vecchia chiesa parrocchiale, alla compagnia romana del Suffragio, ottenendone tutti i privilegi. In un primo momento i Confratelli del Suffragio ebbero un altare nella vecchia parrocchiale, mentre nel 1646 decidevano di erigere una propria chiesa già funzionante nel 1648. I confratelli vestivano una tunica bianca, mantelletta nera, cingolo, portavano cappello e bastone. La confraternita era retta da tre guardiani (e poi dal 1656 da uno solo), vi erano sei consiglieri, un cancelliere, un cassiere; il primo lunedì del mese veniva celebrato l'ufficio generale, con catafalco e luminari in mezzo alla chiesa. Per qualche tempo mantenne anche l'altare nella chiesa parrocchiale, concorreva alle spese della stessa. Compare allora anche la figura di un infermiere per la cura dei malati.


Splendido per Verolanuova fu il secolo XVII, nonostante la terribile parentesi della guerra. Nel 1607 viene costruito il convento dei cappuccini, dal 1633 al 1647 la nuova parrocchiale, solenne come una basilica o una cattedrale e dotata di incomparabili ricchezze d'arte; nasce la confraternita di S. Croce e del suffragio, viene eretta la chiesa di S. Filippo. Certo, osservando con gli occhi di oggi sono tempi di sfarzo e ostentazioni. Un funerale, quello del conte Lucrezio Gambara del 12 agosto 1703, offre un'idea di quella che è la consistenza della vita parrocchiale. Oltre a 56 preti, provenienti in gran parte da altre parrocchie, si contano 12 cappuccini, 60 dimesse, 120 disciplini, 100 delle Compagnie dei suffraganti, 50 confratelli di S. Rocco. Sono però anche i tempi della carità che si manifesta attraverso il collegio delle Dimesse, le confraternite, l'ospedale, l'orfanotrofio.


A rompere un establishment parrocchiale durato secoli sopravvenne nel 1797 la rivoluzione giacobina con un improvviso impoverimento e severe soppressioni di prebende. Toccò all'ultimo prevosto uscito dalla dinastia dei Gambara, Annibale nominato nel 1791, registrare il 14 ottobre 1797 la fine della Collegiata e l'incameramento dei beni di essa, destinati dal Governo Provvisorio a dote dell'Ospedale civile. Il Gambara rivendicò in parte i fondi della Prevostura come patrimonio familiare, pagando al Demanio una percentuale. Sembra che, soppressa la Collegiata, egli abbia smesso, insieme col titolo di Prevosto, anche l'abito talare e l'anello.


Ad affrontare il periodo turbinoso fu don Giacomo Bignotti. Primo parroco della cura e sacerdote esemplarissimo, zelante e di grande carità, e al contempo umilissimo (tanto da continuare a chiamarsi soltanto vicario del prevosto) resse «saggiamente» la parrocchia durante i tempi napoleonici. Gli fu imputato di non essersi preoccupato di rivendicare gli antichi privilegi. Dovette invece assistere alla definitiva soppressione del 1810 del Convento dei Cappuccini e del collegio delle Dimesse. Ebbe la ventura di benedire il nuovo cimitero nel quale venne sepolto nel maggio 1812 e dove venne ricordato da un elegante epitaffio dettato dall'abate Morcelli con l'elogio: «parentis pubblici nomen meritus, egenis inopia levatis, iuventute optime instituta».


A succedere a don Bignotti giunge nel 1812 un parroco illustre per dottrina e per intraprendenza, don Lorenzo Padovani, veronese, precettore di famiglie nobili, insegnante di Teologia in Seminario e già parroco a Bassano. Ottenuto con decreto vescovile del 21 marzo 1813 il titolo di prevosto, resse la parrocchia con energia e dottrina. Mentre rivivono confraternite soppresse dal governo giacobino, nascono nuove devozioni. Inoltre con testamento del 30 gennaio 1832 Lelia Bracchi (1768-1832) «dimessa orsolina» del convento locale, lascia alla parrocchia la sua casa che diventerà poi casa canonica. La stima acquisita meritarono a don Padovani di essere chiamato nel 1835 dal vescovo Ferrari, vicario generale e canonico della Cattedrale.


Emblematico e il più lungo del secolo fu il parrocchiato di don Francesco Sguazzi che durò cinquant'anni (1835-1885) «circondato, come ebbe a scrivere Paolo Guerrini, da una profonda e generale venerazione, della quale perdura l'eco, tramandato dalle vecchie alle nuove generazioni come una tradizione di famiglia. Egli era il tipo eccezionale del buon pastore, di quelli che imprimono un'orma personale incancellabile nella vita religiosa di una parrocchia». Oltre che rianimare con confraternite nuove la vita parrocchiale, egli nel 1844 chiama le suore dell'Istituto della Carità fondato dalle Sante Capitanio e Gerosa e dette Suore di Maria Bambina che, condotte a Verolanuova dalla stessa S. Vincenza Gerosa, si dedicarono all'assistenza degli ammalati e degli anziani. Nel 1877 nell'Ospedale giungono nuovi rincalzi per cui, più tardi, le suore poterono aprire un orfanotrofio, scuole, convitto e sostenere le attività dell'Oratorio femminile. Preoccupato della gioventù del luogo, nel 1841 don Sguazzi trasforma in teatro la chiesa di S. Rocco e arriva perfino a organizzare, sotto la sua direzione, una filodrammatica di preti del luogo che l'8 gennaio 1841 presenta una commedia dal titolo "Una gabbia di matti" suscitando meraviglie e qualche disappunto. Per la gioventù sotto la sua guida e per suo incoraggiamento il curato don Battista Penocchio (1826-1919) crea, sotto la protezione di S. Filippo Neri, il primo oratorio, ospitando i bambini nel cortile della sua abitazione, utilizzando dal 1863 per l'istruzione religiosa la chiesa parrocchiale e quella del Suffragio acquistata ed offerta da un laico, Pietro Grazioli. Parallelamente si profila anche un interessamento per l'assistenza e l'educazione femminile. L'11 giugno 1877 Giovanni Spalenza, per suggerimento di don Giacomo Mensi e don Giacomo Tadini, lascia in eredità un fabbricato destinato ad ospitare le bambine orfane del paese. La donazione passa alla Congregazione delle Suore della Carità delle SS. Capitanio e Gerosa.


Sotto il parrocchiato di don Sguazzi esercita un intenso ministero pastorale e di carità don Giacomo Mensi, morto in concetto di santità. Gli sono di appoggio le confraternite che si riorganizzano, fra le quali particolarmente attive la Compagnia di S. Angela assai numerosa, le Madri Cristiane, le Figlie di Maria. Dopo un breve parrocchiato di don Francesco Pagani (1885-1894) segue quello oltremodo fruttuoso di don Francesco Manfredi (1894-1926). Zelante, energico, stimato, predilesse «lo splendere del tempio». Promosse dal 1900 la decorazione della basilica che venne completata in pochi anni, la costruzione del grandioso campanile, benedetto il 26 marzo 1911, e il concerto di campane, invidiato da tutti, inaugurato il 31 ottobre 1915. «Attese, come ebbe a scrivere Paolo Guerrini, con instancabile attività alla cura spirituale della parrocchia» attraverso un continuo incremento di devozioni, forme associative, introducendone di nuove, come il Terz'Ordine Francescano, la cui congregazione viene fondata canonicamente il 22 aprile 1922, con moltissime iscritte e un nucleo di uomini. Sono gli anni nei quali le feste di S. Lorenzo (10 agosto), della Madonna del Rosario (II domenica di ottobre), di S. Rocco (16 agosto), di S. Gottardo, oltre al Corpus Domini e alle Quarantore registrano il maggior fervore e la più ampia partecipazione di popolo.


La fertilità religiosa si commisura anche con le numerose vocazioni sacerdotali, fra le quali spicca quella di uno dei preti più prestigiosi del '900: don Primo Mazzolari (1890-1959) che, sebbene cremonese di nascita, alimenterà nella comunità verolese la sua vocazione e a Verolanuova verrà consacrato sacerdote. Numerose e prestigiose le vocazioni religiose che registrano nel giro di pochi decenni tre generalati: madre Teresa Pochetti, p. Clemente Mazzola e madre Fortunata Pinelli. Ma il parrocchiato di don Manfredi, grazie alla presenza di ottimi curati e laici impegnati, si apre anche ad una presenza sempre più attiva sul piano educativo e formativo di un laicato cattolico impegnato. Nel 1900 le sorelle Cappelletti offrono la loro abitazione e il cortile situato in via Roma, il quale con alcune modifiche viene adattato a Circolo ricreativo per giovani lavoratori, la cui gestione è affidata alle stesse sorelle Cappelletti, sotto la direzione religiosa e morale di don Giuseppe Corniani. Viene aperto un teatro parrocchiale, viene fondata (1902) la banda "Stella Polaris".


La fine della guerra vede moltiplicata l'attività pastorale giovanile. Nel 1918 Giulia Belleri in Tadini, per suggerimento del prevosto Manfredi, lascia in eredità la sua abitazione per ospitare i curati della parrocchia. Viene nominato primo direttore dell'oratorio don Marco Amighetti, coadiuvato da don Giacomo Boldoni, entrambi reduci della guerra 1915-1918.


Contemporaneamente nasce un impegnato movimento cattolico. Nel 1899 un piccolo nucleo di giovani cattolici lancia una rivista dal titolo "La fin du siècle". Nel 1900 nasce la Società Operaia Cattolica S. Giuseppe. Nel 1904 si organizza un Circolo democratico cristiano. Nel 1907 è presente un Circolo giovani collegato con la Federazione Giovanile Cattolica Leone XIII. La presenza di cattolici organizzati dà presto i suoi frutti. Dopo aver arginato per anni sul piano amministrativo la presenza attiva del liberalismo zanardelliano e del socialismo, alleati contro l'insegnamento religioso nelle scuole e di tinte fortemente anticlericali, nel 1909 e nel 1913 porta alla vittoria nelle elezioni politiche il cattolico Longinotti.


Alla morte di don Manfredi (1926) la parrocchia, pur così viva, mancava quasi del tutto di strutture per la pastorale giovanile, salvo un oratorio consistente in un cortile e in uno stanzone adibito a teatro. Fu lo stesso vescovo mons. Gaggia a scegliere il nuovo prevosto don Nicostrato Mazzardi e poi il curato don Benedetto Gallignani. I due diedero vita ad un attivo movimento di risveglio giovanile. È dal prevosto Mazzardi (1927-1954) venne un nuovo colpo d'ala alla parrocchia: con l'aiuto di ottimi curati, promosse una pastorale ricca di iniziativa, animatrice delle varie branche dell'attività parrocchiale. Egli pone al primo posto il problema formativo della gioventù con il potenziamento del catechismo, delle attività oratoriane, dei rami dell'Azione Cattolica con un'attività che dà subito i suoi frutti dei quali è quasi simbolo il quindicenne Alberto Mazzola, morto nel 1936 al quale don Gallignani dedica un commosso profilo biografico. Nel 1930 trova una sistemazione anche l'oratorio femminile, che nel 1956 vedrà sorgere sei nuove aule catechistiche, un salone teatro ed un cortile per giochi. Nel 1934 viene rimesso a nuovo il teatrino, dando nuovo impulso alla Filodrammatica che ebbe in Carlo Uberti e Antonio Del Balzo gli animatori più costanti. L'assillo del vescovo Gaggia, del prevosto Mazzardi e di don Gallignani di offrire un luogo adatto all'educazione della gioventù trova il suo sbocco nell'acquisto, nel 1935 da parte della parrocchia, degli stabili Mombelli e Goldani, situati nelle adiacenze della parrocchia, dove nel 1939 don Gallignani trasferisce l'oratorio. Abbattuti i vecchi fabbricati, il 22 maggio 1941 mons. Tredici benedice la prima pietra del nuovo oratorio che, intitolato a mons. Giacinto Gaggia, viene benedetto il 27 febbraio 1943. Comprende: 14 aule catechistiche e sede della direzione e segreteria al piano superiore; a pianterreno vi sono tre sale spaziose per il ritrovo dei ragazzi e la Cappella.


La vita parrocchiale si arricchisce di nuove iniziative. Nasce e diventa subito attiva la Conferenza di S. Vincenzo; nel 1933 esce il Bollettino della Famiglia Parrocchiale che nel 1938 chiude la sua attività. Attenzioni particolari vengono poste alla basilica con il restauro degli altari maggiore e del SS. Sacramento mentre viene arricchita di nuovi arredi e paramenti. Con energia mons. Mazzardi riesce a salvare dalla requisizione il concerto delle campane e a mettere al riparo le grandiose tele del Tiepolo delle quali nel 1952 verrà provveduto il restauro. Grazie alla generosità della maestra Decca viene aperta la Casa della giovane e quando la benefattrice muore, nel 1954, è preparata la costruzione della Casa del giovane. Nella vacanza della parrocchia si provvede il 29 dicembre 1954 a staccare dalla prepositurale la chiesa curazionale di S. Anna e la frazione di Breda Libera che viene eretta in parrocchia autonoma.


A mons. Mazzardi succede dal 1955 al 1975 mons. Pietro Faita. Altrettanto zelante e attivo, dedicò la sua attenzione ai problemi emergenti del Dopoguerra. Completò con nuovi locali la Casa del Giovane, rinnovò i locali dell'Oratorio, aprì il ritrovo ACLI. Curò dal 1957 al 1959 l'abbellimento della chiesa parrocchiale e il restauro della chiesa di S. Rocco. Promosse grandiose manifestazioni religiose e in particolare dal 13 al 20 settembre 1959 il Congresso Eucaristico e Mariano della Bassa Centrale, presente l'arcivescovo di Milano card. G.B. Montini e il 13 giugno 1971 la elevazione della chiesa parrocchiale a Basilica Minore, presente il card. Giacomo Lercaro.


Le cure del suo successore, mons. Luigi Corrini (1975-2003), sono state rivolte alla conservazione del notevolissimo patrimonio con restauri radicali anche alle chiese sussidiarie alla Basilica. Dal 1988 al 1990 viene radicalmente restaurato l'oratorio, nel 1993 la Conferenza di S. Vincenzo inaugura una nuova sede a Castel Merlino. Nascono nuove forme associative, come l'Equipe de Notre Dame, e nel 1999 la Fraternità dell'O.F.S. e le Comunità Neocatecumenali. Nel dicembre 1975 esce il primo numero della rivista "L'Angelo di Verola", mensile di vita parrocchiale e civile. Nel 1994, con autorizzazione governativa, inizia le trasmissioni "Radio-Basilica di Verolanuova".




LA VECCHIA CHIESA DI S. LORENZO. Il Bonaglia ritiene che la primitiva parrocchiale di S. Lorenzo sia stata la chiesetta del Suffragio soppressa nel 1906 e che nel sec. XV il titolo sarebbe passato alla chiesa detta poi della Disciplina ma che in un primo momento fu dedicata appunto a S. Lorenzo. È comunque opinione comune che l'attuale Disciplina sia stata la chiesa parrocchiale di Verolanuova prima della costruzione della nuova nel 1633. La primitiva chiesa parrocchiale, forse preceduta da altra o altre di cui nulla si conosce, viene fatta risalire alla fine del sec. XIV, mentre la prima data sicura, il 1473, emerge da un mattone murato ai piedi della torre; il tessuto murario del suo basamento però, come sottolinea Valentino Volta, è uniforme e coevo alla cortina meridionale inferiore della chiesa. In base a ciò si potrebbe ritenere che la data possa indicare una riedificazione, se non una edificazione della chiesa stessa. La scritta poi «Adi 3 augusti fu edificata questa MDIX», che compare sulla facciata, potrebbe essere riferita a qualche intervento di rilevante entità o al prolungamento della chiesa. Come, infatti, sottolinea S. Carini, l'osservazione della struttura muraria dell'attuale Disciplina al fianco sud lascia «supporre la preesistenza di un diverso corpo di fabbrica di cui l'attuale chiesa ha ricuperato buona parte delle murature». Con autorevolezza anche l'arch. Valentino Volta ("La basilica di Verolanuova", p. 104) ha scritto come «dagli studi precedentemente pubblicati e dal rilievo fornito dal gruppo di studenti d'ingegneria, facenti capo a Patrizia Guerra, è rilevabile (seguendo la lettura delle strutture portanti) che ai primi del Cinquecento la chiesa era stata innalzata su tutta la sua estensione originale ed ingrandita poi dalla parte dell'area presbiteriale negli anni 1510-20».


Bruno Passamani ("La Basilica di Verolanuova", p. 13) ha supposto che tutta la chiesa fosse decorata rimarcando come l'apertura di una piccola breccia nel tamponamento della prima cappella di destra ha rivelato che tutto l'interno è affrescato e soprattutto presenta una pala d'altare ad affresco, ben conservata, che esibisce le sante Caterina (al centro), Lucia ed Apollonia. Un altare di S. Caterina è registrato, negli Atti della Visita del vescovo Bollani come presente nella parrocchiale e le immagini delle tre sante ricompaiono su due altari della nuova chiesa, nel rispetto di quella continuità di culto della quale si è detto poco sopra.


Una data peraltro di incerta lettura, ma che potrebbe riferirsi al 1522, ha fatto pensare che l'autore possa essere stato il pittore verolese Evangelista Gatti che compare in un contratto del 15 agosto 1521, ma del quale tuttavia non si conoscono opere certe. Da indicazioni emerse dai contratti si apprende infatti che il presbiterio doveva recare nella volta il Padre Eterno entro un cielo azzurro e punteggiato di stelle d'oro "finissimo" (questa richiesta di dorature si ripete nel contratto, sottolineando quasi più risultati di preziosa esornazione che di qualità figurativa); l'arco trionfale era destinato all'Annunciazione con la Vergine e l'Angelo disposti, è da supporre, ai due estremi dell'arco, secondo uno schema corrente, ed una cornice di chiusura in alto costituita da "uno bello friso posto de azurri fini mescolati cum oro fino in bona et laudabil forma". Il pittore era inoltre tenuto a realizzare una decorazione ai pilastri e alle cornici con motivi a candelabre e con due figure di santi (Lorenzo e Stefano ed a dipingere quattro "capelle de miraculi de Santo Nicola" sulla cui ubicazione si resta del tutto incerti. Nuovi interventi sono stati forse compiuti a distanza di pochi decenni. Due canonici, don Battista Seniga e don Pietro Marini, nel 1534, testimoniano che la chiesa era «mezza distrutta e minacciava ruine verso il coro» e che fu restaurata dalla «parte di sopra e verso il sacrato, con l'aggiunta, verso il coro, di due cappelle». Nello stesso tempo sarebbe stato restaurato il campanile. La chiesa venne fatta restaurare dal conte Brunoro Gambara, fratello del cardinale Uberto, prevosto del tempo, verso la fine del 1534, anno nel quale era stata eretta, con bolla di papa Paolo III del 4 marzo, in Collegiata. Secondo S. Carini «le due cappelle costruite verso il coro potrebbero trovare ubicazione rispettivamente ai lati esterni dell'ultima campata della nave, appena prima del presbiterio, come a formare un transetto, dando alla pianta della chiesa la forma di croce latina» ed infatti una di esse potrebbe essere, sempre secondo il Carini, quella che è ancora esistente con vòlto a crociera sul lato destro del presbiterio della basilica d'oggi.


Nel 1540 venne costruito da Battista Facchetti, dono di casa Gambara, l'organo, la cui cassa verrà poi sistemata, nel 1625, da Feliciano Galluzzi. Creata la Collegiata, venne subito avvertita l'insufficienza del coro ad ospitare i canonici officianti per cui, nella visita pastorale del 25 settembre 1565, il vescovo Bollani ordinava la sistemazione del coro, con i sedili, e quella della pala maggiore dell'altare nell'abside della chiesa.


All'epoca della visita pastorale del Bollani, figuravano in S. Lorenzo undici altari oltre al maggiore. Tra le prescrizioni rileviamo quella relativa alla pala dell'altare di S. Nicola da Tolentino (fondato e dotato da Lucrezio Gambara), della quale si scrive: «melius aptetur». Si ordina pure la rimozione della pala del coro, raffigurante i SS. Lorenzo e Stefano e la sua sostituzione con affreschi. Si devono pure rimuovere altri due altari e cioè quello del nob. co. Lucrezio Gambara e l'altro, opposto al precedente. Mons. Pilati, tornato in visita a nome del vescovo Bollani, nel 1572 ordina di dare spazio al Battistero e di fare una sagrestia in luogo più decoroso. Lo stesso mons. Pilati registra la presenza dell'altare del S. Rosario e ribadisce la necessità di dare una migliore sistemazione alla pala del coro.


Nella visita di S. Carlo (1580), oltre alla recinzione degli altari con cancelli, veniva ordinata la rimozione degli altari del settore meridionale da ricollocarsi in apposite cappelle. Soprattutto, però, veniva constatato che la chiesa era incapace di contenere il popolo, e san Carlo nei suoi decreti (n. 6) ordinava di trasferire il coro che si trovava davanti all'altare e soggiungeva: «Poiché la chiesa è insufficiente a contenere il popolo nei dì festivi, il Cardinale, i Conti Gambara, i Nobili ed il Comune curino quanto prima di allungare la chiesa. Al corpo della chiesa si aggiunga tanto spazio verso la cappella maggiore quanto ve n'è tra ciascun arco, e in capo a questo spazio si costruisca la cappella maggiore lunga almeno 18 cubiti o 20, così che vi si possa collocare l'altare ed il coro. Se ciò non fosse possibile, il coro e la cappella maggiore si facciano nella navata, ed il prolungamento venga fatto ad occidente. Tutto venga fatto con il parere di un perito ed il disegno sia approvato dal vescovo». Inoltre ordinava di «fare la canonica per l'abitazione del Prevosto e Coadiutore a spese del titolare, ma con il contributo del conte Nicolò e dell'erede di Lucrezio e degli altri che sono tenuti a pagare per la demolizione della casa parrocchiale quando venne fatta la piazza».


Il vescovo Marino Giorgi, in visita pastorale il 9 maggio 1599, dichiarava che l'edificazione della nuova chiesa decretata nella visita apostolica spettava in parte al Prevosto, in parte ai conti Gambara ed in parte al Comune. Tornando poi per una seconda visita, nel 1610, lo stesso vescovo minacciava addirittura l'interdetta se non fossero stati eseguiti i decreti della visita di S. Carlo; ordine poi ripetuto negli atti della visita di mons. Serina del 1624. A questa data nella chiesa esistono, oltre al maggiore, sei altari e precisamente: S. Stefano, S. Rosario, Concezione (privilegiato); S. Giacomo, S. Nicola (della Società e confraternita del Corpo di Cristo) e l'altare della Beata Vergine della Viticella.


Tuttavia la vecchia chiesa continua ad essere abbellita, fra l'altro, della pala della Madonna del Rosario del 1588. Si arricchisce di paramenti e arredi, doni dei Gambara e di una piccola, ma efficiente cappella musicale. Del 1621 è il pagamento a Marcantonio Moretti per la costruzione dell'ancona dell'altare del S. Rosario e del 7 ottobre 1625, la commissione per la costruzione della cassa dell'organo allo scultore Feliciano Galluzzi. Nel 1627 Marcantonio Moretti, qd. Tomaso costruì una cornice dell'altare della Madonna del Rosario.




LA NUOVA BASILICA DI S. LORENZO. La costruzione di una nuova chiesa veniva rimandata tanto che, a impresa già avviata, il 26 febbraio 1637, il conte Carlo Antonio Gambara scriverà al card. Campori: «Per decreto del Glorioso San Carlo Borromeo, che visitò questa Terra, fu ordinato che si fabricasse questa nova Chiesa, per esser la vecchia incapace di tanto popolo e quasi cadente, il che mai non è stato eseguito et per queste neghligenze sono seguiti diversi interdetti che privavano l'amministrazione de Santissimi Sacramenti: finalmente col mezzo della Predicazione del Padre fra Giuseppe Capitano da Verona, et con la sua assistenza si è ridotto il Popolo et la fabricha in tre anni à bonissimo stato...».


Alla predicazione di fra Giuseppe si accompagnò la peste del 1630, durante la quale si fece voto di adempiere ai comandi di S. Carlo, e per la ferma determinazione del vicario parrocchiale Pietro Marini, che controllava come console le ricche Confraternite del SS. Sacramento e del Rosario, assieme alla determinazione convinta dei conti Gambara, nel 1633, l'impresa venne varata.


Attribuita al Longhena, al Tibali e ad altri è toccato all'arch. Valentino Volta scoprire, in un documento del 19 aprile 1633, il vero autore del progetto in Antonio Comino, cittadino bresciano e architetto, tra l'altro, del Duomo di Brescia. In tale data si attesta che il Comino riceverà un anticipo di 300 lire, mentre il successivo 12 luglio dello stesso anno viene stipulato un vero e proprio contratto tra i fabbricieri Pietro Antonio Cremona, Antonio Donati, Giacomo Ferrari, Giovanni Paolo Chizzoni e sempre Antonio Comino per la fabbrica della nuova chiesa di San Lorenzo di Verolanuova «conforme il modello che sarà sottoscritto dai fabbricieri stessi e dai conti Alemanno e Carlo Antonio Gambara». Il Comino poi dichiara di voler associare nell'incarico della costruzione il fratello Domenico. Già il giorno dopo, il 13 luglio, i lavori vengono appaltati affidando l'esecuzione concreta ad esperti capimastri, in questo caso i verolesi Faustino Maestri e Bernardino Bellegrandi i quali vengono considerati dei soci o, come dice il documento, «compagni di fabbrica». Tali opere procedono tanto celermente che in capo a dieci anni, il 26 maggio del 1643, sempre i fabbricieri di Verolanuova, con la stessa procedura del contratto principale del 1633, accordano ad Antonio e Domenico Comino la costruzione della cupola. Nel 1647 la costruzione della nuova chiesa è ormai ultimata ed il vescovo Marco Morosini, domenica 30 giugno, la consacra al titolo di San Lorenzo martire collocando nell'altar maggiore le reliquie dei santi martiri Massimo e Placido. L'avvenimento è ricordato in una lapide.


Le opere di completamento e di abbellimento si dipanano poi per laboriosi decenni. Nel 1651 Bernardo Rivolta esegue la grande ancona dell'altare della Madonna del Rosario. Dal 1658 viene consolidata e completata, per intervento di Francesco Fregosi. L'opera terminerà nel 1674 con la posa dell'angolo in lamiera del Costioli. Sono i Carra che eseguono le statue in genere mentre nel 1663 a Paolo Piazzetti viene commessa l'esecuzione o solo l'intervento negli altari del SS. Sacramento e della Concezione. Nel 1670 il marmorino Carlo Simbinelli esegue la balaustrata dell'altare maggiore e Valentino Volta pensa di potergli attribuire anche quello «splendido tappeto marmoreo» che è il pavimento del presbiterio. Valentino Volta documenta come «dal 1691 al 1699 Paolo Puegnago, altro lapicida di Rezzato, costruisce parapetto e balaustre dell'altare dell'Angelo, mentre nel 1697 Gio Antonio Carra si impegna ancora a modificare il grande tabernacolo dell'altare maggiore con riparazioni ai puttini.


Il secolo XVIII si apre con i lavori d'intaglio per il coro dei Canonici, affidato a m.ro Bartolomeo Franchini di Verona, con la grande pala di S. Lorenzo del Celesti, come pure nel 1706 con i giganteschi dipinti dello stesso autore nel nicchione del S. Rosario. Per le cornici compaiono i nomi di Prospero Calabrese intagliatore coadiuvato dal fratello Mario pittore e doratore. Questa inedita bottega di scultura lignea era originaria di Pralboino». Il sec. XVIII vede la chiesa arricchirsi di grandi opere pittoriche, tra le quali le due vaste tele di Giovan Battista Tiepolo, mentre nell'800 riprendono le opere di scultura. Come documenta il Volta, «Angelo Lepreni, lapicida rezzatese, si occupa nel primo decennio del secolo dell'Altare dei Morti e della balaustrata dell'Angelo. Nel 1820 inizia la gara per il monumentale altare maggiore neoclassico, che alla fine viene affidato a Luciano Tagliani di Rezzato, realizzatore dei marmi lavorati all'Arco della Pace del Cagnola a Milano. L'orefice Pietro Pedrina cura le splendide medaglie dei 12 Apostoli sui gradini dell'altare grande. Nel 1800 compare una fattura di Vincenzo Elena, orafo neoclassico, professore al Liceo-Accademia del dipartimento del Mella ai tempi napoleonici, per una muta di candelieri che l'artista definisce uguali a quelli da lui eseguiti per il Duomo di Crema».


Restauri di rilevante impegno vennero eseguiti nel tempo. Per iniziativa del prevosto mons. Manfredi la grande chiesa venne restaurata e decorata su progetto dell'arch. Antonio Tagliaferri nei primi anni del '900, per riparare sommariamente ai danni del terremoto del 1901. I lavori culminarono nel 1911 con l'erezione dell'imponente campanile. Nuovi interventi vennero compiuti nel 1933 e, soprattutto per iniziativa del prevosto Pietro Faita, negli anni 1957-1959. Particolarmente accurati furono i restauri con il rifacimento della centinatura e copertura della cupola e delle lanterne ad opera della Carpenteria di Fortunato Slomp di Trento. Ampi restauri vennero ancora operati dal 1996 al 2002 per iniziativa del prevosto Corrini a cura di Emanuela Montagnoli Vertua e della ditta Lorenzini Angelo e figlio Giuseppe. Nuovi danni furono provocati dal terremoto del novembre 2004.


La facciata, rimasta probabilmente incompiuta, si ispira ai dettami dell'architettura sacra del '500 con aperture moderate al barocco come l'uso del dorico nelle lesene, nei triglifi, nei rilievi del fregio che corre per tutta la lunghezza della facciata, al di sopra del portale d'ingresso, tutto composto in grande semplicità.


Il portale, pure incompleto, è sostenuto da quattro colonne di stile composito. Completano l'alto frontone due torricelle a sezione quadrata, impostate agli angoli estremi della facciata e dalle quali s' alza il timpano triangolare. Avvertendone l'incompletezza, nel 1911 arch. Antonio Tagliaferri presentò il progetto di una nuova facciata particolarmente ricca di ornamenti, che, però, non venne realizzata. Il complesso esterno assume invece una sua maestosità e bellezza che viene dalla cupola, snella, leggera, slanciata, tale da dare l'impressione di una costruzione aerea. Il tamburo è assai alto (m. 2,88), la parte sferoidale è sormontata da un cupolino aperto a belvedere, sul culmine del quale sta la statua di un angelo con una tromba, su una sfera girevole del diametro di cm. 90. L'angelo giravento in rame massiccio, reca sul petto, rivestito di una corazza, lo stemma dei conti Gambara (un gambero sormontato dal cappello prelatizio) sotto il quale si trova la data 30 novembre 1674 e il nome del committente "Lucrezio Gambara", prevosto di quel tempo. Collocato sulla cupola nel 1674 vi ridiscese nel 1954 per risalirvi, restaurato, nell'ottobre 1957. Si è pensato che l'angelo sia stato ispirato all'opera "Hipnerotomachia Poliphili" del fratre Francesco Colonna (1467). Da una lettera a Lucrezio Gambara dell'11 dicembre 1674 sembrerebbe opera di un certo Francesco Costiolo, sconosciuto per altri documenti. Fu nuovamente restaurato da Gino Zanchi nel 1980. Come ha scritto Pietro Faita «se la chiesa di Verolanuova può passare inosservata per l'architettura esterna della facciata, colpisce il visitatore al primo entrare per la vastità e l'imponenza dell'ambiente e per la purezza delle linee. È a forma di croce latina, con una navata, sicché con un solo colpo d'occhio si può abbracciare tutto l'interno. Ai lati si aprono otto altari; il pavimento è a larghe lastre di marmo di Botticino, quello del presbiterio è in mosaico. Il cornicione è di ordine ionico misto, intorno al quale gira un largo fregio di fogliame rilevato in stucco di stile rinascimentale. I finestroni interni, a tutto sesto, sono separati da quelli esterni rettangolari da una breve intercapedine. Le lesene sono sormontate da capitelli corinzi. La cupola è sostenuta da quattro piloni quasi completamente nascosti da lesene, tanto da dare l'impressione dell'impossibilità di sorreggere l'immane peso. Negli angoli formati dall'incontro dei quattro archi a tutto sesto, sotto un primo cornicione rinascimentale, ornato da una fascia a fogliami e meduse in rilievo, si stagliano quattro altorilievi che rappresentano gli Evangelisti in pose ispirate. Sopra il bordo esterno del cornicione gira una ringhiera in ferro battuto che permette al visitatore di spaziare dall'alto per tutta la vastità del tempio. Nel tamburo, otto finestre rettangolari danno luce alla cupola. Le finestre sono ornate da festoni verticali di fiori e frutta in stucco, pendenti da un fermaglio a testa d'angelo. Sette inquadrature ornate di scudi purpurei, sorretti da angeli in graffito portanti detti davidici, completano la parte a cilindro reggente la calotta sferoidale, chiusa da un alto cornicione secentesco ad ovoli e dentelli dorati. Indi si leva lo snello emisfero diviso in sette nicchie dipinte, ornate ciascuna da un angelo: dalle nicchie si innalzano delle finte lesene che vanno a congiungersi in alto nel rosone centrale in rilievo, sostenuto da medaglioni a foglia d'acanto dorato. La linea dell'ornato che si ammira nella navata, continua nei bracci della croce latina e nell'abside: il medesimo fregio, i medesimi fogliami, gli stessi cordoni, le identiche decorazioni. Dove finisce la curva dell'abside del catino, appena sopra il cornicione, sono i simboli delle virtù teologali: i tre spazi sono ricavati da due lesene riunentisi in alto nel rosone. Nel presbiterio, ai lati della pala, si aprono due grandi finestre rettangolari, incorniciate dallo stesso motivo ornamentale di quelle della navata. Quivi si ammirano ancora le cantorie, delimitate entrambe da due colonne lignee a tortiglione, sboccianti da foglie d'acanto sorrette da una mensola a medusa in funzione di cariatide, ornate di fiori e di frutta su linea elicoidale. La trabeazione, un miscuglio di stili in cui predomina il barocco, è ornata da un fascione a fiorami e sorregge una cimasa. Due volute inquadrano uno scudo portante il detto davidico: «Laudate eum in sono tubae, in cordis et organo». Il parapetto è pure decorato in rilievo con fiori e cherubini che incorniciano altri vuoti, portanti versetti biblici».


La decorazione risale agli inizi del sec. XX e fu eseguita su progetto dell'arch. Antonio Tagliaferri. La volta della navata è dominata da un vasto e scenografico affresco di Gaetano Cresseri raffigurante S. Lorenzo diacono che presenta al prefetto di Roma i poveri della suburra: i tesori della Chiesa; dello stesso pittore sono gli otto Apostoli sui fianchi della volta, tra le finestre. Nella cupola il verolese Galperti ha dipinto in finte nicchie, all'interno di una ricca decorazione di grottesche e conchiglie, una folla di angeli. Tutta la decorazione venne eseguita da Angelo Cominelli coadiuvato dai fratelli Fausto e Giuseppe e da Benedetto Lò. Ai Cominelli e al Lò si devono le medaglie a chiaroscuro con episodi della vita del santo titolare. Al Cominelli si devono le Virtù, i medaglioni con angeli reggenti simboli dell'Antico e Nuovo Testamento e la graticola di S. Lorenzo, gli episodi di "S. Lorenzo che dispensa ai poveri beni della Chiesa" e del "Trasporto del corpo del Santo nelle catacombe" affrescati nel presbiterio, come pure i monocromi della cappella del SS. Sacramento ("Incontro di Cristo e della Maddalena in casa del pubblicano", "Lavanda dei piedi", "Angeli che adorano il SS. Sacramento") e di quella del Rosario ("Visita ad Elisabetta", "Angeli che adorano i simboli della purezza"). Gli angeli della cupola inquadrati in finte nicchie entro una laboriosa decorazione di grottesche e conchiglie sono infine opera del Galperti, il quale è anche l'autore delle quattordici stazioni della Via Crucis e della pala di S. Antonio all'altare di questo titolo. La tonalità d'insieme è data dall'ocra bruno-chiaro della finta tessitura architettonica che fa da sottofondo alle accensioni coloristiche delle figurazioni del Cresseri e del Galperti ed alle più sommesse incastonature delle "grisailles" giocate su varie gamme con singolare sensibilità per questo genere di pittura monocromatica (azzurro oltremare, verde-azzurro, terra verde o di Verona, ecc.).


Sulla controfacciata, sopra l'ingresso, è collocato un dipinto (olio su tela cm. 800x1000) firmato da Ludovico Gallina e datato 1786, il più vasto e compositivamente più impegnativo affrontato dall'artista, morto a trentacinque anni nel 1787, e completato poi da Pietro Tantini. A quanto scrive il Passamani il dipinto «compositivamente risente di modelli offerti dalle grandi Crocifissioni del Tintoretto e del Veronese», ma che «nella ripartizione dei gruppi denuncia una concezione teatrale, melodrammatica, probabilmente enfatizzata dal Tantini».


Entrando, si incontra a destra un altare dedicato a S. Antonio di Padova con una pala del verolese Roberto Galperti. Segue l'altare dell'Angelo Custode con una pala (olio su tela cm. 420x375) di Francesco Maffei che già il Paglia nel '700 dichiarava bellissima e nella quale, come scrive Bruno Passamani, il pittore «scatena qui la sua ansia di libertà inventiva e compositiva evocando nell'apparente unità del meraviglioso paesaggio percorso da un vento che scompone nubi, chiome d'alberi, ombre e luci, una serie di gruppi simbolici che alludono alla dialettica tra il male (Adamo ed Eva) ed il bene (il gruppo di Fede, Speranza, Carità, con la Croce, i Profeti nel fondo) entro la quale l'anima (il fanciullo) deve districarsi per giungere alla gloria dei beati». Promessa per il luglio 1647, giunse a Verolanuova nel gennaio 1650 e, sempre secondo il Passamani, tiene un posto particolare nella produzione del periodo maturo del pittore. Restaurata dal verolese Angelo Sala, venne esposta a Brescia nel 1935 e a Vicenza nel 1956.


Segue l'altare di S. Francesco Saverio (III a destra) che presenta una tela (olio su tela cm. 400x250) di Pietro Ricchi detto il Lucchese (1606-1675), che raffigura la Visione di S. Francesco Saverio che contempla il Redentore fra gli angeli con ai lati S. Chiara e S. Caterina d'Alessandria. Il Passamani dice: «tipica opera dalle tonalità fredde e preziose, realizzata con rapide e lisce pennellate, con dominanze di grigi e verdastri, essa ci offre un vasto panorama marino dominato da nuvolaglie, simile a quello del "Diluvio" all'Inviolata di Riva del Garda, databile all'incirca al 1644».


Il IV altare di destra è dedicato all'Immacolata Concezione. La pala (olio su tela, cm. 400x250) raffigura in alto l'Immacolata fra gli Angeli; in basso sta il Padre Eterno che scaccia i progenitori dal Paradiso terrestre e che simbolicamente «esalta, come scrive il Passamani, la funzione redentrice dell'Immacolata accompagnata dai segni dello specchio ("Speculum justitiae") e della porta ("Ianua Coeli") nei confronti della condizione terrena dell'umanità seguita al peccato originale. Il Ricchi ha creato una composizione di intensa e insieme raffinata espressività. Con la tesa figura del Padre, dalle vesti gonfiate dal vento, spumeggianti di verdi e rosa freddi irrorati di luce, contrastano il sereno paesaggio che slontana nei chiari del fondo e la femminilità inconsapevole di Eva, mentre l'Immacolata con la gloria d'angeli è trattata come un'evocazione inconsistente». Attribuita da Francesco Marini e da altri a Sebastiano Roma (con la data 1748), pittore assolutamente sconosciuto, da documenti dell'Archivio parrocchiale è assegnata a Pietro Ricchi detto il Lucchese. L'anno di esecuzione si legge nella cartella dell'ancona nelle parole «conceptione tua, Virgo Immacolata, fuisti 1650».


L'area presbiterale è preceduta da un vasto transetto. Sul lato di destra si apre la cappella della Madonna del Rosario per la quale, fin dal 1633, Marc'Antonio Donati disponeva nel testamento la somma di duemila scudi «per la fabbrica et ornamento della cappella del SS. Rosario» conformemente «al disegno dato dall'architetto, cioè pala dell'altare, balaustrata e nicchia della Madonna con le colonne, et capitelli, et ornamenti necessari, ogni cosa di pietra di paragone di modo che siino spesi scudi millequattrocento nell'ornamento et il residuo per far la cappella».


La cappella del S. Rosario è dominata dalla pala (olio su tela, cm. 350x200), contornata dai Misteri del Rosario (cm. 80x80) raffigurante la Madonna con i SS. Domenico, Lorenzo e Caterina d'Alessandria. Opera del Trotti detto il Malosso, è firmata «Jo. Baptista Trottus / Dictus Malossus / Cremon. s. Faciebat / Anno, a Partu Virginis MDLXXXVIII». Secentesca è invece la soasa con i Misteri del Rosario. Il 30 marzo 1652 i Confratelli del Rosario stabilirono di farla dorare da Antonio Francino e incaricarono il prevosto di cercare un pittore "eccellente" che dipingesse i misteri, pittore che Bruno Passamani ritiene, per certe connotazioni, possa essere un cremonese. Sulle pareti laterali della Cappella si stendono le due vaste pale (olio su tela cm. 1000x550) raffiguranti la Natività di Maria e l'Assunzione della B.V. commissionate dalla Confraternita del SS. Rosario ad Andrea Celesti nel 1709, restaurata da Angelo Sala nel 1933 e nel 1937. Come ha rilevato Bruno Passamani ("La Basilica di Verolanuova", p. 66): «in entrambe il pittore confermava ancora una volta la sua magistrale capacità di dilatare il tema nella dimensione del visionario e dello spettacolare contrapponendo nel vasto spazio verticale, che gli era il più congeniale, il mondo della realtà terrena a quello dell'evento trascendentale, proprio della sfera divina. Così, nella "Natività", tra la scena terrena formicolante di figure variamente impegnate attorno alla neonata Maria o al letto della puerpera, con brani di vita quotidiana e presentazione in primo piano di suppellettile domestica, e la gloria celeste con la corte dinamica degli angeli attorno al Padre Eterno entro l'alone luminoso, si instaura una dialettica inesauribile di moti, luci, ombre, evidenziata dai due nuclei di accensioni luminose che irradiano rispettivamente dall'Eterno Padre e da Maria, ma catalizzata dalla grande lampada sospesa, che è anche cardine prospettico della struttura compositiva. Lo stesso può dirsi per l'"Assunzione" nella quale, tuttavia, la scena terrena, non giovandosi, come nella "Natività", di una tradizione di notazioni domestiche, si organizza per pose e gesti più aulici con il concorso del contesto architettonico classico e ridondante. Ma gli Apostoli togati si dispongono per gruppi ed allineamenti a linee spezzate rivelando al centro, intorno al sepolcro, brani di pittura e di controluce di straordinaria efficacia». La cornice interna della pala fu eseguita nel 1621 da Marcantonio Moretti mentre quella esterna è opera di Bernardo Rivolta. Prezioso l'altare in marmi variegati a sfondo nero. Nel paliotto, fra specchi e colonnine, le statuette (cm. 35) di Davide e di Isaia.


Il presbiterio è dominato dall'altare maggiore che ha sostituito il precedente, che, nelle sue dimensioni e povertà, sfigurava nei confronti con gli altri. Nel 1820 un forte attivo convinse la Fabbriceria a ricorrere al tagliapietre Luciano Tagliani di Brescia, già autore dell'altare maggiore della chiesa di S. Nazaro di Brescia, per l'esecuzione di un nuovo altare, al quale collaborarono poi gli "scultori di marmi" Luigi e Giuseppe Giudici di Cremona, i quali utilizzando marmi di Verona, di Botticino, di Francia, di Carrara, lo completarono. Nel novembre 1821 tutto era pronto. A sua volta l'orefice Pietro Pedrini eseguì i medaglioni con le figure dei dodici Apostoli. Liquidati i conti, nel febbraio 1824 l'altare dominava il presbiterio in tutto il suo splendore.


Le cantorie sono in legno intagliato: quella per l'organo si suppone della seconda metà del seicento e di scuola cremonese; fu restaurata e dipinta agli inizi di questo secolo; le si diede una gemella per l'orchestra. Il primo organo venne costruito nel 1540 da Battista Facchetti, su ordinazione dei Gambara. Venne trasferito poi nella nuova, Basilica nella cassa sistemata nel 1625 da Feliciano Galluzzi. Venne poi ricostruito nel 1873 da Luigi Lingiardi di Pavia, restaurato da Diego Porro nel 1908 e ancora riformato portando a tre le tastiere dal Bianchetti, nel 1914, su progetto del maestro Bambini. In una classifica pubblicata negli anni '30 del sec. XX, quello di Verolanuova occupava il sesto posto fra gli organi d'Italia.


Nel coro settecentesco la parte più pregevole consiste nelle due cariatidi sovrapposte allo stallo della prima dignità capitolare. Sopra di esso uno scudo, ormai privo di insegne, sostiene il galero prepositurale coi tre fiocchi. Questo posto in coro e queste insegne erano riservate al Prevosto che, vescovo o cardinale, era investito del beneficio. Era per solito un dignitario della famiglia Gambara, ma esso ben di rado ebbe a risiedere in Verolanuova.


A destra dell'altare maggiore si apre, spaziosa, la sagrestia, arredata da mobili massicci e capaci. Un tempo conteneva suppellettili e arredi di valore, scomparsi con le soppressioni giacobine del 1797. Oggi conserva un bel "Cristo morto" ritenuto di scuola bolognese del primo '600, ritratti di prevosti, tra i quali, apprezzato, quello cinquecentesco del card. Uberto Gambara. Particolarmente preziosi sono una pianeta del '600 e un complesso di piviali, pianete e tunicelle di buon valore.


Nell'abside campeggia la grandiosa pala (olio su tela, cm. 950x450) raffigurante il Martirio di S. Lorenzo di Andrea Celesti, commissionatagli da Lucrezio Gambara ed esposta nel 1703. Sul lato di sinistra del coro si aprono un ripostiglio e l'archivio. Segue a fianco del presbiterio la Penitenzieria.


A sinistra del transetto si apre la grandiosa Cappella del SS. Sacramento. È dominata dalla vasta pala (olio su tela, cm. 600x420) raffigurante l'"Ultima Cena", opera eseguita da Francesco Maffei che, dall'epistolario dei Gambara, risulta consegnata nel giugno 1649. Già il Paglia nel "Giardino delle pitture" l'aveva qualificata «opera di meravigliosa forza di colorito e di stupendo concerto pittoresco».


Affiancano la cappella due tele (a olio, cm. 1000x550) che si fronteggiano, raffiguranti il "Sacrificio di Melchisedec" e la "Raccolta della manna" affidate dalla confraternita del SS. Sacramento (e non dai Gambara), dopo incertezze, a G.B. Tiepolo, ed eseguite tra il 1740 al 1742 circa. Sono le più vaste tele in assoluto create dal Tiepolo. Come ha scritto B. Passamani ("La Basilica di Verolanuova", p.75): «Tiepolo ha concepito la propria invenzione compositiva come se si trovasse davanti ad uno spazio da affrescare, affrontando le due pareti laterali della cappella non come due superfici distinte, ma come un continuum che imponeva simmetrie e corrispondenze strutturali e, data la scarsa ampiezza dello spazio reale, speculari effetti illusionistici di dilatazione... Entrambe le scene risultano esattamente spartite da una linea verticale centrale: nelle due metà esterne, a destra e a sinistra del riguardante si slanciano, a modo di spezzati scenici, alberi dai tronchi irregolari le cui cime si smarriscono nelle nubi con le glorie angeliche; essi, fungendo da elementi di raccordo nell'accentuato sviluppo verticale delle composizioni, ne intensificano il moto spiralico, evidenziato nella sua radice al suolo dal disporsi ad emiciclo dei gruppi umani e dal graduale ascendere dei piani. Nelle due metà interne rispetto al riguardante si spalanca il cielo che curva sui campi di nubi sopra le catene dei monti». I dipinti furono restaurati nel 1911-1912 da Francesco Annoni di Milano e dai fratelli Porta; nel 1920 e nel 1952 da Mauro Pellicioli.


Ricco di marmi variegati è l'altare. Nel pallio tra colonne e specchi le statuette della Speranza e della Carità. Scendendo sulla sinistra della navata s'incontra l'altare di S. Carlo Borromeo o "dei conti". È dominato da una pala (olio su tela, cm 400x250) raffigurante la "Madonna del Carmelo con i SS. Carlo Borromeo e Antonio di Padova che le presentano due membri della famiglia Gambara". opera del padovano Pietro Liberi. Come rileva Bruno Passamani, ha «un'impostazione monumentale, celebrativa, accentuata dal taglio diagonale su cui si dispongono le immagini e dall'elegante pronao corinzio che fa da quinta: memorie veronesiane e tizianesche squadernate su un paesaggio reale (come a Rovigo), quello di Verolanuova, nel quale spiccano il palazzo dei nobili signori titolari dell'altare, la corte antica, la chiesa di nuova costruzione. S. Carlo Borromeo e S. Antonio, patrono di casa Gambara, presentano alla Madonna del Carmelo due personaggi del casato, sicuramente i fondatori del tempio, simboleggiato dall'edificio classico che si impone sulla destra». Di notevole interesse nel quadro il descritto panorama del paese.


Il secondo altare di sinistra è dedicato alla B.V. Addolorata. Vi campeggia una pala (olio su tela, cm. 300x200) raffigurante il "Compianto su Cristo in grembo alla Madre con i SS. Lorenzo, Maria di Magdala e Giovanni Evangelista" firmata "Andrea Mainardus cognomento Chiaveghino, 1581". Opera giovanile del pittore cremonese, secondo gli studiosi sarebbe «un riflesso della "Pietà" di Michelangelo o di un modello offerto da Salviati: la versione del Mainardi, lo schema verticale e serrato negli accostamenti delle figure, che accentua il rapporto patetico col Cristo (si veda il giuoco insistito delle mani) portandolo ad un grado di espressività "nordica", sembra più prossimo a precedenti bresciani del Civerchio o del Romanino».


L'ultimo altare di sinistra verso l'uscita è dedicato alle Sante Vergini. La pala (olio su tela, cm. 450x250) infatti raffigura Cristo in gloria e le SS. Apollonia, Agata e Lucia con i SS. Antonio di Padova e Giovanni Battista. L'autore, il padovano Giulio Cirello (1633-1709), vi esprime, a quanto scrive il Pallucchini, «la sua formazione nutrita dei modi devozionali tipici della pittura emiliana (le tre sante) ma orientata verso le fini espressioni pittoriche del Forabosco e del Liberi». Di notevole interesse il panorama di Verolanuova.


Chiude il lato sinistro il Battistero. Vi è stata murata una nicchia di marmo bianco, anticamente destinata alla conservazione degli olii sacri. L'incavo è inquadrato da un bassorilievo cinquecentesco che si direbbe di scuola fiorentina: rappresenta due angeli dalle ampie vesti svolazzanti. Imponente ed elegante l'apparato delle Quarantore in misura di rococò costruito a cavallo del '700-'800 e restaurato nel 1981.




TORRE ANTICA. Fino al 1902 servì da torre campanaria dell'antica chiesa parrocchiale che G. Cappelletto ("Storia di Brescia") così descrive: «Elegante, slanciato con la bella muratura in cotto è il campanile di S. Croce a Verolanuova della seconda metà del sec. XIV, ma memore di forme romaniche pur nella esilità delle lesene angolari e di quella centrale, con le cornici orizzontali a dentelli e mensoline, con la cella campanaria a bifore racchiuse entro un arco a pieno centro lievemente acuto: i campanili di S. Caterina e di Ognissanti a Mantova sono ispiratori di questo». Come torre venne utilizzata quella della vecchia chiesa di S. Lorenzo sulla quale nel novembre 1748 venne innalzato un nuovo concerto di sei campane: la prima dedicata a S. Lorenzo, la più piccola a Maria Immacolata; due offerte dalle Dimesse e due dalla parrocchia di Verolavecchia.




NUOVO CAMPANILE. L'instabilità dell'edificio fece sì che nel 1902 venisse proibito l'uso delle campane convincendo il prevosto Manfredi e la popolazione ad innalzare una nuova torre che, sacrificando la chiesetta "del Suffragio", venne eretta tra il 1907 al 1911. Ne fu affidato il progetto all'arch. Antonio Tagliaferri che aveva già diretto i lavori di restauro della basilica. Posta la prima pietra nel maggio 1907, l'opera, per un costo di 45 mila lire, venne realizzata, sotto la direzione dell'ing. Giovanni Tagliaferri, dalla Cooperativa muratori di Verola diretta dal capomastro Giovanni Quaranta. Il concerto campanario, fabbricato dalla ditta Pruneri di Grosio in Valtellina, venne benedetto il 26 marzo 1911 da mons. Giacinto Gaggia. Composto di nove campane (in la bemolle grave) di un peso complessivo di 110 quintali (il solo campanone, il più grosso in provincia, ne pesa 32) risultò uno dei più apprezzati. Salvatosi dalle requisizioni belliche del 1942, venne zittito da un fulmine il 2 aprile 1994. Restaurato dalla ditta Capanni di Castelnuovo Monti (RE) ritornò a suonare nel Natale successivo.




CIMITERO. In seguito alle leggi napoleoniche (1806), scelta la località intorno all'antica chiesa di S. Giorgio, il 29 maggio 1809, su progetto dell'arch. Bartolomeo Cagna di Quinzano d'Oglio, venivano appaltati i lavori all'impresario Luigi Galperti. Nuovi progetti vennero avanzati dall'ing. Giuseppe Tadini. Un progetto di completa ristrutturazione venne proposto nel 1922 dall'arch. Angelo Albertini e pubblicato dalla rivista "Architettura Italiana" del dicembre dello stesso anno. Ma poi abbandonato, vennero adottati solo interventi di tecnici comunali. Nel 1925 demolita la chiesa di S. Giorgio, fu sostituita con l'attuale Cappella nella quale venne collocata la pala del verolese Giacomo Mondini antecedentemente esposta nella chiesa demolita. La tela, rubata nel 1989, fu sostituita da una copia del "Compianto su Cristo", opera del Mainardi eseguita nel 1581 e custodita in Basilica.


Molto frequentata la fiera del 23 aprile che attirava al cimitero vere folle.




CHIESE SUSSIDIARIE.


DISCIPLINA o DI S. CROCE o DEL S. CUORE. Appellativo dato alla vecchia chiesa parrocchiale di S. Lorenzo dopo la costruzione della nuova, concessa ai Disciplini della S. Croce il 29 giugno 1647 dal vescovo Marco Morosini, in occasione della visita pastorale. Siccome però la chiesa risultava troppo angusta come parrocchiale, ma troppo vasta per i Disciplini, il visitatore ordinò che ne venisse demolita una parte e che le pietre ricavate venissero adoperate per completare i muri esterni della nuova parrocchiale. Tuttavia il 4 maggio 1675 i Disciplini in una supplica fecevano presente che «riusciva talmente angusto il coro et sito nel quale fanno le loro fontioni et ufficiature della chesa alias parocchiale a tal effetto già assignatali in luoco del loro proprio oratorio per occasione della fabbrica della nuova parrocchiale destrutto, per l'aumento continuo nella fabbrica dell'ampliamento del choro dell'antica parocchia». Come rileva S. Carini «è questa forse l'indicazione del rifacimento stilistico barocco dato all'interno della chiesa». Lo stesso S. Carini rileva ancora come sia «di difficile lettura l'interessante campaniletto posto all'estremo E del fianco N e le annesse sagrestie: elementi aggiuntivi realizzati in tempi diversi ed in parte su preesistenze, che potranno essere meglio definiti solo dopo idonee indagini».


Di grande interesse è l'altare il cui paliotto in marmi policromi riproduce la "Disciplina" rappresentata in una figura femminile in camice bianco e cappa nera mentre versa abbondante acqua (la preghiera) sulla fiamme che avvolgono le anime del purgatorio. Le lesene laterali al paliotto sono anch'esse decorate con marmi policromi e rappresentano, sotto ad un teschio, una clessidra (lesena di destra) ed un altro oggetto, posto sulla lesena di sinistra, di difficile interpretazione. La volta finì con il nascondere la copertura originaria di tavolette in cotto decorate. Vennero inoltre costruiti i portali marmorei e venne addossato alla controfacciata il matroneo sostenuto da due colonne.


La chiesa divenne poi una specie di famedio con tombe delle famiglie più in vista. Spalenza, Sandri, Venturi ecc., come lo era in precedenza dei Gambara dei quali rimangono due lunghe iscrizioni, una delle quali dedicata al conte Nicolò Gambara. Nel 1800 venne usata per la dottrina cristiana alle ragazze e per oratorio per i giovani. Particolarmente venerata è la Madonna del Campanile che si trovava su un altare a destra della chiesa sotto la loggetta, dove ora si leggono i seguenti eleganti versi: «Haeserat hic almae portentum / Virginis icon; turris nolarum trito / quae nomine gaudet, / sed traslata fuit, nitidaque refulget / in ara - in qua nunc colitur / sua fundens munera cunctis / die XIX aprilis MDCCLXV» che Paolo Guerrini ritiene dettati dal latinista verolese don Stefano Rozzi e che così traduce: «Qui stava la miracolosa immagine dell'alma Vergine che vien chiamata da tutti col titolo del "campanile", ma fu trasportata e splende sul nitido altare dove ora si venera e a tutti i suoi favori dispensa - 19 aprile 1765».


Sulla parete destra, di fronte all'altare della Madonna, si erge la tomba del conte Nicolò Gambara (m. nel 1595) e sotto, in una piccola lapide, con una delicata e soave iscrizione latina, il mesto ricordo verginale di una gentile fanciulla, Margherita Speciano Gambara, destinata sposa a un Gambara e morta innanzitempo a soli 14 anni. Sotto il loggiato del coro è rimato un affresco votivo nel quale sono raffigurati la Madonna del Rosario col Bambino, i SS. Domenico e Caterina da Siena, la beata Paola Gambara Costa, oltre ad un papa, un cardinale, sacerdoti da un lato e nell'altro personaggi nobili.


Con il titolo di S. Croce la chiesa compare ancora nel 1914, nel 1938, mentre nel 1955 compare come dedicata al S. Cuore, per tornare poi ad essere intitolata alla S. Croce. Gli ultimi restauri risalgono al 1998-1999 per iniziativa del prevosto don Corrini.


Di grande interesse e non priva di suggestione è la massiccia torre che affianca la chiesa. La data, 1473, rinvenuta ai piedi della torre sul lato N sembra riferirsi alla costruzione del campanile che secondo S. Carini doveva, originariamente, essere «più bassa dell'attuale, con tre ordini di palchi in muratura e volta a crocera. Era formata da quattro vani sovrapposti: il primo al piano terra, adibito a presidio e custodia, il secondo con accesso a quota alta per la manovra delle campane, il terzo per l'alloggio degli ingranaggi dell'orologio con l'unico quadrante prospettante in lato O, ed il superiore quarto vano come vera e propria cella campanaria. La data (1667), riportata su uno dei vecchi mattoni dell'attuale cella campanaria superiore, indica forse il momento del sopralzo del campanile. Col sopralzo si aggiungeva alla torre un nuovo palco in legno e la stessa veniva sopraelevata di circa cinque metri e provvista di superiore guglia. La nuova cella serviva così ad un alloggiamento più alto delle campane, mentre la sottostante e precedente cella campanaria accoglieva gli ingranaggi di un secondo quadrante» su lato N rivolto verso il centro della borgata. L'edificio servì come torre campanaria della nuova chiesa parrocchiale fino al 1902 quando, per guasti, le campane vennero ridotte al silenzio e nel 1911 furono fuse per il nuovo concerto e trasportate sulla nuova torre. La torre vecchia è stata poi restaurata dal 1981 al 1983 ad opera del prevosto don Corrini.




S. DONNINO E S. GOTTARDO. Sorge sulla strada che congiunge Verolanuova alla statale Brescia-Cremona. L'attuale chiesa è stata riedificata su una precedente nell'area dell'antichissimo monastero femminile benedettino dedicato al Santo vescovo martire di Fidenza invocato come protettore dei cacciatori e contro l'idrofobia. Altra antica dedica era a S. Gottardo, invocato contro le malattie artritiche. Ricordato da documenti dal 1194 al 1250 e poi scomparso nel sec. XIII il monastero, la chiesa in rovina venne riedificata nel sec. XV. Papa Urbano VIII il 26 settembre 1629 concedeva l'indulgenza plenaria a coloro che visitavano la chiesa il 4 maggio, festa di S. Gottardo, e il 9 ottobre, festa dei SS. Donnino e Dionisio. La chiesa fu ristrutturata nel 1697, mentre i beni del monastero, dopo alterne vicende, vennero, dal card. Uberto Gambara, uniti alla Collegiata e poi incamerati nel 1797 dalla Repubblica Giacobina e venduti a privati. Nel 1841 era trasformata in teatro. Rimase aperta e officiata la domenica, grazie ad un legato di Laura Lachini, fino a tempi recenti. Venne poi spogliata di arredi, da proprietari e ladri. Negli anni '90 la chiesa venne donata dagli ultimi proprietari (ECA - Casa di riposo) alla parrocchia che nel 1995 avviò opere di restauro affidate all'arch. Silvio Carini.




S. ROCCO E S. BERNARDINO DA SIENA. Sorge sulla riva inferiore dello Strone ed è una chiesa votiva eretta, forse, sulla fine del '400; nel secolo seguente, dotata con beneficio semplice dalla famiglia Sala, divenne sede della Confraternita di S. Rocco. Sul portale si legge: «Societatis Sancti Rochi opus». Un documento del 6 giugno 1537 ci fa sapere che ne era investito il sac. Giorgio Roba di Pralboino, il quale poi rinunciò il beneficio a favore del vicario generale Lorenzo Muzio, e in suo luogo venne investito il chierico Bernardino qd. Domenica Sala di Verola, presentato dal patrono Francesco qd. Ziliolo Sala (o De Salis).


Lungo il '500 venne affrescata, come dimostra una figura del 1527 raffigurante un santo vescovo, scoperta da Sergio Pagiaro nel 1980. La presenza di S. Bernardino si deve probabilmente alla devozione di casa Gambara per il santo invitato, nei soggiorni bresciani, a Pralboino a fondare il convento di S. Maria degli Angeli. La Confraternita, nel 1621, provvedeva alla costruzione di un sepolcro per i confratelli. Nel 1715 la primitiva volta ad archi decorati venne coperta da una volta barocca.


Come scrive Pietro Faita, «per voto della Cittadinanza e della Autorità Municipale, ogni anno il primo aprile veniva cantata in questa chiesa una S. Messa votiva per aver ottenuto, mediante l'intercessione di S. Rocco, la rapida cessazione della peste (1630). Ora, per comodità della popolazione, il voto viene sciolto la seconda domenica di Pasqua. In tale ricorrenza il Comune offre un pacco di candele e di incenso».


È stata restaurata nel 1966 e arricchita di due quadri, raffiguranti l'Annunciazione e la Nascita di Gesù, provenienti dalla basilica (ora riportati nella sagrestia della basilica per motivi di sicurezza), e da allora rimase aperta al pubblico e venne poi scelta come santuario parrocchiale della Madonna di Caravaggio. Nuovi restauri vennero eseguiti nel 1980-1982: rifacimento dei tetti e di tutto l'esterno, con drenaggio per liberare l'edificio dall'umidità.


La facciata è particolarmente semplice e lineare. Contornata da leggere lesene, ha una semplice porta ed una finestra tripartita. Particolarmente elegante il cinquecentesco campanile. Sulla controfacciata sorge un coretto, le cui pareti vennero affrescate con episodi della vita di Gesù; nelle nicchie vi sono figure di personaggi dell'Antico Testamento (Mosè, Ezechiele), S. Gregorio Magno e altre figure irriconoscibili anche dopo i restauri operati da Mario Pescatori nel 1966.


Bella l'acquasantiera in marmo, come in marmo sono i tre altari. Sull'altare di destra vi è una pala raffigurante la Madonna di Caravaggio firmata "Gio. Batta Rovetta". Nell'abside campeggia una pala raffigurante la Madonna col Bambino con ai piedi S. Lorenzo, S. Rocco e S. Bernardino da Siena, opera di Antonio Gandino e contenuta in un'ancona a volute comprendente un reliquiario già nominato nel 1714. Sulla pala dell'altare di sinistra compaiono le figure di S. Carlo Borromeo, S. Firmo e S. Sebastiano. Di particolare pregio è l'altare in marmo, ricco di putti, fiori, frutta e un delfino. Una campata intera è ricca di affreschi votivi, dei quali uno con la dicitura «F.F. Guglielmo de Valentinibus tinctor 1527», nei quali compaiono S. Rocco, S. Sebastiano, S. Bernardino da Siena, S. Gottardo, la B.V. "del Latte", gli arcangeli S. Michele, Gabriele e Raffaele.


Una CAPPELLA VOTIVA venne eretta sull'angolo di via Dante e via Carducci e fu dipinta dal pittore verolese Mario Este con un affresco di 3 metri raffigurante la Madonna col Bambino fra i SS. Rocco e Francesco d'Assisi. Venne benedetta dal prevosto Faita nel giugno 1960.




S. GIORGIO. E stata così denominata la cappella del Cimitero costruita negli anni '20 in luogo dell'omonima chiesa abbattuta.




IMMACOLATA. Cappella dell'Ospedale.




MARIA SS. BAMBINA. Oratorio femminile.




SANTELLE.


Numerose le santelle: in via Volta (Madonna col Bambino, e attiguo, un ritratto di Garibaldi!), via Ricurva (Madonna di Valverde di Rezzato), via Castello n. 1 (Maternità), via Carducci n. 1 (Madonna con Bambino e i santi Rocco e Francesco), via Verdi n. 48 (Maternità), via R. Sandri all'ultima casa sull'angolo di via G. Bruno (immagine sacra), via Dante 68 (medaglione per un ingresso di cortile raffigurante la Madonna delle Grazie), via R. Sandri (medaglione per un ingresso di cortile con una Maternità), via Stadio (chiesetta della Madonna di Caravaggio), via L. Semenza (una nicchia dedicata alla Madonna di Lourdes).




CHIESE SCOMPARSE.


S. FILIPPO NERI. È ricordata nella visita del vescovo Marino Giorgi del 1624 come da poco edificata e affidata ad una Confraternita. La registra il Faini nel 1658. Spogliata nel 1797 di ogni bene, era ancora funzionante nel 1814.




S. GIORGIO. Antico oratorio o chiesa campestre che sorgeva all'estremità del viale che oggi dà accesso al Cimitero. Il santo titolare richiama tempi longobardi nei quali S. Giorgio era particolarmente venerato sia come difensore dei deboli e degli innocenti, sia come protettore dei campi e dei coltivatori. Fuori del centro abitato fu, secondo il Bonaglia, un ospizio per viandanti.


Il primo documento che vi accenna è un atto notarile del 6 maggio 1536 con il quale il conte Brunoro Gambara investe a "perpetuo livello", anche a nome del fratello Uberto vescovo di Tortona, l'eremita frate Rocco Malvezzi di Mompiano della chiesa campestre di S. Giorgio e rispettivi diritti in territorio di Verola Alghise, dietro il pagamento di un canone di due paia di capponi nella festa di S. Martino o sua ottava, attraverso una complicata immissione di possesso, celebrata dal canonico verolese Quirino o Guarino Luzi. Altri atti notarili richiamano immissioni di possesso nel 1538 di fra Pacifico Rivetti, nel 1540 dell'eremita Battista Fachinzetti e in documenti di permuta di beni del 1538. In atti ufficiali, invece, la chiesa compare in occasione della visita pastorale del 1565 del vescovo Bollani nei quali atti viene annoverata, tra le cappelle sparse nel territorio di Verolanuova, come dotata di 60 tavole e ancora nel 1624, nella visita del can. Giorgio Serina.


Dal 1572 negli atti delle visite pastorali compaiono notizie più specifiche sugli altari. Vi si accenna infatti all'altare maggiore dedicato alla B.V. Maria e a due altari, uno dedicato a S. Bartolomeo, l'altro collocato fuori la chiesa, che devono essere demoliti. Si parla pure di oggetti sacri da restaurare. Nel 1580 vengono ordinate anche riparazioni al tetto e proibito l'uso profano. Durante il seicento la chiesa si arricchisce di legati per cui gli atti del vescovo Badoer nel 1714 registrano che vi celebra una messa la domenica per legato di Calisto Baiguera e un'altra messa nelle feste e prefeste per legato di Giorgio Bornati.


Nuovo destino doveva aver la chiesa in seguito alla costruzione, nei suoi pressi, del cimitero benedetto il 14 febbraio 1812. Infatti la chiesa divenne subito mèta di devozione e celebrazioni come dimostra la ricchezza di arredi, di paramenti, di quadri, documentata in inventari del 1861 e del 1867. Nel 1826 Leone XII dichiarava privilegiato a suffragio dei defunti l'altare maggiore che nel 1866 venne adornato di una pala dipinta dal verolese Giacomo Mondini «a memoria» dei suoi defunti, rappresentante la Madonna col Bambino con i SS. Giorgio, Giovanni Battista e Francesco. Come ha scritto S. Carini: «nell'ovale, al centro dell'alzata dell'altare, appare (presumibilmente) la figura di S. Andrea Avellino, morto mentre stava accingendosi a celebrare la messa e, quindi, posto a protezione delle morti improvvise».


La chiesa era adorna di affreschi cinquecenteschi tra i quali una Madonna col Bambino incastonata in una bella soasa di marmo, poi scomparsa. Aveva due altari laterali, dei quali uno con una pala con la Madonna che allatta il Bambino e l'altro sormontato da un'artistica statua della Madonna nera probabilmente secentesca. La chiesa venne abbattuta nel 1925 per ampliare il cimitero. L'altar maggiore fu trasferito nell'attuale chiesa che sorge al centro del lato sud del cimitero.




MADONNA DELLE VINCELLATE o "SANTÈLA DEI BATÀI". Esisteva presso il fienile Maco a S dell'abitato di Verolanuova, poco dopo il ponte detto "de la lüna", a fianco della linea ferroviaria Brescia-Cremona, sovrastante, secondo una relazione del geometra Gogna del 1927, il vaso Cesaresca «mediante ponte di cotto con spalla in disordine».


Venne eretta, su un terreno donato da Pietro Bornati, da don Giuseppe Monteverdi (Verolavecchia, 1861 - Cremona, 1923), giovane curato di Breda Libera (ordinato sacerdote nel 1891), come suggerisce un'epigrafe che si trovava nella chiesa e poi riposta nei magazzini dell'Ospedale di Verolanuova, che dice: «Bornati Pietro / donato fundo Anno Domini MDCCCLXXII / Die III Februarii / Monteverdi Josephus / erexit a fundamentis Sanctuarium / B. V. M. dicatum». A parte la data (1872, ma probabilmente 1892), con tutta probabilità letta male da chi l'ha riportata, è interessante rilevare come nel resto dell'epigrafe si legge il richiamo all'edificazione del santuario su una precedente "cappella delle battaglie, santèla dei Batài", eretta a ricordo di uno scontro inventato di sana pianta da autori dell'800 quali il Biemmi, creatore di una cronaca che racconta i più mirabolanti fatti di guerra. Infatti in un altro resto d'epigrafe si legge: «Questo Santuario / fabbricato sulle rovine dell'antica cappella delle battaglie / ricorda Alghisio Gambara / conte e signore del feudo di Verola / valoroso capitano / strenuo difensore del proprio territorio / quivi invocato l'aiuto della Vergine SS. / ebbe da Lei lo stratagemma del taglio delle piante / massacrando con pochi soldati il nemico / presso l'antica boscaglia delle Vincellate. / I verolesi salvati dal ferro e dal fuoco / cantando lodi a Maria / entrarono in paese contrada Cantalodi / lasciando ai posteri questo sacro ricordo». La zona SE di Verolanuova continua ad essere chiamata popolarmente "Cantalodi".


Don Monteverdi, lasciata la Breda dopo essere stato curato a Capriano (1897) e a Nave (1899), nel 1902 approdò a Borgosatollo dove volle edificare un nuovo santuario mariano alla B.V. della Misericordia e dei defunti per la peste. Già pronto nel 1907, entrando in deciso contrasto con il parroco, la curia, il vescovo, così che gli furono interdette la celebrazione della S. Messa, la predicazione e le confessioni ovunque, al di fuori che a Verolanuova, dove di fatti ritornò, morendo poi a Cremona nel 1923, mentre il santuario venne abbattuto. Come hanno documentato E. De Angeli, D. Francesconi, F. Vergine (in "Ombre senza voce", 1988), «il piccolo tempio era semplice nell'architettura, come si conveniva ad una costruzione campestre; la si notava tuttavia a distanza per una cupoletta circolare, insolita nelle chiese di campagna, e una piccola torre. Incerte sono le dimensioni dell'edificio: i più concordano per una lunghezza di sei metri ed una larghezza di quattro circa. Una descrizione abbastanza completa del complesso architettonico e delle sue condizioni risulta dall'"Atto di consegna" firmato dal geometra Oreste Gogna il 30 luglio 1927. Vi si accede dalla stradella soprannominata per mezzo di apertura avente stipiti e cimiero in cemento, soglia in parte di vivo ed in parte di cemento, serramento costituito di due vecchi battenti logori muniti di serratura, chiave, pomale di ottone e contrafforte di ferro. Ha pavimento formato di quadri di cotto di cui n. otto sono smossi. Pareti con dipinti scrostate in parte ed ammalorate. Soffitto a volto reale con cupoletta. Tetto con tegole a canale alquanto in disordine. Altare di cotto con superiore dipinto rappresentante la Madonna di Caravaggio. Due finestre laterali all'altare difese da feriata, grata filo ferro e telai deperiti con complessivi due vetri buoni. Finestrelle della cupola difese come sopra e con un vetro buono ed uno filato. Tre finestrelle superiormente all'atrio difese come sopra e con due vetri rotti". La tipologia della facciata era semplice; su essa si apriva una porta centrale sormontata da tre finestrelle. La descrizione mette in evidenza il precario stato di conservazione. Modesto era anche l'interno. Il soffitto era a volta con una cupoletta, nella quale si aprivano finestrelle: l'ambiente doveva essere piuttosto luminoso, se la luce penetrava anche da due finestre a lato dell'altare e da tre finestrelle sopra l'atrio». Esisteva anche una se pur piccola sagrestia e una piccola torre sormontata da una cuspide munita di croce di ferro. La chiesetta fu, per qualche decennio, al centro di viva devozione come dimostravano gli ex voto che vi venivano conservati e la frequentazione di fedeli. Alcuni fatti accaduti fecero pensare a miracoli. Si parlò perfino di apparizioni della Madonna. Ma, ormai malandato, nel 1965 venne abbattuto il campanile e, subito dopo, la chiesetta fece la stessa fine.




S. MARIA "SOPRA IL CIMITERO". Sorgeva "in Castro" (o Castel Vecchio), "super Cemeterio" di S. Lorenzo ed è citata la prima volta in un documento del 30 luglio 1496. Era probabilmente a N oltre il cimitero di fronte alla parrocchiale di S. Lorenzo, fungendo probabilmente da Disciplina. Di essa veniva redatto un inventario, durante il parrocchiato verolese di mons. Mattia Ugoni vicario vescovile e vescovo titolare di Famagosta. L'inventario, come sottolinea Tommaso Casanova, era ricco di suppellettili preziose, di paramenti e arredi liturgici.


La piccola chiesa era, con tutta probabilità, affidata e retta dalla "Scuola e Congregazione di S. Maria di Verola", il cui nome compare in un testamento del 7 aprile 1513, ma che doveva essere molto più antica. Nella chiesa esistevano due altari, dei quali uno piccolo, che sorgeva appena all'ingresso o fuori, venne tolto dopo reiterate intimazioni dei prelati in visita pastorale. Essendosi dimostrato «piccolo e inadeguato», il piccolo oratorio venne sacrificato, per ordine di S. Carlo Borromeo, nel luglio 1580, mentre l'immagine della Beata Vergine che vi era venerata venne trasferita nella chiesa parrocchiale del tempo. In essa Tommaso Casanova sospetta sia da individuare la cosiddetta Madonna del Campanile collocata su un altare laterale e ancora oggi venerata nella chiesa della Disciplina.


Nel 1498 tale Bartolo di Oriano disponeva che entro due anni dalla sua morte venissero eseguite le immagini della B.V. Maria e del glorioso S. Nicola da Tolentino, invocato contro la peste, e venisse costruita una croce. Ciò fa sospettare che nella chiesa vi fossero altri dipinti ex voto. Oltre ad altri legati e disposizioni di vario genere e per sepolture, è interessante il testamento di maestro Filippo Girelli del 29 gennaio 1514 e di altri ancora (1527, 1538 ecc.) che lascia un ducato peri restauri o per l'esecuzione di decorazioni. Nella chiesa vennero inoltre erette due cappellanie di rilievo, una per celebrazione di S. Messe del conte Brunoro Gambara (testamento del 9 agosto 1529) e l'altra di don Guarino Luzi (o De Luciis) (testamento dell' 1 luglio 1557) che dispone, oltre ad una cappellania quotidiana, che il suo corpo venga seppellito in S. Maria di Verola dietro l'altare Maggiore in un'urna costruita appositamente. Nella visita pastorale del 1565 il vescovo Bollani trova che la chiesa è consacrata e in essa si celebra ogni giorno per il legato perpetuo di don Luzi. Fu soppressa nel 1580.




S. MARIA DEL SUFFRAGI. Sorgeva in contrada Castello vicino al cimitero della parrocchia, presumibilmente nel luogo dove in precedenza esisteva quella di S. Maria "sopra il Cimitero". Ai tempi della visita del Bollani (1565) era già consacrata e vi si celebrava ogni giorno grazie ad un legato perpetuo del sac. Guarino de Luciis. Fu sede della Confraternita del Suffragio. Forse demolita per far luogo alla nuova chiesa parrocchiale, la sua memoria riemerge dal verbale del 28 ottobre 1646 della Confraternita del Santissimo Suffragio, la quale decide di acquistare "il logo" di Felicita Belegrandi «per essere bisogno di fare un oratorio» per la compagnia stessa. L'erezione della chiesa ebbe subito esecuzione ad opera di messer Bernardino Maestrello, sopra intendente Giovanni Giacomo Facino. Finito nel giro di mesi, il 27 novembre 1648, il Consiglio si riuniva nel nuovo "oratorio", mentre negli anni seguenti venivano compiute opere di completamento (1650) e fatto acquisto di arredi.


Gli atti della visita del card. Ottoboni del 1653, pur sottolineando che la chiesa era stata a nuovo (noviter) costruita, rilevano che ancora l'altare non era finito e perciò non vi si celebrava. L'altare non era tuttavia ancora finito nel 1663, mentre nel 1666 veniva decisa la costruzione della sagrestia. Cure alla chiesa vennero riservate negli anni seguenti: nel 1684 l'edificio veniva provvisto di una nuova ancona e nel 1714 di un nuovo paliotto dell'altare. Cura particolare venne posta negli arredi che risultano ancora abbondanti dagli inventari del 1861, mentre la chiesa conserva un solo altare con una pala raffigurante la Beata Vergine e le anime purganti. Vi sono poi altri quadri: di S. Biagio, di S. Camillo de Lellis, di S. Girolamo e di S. Maria Maddalena.


Ridotta sempre più in miserevole stato e abbandonata, la chiesa venne nel 1907 sacrificata all'erezione del campanile della basilica, progettato dall'arch. Antonio Tagliaferri.




S. ORSOLA. vedere Collegio delle Dimesse.




CUORE IMMACOLATO DI MARIA. Cappella ricavata nel 1968 in una scuderia di Castel Merlino, per le Suore Operaie. Ora non esiste più.




ADDOLORATA (ospedale).




CONVENTO DEI CAPPUCCINI. Esistette a S dell'area verde posta ad O e sotto il parcheggio posto ad E dell'attuale via M.L. King. La decisione di fabbricarlo partì intorno al 1605 per iniziativa di tutta la comunità di Verolanuova, soprattutto per «servire il popolo di confessioni». In un primo momento si pensò di invitare i francescani zoccolanti. Trovando molte opposizioni, vennero proposti i padri Eremitani di Agostino, destinando loro la chiesa di S. Giorgio. Fallito il tentativo, vennero invitati i Cappuccini fabbricando un convento dalle fondamenta. Paolo Guerrini ritiene «vero fondatore del convento il conte Francesco Gambara, al quale si associò il fratello conte Annibale mentre a lanciare l'idea della fondazione dello stesso, sempre secondo il Guerrini, sarebbe stato p. Eliseo da Verola (1565-1625) che, devotissimo della Madonna, volle che la chiesa del Convento fosse dedicata alla Concezione della Beata Vergine. Dieci pertiche di terra vennero donate dal conte Annibale Gambara (acquistate appositamente da Bartolomeo Cola), altre dieci dal mercante Gerolamo da Brescia, e il resto del terreno da Francesco Belleri detto Gobbo, dai fratelli Francesco e Antonio Patini. Il conte Francesco Gambara offrì tutto il legname, ricavato dal bosco esistente verso Manerbio. Sul luogo venne costruita una fornace mentre tutta la popolazione concorse con offerte e lavori. La raccolta delle offerte e l'amministrazione dell'impresa vennero affidate ad un fabbriciere "sovrastante", Marc'Antonio Donati, che operò con la collaborazione di tre altri fabbricieri. Il Donati ebbe il privilegio di essere seppellito con la moglie nella chiesa del Convento. Oltre ai Gambara furono particolari benefattori Girolamo Barcella, Francesco Boesi. Iniziato nel 1608, vennero via via costruite ventitre cellette, la biblioteca, il refettorio, la cucina e altri ambienti necessari alla piccola comunità che nel 1610 incominciò ad abitarlo. Infine venne eretta la chiesa dedicata alla Concezione della B.V. Maria, consacrata il 25 giugno 1625 dal verolese mons. Michele de Varolis o Verolis, vescovo di Zante e Cefalù.


Il convento ospitò religiosi di notevole importanza, fra i quali, superiore di conventi, definitore provinciale e di grande carità, p. Anselmo da Brescia (1623-1681), p. Lorenzo da Casaletto (m. nel 1662), p. Desiderio da Oriano, zelante missionario nella Rezia, p. Nicolò da Gambara, lettore di filosofia e teologia, p. Antonio di Lonato (1713-1763), definitore provinciale, prefetto apostolico nelle Missioni di Rezia, p. Antonio di Alfianello (m. nel 1755). Tra i superiori originari di Verola si ricordano p. Giuseppe Lachini (1650-178), il nob. p. Giambattista Soncini (m. nel 1686), p. Gian Francesco Bornati (1689-1763), p. Gianfrancesco da Verola (1748-1826).


Nel 1630 i cappuccini si dedicarono con grande generosità, lasciando alcuni di essi la vita stessa, nell'assistenza agli appestati. Ai cappuccini furono attribuiti addirittura dei miracoli.


I Gambara furono sempre larghi di benefici e, per merito loro, l'orto venne nel 1646 e nel 1670 dotato dell'acqua necessaria per prosperare.


Stretti legami con il convento ebbero le parrocchie vicine. Così, ad esempio, dal 1744, la Confraternita del SS.mo Rosario si impegnava a dare in perpetuo una volta l'anno al convento mezzo peso d'olio d'oliva. Salvatosi dalla soppressione di conventi disposta dalla Repubblica veneta, il convento venne soppresso dal Governo giacobino e depredato dai rivoluzionari fino a quando Vincenzo e Brunoro Gambara acquistarono l'immobile. Sopraggiunti nell'aprile 1799 gli austro-russi, il convento venne riconsegnato il 16 agosto ai religiosi Cappuccini. Sopravvissuto ad una nuova soppressione del 1805, accolse religiosi di altri conventi, ma non sfuggì ad un nuovo provvedimento. Il 25 maggio 1810 il viceprefetto di Verolanuova Carlo Galvani, assieme a Giovanni Lombardi dispensiere delle Finanze e Giuseppe Girelli rigattiere, convoca nella sala del refettorio, assieme al superiore fra Guglielmo di Brescia, la decina di sacerdoti, cinque laici professi, quattro terziari e comunica loro la soppressione del Convento. In seguito il convento venne completamente demolito.




COLLEGIO DELLE DIMESSE. Come ha scritto Paolo Guerrini, «le prime remote propaggini del Collegio risalgono adunque alla fine del cinquecento o al principio del seicento, ma di queste prime Dimesse verolesi non abbiamo sicura memoria. Soltanto dopo la terribile pestilenza del 1630, quella che passa sotto il nome di "peste del Manzoni", si vedono riunirsi insieme anche a Verola le prime Dimesse e costituirsi poi a vita comune nel Collegio di Sant'Orsola». Il collegio venne fondato, secondo il Libro I degli Istromenti conservato nell'Archivio di Stato di Brescia, il 24 giugno 1633, da quattro "figlie" della compagnia di S. Orsola fondata da S. Angela Merici, le quali decisero di vivere in comune secondo le regole delle Dimesse. La piccola comunità nacque «senza alcun fondamento di beni», vivendo di carità e col frutto dei loro lavori. Ma già pochi mesi dopo, con testamento dell' 1 novembre 1633, don Vittorio Donati, a sua volta erede del padre Marc'Antonio, uno dei maggiori fondatori del convento dei Cappuccini, disponeva «di una Casa commoda con Oratorio per celebrarsi messa commoda per le Demesse di questa Terra et anco forestiere et si proveggano d'un sacerdote timorato di Dio che ogni giorno vi celebri la santa Messa, al qual effetto voglio siino dati scudi cento, et per fabricar detta habitatione voglio si spendano tre milla scudi delli denari de' miei crediti non toccando il capitale de' stabili quale voglio duri intiero in perpetuo».


Pochi anni dopo, il Collegio ebbe la sua stabile fondazione grazie alla giovane Camilla Sala, la quale, come si legge ancora nel Libro I de Istromenti, entrando il 22 novembre 1640 nella piccola comunità, «unico avanzo della sua Famiglia tutta estinta dalla Peste nell'anno 1630, portò con seco tutto quel di casa sua consistente in Piò 23 e Tavole 48 di terra di sotto il Fiume Strone, e qualche poco di Mobili, che servì per dote della stessa; e questa è stato il primo fondamento».


Grazie alle eredità di don Donati e ai capitali portati dalla giovane Sala, nel 1640, con istromento del 12 luglio rogato nel Castel Merlino, Luigi qd. Emilio Beluschi, procuratore e governatore dell'eredità Donati, comperava a nome delle Dimesse la casa di Giulia Marini nella contrada della Maestà; questa casa divenne la sede del Collegio, e la contrada fu quindi chiamata delle Dimesse. Altre compere di case e di fondi adiacenti furono fatte dal 1640 al 1650 per ampliare e sistemare i locali, per cui, grazie all'intervento della contessa Chiara Maria Martinengo, sposa del conte Carlo Antonio Gambara, il vescovo Marco Morosini, con decreto del 12 luglio 1651, concedeva la costituzione canonica del Collegio e il permesso di erigervi un oratorio dedicato a S. Orsola, benedetto poi dal parroco di Verolanuova don Pietro Bassignani.


Nel 1653 per i tipi di Antonio Rizzardi uscivano le «Ordinationi per il Collegio delle Demesse di Verola Alghise Eretto dall'Illustriss. et Reverendiss. Monsignor Marco Morosini vescovo di Brescia Sotto la Protettione dell'Illustrissima Signora contessa Chiara Martinengo Gambara (con xilografia rappresentante un sacerdote in pianeta che dispensa la S. Comunione). In Brescia, MDCLIII. Per Antonio Rizzardi».


Nella chiesa trovarono sepoltura, oltre alle molte Dimesse, la già ricordata contessa Chiara Maria Martinengo morta nel 1660 e la giovane sua nuora contessa Giovanna Savorgnan, moglie del conte Lucrezio Gambara, morta a soli 28 anni il 21 agosto 1683.


La chiesa fu arricchita di insigni reliquiari. Le Dimesse vissero sotto una regola severa, dedite al lavoro, all'educazione di fanciulle del luogo e di altri paesi, e alla catechesi alla gioventù femminile di Verolanuova, distinta in classi. Il numero delle Dimesse raggiunse e superò la trentina ai primi del Settecento, per dimezzarsi un secolo dopo. Ma altrettante vissero all'esterno del Collegio, nell'osservanza della comune regola.


Come documenta il "Necrologio", dal 1645 al 1802 nel Collegio entrarono più di un centinaio di giovani delle principali famiglie di Verolanuova (Cervati, Grena, Sala Tadini, Spalenza, Codignola, Carminati, Marini, Venturini, Dotti ecc.). Nel 1761 era presente nel convento anche la marchesa Teresa Margherita Regazzi.


Quattordici erano ancora nel Collegio quando su di esso si abbatteranno le soppressioni Giacobine. Nel 1798, per sventare la chiusura, Maria Teresa Pochetti, ultima superiora del convento, poté stipulare un contratto di vendita coi fratelli Calini di Brescia, soltanto dopo essere stata «autorizzata con Decreto 7 fruttidoro (24 agosto 1798) dall'Agenzia dei Beni Nazionali». Petizioni e pressioni di vario genere sospesero per qualche anno la soppressione. Il primo febbraio 1804, il Presidente dell'amministrazione comunale locale Giovanni Bellegrandi tentò, a nome della popolazione, di sventare ancora una volta la chiusura. Un altro ricorso avanzarono il Comune e il parroco il 3 settembre successivo fino a quando si arrivò al 5 settembre 1810, quando la soppressione diventò esecutiva, mentre l'immobile venne acquistato da Pietro Tadini e i 62 piò dal collegio posseduti passarono nelle mani dei Mensi, di Carlo Boschetti e di Luigi Bonin.




CASTEL MERLINO. Costruito o probabilmente completato da Lucrezio Gambara (1507-1539), unico maschio di Nicolò Gambara e di Lucrezia Gonzaga di Novellara, Castel Merlino (denominato anche "Corte Vecchia") aveva inizialmente il carattere di una fortezza, perchè posto su un'altura, poi forse adattato. Comunque fu abitato ben poco dai discendenti di Lucrezio che vissero la maggior parte dell'anno a Venezia, anche perchè imparentatisi con il patriziato veneto (Giovanelli, Savorgnan, Grimani, Michiel, ecc.); finchè si giunge ad un Vincenzo Gambara (n. 1798) che avendo sposato Elisa Moricelli di Adria ebbe solo due figlie: Maria che sposò il conte Nicolò Panciera di Zoppola del Friuli; Elena che sposò il nob. Achille Perusini di Venezia, che vendette nell'agosto 1882 il castello all'ing. Carlo Morelli di Pralboino, sposo ad una Manenti di Verola e che qui venne ad abitare, divisosi con i fratelli le proprietà pralboinesi. Il Morelli restaurò il castello dandogli la fisionomia di un palazzo tra il settecentesco e l'ottocentesco, rispettando l'entrata medioevalizzante con finestrelle del ponte levatoio e un originale stemma dei Gambara. L'ultima proprietaria, Rina Morelli, lasciò il castello con cospicue proprietà terriere al costituendo "Nido della Provvidenza Morelli" delle suore Operaie. Il maniero, in buona parte demolito nel secolo scorso, conserva solo la facciata a mattina che sprofondandosi in quanto resta della fossa difensiva, allarga i suoi possenti muri a "scarpa", irrobustiti ulteriormente da contrafforti angolari. La costruzione, edificata su di un dosso, è tuttora circondata ad E e a N dal fossato artificiale, ed è invece difesa sui rimanenti lati dallo scorrere naturale dello Strone. È a pianta quadrata, come dimostrano alcune evidentissime strutture portanti ad arco ribassato (sul lato S), celate ad un certo punto nel sottosuolo.




PALAZZO GAMBARA. Venne costruito, secondo il Lechi ("Le dimore bresciane", V, p. 452) tra la fine del '500 e l inizio del '600 dal conte Ranuzio Gambara, secondo Renato Savaresi circa mezzo secolo prima dal padre di Ranuzio, Brunoro, forse su progetto dell'architetto Dionisio Boldo di Pralboino ingegnere militare della Serenissima, morto nel 1598 a Palmanova. Il palazzo, ideato quando casa Gambara era in auge, celebra le origini e le imprese della famiglia con l'emblematica diffusa degli stemmi e dei fregi che ricordano un passato guerriero e la raffinata cultura umanistica posseduta da alcuni Gambara. Lo stabile richiese nel tempo modifiche e aggiunte che invero servirono a deturparlo. La metamorfosi che vediamo pare abbia iniziato nel 1722 con Carlantonio Il, il figlio Vincenzo, Carlantonio III, i figli di questo Niccolò e Vincenzo. Quest'ultimo lasciò due figlie: Maria e Elena che sempre più raramente lo abitarono ed il palazzo, deteriorato, venne da loro venduto al cav. Giacinto Ghisi di Cremona, farmacista, che, fatta una fortuna, in occasione del matrimonio con una Sonzogni di Casalbuttano restaurò il palazzo con l'aggiunta dell'ala deturpante a N. Il Ghisi ebbe un'unica figlia, Maria, che sposò Agostino Rovetta (padre di Gerolamo, scrittore e commediografo); questa, rimasta vedova, si risposò con Almerico Pellegrini di Verona e morì in Venezia nel 1919; i suoi eredi vendettero il palazzo al comune di Verolanuova, che ne fece la sua sede.


Palazzo Gambara è costruzione stilisticamente complessa. Sorto in luogo di un edificio fortificato, di cui rimangono inequivocabili tracce sul fianco sinistro, esternamente ne richiama in qualche modo la sembianza a causa del fosso. L'edificio in sé è lineare a tre piani complessivi: il piano terra è interamente porticato con eleganti colonne in pietra che sorreggono gli archi; inconsueto è poi il numero pari dei fornici, dieci, implicante una mezzaria della facciata, posta sull'asse di una colonna, anziché sulla chiave di un arco. Sulla facciata esterna in corrispondenza al piano superiore è rilevata una spartizione di schema rinascimentale con lesene in lieve aggetto; il secondo piano è spartito in modo simile ma le sue lesene sono quasi nascoste da figure antropomorfe che reggono mensole reggigronda. La presenza di sculture in funzione decorativa cariatidi e telamoni - sottogronda è motivo manieristico ispirato a palazzi delle vicine province cremonese e milanese. Sia al piano terreno che a quello superiore esistono ambienti decorati con pitture, soprattutto nei soffitti, talora con "quadrature". Nel 1988 vennero alla luce, sotto una controsoffittatura, affreschi del tardo Cinquecento forse del cremonese G.B. Trotti, detto il Malosso, strappati e restaurati da Gian Mario Andrico e ricollocati al loro posto originario.




ECONOMICAMENTE Verolanuova è stata area agricola fino al secondo dopoguerra, a partire dall'epoca romana, quando vi si stanziarono i veterani. Ma lo diventò ancora più in epoca medievale quando venne arginato lo Strone e furono scavate le varie rogge (Gambaresca, Cesaresca, ecc.): il suolo diede sempre più in abbondanza cereali, fieno, lino che predominarono sul mercato. Parecchi toponimi indicano anche la presenza di vigne poi scomparse. Lo sviluppo agricolo andò accentuandosi nei sec. XV e XVI e certo non può non avere un riscontro nel fatto che dal suolo verolese, da Cadignano, sia uscito uno dei più grandi agronomi: Agostino Gallo (v.).


Si attribuisce a due donne della famiglia Gambara, Alda e Dorotea, l'aver introdotto agli inizi del '500 la gelsicoltura nel territorio di Verolanuova e, in quello di Farfengo, Oriano e Verolanuova, la coltivazione del lino. È Alda che il 21 marzo 1506 scrive al celebre letterato Giorgio Trissino per ringraziarlo di averle inviato dei «mori» (gelsi) da piantare, ed è Dorotea che verso la metà del Cinquecento conta addirittura a migliaia e migliaia i gelsi piantati nel Bresciano. Fin dal sec. XV, comunque, il lino fu una delle coltivazioni più diffuse nella zona per cui, alla metà dell'800, Verolanuova era considerata il centro di tale coltivazione. Come si legge in una relazione del capitano veneto del dicembre 1741, erano diffusi nel verolese telai di lino.


Come si è ricordato, supporto economico di notevole importanza furono la fiera resa stabile nel 1509 e il mercato istituito il 3 gennaio 1526. A metà del '600 Ottavio Rossi scriveva che a Verolanuova «ogni settimana si fa mercato in giorno di giovedì con grandissimo concorso di forestieri delle città circonvicine».


Impulso all'agricoltura venne, dal 1868, dal Comizio Agrario locale, sotto la direzione di Luigi Mensi. Di aiuto all'agricoltura negli anni '70 dell'800 fu l'Osservatorio meteorologico, ma soprattutto il sostegno del credito. Verola fu inoltre tra i primi centri della Bassa a premunirsi nel 1900 di un Consorzio grandifugo.


Lo sviluppo zootecnico, verificatosi soprattutto nell'800, e il mercato favorirono esposizioni bovine. Nel novembre 1908 numerosi agricoltori riuniti in Comune decidevano di dar vita, nell'aprile 1909, ad una esposizione bovina e costituivano un Comitato promotore. Nel 1860 il Governo forniva Verolanuova di una stazione di 3 stalloni, e vi durò fino al 1865 procreando puledri di ottime qualità atti alla trazione, alla resistenza, ed alla celerità, quindi anche capaci di soddisfare ai bisogni dell'esercito. Ma nel 1865 per diatribe insorte tra i soldati di servizio ed il veterinario guarda stalloni, il Governo tolse la stazione. Anche recentemente ebbe notevole fama l'allevamento di cavalli bianchi della tenuta Sandrina del comm. Luigi Rossi, premiata per tutta l'attività agricola. In grande sviluppo gli allevamenti di maiali, particolarmente nelle aziende Rossini, Cervati, Tosoni, Abrami. Negli anni '70 del XX secolo acquista nome l'azienda di Genesi Ruggeri alle Malghe Rosse con stalle ad aria condizionata. Corsi di cultura agraria fecero da spinta alla nascita, l'11 novembre 1890, di un'attrezzata latteria sociale in grado di produrre grana reggiano e formaggio. L'attività casearia si è poi sviluppata attraverso i caseifici Ferrari, Rossini, Tosoni, ma soprattutto nel grandioso caseificio, sorto in frazione di Cadignano, della Società Cooperativa Casearia Bresciana (CABRE) che, agli inizi degli anni '60 del sec. XX, era considerata come uno dei più grandiosi stabilimenti della Lombardia sia per la modernità degli impianti, sia per la capacità di lavorare circa mille quintali di latte al giorno.


Lo sviluppo agricolo della seconda metà dell'800 ha provocato anche quello della prima attività manifatturiera. Oltre ad un filatoio attivo nel 1750, si andarono sviluppando numerosi telai del lino e della seta, così da superare, alla fine del secolo XIX, il numero di 400. Una vera industria della seta si sviluppò poi nella seconda metà dell'800 con lo stanziamento della filanda e del setificio dei Semenza che assorbirono sempre più mano d'opera locale, allargandosi anche a Pontevico e a Botticino Sera. A questo si aggiunge, nel 1900, la filanda Gualtieri. Lo sviluppo dell'allevamento del baco da seta ebbe appoggio in piccoli, ma efficienti "stabilimenti bacologici" e anche nell'ingegnosità di allevatori, fra i quali si può ricordare Giovanni Minini che nell'Esposizione del 1904 presentava una sua incubatrice. A sostegno dell'agricoltura e del commercio attraverso il credito, nel 1864 viene aperto uno sportello della Cassa di Risparmio. Nel 1872 si affianca una succursale della Banca Popolare di Brescia (i cui funzionari finiranno sotto processo nel 1885-86) che, fallita nel 1886, venne sostituita con un'agenzia del Credito Agrario Bresciano. Nell'agosto 1922 viene inaugurata una filiale della Banca Agricola Italiana. Si aggiunsero poi altre agenzie come la Banca S. Paolo nel 1981.


Legata al mondo agricolo, la concia delle pelli vide nel 1857 la nascita della Conceria Mambretti per la produzione di "moscadizzo" (in dial. moscadìs) e di tomaie. Agli inizi del '900 si affermava, sotto la guida di Luigi Caser, la Conceria Verolese. La Fornace Fratelli Gardoncini nel 1911 occupava 30 dipendenti.


Molto recente è invece lo sviluppo dell'artigianato, circoscritto a piccole fonderie di ottone e di bronzo, e soprattutto (salvo il settore della seta) quello dell'industria. Chiusa l'ultima filanda nel 1949, Verolanuova si era ridotta ad un comparto puramente agricolo. Fu l'intraprendenza del sindaco Enrico Bragadina e l'appoggio dell'on. Nullo Biaggi a lanciare l'economia verolese verso orizzonti mai visti. Ottenuta nel novembre 1958 la dichiarazione di area depressa, egli instaurava il 26 novembre 1958 un Ufficio di Sviluppo inteso a promuovere stanziamenti industriali, dal piccolo maglificio al grande stabilimento, avviando nel 1959 l'acquisto di nuove aree. Vi fu quello che due studiosi, Luciano Consolati e Massimiliano Bergomi (in "Verolanuova, nascita e sviluppo di un polo industriale", p. 28 e seg.) definirono un decennio, dal 1961 al 1971, di "boom industriale", al quale seguì, sempre secondo gli autori, dal 1971 al 1992, una fase di affermazione e consolidamento di Verolanuova come uno dei poli industriali provinciali.


In pochi anni nascono le strade verso Verolavecchia, verso la stazione ferroviaria, a Cadignano, a Breda Libera. Sorgono come funghi piccole imprese artigiane di ogni genere, e numerose industrie medie. Alla fine del 1961 sono già in funzione 22 nuovi esercizi con 614 addetti. Fra le più ardite imprese, nel 1959, si registra la nascita, per iniziativa di Angelo Nocivelli e dei figli Gianfranco e Luigi, delle OCEAN s.p.a. (Officine Costruzioni Elettriche Angelo Nocivelli) (v.), che diventerà azienda leader nella produzione di frigoriferi, televisori, caldaie, ecc. e che nel 2004 passerà la mano alla francese Brandt. Si appaia ad essa la SIRA Gam per la produzione di polistirolo espanso fondata da Luigi Nocivelli, Enrico Bragadina, Galeazzo Riva.


Nel 1961 nasce la cartotecnica Fraber (Fratelli Bertoldo); nel 1982 uno scatolificio col nome di Lic, che nel 1998 si fonde con la Fraber e nel luglio 2000 entra la spagnola SAICA. Sempre nel 1961 apre i battenti la Zincatura Bresciana di Alessandro Ubiali. Sorsero, nel corso di pochi anni, maglifici (Gianca, Monviso), ditte di confezioni (Dalloco, Ledo, Pezzoli, Schilirò), calzaturifici (Lea, Garboflex, Euromec, Verolaflex, Walez, Italmec), stampaggi (Amiantis, Bonetti, Riflex), ditte edili: Barbieri Luigi, Fratelli Bellomi Angelo e Mario, Bellomi Pietro, Carini geom. Silvio, Cooperativa Muratori ex Combattenti, Fogazzi Giuseppe e Figli, Pea Paolo e Venturini Domenico, Fratelli Raggi; idraulici: Ferrari Remigio, Ferrari Renzo, Migliorati Pietro, Rossini Angelo; Officine meccaniche in genere: Fratelli Mor, Calvi Francesco, Caravaggi Cesare, Ditta Mares di Montani Paolo e C. (resine espanse), Sala Angelo, Sartorelli Giuseppe, ecc.


Agli inizi degli anni '60 la Conceria dava lavoro ad un centinaio di operaie, si stava affermando un impianto per la lavorazione di materie plastiche (Espansi plastici) del dr. Bragadina, un modernissimo calzificio (Calzificio Verolanuova), tre stabilimenti per la stigliatura del lino (Monfardini G., Pirani G., Pelucchi A.) e varie segherie: Bragadina, Colossi, Montani, quest'ultima attrezzata anche per la produzione di lana legno.


Una nuova spinta decisiva venne dall'adozione, nel 1975, del Piano per gli insediamenti produttivi (PIP) approvato dalla Regione e divenuto operante nel 1977, con il quale venne dato il via a più ampi insediamenti industriali e commerciali, continuati poi, salvo una crisi negli anni 1982-1983. Si vide un ampio sviluppo economico che spinse qualcuno a definire Verolanuova la "Detroit" della Bassa bresciana. Conosciuta la Gabbiani Macchine, produttrice di attrezzature per la lavorazione del legno. Attivo negli anni '70 il mollificio ALL Spring, già in crisi, però, agli inizi degli anni '80. Attivi anche il "Solettificio verolese", la "Kino", la "Stiromat", la "Romanni s.p.a." produttrice di calzature (1991), ecc. Il Solettificio Verolese e la Marros a Breda Libera negli anni '80 erano considerate aziende leader nel settore degli accessori per calzature.


Per iniziativa dei Consorzi agrari di Brescia e di Cremona e della Federconsorzi, su un'area di 90 mila mq., si costruiva un mega frigorifero polivalente. Nel novembre del 1986 veniva inaugurato il mulino "ad umido" della GRAM. S.p.A. Nel 1991 si afferma la Kellogs' insediatasi nell'area prima occupata dalla GRAM per la produzione di corn flakes, che tuttavia chiuderà nel 1997. Così come, nel 1997, chiude il calzaturificio Padus. Nonostante le ricorrenti crisi che pure colpirono Verolanuova, fu positiva l'attività della Mec Europa calzature di Renato Abrami. Nel 1999, subentrando alla Kellogs', la American Italian Pasta Company (Aipc) rilanciava il settore alimentare. Nel 1999 nella ex Gabbiani si stanziava l'Artsana-Fingen per la produzione di articoli sanitari e giocattoli per la prima infanzia, sotto il marchio Chicco.




PERSONAGGI. Verolanuova annovera due beati canonizzati: la beata Paola Gambara Costa (1473-1515) (v. Gambara Costa Paola), contessa di Benevagenna e il beato don Arcangelo Tadini (v.) (1846-1912), fondatore a Botticino Sera della Congregazione delle Suore Operaie. Si ricorda pure il servo di Dio p. Angelo Maria Cazzoletti (v.) (m. nel 1630 in fama di santità), minore francescano, e tale da essere dichiarato venerabile da Bernardino Faino nella sua "Brescia beata"; Suor Maria Nazarena Sandri (1701-1749) abbadessa delle Cappuccine di Brescia.


Tra i religiosi Verolanuova conta tre superiori generali di Congregazioni: p. Clemente Mazzola (1863-1933), nato a Quinzano d'Oglio ma verolese di adozione, dell'ordine Carmelitano; madre Teresa Pochetti (1881-1942), delle Ancelle della Carità, e madre Fortunata Pinelli (1888-1961), superiora generale delle Suore di S. Marta dal 1938. Tra i religiosi eminenti sono ricordati p. Maurizio Malvestiti (1778-1865) (v. Maurizio da Brescia); p. Eliseo da Verolanuova (m. nel 1625), cappuccino, fondatore del convento di Verolanuova e incluso da B. Faino nella sua "Brescia beata"; p. Giuseppe Lachino (1650-1728), famoso predicatore; p. Battista Grumelli; p. Gianfrancesco da Verola; p. Cristoforo da Verolanuova (grande mutilato della I guerra mondiale); Suor Chiara Domicilla Gambara (m. nel 1615), badessa di S. Benedetto in Crema; suor Domenichina Montani, delle Missionarie zelatrici, morta in concetto di santità nel 1925.


Molti gli ecclesiastici eminenti, tra i quali il vescovo di Brescia mons. Giacinto Gaggia, don Primo Mazzolari, don Adamo Cappelletti prevosto di Quinzano d'Oglio.


Fra i benefattori è da ascrivere don Ferdinando Cremona (1844-1916), arciprete di Palazzolo sull'Oglio dove fondò un Ospizio per vecchi.


Si distinsero nelle lettere, nel campo culturale e degli studi don Stefano Rozzi, Giuseppe Tavelli, Giovanni Tavelli, Luigi Erra, Aurelio Galeazzi, Lorenzo Galeazzi, Cecilia Lenzi Tebaldini, Antonio Barbiani, Gian Francesco Marini. Fra i pittori si ricordano Roberto Zanetti, Luigi e Roberto Galperti, Giulio Cantoni, Giacomo Mondini, Gottardo Este, Sergio Pagiaro.


Si segnalarono nella musica Agostino Donini (1874-1937) amico di L. Perosi, grande compositore di musica sacra, il figlio don Francesco Donini (1905-1934). Provenienti da altrove, ma conosciuti per l'esercizio dell'arte a Verolanuova, si ricordano i maestri: Luigi Colleoni, G.B. Pea, Giovanni Premoli, Francesco Lenzi, Arnaldo Bambini, Arnaldo Dell'Era, Elda Bogarelli, E. Alloisi, Walter Graziano. Critico musicale fu Achille De Marzi. Deputati al Parlamento nazionale furono: Luigi Semenza, Ignazio Tibaldi, Nullo Biaggi. Carlo Mensi fu deputato provinciale. I Pecorini invece formarono una specie di dinastia di militari. Fra essi si distinse il gen. Giulio.




PARROCI - PREVOSTI: conte mons. Marsilio Gambara (2 maggio 1477 - 1497); mons. Mattia Ugoni, vescovo di Famagosta (1497-1501); conte Uberto Gambara, cardinale e vescovo di Tortona (1501-1541); Agostino Gambara (7 luglio 1541 - 1548); Gianfrancesco Gambara (1548-1587); don Giulio Bovilla (8 luglio 1587 - 1590); Gerolamo della Rovere, cardinale e arcivescovo di Torino (1590-1592); Gianfrancesco Morosini, cardinale e vescovo di Brescia (10 febbraio 1592 - 1601); don Antonio Grazioli (23 febbraio 1601 - 1617); don Giulio Zerlini (5 dicembre 1617 - 1630); don Prospero Terzi, nobile bergamasco (30 dicembre 1630 - 1647); mons. Gianfrancesco Gambara (13 gennaio 1648 - 1659); Lucrezio Gambara, fratello del precedente (9 aprile 1659 - 9 luglio 1676); Uberto Gambara (1676-1678); Gianfrancesco Gambara (31 agosto 1678 - 12 novembre 1713); Lucrezio Gambara (9 novembre 1721 - 29 gennaio 1735); Gianfrancesco Gambara (12 marzo 1735 - 24 aprile 1786); Marc'Antonio Gambara (27 novembre 1786 - 20 giugno 1790); Annibale Gambara (9 maggio 1791 - ?); don Giacomo Bignotti, da Bagnolo (prevosto fino al 14 maggio 1812); don Lorenzo Padovani, da Soave Veronese (4 novembre 1812 - 1835); don Francesco Sguazzi, da Alfianello (6 dicembre 1835 - 3 marzo 1885); don Francesco Pagani, da Cologne (5 dicembre 1885 - 9 febbraio 1894); don Francesco Manfredi, da Pavone Mella (12 settembre 1894 - 28 novembre 1926); mons. Nicostrato Mazzardi, da Virle Treponti (3 luglio 1927 - 19 settembre 1954); mons. Pietro Faita, da S. Vigilio di Concesio (9 gennaio 1955 - 29 giugno 1975); mons. Luigi Corrini, da Seniga (12 ottobre 1975 - 5 ottobre 2003); mons. Luigi Bracchi, da Passirano, nominato l'1 agosto 2003, prevosto dal 19 ottobre 2003.




SINDACI, PODESTÀ, COMMISSARI PREFETTIZI: 1870 - 18 marzo 1883 Ghisi cav. Giacinto; 30 marzo 1883 - 26 novembre 1889 Pasini avv. Giacomo; 27 novembre 1889 - 3 maggio 1895 Triberti comm. Francesco; 4 maggio 1895 - 31 gennaio 1897 Spalenza Giovanni; 1 febbraio 1897 - 31 agosto 1902 Pasini avv. Giacomo; l settembre 1902 - 31 ottobre 1902 Magrini (Commissario prefettizio); 1 novembre 1902 - 11 dicembre 1902 (Commissario prefettizio); 12 dicembre 1902 - 3 ottobre 1904 Pasini avv. Giacomo; 4 ottobre 1904 - 3 agosto 1905 Pasini avv. Giacomo; 4 agosto 1905 - 6 novembre 1908 Codignola notaio Romolo; 7 novembre 1908 - 30 agosto 1911 Pasini avv. Giacomo; 1 settembre 1911 - 30 novembre 1911 Soleri (Commissario prefettizio); 1 dicembre 1911 - 30 ottobre 1920 Vertua cav. Ambrogio; 1 novembre 1920 - 28 ottobre 1922 Cantoni Luigi; 24 gennaio 1923 - 13 giugno 1923 Ruggeri ing. Giulio (Commissario prefettizio); 15 giugno 1923 - 31 ottobre 1926 Pasini avv. Giacomo; 1 novembre 1926 - 30 aprile 1927 Giro Giovanni (Commissario prefettizio); l maggio 1927 - 30 gennaio 1930 Dall'Oro Mario (Commissario prefettizio); 1 febbraio 1930 - 30 giugno 1930 Pasini dr. Giuseppe (Commissario prefettizio); 1 luglio 1930 - 30 settembre 1930 Pasini dr. Giuseppe (Podestà); 1 ottobre 1930 - 31 marzo 1932 Apollonio Apollonio (Commissario prefettizio); 1 aprile 1932 - 14 febbraio 1933 Apollonio Apollonio (Podestà); 15 febbraio 1933 - 28 febbraio 1933 Giannitrapani dr. Luigi (v.) (Commissario prefettizio); 1 marzo 1933 - 25 aprile 1933 Paroli avv. Ercole (Commissario prefettizio); 15 giugno 1937 - 8 luglio 1937 Cascini dr. Mario (Commissario prefettizio); 9 luglio 1937 - 19 ottobre 1937 Uberti dr. Luigi (Commissario prefettizio); 20 ottobre 1937 - 9 febbraio 1943 Uberti dr. Luigi (Podestà); 10 febbraio 1943 - 14 luglio 1943 Cascini dr. Mario (Commissario prefettizio); 15 luglio 1943 - 25 luglio 1943 Rossi comm. Luigi (Commissario prefettizio); 25 luglio 1943 - 8 settembre 1943 Malfassi ing. Leonardo (Commissario prefettizio); 9 settembre 1943 - 10 agosto 1944 Rossi comm. Luigi (Commissario prefettizio); 11 agosto 1944 - 18 aprile 1945 Uggetti Carlo (Commissario prefettizio); 5 maggio 1945 - 29 marzo 1946 Cantoni Luigi (sindaco); 30 marzo 1946 - 9 gennaio 1951 Bogarelli Luigi; 10 gennaio 1951 - 20 gennaio 1951 Bonera ins. Giacinto; 21 gennaio 1951 - 3 giugno 1956 Bonera ins. Giacinto; 4 giugno 1956 - 26 aprile 1960 Bragadina dr. Enrico; 27 aprile 1960 - 13 giugno 1963 Bragadina dr. Enrico; 14 giugno 1963 - 22 novembre 1964 Bonvicini cav. rag. Mario; 23 novembre 1964 - 23 giugno 1970 Bonvicini cav. rag. Mario; 24 giugno 1970 - 1 luglio 1975 Bonvicini cav. rag. Mario; 2 luglio 1975 - 22 giugno 1980 Bonvicini cav. rag. Mario; 23 giugno 1980 - 6 giugno 1985 Rossini prof. Alberto; 7 giugno 1985 - 1 luglio 1990 Rossini cav. prof. Alberto; 2 luglio 1990 - 22 aprile 1995 Botta ing. Antonio; 23 aprile 1995 - 12 giugno 1999 Botta ing. Antonio; 13 giugno 1999 - 13 giugno 2004 Dotti dott. Stefano; dal 13 giugno 2004 Dotti dott. Stefano.