TEOSA

TEOSA (o Tavosa o Taosa) Giuseppe

(Chiari, 14 maggio 1760 - Brescia, 23 luglio 1848). Di Giovanni Battista (v.) e di Antonia Sossoni. Imparò i primi rudimenti della pittura dal padre, mediocre pittore, il quale riscontrando in lui, scrive Luigi Rivetti, "uno speciale ingegno ed una prepotente inclinazione alla pittura" lo allogò presso il pittore Fabrizio Galliari di Treviglio eccellente prospettico che teneva bottega assieme ai fratelli Bernardino, valente pittore di figure, e Giovanni Antonio, bravo decoratore. Probabilmente su indicazione dell'ab. Antonio Morcelli, legato a Giuseppe Teosa dalla comune origine da Bormio, che era appena tornato a Chiari da Roma dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, e che poi, nel 1775 era ritornato a Roma come bibliotecario del card. Albani, Giuseppe Teosa venne messo, in Roma, alla scuola di Pompeo Batoni, già celebre pittore a quei tempi. Alla scuola del Batoni il Teosa apprese tutte le tecniche pittoriche e compì le più varie esperienze che lo portarono ad abbandonare lo spigliato stile settecentesco e ad avvicinarsi al raffaellismo del Domenichino, di Annibale Caracci, continuando al contempo, soprattutto nell'affresco, a risentire l'influsso del Tiepolo e della pittura settecentesca più chiara e decorativa, pur in forme sempre più classiche. Il Batoni, a quanto scriverà Nicolino nel necrologio del Teosa, "lo prese in singolare benevolenza, che gli conservò finché gli restò la vita". Di ritorno da Roma, probabilmente nel 1787, il Teosa trovò un altro protettore nel letterato clarense canonico Lodovico Ricci (v.), che il 25 dicembre 1787 lo raccomandava al conte Camillo Agliardi canonico della Cattedrale di Bergamo. Costui lo ospitò per qualche tempo in questa città. Sembra tuttavia che il Teosa non sia riuscito ad eseguire il ritratto della celebre contessa Paolina Secco Suardi Grismondi, la letterata resa celebre dal Mascheroni con l'«Invito a Lesbia», ritratto che l'ab. Ricci ammiratore della contessa si aspettava da lui.


A Roma il Teosa aveva rinsaldato ancor più i rapporti con il Morcelli il quale, ritornato che fu il Teosa a Chiari, lo incaricò, nel dicembre 1787, di disegnargli la Libreria e nel luglio 1788 di abbellirne il centro della volta con una bella decorazione a fresco ricordandogli che «i bravi pittori, anche in un lavoro piccolo, fanno spiccare il loro buon gusto». Inoltre lo esortava a «coltivare il fratello e ad affezionarlo al disegno e all'incisione in rame». In più lo sollecitava a tentare l'encausto che stava facendo a Roma "gran progresso". Più tardi gli dava istruzioni per dipingere la libreria di "ritratti di grandi scrittori ebrei, greci e latini". Dopo il breve soggiorno a Bergamo, nel 1788, il giovane pittore pagava il suo debito di riconoscenza all'ab. Lodovico Ricci con un ritratto da collocare nell'Accademia dei ricoverati a Padova della quale il Ricci era membro. La tela era firmata «Ioseph Teosa MDCCXIIC» e ricomparve nel 1982 alla mostra antiquaria di Palazzo Grassi a Venezia. "L'opera", sottolinea Oreste Grassini, "che si distingue per l'elegante scioltezza dei brani pittorici, è una buona prova della abilità ritrattistica del Teosa e si va ad aggiungere al ristretto numero dei dipinti a olio". Tra questi sono da ricordare i ritratti dell'altro benefattore, l'ab. Morcelli. L'artista ne eseguirà a quanto pare ben tre, uno dei quali presentato all'Ateneo di Brescia nel 1821. Tra gli altri ritratti ancora sono da ricordare quelli del prevosto Imbruni, della signora Laura Cadei, della contessa Doralice Lechi e, secondo Luigi Rivetti, i ritratti di Giovanni Maffoni e di Paolo Bigona, oltre ad una tela raffigurante Cerere, di proprietà Giusto Brunelli. Come scrisse di lui F. Masperi a due anni dalla morte "ritornato alla Patria, dipinse prima in Brescia alcune tele ad olio, e gareggiò co buoni, ma primeggiando nelle tempere, dai cittadini a ornamento de' loro appartamenti veniva disputata l'opera di lui, che oltre la figura, nella quale in summo grado era valente, i paesi, le architetture ed ogni altro ornato molto felicemente dipingeva, onde lasciato l'olio, tutto a quella maniera di dipintura si volse con alternazione anche al fresco nel quale egli più che in altro si piaceva; e solo scopo avendo di sue fatiche, la perfezione e l'onore, esercitò l'arte con istudio, impegno, ed onestà mirabili".


Il Morcelli, il 28 luglio 1788 da Roma scriveva e si rallegrava con lui che "trovasse da ogni parte la stima" che gli era dovuta. Infatti nel 1790-1791 lavora a palazzo Averoldi di via S. Croce e, inoltre, affresca le chiese di Darfo, di Pellalepre, di Fucine e nel 1792 realizza, assieme al Gandini e al Tellaroli, gli affreschi di villa Negroboni a Gerolanuova, quello che Oreste Grassini ha definito "di gran lunga il più spettacolare" dei grandi cicli dipinti nei vari palazzi bresciani, riempiendo il vastissimo ambiente di eleganti affreschi di stile pompeiano "in mirabile crescendo, dipinti che lasciano lo spettatore sconcertato per i sapienti effetti illusionistici avendo l'autore creato", scrive sempre il Grassini, "uno dei migliori esempi di decorazione non solo nel bresciano, proprio per la perfetta integrazione fra architettura e quadratura ai limiti dell'inverosimile". Probabilmente questo straordinario risultato aprì a Teosa numerosi palazzi del bresciano, per cui l'anno seguente, 1793, viene chiamato a Brescia a decorare casa Cuni (poi Rovetta) dove, come ha scritto il Fenaroli nel suo Dizionario dei pittori bresciani, dipinse «varie rappresentazioni mitologiche col metodo di pittura ad encausto, che pare lavorata ad olio. Si distinse in questo lavoro per buon disegno, per felice invenzione e colorito molto armonico, sicché io lo terrei una delle più pregevoli produzioni del suo pennello».


A commissionargli in continuità opere a Chiari fu l'ab. Morcelli. Tali lavori, come ha sottolineato Luigi Rivetti, valsero «a mettere in mostra il valore di lui e ad aprirgli la via a quella carriera che fu ricca di numerosissime produzioni specialmente a fresco, sparse nella provincia bresciana». A Chiari, via via, compaiono sue opere (B.V. del Rosario e Via Crucis), in S. Maria, nell'Oratorio (S. Luigi Gonzaga), nel Ginnasio, nella chiesa parrocchiale (1794) ecc. alle quali altre ne seguirono durante la lunga vita del pittore.


L'1 marzo 1794, a 34 anni, il Teosa sposa Laura Colosini, nata a Brescia, ma residente a Chiari e, dopo la morte del padre, avvenuta il 3 novembre 1796, si trasferisce a Brescia in una casa in Piazzetta delle Consolazioni n. 33-34 (poi via Angela Contini n. 17-19) dove apre un vasto studio e una bottega che lo vedono impegnato in continui lavori, in città e per la provincia. Nel 1806 sale a Gorzone. Nel 1807-1808 lavora a Provaglio d'Iseo. Il 30 aprile 1809 viene prescelto «come unico esponente della pittura bresciana in grado di affrontare un'impresa tanto impegnativa quale quella di affrescare il salone del Teatro Grande». Oltre all'apoteosi di Napoleone raffigurata nella medaglia della volta nella quale l'imperatore veniva mostrato in veste di Marte che, affiancato da Minerva e dalla Vittoria schiacciava la Discordia, il Teosa dipinse i parapetti ripetendo i simboli dell'aquila imperiale, cigni, maschere, figure di donne reggenti vasi, putti. Tali decorazioni scomparvero nei rifacimenti del 1862 e di esse rimangono solo frammenti; Stendhal, comunque, scrisse che niente aveva visto di più bello. L'opera, assieme ad altre gli meritò nel 1810 la nomina a membro attivo dell'Ateneo di Brescia. Di quello che era il Teatro da lui dipinto Francesco Masperi nel 1850 scriveva nel "Cenomano": «I bassorilievi sotto i davanzali de' palchi significano, l'uno con graziosissimi putti la vita dell'uomo, l'altro con piccole figure i giuochi, ed i trionfi romani: ivi l'invenzione, il disegno, l'effetto artistico, e soprattutto la facilità dell'esecuzione sono mirabili. La volta poi d'una semplicità, e insieme d'una ricchezza maestosa è parto felicissimo d'una mente creatrice governata da gusto squisito, e l'esecuzione è degna di tanto maestro, il piano è convertito per l'arte in catino fregiato da graziosissime baccanti e da una medaglia la quale benché rappresenti un soggetto ch'esser dovrebbe poco gradito alla politica de' nostri tempi, venne pel suo merito finora rispettata, e vi pompeggia nel mezzo. Il colorito non poteva con migliore e più dolce armonia allegrare i chiaroscuri, né questi procurare meglio all'occhio il necessario riposo: il tuttassieme è nobile, e di un effetto al crescere dei lumi sempre meravigliosamente maggiore. Il grande assunto, fu tutto a suo carico, essendosi valuto unicamente nella esecuzione degli ornati, dell'opera di Carlo Masperi, pittore parimenti bresciano e suo amico, e questo anche solo può bastare nella tempera a pruova del merito singolare del nostro Teosa. Anche nel fresco, in che vuolsi assai prontezza, fu molto valente, siccome quegli che senza cartoni e senza modelli inventò e disegnò i bellissimi fregi del teatro, e sentendosi di tanta fecondità di idee e facilità in rappresentarle, a questa maniera, come dissi pur dinanzi, con più diletto si dava».


Il successo però non lo frena e oltre alla routine dei molti interventi in palazzi e ville, presto ritorna nell'amata Franciacorta; lavora a Cologne (1813-1814), Calino (1815), Paderno (1816). Ma lavora anche in città dove a Palazzo Averoldi dipinge episodi di vita cinese. Seguono anni intensi in palazzi e case cittadine interrotti da ritorni a Chiari come quello del 1827 quando dipinge, nel santuario della Madonna di Caravaggio i tre grandi affreschi dell'Assunzione, al centro, e delle apparizioni della Madonna a giovinetti e giovinette ai lati. E nemmeno l'età lo vince; anzi, di tempra sanissima e robusta, come scrisse Giuseppe Nicolini nel necrologio raccolto nei "Commentari dell'Ateneo di Brescia" del 1848, richiamando la figura del Tiziano, intensifica sempre più l'attività lavorando fino alla "decrepitezza". A 80 anni nel 1840 circa intraprendeva quello che è considerato uno dei suoi capolavori: la decorazione della chiesa parrocchiale di Castenedolo con la centrale "Ascensione al cielo" che verrà dichiarata nel 1915 "monumento nazionale". Si tratta di una digressione di luogo, perché nello stesso anno (1840) ritorna a lavorare ad Adro, nel 1844 a Gussago, nel 1845 in palazzo Bettoni di via Moretto, nel 1846 a Provezze, lavorò anche ad un quadro commissionato dalla Fabbriceria di Provaglio d'Iseo, andato distrutto nell'incendio della notte del 30 marzo 1849. A Chiari donò molte opere poi scomparse, dipinse una Resurrezione nella cappella del cimitero e si prestò a disegnare anche candelieri, un paradisino, ecc. Fu instancabile fino alla morte che lo colse per "apoplessia senile" nel 1848. Vivente ebbe le lodi dell'ab. Morcelli che gli dedicò due carmi latini raccolti nell'opera "Electorum" (Padova, 1818), e quelle di Federico Nicoli Cristiani nelle "Memorie di Lattanzio Gambara" 1807, di Paolo Brognoli (nella "Nuova Guida di Brescia", 1826). Nel 1925 era ancora popolare a Brescia tanto che, quando un giovane dimostrava una buona propensione alla pittura, si diceva di lui «vuol diventare Teosa».


Uniforme è nel tempo, il giudizio sulla sua arte. Già Giuseppe Nicolini commemorandolo nei "Commentari dell'Ateneo di Brescia" del 1848, lodava la prospettiva lineare e aerea delle sue opere, «la morbidezza dei colori, la freschezza del tocco, e soprattutto l'effetto dell'insieme, sono pregi comuni a tutti i lavori coi quali egli ornò i pubblici e privati edifizj nella città e nella provincia. Nei quali, soggiungeva, se, colpa della scuola a' suoi tempi corrente più che di lui, potranno forse taluni desiderare maggiore purezza di stile, nessuno vi sarà che desideri maggior natura e fecondità di genio pittorico». Anche Carlo Cocchetti ("Illustrazione del Lombardo Veneto") scrive: «La morbidezza del colorito, la franchezza del pennello, e soprattutto l'effetto dell'insieme sono suoi pregi; lascia desiderare maggiore purezza di stile». Bianca Spataro ("Storia di Brescia", p. 936) rileva come oggi meritino un ricordo «i ritratti in cui il colore appare più castigato e più sobrio e il pittore sembra superare gli schemi ancora settecenteschi e quel qualche cosa di convenzionale che hanno molti ritratti neoclassici, per spingersi oltre, in senso romantico».


Mentre la sua casa, dopo le dieci giornate, veniva quasi del tutto dimenticata, egli stesso cadde in "mostruosa dimenticanza" come segnalava Francesco Masperi. Il "Cenomano", il 10 dicembre 1850 sottolineava come il suo corpo fosse stato deposto in una colombaia del Cimitero Vantiniano, senza alcun segno esterno tanto che solo la mano di un pittore, si sentì in dovere di scrivere il nome del defunto là sepolto. Poche volte fu ricordato. A Chiari solo molto tempo dopo gli fu dedicata una via. Nel 1953 gli fu dedicata a Brescia la via che collega via Angelo Zanelli a via Gaetano Cresseri, nel quartiere presso la chiesa di S. Maria della Vittoria a SO della città. Nel 1949 fu organizzata una mostra postuma ed istituito un premio di pittura a lui intitolato. Sue opere furono esposte alla Mostra di pittura bresciana dell'800 tenuta nel 1934.


OPERE IN BRESCIA.


TEATRO GRANDE: decorazioni del parapetto dei palchi e della volta. Dipinti scomparsi nel 1863 compreso il "velario" giudicato, a quanto ha scritto F. Odorici ("Guida di Brescia") «forse l'opera più bella che uscisse dalle sue mani». S.FAUSTINO MAGGIORE: lunetta ad encausto nella controfacciata raffigurante Gesù che scaccia i venditori dal Tempio (attrib. di Stefano Bona).


PALAZZI E CASE: ROTA (via Bassiche, 13): due sale con il giudizio di Paride e l'offerta al dio Amore, Ebe, cariatidi e amorini. MAGGI (via Musei, 4): Fausto Lechi attribuisce al Teosa il ratto delle Sabine, Numa Pompilio, ninfa Egeria e scene di vita romana. FISOGNI (piazzetta S.M. Calchera, 1): del Teosa, secondo F. Lechi, o "di un suo imitatore" datati 1813, quattro personaggi, scene di mitologia: Amore, Psiche, Venere, le avventure di Giove. MARTINENGO CESARESCO poi COLLEGIO ARICI (via Trieste, 17): "Il carro di Apollo", scene di vita di Annibale, vedute di rovine, il banchetto degli Dei, Achille fra le figlie di Licomede, il giudizio di Paride, decorazioni (attribuiti da F. Lechi). DURANTI (via Cairoli, 19): scene dell'Orlando Furioso (1791) allegorie mitologiche, decorazioni. SONCINI (contrada Soncin Rotto, 1): sala dei medaglioni detta «del Teosa» e altre sale. BARBISONI poi CREDITO BERGAMASCO (via Gramsci, 12): Achille scoperto da Ulisse fra le figlie del re Sciro e decorazioni staccate (1810). DI ROSA poi MARTINONI (via Gramsci, 10): allegoria la spiegazione del teorema di Pitagora e decorazioni con Flora e fanciulle musicanti. MAFFEI (via Grazie, 6): il carro di Apollo, l'Aurora, la Notte ecc. (1804). PELLIZZARI DI S. GIROLAMO (via Cairoli, 5): una sala con l'Aurora, fanciulle danzanti, il Pastor Fido. GUAINERI (via Cairoli, 3): le quattro Muse: Erato, Melpomene, Euterpe e Urania e altri affreschi. VIA PACE, 14: Paesaggi, i fatti di Achille, ecc. AVEROLDI (via Moretto, 12): episodi di vita cinese. MASETTI-ZANNINI (via C. Cattaneo, 51): Episodi di storia romana (Cincinnato, Porsenna, Scipione, ecc.), putti e festoni. BALUCANTI ora LICEO ARNALDO (corso Magenta, 56): sale con scene mitologiche; la Giustizia, ecc. BETTONI-CAZZAGO (via Moretto, 84): scene di giochi, bambini (1845). CARPANI (via Moretto): affreschi. VIA DEL CARMINE, 26: soffitto, ma probabilmente di un allievo del Teosa. MARTINENGO COLLEONI (via Matteotti, 8): Bacco, Arianna, Venere, Cupido, ecc. MARTINENGO DELLA MOTELLA (via Cairoli, 2): episodi della Gerusalemme Liberata, Cornelia e i Gracchi. PANCIERA DI ZOPPOLA (via Marsala, 31): paesaggi siglati "G.T. 1813", Mercurio, la Fama, altri dei, la Pace, l'Abbondanza, danzatrici, ecc. ROVETTA già CUNI (via Battaglie, 38): la Pace, putti, danzatrici, scene mitologiche, ecc. in encausto. FRANCHI (via Marsala, 14): Convito degli dei (attribuito). ROTA (corso Matteotti, 13): scene bibliche, le Arti (attribuite). COPPELLOTTI (via Bassiche, 23): scene arcadiche, la Fama, Apollo, Marte, Venere, Mercurio, il Tempo, le quattro Stagioni, fatti dell'Eneide, dell'Orlando Furioso, della Gerusalemme Liberata (attribuiti). MOMPIANO, Villa Minelli già Calabria: paesaggi (attribuiti). LABIRINTO, Villa Merli già Suardi: Ercole accolto nell'Olimpo (attribuito ad un imitatore); VOLTA, casa Passerini: affreschi. COLLEZIONE LECHI: ritratti della contessa Doralice Lechi con il figlio Luigi.


OPERE FUORI CITTÀ:


ADRO - chiesa parrocchiale: lunetta dell'abside "Salomè con la testa del Battista" (1842); Santuario della Madonna della Neve "B. V. col Bambino e i SS. Giuseppe, Anna e Carlo B.". BEDIZZOLE - villa Bellotti: sale decorate. CALINO - chiesa parrocchiale: affreschi della volta "Trinità con la B.V., angeli e santi, S. Michele giudice" (abside), "Ascensione" (cupola centrale), "Agonia nell'orto degli ulivi", "Gloria di Maria" (lunetta dell'alzana), "Cacciata dei mercanti nel Tempio" (controfacciata). Affreschi firmati: «Ioseph Teosa pinxit MDCCCXV, orate pro me et pro populo calinens et pro ...»; Palazzo Maggi: sala "del Teosa": le muse, un guer riero che abbandona le armi, figure di donne e di putti, ecc. CASTENEDOLO - chiesa parrocchiale: affreschi (monumento nazionale), Ascensione, scene dell'Antico e del Nuovo Testamento (1840). CASTREZZATO - chiesa parrocchiale: pala all'altare del Santissimo, sacrestia, Deposizione dalla Croce ("Teosas faciebat 1797"). CELLATICA chiesa parrocchiale: affreschi; Villa Trebeschi: decorazioni a fresco (attribuiti); Villa Comini (già Boroni), Bacco, Ebe, Arianna, Mercurio, baccanti, puttini ("autore vicino al Teosa" secondo Fausto Lechi). CHIARI - chiesa parrocchiale: Discesa dello Spirito Santo (1797), S. Agape nell'ipogeo (1793); S. Maria: piccola pala della B.V. del Rosario (1793) e Via Crucis (1793); B.V. di Caravaggio: Assunzione, la B.V. che compare a dei giovinetti, a giovinette; Oratorio B.V. delle Grazie: S. Agnese; Cappella della casa parrocchiale: B.V. e i SS. martiri Stefano e Lorenzo; Oratorio dei SS. Filippo e Giacomo: S. Michele (1814); Cascina Rusmina: omaggio a Pomona (1818) strappati e poi messi nella Pinacoteca Repossi; Pinacoteca Repossi: ritratto di Laura Cadei, S. Luigi Gonzaga, B.V. del Rosario e molti disegni. COLLEBEATO - Palazzo Panciera di Zoppola: la Pace, l'Abbondanza, paesaggi di fantasia. COLOGNE - chiesa parrocchiale: nella cupola i SS. Gervasio e Protasio in gloria, nei peducci i quattro Evangelisti, e sotto la volta della chiesa il martirio dei detti Santi e il trasporto delle loro venerate salme. Nella sacrestia: Assunzione della B.V., Mosè che, reduce del Sinai, mostra al popolo ebreo le tavole della legge (1811-1813); Villa Gnecchi: Apollo, l'Aurora, il Giorno, il Crepuscolo, la Notte, musicanti, putti, ecc. datato1818 non firmato. DARFO - chiesa parrocchiale: affreschi della volta: il Battesimo dei SS. Faustino e Giovita da parte di S. Apollonio e che reca la firma: «Ioseph Teosa clarensis pinxit T. 28 An. 1790». Nel secondo vi è la Flagellazione dei SS. Faustino e Giovita; nel terzo i Santi nella caldaia di acqua bollente; nel quarto i Santi sulla ruota dentata. Nei medaglioni della navata S la Fuga in Egitto (settecentesca, ma rifatta dal Teosa); la Presentazione al Tempio; Disputa nel Tempio. Nella calotta dell'abside: la Fede. Nel Battistero: il battesimo di Gesù. Suoi erano inoltre i quattro Evangelisti, la Fede e la Religione, dipinti che ornavano il fianco del coro e l'abside: tutti oggi scomparsi. FUCINE DI DARFO - chiesa parrocchiale: medaglioni con l'Assunta (forse ripresa da affresco secentesco), la Presentazione al Tempio, l'Incoronazione della Vergine. GEROLANUOVA - palazzo Negroboni (poi Feltrinelli): figure allegoriche di guerrieri della storia romana, guerriero coronato di mirto, Marte e la Fama. GORZONE - chiesa parrocchiale: decorazione della volta: nel riquadro della prima campata è l'Incontro di S. Ambrogio con Teodosio, datato e firmato a sinistra in basso "Joseph Teosa/1806/pin". Nella seconda campata è S. Ambrogio in gloria; nella terza S. Ambrogio battezza Teodosio. Nel presbiterio (5) la Moltiplicazione dei pesci, Mose con le Tavole della Legge sul Monte Sinai; Isacco e Abele e l'Ultima Cena. Sopra l'altare maggiore Deposizione della Croce (nella lunetta) e nella volta il riquadro reca il Padre Eterno che consegna le tavole della Legge a Mosè. Sulla controfacciata: Re Davide e la morte di Saul. GUSSAGO - chiesa parrocchiale: Gesù consegna le chiavi a S. Pietro (1844). ISEO - chiesa parrocchiale: Ultima Cena, Ascensione. PADERNO - chiesa parrocchiale: affreschi della controfacciata ("Gesù scaccia i mercanti dal Tempio") e della navata ("Battesimo di S. Pancrazio", "S. Pancrazio si rifiuta di adorare Giove") (1806). Affreschi della sagrestia (1816 c.). Pala dell'altare maggiore: B.V. col Bambino e SS. Gottardo, Pancrazio, Vincenzo de' Paoli (?), Firmo (1826). PELLALEPRE (DARFO) - chiesa parrocchiale: medaglioni della volta: nell'arco d'ingresso sono due Angeli in volo; nella volta della navata, al centro, S. Bernardo in gloria; nei pennacchi, le quattro Virtù (la Fede, la Speranza, la Carità e le Buone Opere); nella volta dell'arco trionfale ancora due Angeli con cartiglio. Nella volta del presbiterio il medaglione centrale con S. Bernardo con l'Angelo che presenta la Regola alla Madonna e al Bambino, nei pennacchi le altre Virtù (Prudenza, Giustizia, Temperanza, Fortezza). Nei quattro angoli sulle pareti verso la porta e a sud il Martirio di S. Eurosia e a nord S. Anna con la Madonna; verso il presbiterio, a sud S. Fermo e a nord S. Antonio da Padova. PRESEGLIE - chiesa parrocchiale: S. Orsola. PROVAGLIO D'ISEO - chiesa parrocchiale: nella controfacciata Gesù affida le chiavi della Chiesa a S. Pietro; nella volta la guarigione del paralitico alla porta del Tempio; l'episodio di Simone mago; la crocifissione di S. Pietro; nei peducci i quattro Evangelisti; l'Assunta; la Santissima Trinità. La fascia che corre sotto il cornicione, nei riquadri tra le lesene, rappresenta episodi della vita dei Patroni. Dal fondo a destra: una guarigione di S. Pietro; Pietro scoraggiato se ne parte da Roma; Pietro che predica in Roma; Martirio di S. Paolo; dal fondo a sinistra: Pietro che sprofonda nel mare; la pesca miracolosa; Apostoli che ascoltano la promessa di Gesù a Pietro; la conversione di Paolo (1807 -1808). PROVEZZE - chiesa parrocchiale: B.V. Assunta e altri affreschi (1846) quali: "l'Orazione di Gesù nell'orto", "Entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme", "la Risurrezione di Lazzaro", "l'Adultera", e, sulla parete interna della porta maggiore, "S. Filastrio" che abbatte gli idoli ed innalza la Croce. Sulla facciata l'Assunta.