STENDHAL

STENDHAL (Henry Beyle, detto)

(Grenoble, 1783 - Parigi, 1842). Scrittore francese. Fu in Italia al seguito dell'esercito napoleonico, fu più tardi console di Francia a Civitavecchia e a Trieste e dal 1816 al 1821 a Milano. L'Italia divenne la sua patria di adozione. In Italia ambientò alcune sue opere come "La certosa di Parma", novelle, resoconti di viaggi. Interessanti i suoi soggiorni nel Bresciano nel 1800 e nel 1801 e i suoi rapporti con alcuni bresciani del tempo. Partito da Parigi il 7 maggio 1800, reclutato diciassettenne nel VI Reggimento dei Dragoni, giunse nel Bresciano a Bagnolo Mella, nel settembre ospitato con tutta probabilità nella cascina Quartiere dove rimase fino al 10 dicembre. L'impatto fu negativo. Scrivendo alla sorella, considerava la borgata "piccolo e brutto villaggio", denunciava di esservi stato costretto "a mangiare la polenta; un alimento abituale dei bruti dalla figura umana che vivono in questa località. Non ho mai visto e non mi ero mai fatto l'idea di uomini tanto abbruttiti come il popolino italiano. Essi aggiungono alla completa ignoranza dei nostri contadini, un animo falso e subdolo, la più sporca viltà ed il fanatismo più detestabile". Rileva pure l'avversione del clero locale verso gli occupanti francesi. Tra i suoi diversi esperimenti ricorda la caccia specie al roccolo (dove provò "il delizioso piacere di uccidere un tordo") e lo spiedo lo riconcilierà anche con la polenta. Tuttavia, come scriverà il 26 marzo 1836 nell'"Henry Brulard", nei soggiorni a Milano, a Bagnolo e a Romanengo trascorse "cinque o sei mesi di felicità celestiale e completa".


Sedici anni dopo in "Rome, Naples e Florence", parlando di "uno dei più vivi piaceri della Lombardia", Stendhal indugia compiaciuto in ricordi di indubbia origine bresciana, sostenendo che "le signore vanno pazze per gli ozei colla polenta". Partito l'11 dicembre 1800 per la Francia, ritorna nel Bresciano nel febbraio 1801 come aiutante di campo del gen. Michaud. Si ferma il 23 febbraio a Coccaglio ed è colpito dal "dolce paesaggio coperto di vigneti". Dopo un soggiorno nel Mantovano, il 22 giugno, ritorna in città dove vive per otto giorni a Palazzo Avogadro (poi Bettoni Cazzago) in via Moretto, 84 per trasferirsi il 2 luglio a palazzo Conter in via Tosio, 28. A Brescia trova presto un maestro d'italiano che Dino Alberti vuole individuare nel bagnolese Gianmaria Febbrari. A Brescia lo impressionano particolarmente i sessanta-ottanta omicidi che vi si compiono ogni mese, i molti conventi (ne conta addirittura 321) e dichiara "bravi" cioè i migliori d'Italia i bresciani. Tuttavia trova Brescia "una graziosa cittadina nella quale vi sono sette o otto grandi case Martinengo, tre o quattro Gambara... Brescia ha dei portici che sono il suo "Palais-Royal". Sono molto estesi e comprendono una quantità di caffè e parecchi altri ritrovi". Lo colpiscono il Castello e i Ronchi. Definisce "charmant" il teatro Grande e sottolinea che "niente è più bello di esso fra i teatri". Sotto la data 12 luglio 1801 nel "Journal d'Italie" Stendhal registra la sua presenza alla rappresentazione dell'"Ariodante" di Simone Mayr, il cui soggetto gli ispira la possibilità di fare una "bella tragedia". Il 10 settembre 1801 assiste al teatro Grande alla "sonnifera" opera "Il Demofante" di Angelo Tarchi su libretto di Metastasio. Registra ancora commedie di Carlo Gozzi, di Metastasio, di Albergati, ecc. Tra l'altro ricorda la Fiera e una "maison close".


Durante il suo secondo soggiorno bresciano assiste a due avvenimenti importanti, che il diario brevemente registra: il ritorno dei patrioti detenuti dagli austriaci alle Bocche di Cattaro e il passaggio di Angela Pietragrua diretta da Milano a Venezia. Di Brescia ricorderà anche nella "Certosa di Pavia" la chiesa di S. Giovita (dimenticando S. Faustino) "primo patrono della città" figura di "santo e soldato" al quale attribuisce una profezia richiamata dall'abate Blanes, nella quale Dino Alberti ("Brescia nell'opera di Stendhal") ha voluto quasi individuare p. Maurizio Malvestiti, che Stendhal conobbe a Canino nel 1835 in qualità di console della Francia a Civitavecchia. Un vero, duraturo fascino esercitò su di lui il lago di Garda, che egli vide forse la prima volta il 19 luglio 1801 durante un viaggio a cavallo a Salò, Desenzano e Lonato. In "De l'amour" scriverà: "in tutta la vita non ho mai goduto così bene come della bellezza toccante e solitaria delle sponde del lago di Garda" da lui ritenuto "forse il più bel paesaggio del mondo". Trovò Salò "un grazioso villaggio" e "le colline boscose e fertili che separano il grosso borgo di Desenzano dalla piccola città di Lonato forse le più gradevoli e particolari di tutta la Lombardia...". Salò, Desenzano ritorneranno poi altre volte nel ricordo di viaggi e nella corrispondenza. Nelle sue pagine e nei suoi ricordi ricorrono i nomi dei generali Giuseppe e Teodoro Lechi. Di Giuseppe afferma che a Marengo fu il "solo uomo che osasse affrontare il cannone"; di Teodoro ammirò la "bellezza alla Lechi che mi incanta". In Giacomo Lechi ravvisò "il tipo più simpatico dell'uomo, del gentiluomo e dell'italiano". Un legame ancora più profondo legò Stendhal a Camillo Ugoni. Altro Lechi che conobbe fu Giacomo col quale compì, nel settembre 1822, un viaggio in diligenza da Parigi a Milano e del quale scrisse largamente nel "Journal" sottolineando i "modi semplici,... pieno di ottime qualità, un tipo abbastanza raro".


Nel suo diario ricorrono i nomi della signora Calini ("che abita presso la porta di Milano, casa Calini alla Pace"), della signora Carrara, della signora Martinengo, ossia di Marzia Martinengo Cesaresco, che allora aveva vent'anni e più tardi, nel 1807, doveva essere amata dal Foscolo. Qualche anno dopo, a Milano, Stendhal ebbe pure a conoscere Fanny Lechi in Gherardi, sorella dei generali Giuseppe e Teodoro Lechi, che suscitò in lui un'impressione incancellabile per la sua bellezza, sensibilità, intelligenza. "La contessa Gherardi aveva forse i più begli occhi di Brescia, il paese dei begli occhi", scriverà con tenace memoria oltre trentacinque anni dopo, nella "Vie de Napoléon". A lei attribuisce, in "Rome, Naples et Florence" e in "De l'amour" alcune teorizzazioni sull'amore. Per lui Francesca (o Fanny) Lechi Gherardi fu "l'essere più seducente che abbia mai visto". Di "Madama Calini" cioè Paola Uggeri sposa al conte Rutilio Calini, scrive che "è la più bella donna della città"; "assai bella" giudica anche la contessa Marzia Martinengo Cesaresco, amica di Ugo Foscolo. Tra i personaggi evocati nelle sue opere fu il conte Galliano Lechi (v.) che adombrò a quanto si crede sotto il nome del conte Vitelleschi scrivendone le gesta nel libro di viaggio "Tour en Italie - Rome, Naples et Florence" terzo fra le sue opere e primo firmato con lo pseudonimo Stendhal. "Illeggibili" addirittura giudica alcuni romanzi del bresciano Pietro Chiari. È invece entusiasta di Angelo Anelli, poeta e librettista desenzanese che definisce "genio ignorato" e che ha "a suo modo qualcosa del Gozzi e di Shakespeare".


Alessandro Orengo ha avvertito che l'inizio della fortuna stendhaliana in Italia si possa cronologicamente far coincidere con l'opera di Camillo Ugoni, "Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII", edita a Brescia nel 1822 da Nicolò Bettoni, l'editore dei Sepolcri e dell'Esperimento di traduzione della Iliade di Ugo Foscolo. In un passo della sua opera, confrontando l'"Histoire de la peinture en Italie" di H. Beyle con la "Storia pittorica" del gesuita Lanzi, l'Ugoni rivendica i pregi della prima, che sono pregi di vivacità, senso del vero e del bello ed elevato sentire. Un esemplare dell'opera dell'Ugoni, da egli donata allo Stendhal, con dedica "All'amico Beyle", era nella collezione Bucci di Civitavecchia. Stendhal considerava l'Ugoni "eccellente giudice" in materia letteraria. Nella biblioteca Ugoni, poi Salvadego, che esisteva in Padernello, era conservato un esemplare della "Histoire" nell'edizione del 1817, con dedica autografa di Henry Beyle all'amico.