SCORZAROLO

SCORZAROLO (in dial. Scórsaröl)

Frazione (m. 61 s.l.m.) di Verolavecchia a circa due km a NE del paese. L'Olivieri propende a far derivare il toponimo dalla voce veneta per conciapelli, mentre il Guerrini la ritiene probabilmente derivata dal dialettale "scortaröl", scorciatoia, per trovarsi al centro di una doppia scorciatoia da Verolavecchia a Verolanuova e da Verolavecchia a Brescia per Cadignano.




ABITANTI (nomignolo: Tuntì): 180 nel 1493, 350 nel 1565, 200 nel 1610, 260 nel 1858. Marino Sanudo ha segnalato e trascritto nei suoi diari due epigrafi funebri romane poi registrate e pubblicate nel 1884 dal Mommsen. Nella prima, che esisteva sulla soglia della porta della chiesa di S. Pietro, un personaggio della gens Fabia, erige come monumento funebre per sé, le figlie Hispana e Annela, la liberta Iucunda e Lucius Livius figlio di Spurius, con disposizione finale per l'inalienabilità del monumento. Nella seconda che si trovava sul grandioso altare sempre in S. Pietro è ricordato un "Quintus Don Valerius". Le iscrizioni possono far pensare alla presenza nel luogo di un vico romano, gravitante sul pago di Quinzano. Del resto nei campi delle cascine Cà bianca, presso lo Strone, tra la fine dell'800 e gli inizi del '900, vennero trovati reperti di epoca romana tra i quali una pàtera in bronzo e monete rarissime. G.F. Marini ricordava che ancora nei primi anni del '900 Paolino Scanzi conservava "un tesoro di memorie sorprendenti" tra le quali: «un'alta vinaria della più bella epoca, poi recipienti in terra cotta, vasi lacrimarii, suppellettili d'uso domestico, e monete. Fra le quali ve n'è una d'oro, coniata da Vespasiano, che porta a tergo la Vestale recante il ramo d'ulivo sull'ara del sacrificio e all'esergo il motto PAX». Ma mentre nelle terre vicine come Oriano e Pedergnaga vennero ritenute appartenenti alla centuriazione cremonese, secondo il Mommsen quella di Scorzarolo fece parte di quella bresciana. Infatti Scorzarolo si trova esattamente lungo il decumano che scende poco ad E di Cadignano, il terzo tanto dalla via Quinzanese quanto dalla via Breda-Verolanuova, mentre è attraversato da un cardine, quello che corre immediatamente a N della strada Verolanuova-Verolavecchia, cardine che è a sua volta una strada per Verolanuova.


Passato Scorzarolo sotto l'influenza della Pieve Quinzanese, vi venne fondato, a quanto suppone il Guerrini, "presso il ponte sullo Strone, che in questo punto è molto profondo, un ospizio medievale per l'assistenza ai viandanti, dedicato all'apostolo S. Giacomo, il quale ospizio aveva una forte dotazione fondiaria, passata dagli Uggeri ai Testa, agli Ugoni e poi al convento di S. Domenico in Brescia". Il titolo di S. Pietro rimasto oggi alla santella di S. Péder alla sbocco della strada vicinale che conduce a Quinzano cioè l'antica chiesa madre plebanale, fa pensare ad una presenza in luogo di abitanti anche nell'ultimo periodo longobardo (secolo VII) o nel primo periodo franco (secolo VIII-IX). Tanto più che lo stesso titolo venne conservato ad una chiesa soltanto di recente del tutto scomparsa e che ebbe un ruolo particolare nella religiosità popolare. Anzi, secondo il Bonaglia, Scorzarolo ebbe «funzione e notevole importanza strategica durante tutta la dominazione longobarda, come dice il toponimo, che a nostro avviso contiene i termini germanici Königs-Heeres-Höhe = altura dell'esercito del re, cioè fortilizio militare, o qualcosa di simile, latinizzato in «scorciarolus», dialetto «scorsaröl», probabile longobardo «skons-arolf», dove «olf» designa amministrazione rurale e «sco» indica recinto dei cavalli. Doveva quindi essere o essere stata in quel periodo residenza di un presidio militare». È ancora A. Bonaglia ad assegnare il passaggio del territorio dal demanio regio o longobardo ad un monastero probabilmente di Leno, data la vicinanza di Scorzarolo alle terre della cascina Badie ed anche di Cadignano, dove c'era quasi sicuramente un priorato benedettino lenese. In Scorzarolo aveva beni anche il monastero di Leno che il 27 febbraio 1389 venivano permutati con beni in Concesio con Zanni de Augeriis de Gandino e Negro de Augeriis a nome anche del fratello Giuseppe, abitante in Scorzarolo. Con la crisi del monastero di Leno le proprietà passarono agli Uggeri e forse prima anche agli Ugoni, dei quali erano imparentati i Testi o Testa (dai quali qualcuno vuole siano derivati i Cò) che ne diventeranno gli ultimi "feudatari". I legami dei Testi con gli Ugoni sembrano rilevare un ruolo particolare d questa importante famiglia. Ancora nel secolo XVI una delle figure importanti è il nob. Gerolamo Ugoni "cittadino e residente in Brescia, canonico della Cattedrale, che nel 1532 è rettore della chiesa di Scorzarolo, nomina gli eremiti, e passando la chiesa ai Domenicani, si riserva una rilevante pensione. La presenza di un cimitero ha fatto pensare a qualcuno che anche Scorzarolo fosse stato un tempo parrocchia. In verità tale esistenza può riferirsi a sepolture in tempi di epidemie. In effetti Scorzarolo passò, dalla pieve di Quinzano, sotto la parrocchia di Verolavecchia che un tempo possedeva a S. Pietro 15 piò di terra passati poi al Convento di S. Domenico di Brescia. Sebbene, come ha rilevato Fausto Lechi, si sia potuto confondere Scorzarolo con Verolavecchia, anche a Scorzarolo esistette un Castello o Castelletto che venne nel 1483 conquistato dal Sanseverino assieme ad altri della zona (Manerbio e Verola). Di questa conquista messa in forse dal Lechi, per la supposta confusione con il Castello di Verolavecchia, scrive anche il Codagli nella sua Storia di Orzinuovi. Voci di popolo raccolte da Gianmario Andrico hanno raccontato pochi anni fa di cunicoli sotterranei o gallerie che dal castello di Verolavecchia conducevano a quello di Scorzarolo mentre non è mancato chi recentemente ha assicurato di aver trovato tali cunicoli ingombri di resti umani e di armature. Del castello non fa più alcun cenno il Da Lezze nel 1610. Tuttavia in una mappa del 1655 trovata dall'arch. Dezio Paoletti all'archivio di Stato di Brescia è presente ancora un torrione. Ancora oggi, come ha fatto rilevare ancora il Paoletti, non mancano elementi che fanno pensare a fortificazioni medievali come un edificio con muro a scarpa e cordolo ancora visibile sul fronte nord. Dai proprietari i nob. Testi o Testa Scorzarolo passò nel 1457 in eredità ai frati del Convento di S. Domenico di Brescia, con il compito, fra l'altro, di predicare la Quaresima "in quatuor regionibus a facie Scorciaroli". Donazione perfezionata o forse realizzata solo quando morendo l'8 ottobre 1514 il nob. Luigi Testa lasciava ai frati di S. Domenico a Brescia il fondo di Scorzarolo mentre agli Ugoni lasciava la casa al Mercato nuovo, provocando con il suo testamento lunghe, aspre contese fra gli Ugoni, i Palazzi e il convento di S. Domenico.


Per anni tuttavia la vita religiosa rimase svincolata dalla proprietà. L'elenco dei benefici ecclesiastici del 1532 elenca a Scorzarolo la chiesa di S. Giacomo, del valore di 80 ducati, di giuspatronato laicale, tenuto dal don Angelo Ugoni che cederà il beneficio ai Domenicani solo tra il 1565 e il 1572. Ma i frati Domenicani non furono i soli ad aver proprietà a Scorzarolo. Nel suo Catastico del 1610 infatti Giovanni Da Lezze annotava: "Terra con fuoghi n. 27. Anime 200 de quali utili 55. Non ha entrata perché è tutto dei frati di S. Domenico, e delli Sig. Ganassoni e Parma. È creato un console solo; ha carico di scoder et metter taglie per pagar le Angarie. Chiesa di S. Giacomo di detti fratti e S. Pietro di Campagna. Li terreni sono in parte buoni et in parte non molto per esser sterili, vi sono nel territorio da circa 1000 piò, di valutati più fertili de ducati 100, li quali sono adaquati da alcune seriole. Contadini li Parma, Fachetti et Salvi. bovi pera n. X, cavalli n. 9, cani n. 8".


I Domenicani presero alloggio in castello, ma verso la fine del secolo XVI e lungo il secolo XVII costruirono una residenza propriamente conventuale contenuta nelle sue dimensioni, ma elegante con a mattina un bel parco, conglobandovi la chiesa di S. Giacomo, che, ristrutturata, venne dedicata ad uno dei grandi santi dell'Ordine, S. Vincenzo Ferreri dotandola di un bel campanile; l'altra rustica fra le più grandi cascine del territorio circostante. Poco distante le abitazioni rurali. Nell'estimo mercantile del 1750 risultavano ben quattro opifici azionati ad acqua. Tutti erano di proprietà dei frati domenicani di Brescia: un torchio, la "pestadora dè ris" (riutilizzata come parapetto al ponticello), un mulino a due ruote e una segheria. "Poco prima di Scorzarolo, scrive Dezio Paoletti, una breve strada sterrata conduce alla moia, splendido manufatto in mattoni a vista, fra i meglio realizzati e conservati nella nostra provincia. Era adibita alla macerazione del lino, alimentata da un corso d'acqua ora ramo secco. Il suo letto è ancora leggibile pur se sostanzialmente interrato". Occupato nel 1796 dalle truppe francesi, la cui presenza è testimoniata da una iscrizione, nel 1798 venne requisito dal Governo Giacobino e assegnato all'Ospedale di Brescia che ne conservò la struttura fino ad oggi. Grazie a ciò, come ha sottolineato Tommaso Casanova, Scorzarolo è tra i pochi centri che hanno conservato una loro leggibile identità e ciò lo si deve alla posizione marginale e quasi depressa di Scorzarolo e delle sue campagne, e al loro accentuarsi, almeno dal secolo XV, nelle salde mani dapprima del convento bresciano di S. Domenico, e quindi dell'Ospedale Civile, che ne hanno impedito una eccessiva parcellizzazione delle proprietà, mantenendone quasi integro l'assetto fino ai nostri giorni".


Nell'800 la maggior parte delle proprietà passò agli Scanzi. Luigi Scanzi, sindaco di Verolavecchia, vi creò un'azienda modello sia sotto l'aspetto della coltivazione agricola sia sotto quello della zootecnica, con l'importazione di bestiame anche dalla Svizzera. Per la conservazione dei prodotti di due caseifici venne realizzata una ghiacciaia a forma di igloo che rimane uno dei più curiosi reperti di archeologia agricolo-industriale. Degli edifici invece che sorgevano ai lati della seriola (segheria e mulino alimentati dal corso d'acqua) rimangono solo tracce delle fondamenta e le infrastrutture in pietra per incanalare l'acqua che forniva la forza motrice. 




CHIESE:


S. GIACOMO, poi San Vincenzo Ferreri. Molto antica e forse legata, come si è detto, ad un ospizio per pellegrini viene nominata fin dai cataloghi medievali. Nel 1532 la chiesa rimaneva di patronato laico affidata a don Angelo Ugoni che vivendo in città vi manteneva a sue spese un sacerdote. Trovata in non buone condizioni dal visitatore mons. Pilati nel 1572, venne certamente restaurata dai Domenicani. Il visitatore inviato da S. Carlo nel 1580 la trovava infatti "piccola, ma bella" con un solo altare, con l'obbligo della messa quotidiana, con un reddito di 2000 lire bresciane, delle quali 1500 venivano corrisposte in pensione al can. Ugoni. Data l'entità della pensione S. Carlo decretava che il can. Ugoni provvedesse con i frutti della stessa a "tutto ciò che si richiede per dotare la chiesa di necessari arredi". Venne rifabbricata nelle linee attuali verso gli anni '70 del secolo XVIII, conservando una parte della cappella precedente, come si nota dal portale sud, e venne dedicata per l'occasione a S. Vincenzo Ferreri, uno dei santi protettori dell'Ordine domenicano. Secondo il Bonaglia «la chiesa seicentesca è l'attuale sacrestia, come si deduce dalla posizione del campanile (che è del 1838, se abbiamo visto bene), dono probabile, come per altri, dell'imperatore d'Austria Ferdinando I». La chiesa ha un unico altare con una pala nella quale sono raffigurati i SS. Domenico, Vincenzo Ferreri e Pietro Martire.




S. PIETRO. Esisteva presso la cascina detta "Il Confortino" sulla strada Cadignano-Verolanuova. Molto antica, con l'abside ad E e l'ingresso a O. Aveva accanto un cimitero che ha fatto pensare ad una temporanea esistenza di una parrocchia autonoma mentre si trattava probabilmente di sepolture di appestati, il che spiega anche la devozione popolare che ha circondato la chiesetta con significativi ex-voto legati a testamenti, come ha dimostrato T. Casanova con documenti cinquecenteschi. A S. Pietro possedeva 15 piò la parrocchia di Verolavecchia poi passati ai frati di S. Domenico. La chiesa ebbe fino a quattro altari, fu custodita da uno e anche da due eremiti mentre l'ultimo beneficiario prima che passasse ai Domenicani fu il can. Angelo Ugoni. Al tempo della visita del vescovo Bollani del 1565 non era in buone condizioni. Il vescovo, oltre alle riparazioni, faceva obbligo che venissero tolti due dei quattro altari. Venne poi ricostruita intorno al 1760 con un prospetto semplicissimo a capanna, con una sobria decorazione di due lesene laterali tuscaniche e un timpano di impronta classicheggiante; e anche l'orientamento nord-sud dell'edificio, per dar fronte alla strada, ne manifestava l'origine piuttosto recente. Abbandonata a se stessa anche per l'incuria dell'ente proprietario, l'Ospedale di Brescia, agli inizi degli anni Sessanta del sec. XX la chiesa era in rovina e pochi anni dopo era un cumulo di macerie che furono sgomberate nel 1975.




S. QUIRICO. Chiesetta la cui presenza viene documentata nel 1537 e che Tommaso Casanova ritiene che, scomparsa dopo breve vita verso il 1572, il titolo sia stato trasferito o assegnato tra il 1549 e il 1572 ad una cappella del cimitero di Verolavecchia. Vi esistette inoltre anche una chiesetta dedicata a S. Antonio ab. eretta dopo il 1684.




S. FIRMO e MADONNA DELLA CAVA. Esiste ancora ed è sempre oggetto di venerazione il santuario della Madonna della Cava, continuazione, a quanto sembra, di un'altra chiesa dedicata a S. Firmo. Come ha sottolineato T. Casanova, la chiesa di S. Firmo è documentata a partire dal 1572 negli atti della visita del Pilati; ma in quelli della visita di mons. Agostino in nome di S. Carlo (1580) era già detta piccola, vecchia e inadeguata, con due altari. Vi si celebrava il giorno della festa del santo nella quale occasione si teneva una fiera e si facevano all'interno "veglie e pernottamenti", abitudini queste vietate dai decreti del santo arcivescovo. Dal 1630 anche in seguito ad un avvenimento straordinario accaduto cinque anni prima quando una mamma dopo averlo lavato con l'acqua della roggia aveva visto scomparire le terribili piaghe che deturpavano il viso del figlioletto, la Madonna detta di S. Firmo, che vi veniva venerata, salì sempre più in venerazione anche per altri miracoli e grazie che hanno rafforzato nella popolazione l'idea che il santuario sia stato rifatto o riedificato in ringraziamento alla Madonna per aver salvato da morte certa un uomo caduto in una vicina cava di sabbia, donde anche il nome dato al santuarietto. Promotori della costruzione furono certamente i frati domenicani del vicino convento di Scorzarolo. La chiesa comunque venne nel 1647 chiamata della Madonna della Cava per l'esistenza nelle vicinanze di cave di sabbia mentre della primitiva dedicazione a S. Firmo rimase il ricordo in due toponimi di terreni prospicienti al santuario di "S. Firmo corto" e di "S. Firmo lungo". La chiesa subì trasformazioni, come indica anche la data 30 ottobre 1756 che si legge sotto il pronao. Alla Madonnina della Cava, probabilmente in continuazione dell'antica fiera di S. Firmo, continuarono ad accorrere vere folle tanto che l'arciprete di Verolavecchia, Semenzi, nel 1779 in una relazione al vescovo scriveva allarmato: "Altro Oratorio Campestre detto la Madonnina della Cava: non mi costa obbligo alcuno per essere governato da quella gente tutta soggetta a Reverendi Padri Domenicani. Solo mi costa, e ne piango ogn'anno non essendomi riuscito a rimediare al disordine, che per questo Oratorio succede il Giorno di Pasqua di resurezione dove vi si fa un concorso di gente straordinario con distrazione a divini offizi delle parrocchie vicine, e strapazzo del gran Giorno di Pasqua". La devozione continuò comunque tanto da riempire la chiesetta di ex voto.


Il santuarietto ebbe anche devoti di eccezione quali il vescovo di Brescia, mons. Giacinto Gaggia, che lo raggiungeva spesso da Verola nuova durante le sue vacanze, e i Montini. Un quadretto con un piccolo cuore argentato porta a matita la scritta "Giuditta Montini Alghisi, aprile 1914" che forse è un ex voto per il ristabilimento in salute del figlio Giovanni Battista, poi Papa Paolo VI, da una seria indisposizione che l'aveva colpito e trattenuto a Verolavecchia per lunghi mesi. Un segno della devozione sta anche nel fatto che le visite pastorali lo trovavano sempre in condizioni "regolari". Solo la sagrestia è cadente nel 1891. Restaurata negli anni '20 del secolo XX per iniziativa del curato di Verolavecchia, don Giovanni Bina, lo fu di nuovo nel 1989 per iniziativa di un comitato guidato da Giovanni Scanzi e su intervento dell'arch. Luigi Fontana. Al santuarietto vi si arriva dopo aver percorso un viale bellissimo di platani che il tempo ha fatto intrecciare formando un volto perfetto e suggestivo. La chiesetta dedicata alla Madonna della Cava sorge a metà di questo viale. La strada passa proprio sotto il portico della chiesetta, affiancata da due rogge. L'altare e le balaustre sono in marmo. Sopra l'altare un affresco raffigura la Madonna col bambino e intorno dei frati domenicani.