SACCO di Brescia
SACCO di Brescia
Venne scatenato il 19 febbraio 1512, giovedì "grasso", dopo la rioccupazione da parte delle truppe francesi guidate da Gastone de Foix. Scendendo dal Castello, occupato nella notte, attraverso il "Soccorso" contingenti francesi, anche se duramente ostacolati da una strenua resistenza, riuscirono ad aprire le porte della città al resto dell'esercito che si scatenò in uno dei più selvaggi e sanguinari saccheggi che storia ricordi e che ebbe eco molto vasta e suscitò enorme emozione in Italia e in Europa. "Alla fine della giornata, come scrisse Enzo Abeni, soldati francesi e soldati di ventura, guasconi, tedeschi e svizzeri, cremonesi, mantovani, zingari, ebrei, ai quali si affiancò la feccia cittadina, infierirono selvaggiamente, saccheggiando e appiccando incendi, ammazzando uomini di ogni età, violentando ogni donna che cadeva nelle loro mani. Violarono perfino i conventi, maschili e femminili, saccheggiandoli e usando violenza sui religiosi di ambo i sessi, nonostante i severi ordini contrari del Foix. Spogliarono di ogni oggetto prezioso le chiese e il duomo, portarono via dalla torre della Pallata la cassa del monte di pietà, dispersero l'archivio dei registri e delle scritture municipali. Nella disperata lotta la popolazione civile vi partecipò scagliando sassi, tegole, olio bollente dai tetti delle case sugli invasori che dilagavano per le vie della città; anche le donne parteciparono all'estrema resistenza. Ma le forze nemiche erano preponderanti e la lotta dei bresciani e dei veneziani finì con orrenda strage. Alla fine della giornata la città era saldamente in mano alle truppe del Foix e le vie erano ricoperte di cadaveri: "e io stesso, scrisse un testimone francese, vidi per le strade, per le piazze, per i chiassuoli, per i sobborghi innumerevoli cadaveri, e in alcuni luoghi cavalcando non si poteva passare senza calpestarli". Le fonti francesi parlano di quarantamila morti, ma si tratta di una esagerazione assurda; furono certamente alcune migliaia dalla parte bresciana e veneta, mentre i morti dell'esercito francese furono poche centinaia. I saccheggiatori misurarono il bottino più prezioso, denaro, gioie e oggetti d'oro, per dividerselo, con gli elmetti e con le celate, "come si misura el grano". Si calcola che come bottino "furono condotti fora de questa assassinata città sirca quattro mila carri de roba rubata".
Alcuni casi rimasero memorabili come quello del pittore Floriano Ferramola che, sorpreso mentre dipingeva un grande affresco in casa Borgondio, corse il rischio di essere linciato dai soldati, per averli invitati, in seguito alla richiesta di denaro, a rivolgersi alla moglie. Liberato per ordine del Foix gli dimostrò riconoscenza dipingendogli un ritratto. Ancora più conosciuto il fatto del celebre matematico Nicolò Tartaglia che, appena fanciullo, riportò numerose ferite fra le quali una alle labbra che lo rese, come indica il soprannome, balbuziente. La giornata del 19 febbraio venne dichiarata di lutto pubblico e di preghiere di espiazione. Ad essa seguirono giorni altrettanto tristi contrappuntati da esecuzioni capitali.