RAMPERTO, vescovo

RAMPERTO, vescovo

Sec. IX. È ritenuto il vescovo diocesano di maggiore rilievo dell'età carolingia. Federico Odorici, seguito da Francesco Novati e da altri storici, lo pensa di origine straniera e più precisamente franca e suppone che sia stato educato in scuole d'oltralpe; ma Savio dimostrò la sua origine bresciana. Infatti conosciamo anche il nome di suo fratello, Cuniperto, e di tre sue nipoti fidanzate con giovani del "comitatus" bresciano. Un "patrimonium" familiare di Ramperto era «prope Baroniaco», nel suburbio, il cui toponimo, secondo l'autorevole giudizio del Bognetti, va riferito a vecchie proprietà arimanniche. Di stirpe nobile locale è proprietario di vasti possedimenti terrieri. Dotato di notevole ingegno e di buona preparazione, divenuto vescovo, si prefigge e consegue, durante il suo episcopato, precisi propositi: dare nuovo impulso alla vita religiosa, sociale e culturale di Brescia rinnovandone ed esaltandone le istituzioni e le tradizioni ecclesiastiche; riformare la Chiesa e inserirla in una rete di proficui rapporti con i monasteri e le sedi episcopali della valle padana e d'oltralpe; seguire, con la dovuta attenzione, le vicende, spesso molto ingarbugliate, del Regno Italico.


La sua presenza al concilio mantovano dal 6 giugno 827 teso a ricondurre sotto la giurisdizione del patriarcato di Aquileia i territori della laguna veneta, obbedisce a quest'ultimo intendimento. Ma sono soprattutto le prime due grandi linee programmatiche quelle che caratterizzano il suo pontificato. A conseguire molti degli scopi che in tal senso si è prefisso gli giovano non poco, da un lato il forzato e prolungato soggiorno di Lotario I nella Penisola; dall'altro gli intensi rapporti che riesce ad intessere con Angilberto, metropolita milanese e con i confratelli suffraganei. L'anno 837 l'imperatore affida a lui, al vescovo Adalgiso, probabilmente vescovo di Novara, e a due abati il compito di condurre un'indagine sui beni del monastero di S. Salvatore. Al termine dell'ispezione, il 15 dicembre, un diploma imperiale conferma i possessi del monastero, indicando le proprietà sia più lontane (quelle sul Po, nel territorio di Ivrea e di Seprio) sia più specificatamente i possedimenti più vicini del Benaco e della Valcamonica, nella quale, anzi, vengono lasciati cadere i diritti dell'abbazia di S. Martino di Tours concessi da Carlo Magno. La preminenza che l'imperatore assegna ai beni monastici prossimi rispetto a quelli remoti svela chiaramente il proposito di limitare l'area di influenza di S. Salvatore, restituendolo ad una dimensione più strettamente bresciana, rafforzata dalla concessione alle monache della libertà di scegliere fra loro la badessa: e attribuendo con analogo decreto uguale facoltà anche ai monaci di Leno.


Questi atti imperiali, che lo chiamano anche direttamente in causa, giovano ai propositi municipalistici di Ramperto il quale, per esaltare le glorie ecclesiastiche locali e i fasti dell'episcopato cittadino, l'8 aprile 838 celebra con grande solennità la traslazione delle reliquie di san Filastrio dall'antica basilica di Sant'Andrea alla cattedrale iemale di S. Maria Maggiore. Nella circostanza pronunzia quel famoso sermone, eccezionalmente accurato nello stile e nella struttura retorica, cui fa precedere un prologo che gli serve ad elencare i presuli che lo hanno preceduto sulla cattedra bresciana, a partire da san Filastrio. Forse in occasione di questa traslazione egli fa costruire la cripta della cattedrale, giudicata solo di pochi anni posteriore alla ricostruita basilica di S. Salvatore. Intanto incrementa la costruzione del complesso di S. Faustino Maggiore del quale verso l'830-831 si può ritenere ultimata la costruzione del campanile, su cui viene posto il celebre gallo di bronzo recante quella scritta dedicatoria che tanto ha fatto discutere gli storici (v. Gallo del beato Ramperto). Ramperto pensa di affiancare alla chiesa un monastero, naturalmente intitolato ai due martiri che riposano nella basilica almeno dall'anno 840. Per realizzare il suo proposito chiede consiglio ai confratelli suffraganei e al metropolita il quale gli invia i monaci Leudegario e Ildemaro. Col consenso dei suoi sacerdoti il vescovo affida loro compiti di soprintendenza e di organizzazione della comunità anche se non è dato sapere con certezza se Ramperto faccia rinnovare in questa occasione un antico cenobio andato in rovina o crei una fondazione affatto nuova, destinata ad assumere i compiti,fin qui trascurati, di un collegio di chierici officianti la chiesa. II 31 maggio 841 il monastero è comunque terminato ed i monaci vi hanno già iniziato la loro vita comunitaria. In tal giorno infatti il presule costituisce una cospicua dote all'istituzione da lui voluta, la quale ottiene il formale e solenne riconoscimento nel concilio provinciale celebrato in Milano l'anno 842. Vi partecipano, con il metropolita Angilberto e con Ramperto, gli altri suffraganei, tra i quali Hagano di Bergamo, Pancoardo di Cremona, Aldigio di Novara, Verendario di Coira. La risoluzione sinodale sanzionando la condizione giuridica del monastero, di diritto vescovile, concede ai monaci la facoltà di eleggere l'abate e di scegliere l'avvocato. Il 9 maggio 843 Ramperto consacra la chiesa, all'interno della quale si procede forse, ad una nuova traslazione delle reliquie dei santi Faustino e Giovita. Terminato l'anno 844 il soggiorno di Ildemaro e Leudegario, probabilmente sufficiente a far circolare un nuovo respiro culturale nel cenobio, viene dal vescovo di Bergamo inviato a Brescia il secondo abate, Maginardo, già monaco nell'abbazia di Reichenau e studioso della tradizione monastica. La comunità benedettina di S. Faustino si apre in tal modo ad importanti apporti che le consentono di ampliare l'ambito delle sue relazioni e di avviarsi a diventare un vivace centro di studi internazionale. Ciò compie pienamente i desideri del vescovo che, nel contatto fra aree culturali diverse, vede un'occasione importante per qualificare meglio la preparazione del clero e per ravvivare la tradizione educativa bresciana. Egli stesso, già dal biennio 831-832, ha iniziato con la Chiesa di Costanza quello scambio di chierici tra le due sedi che conoscerà ampio sviluppo negli anni futuri; da un suo diploma, infatti, dell'842 si apprende che in Lombardia giungono monaci d'oltralpe, incaricati d'istruire non solo il clero regolare ma anche quello secolare, milanese e bresciano. Con ciò la scuola episcopale cittadina riceve da Ramperto nuovo impulso, diventando anche centro d'irradiazione di una vasta opera evangelizzatrice. Promuovendo un generale riordinamento delle pievi, delle parrocchie, dei luoghi di assistenza e di culto, il vescovo rinsalda una fitta rete di istituzioni atte a diffondere con la fede, gli strumenti primi e fondamentali della cultura: dalle scuole parrocchiali i giovani più capaci possono poi affluire all'istituto regio di Pavia che accoglie anche studenti provenienti dalle finitime diocesi. Con ciò lo sforzo riformatore del vescovo e i rapporti che egli sa intessere con alcuni fra i centri più vivaci del pensiero contemporaneo, mentre conducono ad un rinvigorimento della vita interna della Chiesa bresciana, ne accrescono all'esterno la rinomanza e il prestigio. Non a caso nell'agosto 840, quando Lotario I convoca nel palazzo di Ingelheim la solenne assise sinodale che restituisce alla cattedra episcopale di Reims Ebone, suo fedele seguace, accanto a Ramperto siedono, fra gli altri, il presule di Coira e gli abati di S. Gallo e di Reichenau. Il grande vescovo muore probabilmente l'11 giugno 844 e viene sepolto in S. Faustino Maggiore; a questa fondazione monastica ha lasciato, con proprio testamento, una cospicua eredità.


Ha lasciato un "Sermo de traslatione beati Philastrii Episcopi Brixiae" già stampato nelle "Vite di Santi", di Surio e Lippomano (t. IV, p. 226 sgg.); nei "Sermoni di S. Gaudenzio" curati da P. Gagliardi (Brescia, Comino, 1720, p. 255 sgg.)", e nella collezione dei Padri della Chiesa bresciana (Brescia, Rizzardi, 1739). L'Odorici attribuisce a Ramperto anche una "Passio S. Faustini et Jovitae"; la quale, però, come il Savio dimostra in modo convincente, è anteriore all'episcopato di Ramperto ed è più probabilmente opera di un chierico milanese.