PONTEVICO
PONTEVICO (in dial. Puntìch - in lat. Pontis vicus)
Grossa borgata sulla sponda sinistra del fiume Oglio valicato da un ponte e da un viadotto ferroviario ai confini della Provincia sulla nazionale Brescia-Cremona. È a m. 55 s.l.m., a 33 Km da Brescia. L'abitato, attraversato dalla strada statale Brescia-Cremona, sorge presso un'ansa del fiume alla confluenza con questo del f. Strone. Ha pianta raccolta ed è caratterizzato dall'ampia e frequentata piazza Mazzini. Campazzo e Bettegno si trovano a N del capoluogo, rispettivamente alla destra e alla sinistra dello Strone; Torchiera a NE e Chiesuola a E, sulla provinciale per Pralboino. Ha una sup. com. di 28,43 Kmq. Frazioni: Campazzo (Km 4,07), Bettegno (Km 7,40), Torchiera (Km 4,17), Chiesuola (Km 2,68), Dossi, Gauzza, Barchi, Incassano.
ABITANTI: Pontevichesi (nomignolo mosegnu o "barchì de naviganti", quelli di Chiesuola "le pie", quelli di Torchiera "le oche"): 1700 nel 1497, 5000 c. nel 1565, 3600 nel 1580, 5000 c. nel 1610, 3286 nel 1638, 6586 nel 1871, 6754 nel 1881, 8966 nel 1951, 7162 nel 1961 (di cui pop. attiva 2484, 823 agr. 982 ind.), 6390 nel 1991. Il territorio è percorso dallo Strone, fiume importante dal punto di vista storico ed ambientale. Tra gli importanti vasi di irrigazione sono la Gambaresca costruita dai Gambara, la Calcagna, costruita nel sec. XIV da Lorenzo Calcagni, proprietario in Bettegno, e derivata dal Mella. Numerose le località ed edifici fra i quali, d'importanza storica, le chiese della Madonna di Ripa d'Oglio, Madonna della Strada, Madonna del Convento. Molte le cascine e i fenili, dei quali si segnalano: Colombere, Gheratto, Scanalupo, Mesa, Fornace, Colombera, Cicognino, Papetta Cicognini, Capparino, Legori, Bassa, Francesca, Deretti, Papetta Canossina, Dossi Cupis, Ceresole nere e bianche, Vincellate, Passere, Roveda, Perolino, Prestini, dell'Angelo, del Porto, Palazzo, Palazzina, Vidosetta, Gavattina, Pozzoletto, Pozzolino, dell'Abbazia, Ronchi di sopra e di sotto. E ancora la Vigna, Gorno, Pini, Spinelli, Molino, Rezzato, Pozzuolo. Inequivocabilmente il nome deriva da Pons vici (ponte del vico, o borgo) o Pontis-vicus (vico o borgo del Ponte). Un ponte, infatti, immette nella provincia di Cremona a Robecco d'Oglio. Che la zona venisse frequentata in tempi preistorici è confermato da reperti preistorici dell'industria litica e da materiali ceramici del Bronzo antico e medio, fortuitamente ritrovati nel 1984 nell'alveo del fiume Oglio, tra Alfiano, Grumone e Pontevico. Potrebbe risalire ai tempi preistorici la piroga rinvenuta nell'alveo del fiume Oglio nel 1984. I Romani alleati dei Galli Cenomani avrebbero passato l'Oglio fin dal 223 a.C. Vi è stato chi ha individuato in Pontevico il famoso villaggio di Bedriaco, noto per le due guerre civili del 69 d.C. fra Vitello e Ottone e poi fra Vitello e i Flaviani; ma nessuna prova può essere portata a sostegno di ciò se non una approssimativa indicazione della Tavola di Peutinger e di Tacito. Ciò che sembra incontrovertibile è che il primo nucleo sia sorto a Ripa d'Oglio; un gruppo di capanne di pescatori e poi di gabellieri e di qualche addetto al trasporto sul fiume. Su quel primo nucleo andò sempre più gravitando la zona circostante così che esso diventò il centro di un pago romano, trasformatosi poi in seguito in una pieve cristiana. Nessuna fortificazione doveva esistere in quei tempi perchè tra i due «municipi» cenomani e poi romani di Brescia e Cremona vi era la più tranquilla delle convivenze così che nemmeno i confini erano ben determinati, verificandosi spesso il caso che i cremonesi si spingessero in territorio bresciano e viceversa. Nel 1977 a Ripa d'Oglio vennero scoperti un pavimento di mattoni, sotto il quale ne venne rinvenuto un altro in cocciopesto, frammisti a pietra bianca e a numerosissimi frammenti fittili (di terracotta) dei quali alcuni bene identificabili: frammenti d'orlo d'anfora, d'orletti, di piedi di vasi, una ciotoletta ricomponibile, una olla, una sospensura circolare, chiodi, due spade ecc. che hanno suggerito origini pre-romane, forse etrusche. Qui esistette probabilmente il vicus romano che più tardi venne chiamato il "Burgus inferior", abitato soprattutto da barcaroli dato che vi era il porto come sembra confermare il cippo con incise le parole "transitus comunitatis Pontisvici". Il Tozzi giudica insufficiente e non persuasiva l'opinione di chi ha fissato come cardine massimo la statale Cremona-Brescia, nel tratto da Pontevico a Bagnolo. Comunque è provata la presenza romana nel territorio. Infatti frequenti e largamente sparsi nel territorio sono i reperti romani (materiali ceramici, vitrei e metallici) riferibili forse a corredi di tombe di età romana, ritrovati nel 1854, in frazione Campazzo, nelle proprietà Ugoni, fra i cui ruderi venne trovata una lapide dedicata ad un Audasio. Analoghi reperti vennero trovati in località "Geroldo" in anni antecedenti al 1910. Un'epigrafe romana venne rinvenuta nel 1777 in una località imprecisata di proprietà Brognoli. Si tratta di una iscrizione votiva su ara in calcare locale decorata a motivi vegetali; ai lati oinochoe e patera con dedica a Minerva da parte di una Seneca Magia. È conservata presso i Civici Musei d'Arte e Storia di Brescia. Ma i ritrovamenti di epoca romana di maggiore rilievo sono le strutture trovate a Ripa d'Oglio, a NE della chiesa, nel luglio 1977. In particolare è emerso un edificio rustico, databile al I sec. d.C., con strutture murarie, pavimenti in laterizi, materiali ceramici e metallici; sugli strati di distruzione e abbandono di tale complesso sono stati documentati livelli pertinenti a strutture abitative altomedievali, con ceramiche e monete. Tra l'altro venne ritrovata una piccola statua di Minerva. In seguito ad approfondimenti compiuti nel 1987 dalla Cooperativa Archeologica si è potuto constatare che quest'edificio fu distrutto da un violento incendio che, causando il crollo di muri e tetto, sigillò letteralmente i livelli pavimentali. Più tardi, sulle macerie di questi vani, probabilmente un'alluvione, depositò uno strato omogeneo di limo grigioverde. In seguito nello stesso sito ebbe luogo una nuova vicenda insediativa, con nuove attività, caratterizzate da pavimenti relativi a strutture abitative, in argilla battuta con tetti retti da pali o in scaglie di laterizi compresse... È convinzione degli esperti che ci si trovi di fronte ad un importante giacimento e che l'ortaglia Sala a Ripa d'Oglio si trovi ai margini di una zona colonizzata nei paraggi del fiume dai romani conquistatori della Padania. Sembra che questi ritrovamenti siano la prova dell'esistenza di un vasto pago romano che trovandosi sull'imboccatura di un ponte si chiamò Pontisvicus. In seguito durante le invasioni barbariche in posizione più elevata e difendibile, dominante la valle dell'Oglio, sorse un nuovo insediamento e un castello. Il vicus (o i vici) di Pontevico fu probabilmente toccato dalle orde barbariche di Attila e degli Unni (432 d.C.) e dalla politica di Teodorico, capo dei Goti che emise provvedimenti circa la pesca sui fiumi. Nel 565, di Pontevico si occupò anche il re dei Longobardi Alboino, che diede il nome a Pralboino. Il cristianesimo è probabilmente arrivato sulla via Pretoria. Tra i loca sanctorum che ne segnarono la diffusione segnaliamo al Campazzo "I Morti di S. Vitale", dove venne trovato nel 1873 un sepolcreto, che potrebbe risalire al V o VI sec., con tombe ad inumazione, a cassa e a fossa terragna, strutture murarie, un'epigrafe, materiali ceramici e monete oltre a strutture tardo romane e alto medievali riferibili ad un complesso insediativo tardoantico-alto-medievale e tracce del pavimento di una cappella la cui parte orientale fa pensare ad un sacello anteriore al sepolcreto stesso.
Pontevico fu toccato dallo sviluppo commerciale verificatosi sotto il dominio longobardo e poi sotto quello franco. L'immaginazione del Biemmi ha collocato, ereditandola da una «Historiola Rodulphi a Pontevico» una lite divenuta poi famosa, fra certo Otterano e Ittone, innamorati di una stessa fanciulla. Avendo la ragazza sposato Otterano, per vendetta le riversarono addosso del liquido di latrina all'uscita della chiesa. Questo fatto richiamò poi la vendetta che si concluse con la strage di molti pontevichesi. Tra i flagelli di Pontevico ricordiamo l'invasione degli Unni sulla fine del sec. VIII, degli Ungari nei primi decenni del sec. X, il terribile gelo dell'859-860, le invasioni di locuste dell'873, che seminarono terrore e povertà. Le ultime invasioni barbariche forse provocarono la costruzione o l'ampliamento del castello di Pontevico per accogliere e proteggere gli abitanti dei vici e della campagna abbandonati alla violenza barbarica.
A Pontevico arrivarono presto anche i monasteri con vaste proprietà. Molto influente fu quello di S. Zeno di Verona, al quale un diploma di Lodovico II, figlio di Lotario Augusto, il 24 agosto 847 confermava terre già possedute. Molta importanza, per l'estensione delle terre, ebbe il monastero di S. Giulia proprietario anche della corte di Alfiano situata sulla sponda destra dell'Oglio. Il monastero tenne infatti a Pontevico la gestione del porto, di notevole importanza economica per tutto il medioevo ed anche nei secoli successivi. Il 13 giugno 1037 l'imperatore Corrado concesse al vescovo di Brescia Olderico il possesso dei fiumi Oglio e Mella con ambo le rive, dalle sorgenti fino alle foci. Da questo momento inizia l'influenza del Vescovo su Pontevico ed il relativo controllo dei pedaggi. Anche il Comune di Brescia ottenne diritti sul porto e sul castello di Pontevico. La situazione diventerà ancora più conflittuale con la nascita del Comune di Pontevico nel XIII secolo, poichè saliranno a tre i contendenti che vanteranno il diritto a controllare un porto di importanza strategica ed economica. Non sembra vera la notizia che Arnaldo da Brescia abbia promosso il 23 agosto 1129 in Pontevico una Lega che dal paese prese il nome per sostenere Lotario contro Corrado. Vero, invece, il coinvolgimento di Pontevico nelle lotte fra guelfi e ghibellini e in quelle fra i Comuni lombardi contro l'imperatore Federico detto il Barbarossa. Il castello di Pontevico cadde nel 1162 nelle sue mani, ma è falso che egli lo consegnò poi ai Cremonesi. L'imperatore sarebbe passato per Pontevico anche nel 1166 provocando distruzioni, mentre i Cremonesi diventati alleati di Brescia nel 1168 giurarono di rimanere in pace con i Bresciani, permettendo con ciò un accentuato sviluppo economico, specie grazie alla pesca e ai commerci. Il 4 dicembre 1170 i consoli di Brescia investivano dei beni di Pontevico Aldighiero Bosadro e sua moglie Otta. Antichissimo è l'Hospitale Misericordiae Pontisvici, i cui beni risulteranno ancora fra quelli indemaniati nel 1797. La potestà del vescovo, assieme a quella del Comune di Brescia sulle due sponde dell'Oglio, è anche confermata da documenti come quello del 14 ottobre 1184 secondo il quale il vescovo Giovanni da Fiumicello addiveniva ad una convenzione con i consoli del Comune di Brescia per la locazione di fabbricati nel castello e nel borgo di Pontevico ed investiva l'arciprete di Grumone di un tratto di bosco situato sulla sponda sinistra dell'Oglio, ma sempre nel territorio di Pontevico e del quale poi il 2 dicembre 1209 l'arciprete di Grumone investiva i consoli di Cremona. Sembra che nel 1191 il castello sia stato da Enrico VI concesso ai Cremonesi, ma che venne però poco dopo, in seguito alla pace firmata nel gennaio, riconsegnato ai Bresciani, mentre l'imperatore imponeva ai Cremonesi di riconoscere l'appartenenza a Brescia delle acque e di entrambe le rive dell'Oglio e anche delle piantagioni, dei pascoli e qualsiasi costruzione per lo spazio di 100 "trabuci"; cioè 170 m. circa. Nonostante il riconoscimento di tali diritti su quasi tutta la linea dell'Oglio, i Bresciani nel 1193 si dedicarono a fortificare e rafforzare i principali castelli sulla sinistra del fiume, allo scopo di difesa dai Cremonesi. Soprattutto quello di Pontevico veniva fortificato o ne venne costruito uno nuovo assieme ad una rocca. Come scrive il Berenzi da ciò si deduce come il castello di Pontevico fosse considerato come "uno di più forti" della provincia tanto da venir indicato ad esempio quando fu decisa la costruzione del castello di Orzinuovi. Nelle lotte fra guelfi e ghibellini e fra nobili o milites e popolani, Pontevico giocò ruoli importanti. Nel 1208 vi si rinserrò il marchese Guido Lupo, podestà di Brescia e cacciato con alcuni nobili dalla città. La successiva cessione ai Cremonesi di Pontevico, in compenso dell'aiuto avuto, scatenò la reazione di Brescia che nel luglio 1208, cercò di riaverlo pacificamente con la mediazione di Milano e Piacenza, o almeno di avere la fortezza. Fallite le trattative, Brescia con i rinforzi di 1200 soldati mandati da Milano, pose l'assedio a Pontevico che potè essere preso di sorpresa di notte, essendosi le sentinelle e gli occupanti tranquillamente addormentati o assopiti. Per questo corse per molto tempo sulle bocche dei Bresciani la scherzosa battuta: «Dormono i Cremonesi nel castello di Pontevico». Come trofeo 400 dei maldestri custodi Cremonesi vennero condotti a Brescia e rinchiusi nelle carceri della città. Il Muratori tuttavia afferma che il castello fu preso invece dopo un duro combattimento tra i Bresciani soccorsi dai Milanesi ed i Cremonesi. Più complicato ancora il racconto del Bravo secondo il quale il castello venne ceduto per tradimento dai figli del Bosadro all'abate di Leno, Onesto di Casalalto, ma venne ripreso nel modo narrato dopo una battaglia avvenuta il 23 settembre 1208 fra i Cremonesi e i Bresciani appoggiati da Milanesi, Valtrumplini e Valsabbini. Durante l'occupazione cremonese e nello stesso 1208 il Comune di Cremona venne colpito da scomunica per un "fatto della Chiesa di Pontevico" rimasto sconosciuto. Se la rappacificazione fra Bresciani e Cremonesi e la loro alleanza siglata a Verona il 17 agosto 1211 "sul fatto di Pontevico" mise al riparo il castello e la popolazione da nuovi contrasti tra Bresciani e Cremonesi, Pontevico continuò ad essere per decenni uno degli epicentri delle lotte fra guelfi e ghibellini bresciani. Dell'incertezza e delle lotte intestine ne approfittò il podestà di Cremona per gettare sull'Oglio a Cremona un ponte compromettendo il pedaggio su quello di Pontevico. La reazione fu forte ma solo nel 1215 in un incontro tenutosi il 7 ottobre sulle rive del fiume fra rappresentanti di Brescia e di Cremona, questi ultimi accettavano di distruggere il ponte di Grumone. Proposito per il momento non mantenuto, dato che l'anno seguente i Cremonesi, alleati con i Pavesi, assaltarono il castello di Pontevico, lo presero, lo smantellarono facendo prigionieri i difensori. Ritornata la pace per le esortazioni di papa Onorio III il Comune di Brescia si dedicò alla manutenzione delle strade, al rafforzamento dei castelli, ad investiture di case e terreni. Il Liber Potheris, sotto la data 9 ottobre 1221, registra il nome di un abitante delle Valli che aveva proprietà in Pontevico. Un terribile terremoto il giorno di Natale del 1222 causò vasti danni e rallentò l'opera di ricostruzione e di riordinamento, come confermano i documenti del Liber Potheris il quale registra vuote alcune proprietà. Possiedono terreni in Pontevico: un certo Giovanni figlio di Lanfranco Ardezono; certi Zanno e Lanfranco Codasino, eredi di Pietro Botto; un certo Giovanni nipote ed erede di Zanno detto peccatore e un certo Girardino, figlio di Guido Botto. Il Liber Potheris accenna anche a nuove affittanze concesse dal Comune di Brescia ed inoltre parla del Castello vecchio e del Mercato. Il rilievo economico che Pontevico andava assumendo è confermato anche dalla presenza degli Umiliati, religiosi laici dediti come si sa ad attività manifatturiere (specie laniera) e che il Comune di Brescia incaricava anche della riscossione di dazi e tasse. Gli Umiliati di Pontevico ebbero casa in città detta di S. Paolo che, secondo P. Guerrini, si trovava dove è S. Eufemia, mentre per il Violante era presso S. Alessandro.
Sempre più rilevante si andava facendo la presenza feudale del vescovo di Brescia. Una minuziosa descrizione della "Pars" episcopi "Castri de Pontevico" condotta per conto del vescovo Berardo Maggi dal suo vicario Cazoino de Capriolo elenca beni vescovili in "Castro Veteri", in "Castro", in "Contrata Plebis", in "Contrata Hospitalis", in «contrata» presso la chiesa di S. Maria de Ripa Olei, nelle contrade dette "Sevolta", "Teyti" e "Regoni", in contrata Marchi, in territorio de Salvagna. Brandelli del potere temporale vescovile sono documentati ancora dopo il 1311. In registri dell'Archivio vescovile risultano come investiti dal vescovo il giusperito Oprando Rustici di molti fondi a Bettegno e nella zona circostante (16 luglio 1355) e l'Arciprete di Grumone cremonese che per concessione del vescovo Giovanni II gode vasti tratti di territorio boschivo. Nei registri accennati emergono anche i nomi di alcuni Rettori-arcipreti della pieve di Pontevico, che in qualità di Vicari vescovili presenziano alle cerimonie di investitura dei Vassalli della Curia Bresciana e ne firmano le testimonianze di ubbidienza e di dipendenza (Azzone, Bonagiunta de Zentunariis, Alberto, Gerardo de Fruschefollis, ecc.). Per un canale che i Cremonesi pretendevano di ricavare nel 1225 dall'Oglio si riaccesero vivaci contrasti richiamando soccorsi da parte di Orzinuovi che si attirò le ire cremonesi. Al riacutizzarsi delle discordie fra guelfi e ghibellini e fra molti comuni lombardi stretti nel 1226 nella Lega di Mosio, le nuove rivalità fra Bresciani e Cremonesi posero Pontevico ancora al centro di ostilità e di contese. Nel 1234, dopo uno scontro tra Bassano e Pontevico, i Cremonesi in rotta, impediti di passare il fiume, tentarono la fuga per la via detta di Alfiano per guadare il fiume, ma incalzati dai Bresciani molti rimasero uccisi, 600 caddero prigionieri e circa 200 si gettarono, morendo in gran parte, nelle acque dell'Oglio. L'anno appresso, avendo i pontevichesi protestato contro i Cremonesi per aver costruito una tagliata o canale presso Scandolara, di fronte a Seniga, i cremonesi si vendicarono uccidendo 17 soldati, facendone prigionieri 90 e mettendo in fuga gli altri che si rinchiusero nel Castello. Contro Pontevico, conquistandolo, si diresse nel 1236 l'imperatore Federico II dopo aver preso Marcaria e Mosio, prima di riprendere la via della Germania. Ritornato Pontevico con Mosio in mano ai Bresciani forniva truppe contro l'imperatore, ma venne di nuovo ripreso l'anno seguente durante una nuova campagna dell'imperatore in Italia che entrò in Pontevico in novembre, con grande pompa. Ostentava tra l'altro un colossale elefante che nel 1228 nel viaggio in Terrasanta gli aveva regalato Kamil pascià e sul quale aveva fatto installare una torre quadrata a foggia del carroccio lombardo fra stuoli di saraceni e schiere di soldati, carri e macchine di guerra incendiando poi il castello. L'esercito della Lega lo incontrò poi a Cortenuova il 27 novembre, ma fu ingannato dall'astuzia dell'imperatore e lo stesso carroccio fu catturato. Dopo pressioni di Federico II la fazione malesarda, da lui sostenuta, riuscì nel 1242 a consegnare il castello agli alleati Cremonesi che vi rimasero fino al 1248. Quando i Bresciani poterono riaverlo, lo rafforzarono con nuove torri e fortificazioni. Nel 1252 avvenne un riavvicinamento fra Bresciani e Cremonesi che siglarono un accordo l'8 novembre 1252. La pace però venne quasi subito contestata. Pur tra tanti contrasti il Comune di Brescia riprese una verifica delle sue proprietà promuovendo una ripresa economica specie agricola e commerciale. Il 6 aprile 1255 il notaio Orico Occanoni, su incarico del Podestà di Brescia iniziava una nota delle proprietà comunali a Pontevico. Così rileva il Berenzi: «più chiaro cenno dell'uno e dell'altro castello, e dell'uno e dell'altro borgo, parmi si possa credere, che in quell'epoca il paese fosse realmente formato da due distinti gruppi di case, o borghi; l'uno detto borgo vecchio, e l'altro borgo nuovo; aventi probabilmente ciascuno la propria rocca, e fors'anche, come vedremo, la propria Chiesa; cioè la Chiesa plebana di S. Andrea, situata nella parte inferiore e antica del paese, e quella di S. Tommaso, che ora diremmo sussidiaria, nella parte superiore e più recente. Che il paese poi si distendesse anticamente nella parte bassa, a sud est, oltre l'attuale Cimitero di S. Andrea, lo conferma anche una tradizione tuttora costante, e ne danno assicurazione le tracce di domicili distrutti, che si riscontrarono nel terreno in vari campi, presso il Santuario della Madonna di Ripa d'Oglio». Dall'inchiesta operata dal notaio Occanoni risultava il diritto del Comune di Brescia su metà del pontatico, dei mulini, delle "malghe" ossia allevamenti di bestiame, degli affitti del castello, dei diritti di pesca, di caccia ecc. Nel 1258 Pontevico con altri castelli dovette arrendersi ad Ezzelino da Romano che, nel settembre 1259, ferito e fatto prigioniero, moriva. Nel frattempo Uberto Pelavicino, signore di Cremona, giocando la buona fede del Comune di Brescia, cominciò ad assicurare del suo appoggio i guelfi bresciani, e valendosi, egli ghibellino, dell'opera di un certo Confalonieri, e di altri poco accorti del partito guelfo, giunse a raggirarli in modo che in breve tempo, e senza grandi difficoltà divenne padrone di Brescia, e anche del castello di Pontevico. Parrebbe, almeno a quanto si legge in una cronaca cremonese, che il castello abbia dovuto cedere nel 1265 alle soverchianti forze nemiche subendo inoltre assieme ad altri castelli la distruzione da parte di Roberto di Bethune, conte di Fiandra, capitano di Carlo d'Angiò sceso in difesa della causa guelfa. Nuove devastazioni subì il castello nel 1268 da parte di truppe guelfe comandate dal Dovara. Seguirono, ancora terremoti, inverni rigidissimi, inondazioni, carestie, pestilenze mentre, grazie alla mediazione del vescovo Maggi, si acquietarono per qualche tempo le discordie interne. Le quali però riesplosero nel 1303 con il sopravvento dei ghibellini, che si impadronirono del castello di Pontevico che passò poi di nuovo ai guelfi, i quali riuscirono a molestare e imprigionare intere compagnie di ghibellini, facendo prigioniero il vescovo di Butrinto o Botronto, mentre si dirigeva con il suo seguito a Soncino, latore di un messaggio di Arrigo VII che in quel momento assediava Brescia. Il vescovo tuttavia riuscì a distruggere il messaggio stesso e mentre era prigioniero a Pontevico molti si mossero in suo favore, anche se poi egli stesso, con lo stratagemma di procurare vino ai suoi custodi, riuscì a liberarsi. Caduta nel 1311 Brescia in mano all'imperatore e ai ghibellini, anche Pontevico ne seguì la sorte passando in mano ai ghibellini che a maggior sicurezza chiamarono in aiuto Giberto da Correggio. Quest'ultimo cadde presto in disgrazia presso l'imperatore che lo fece processare e condannare. Con la caduta della città, il castello ebbe a capo del presidio un rappresentante imperiale nella persona di Loderengo Martinengo che lo dovette cedere poi l'8 luglio 1313 ai guelfi, nonostante che i ghibellini, cacciati di nuovo da Brescia nel gennaio 1316, fossero riusciti ad impossessarsi di altre fortezze e località. Sotto il castello continuarono scontri e scaramucce, in una delle quali, proprio nella campagna circostante, Zambellino di Bornago, nominato podestà di Genova, e in viaggio per questa città, riuscì a prevalere sui ghibellini che cercavano di catturarlo, uccidendone e facendone prigionieri. Appoggio il castello ebbe con la conquista da parte dei guelfi cremonesi del castello di Robecco. Dopo feroci lotte di fazioni, un pontevichese venne chiamato nel 1331 nel consiglio cittadino di Brescia. Rivelatosi poi Giovanni di Boemia che aveva occupato Brescia, troppo schierato con i ghibellini, i guelfi incominciarono a ribellarsi. In Pontevico, anzi, l'Odorici individua quel Castel Vico che, secondo storici del tempo, si sarebbe nel luglio 1331 per primo ribellato, scatenando contro di sè, il mese seguente, l'esercito del figlio di Giovanni, Carlo. Occupato poi per anni da truppe di Mastino della Scala, nel 1337 venne conquistato da Azzo Visconti. Quietatesi le guerre, Pontevico fu al centro di contrasti, riguardanti particolarmente l'Oglio. A darne origine fu soprattutto il Diploma del 21 giugno 1329 con il quale Lodovico il Bavaro confermava ai Cremonesi tutti i diritti, le esenzioni e i privilegi già concessi in antecedenza compresa anche la giurisdizione sul fiume Oglio dall'una e dall'altra riva, con piena facoltà di estrarne e derivarne l'acqua ad libitum. Gli scontri fra Bresciani e Cremonesi sulle acque dell'Oglio in genere e sul ponte di Pontevico in specie, durarono a lungo, con il sopravvento più volte dei Bresciani. I privilegi del resto riguardanti l'antico dominio sui fiumi Oglio, Mella e Chiese venivano ratificati l'8 gennaio 1355 dall'imperatore Carlo IV. Nella guerra fra Bernabò Visconti e la Lega formata da: Papa, Scaligeri, Carraresi e signori di Mantova e Ferrara, Pontevico passò nel luglio 1362 in mano a quest'ultima. Secondo qualche storico, ciò avvenne per resa spontanea, salvo la rocca che rimase in mano all'esercito milanese. Bernabò Visconti riuscì poi a dominare la situazione e ordinò che le mura di Pontevico venissero atterrate assieme ad altri castelli compreso quello di Robecco. Invasioni di locuste, irruzioni di eserciti nemici, carestie e pestilenze desolarono anche Pontevico negli anni che seguirono e non mancarono nuove lotte fra i Visconti e gli Scaligeri. Nel riordinamento del territorio compiuto nel 1389 da Gian Galeazzo Visconti, Pontevico divenne capo di una Quadra formata da Pontevico, Alfianello, Seniga, S. Gervasio. L'organizzazione della comunità era certamente già avanzata, tanto che nel 1384 si registra l'esistenza di una contrada chiamata "cantonum caritatis". Nei continui contrasti che seguirono, specie dai primi anni del sec. XV, Pontevico fu di nuovo al centro di guerre fra Ugolino Cavalcabò, signore di Verona, e i Visconti. Il Cavalcabò nel 1404 riunì in Pontevico il suo esercito di 7 mila fanti e 200 cavalli e il 13 dicembre si scontrò con l'esercito visconteo presso Manerbio. Qui il Cavalcabò veniva fatto prigioniero. In seguito Pontevico venne rinforzato, con Quinzano, da Pandolfo Malatesta diventato signore di Brescia. Nel castello di Pontevico nel 1413 si rifugiava Pandolfo Malatesta inseguito da Cabrino Fondulo, signore di Cremona. Rinforzatolo nel 1414, resistette contro attacchi nemici. Nel 1417 venne difeso valorosamente, in nome del Malatesta, dal capitano Nicola di Tolentino che si impegnò a fondo, grazie anche a Cabrino Fondulo, contro l'esercito visconteo che però più tardi, nell'autunno 1419, potè rioccupare il castello di Pontevico. Al sopravvento di Venezia il 6 ottobre 1426 un Facino di Pontevico era fra coloro che in S. Pietro de Dom giurarono fedeltà a Venezia. La Repubblica si affrettava poi a confermare diritti e privilegi, concedere esenzioni e indennità, e stabilire altresì, dietro sentenza del card. di Santa Croce, Legato Apostolico di Martino V, «che il fiume Oglio con ambedue le ripe dall'una e dall'altra parte e con le fortezze in esse esistenti fosse di sola giurisdizione bresciana». In tal modo Venezia venne a confermare alla Città di Brescia, insieme alle antiche prerogative e a molti altri privilegi, anche quello del dominio e di parte dei diritti sul ponte dell'Oglio a Pontevico. Nel luglio 1427 Pontevico venne saccheggiato ed incendiato con Robecco dall'esercito milanese. Risvegliatesi ai primi del 1431 le rivalità fra Milano e Venezia, Pontevico diventò nuovamente campo di nuovi assedi e contrasti. Nel giugno 1432 Nicolò Piccinino a capo dell'esercito milanese, nel tentativo di guastare il ponte sull'Oglio a Pontevico, venne seriamente ferito da un colpo di balestra. Ritornato nel giugno 1438 con forze soverchianti ebbe senza colpo ferire il castello, dal quale partì per altre conquiste e per l'assedio di Brescia che rimase celebre nella storia. Il 10 giugno 1440 rientrava invece in Pontevico l'esercito veneto al comando di Francesco Sforza da dove poi partiva per sottomettere la pianura bresciana e, nel luglio, il Cremonese ed altre terre. Ritornato il Piccinino il 27 febbraio 1441, Pontevico gli si arrendeva, avendo salve se non le cose, (delle quali vi fu grande saccheggio), la vita degli abitanti. Su Pontevico faceva leva il comandante dell'esercito veneto Francesco Sforza ritenendo, come scrive il Soldo, "di non aver fatto nulla in Brescia se non toglieva al suo avversario questo forte passo sull'Oglio" tentando di conquistarlo. Sopravvenne invece la pace non prima che in Pontevico, presso la porta del castello, venisse il 3 sett. 1441 fatta per mezzo di certo Lampugnino, procuratore, nunzio e delegato del Duca di Milano, solenne protesta riguardo ad alcune terre che Venezia aveva occupato durante la guerra. Alcuni storici, fra cui il Caprioli, sostengono che il duca di Milano chiedesse per sè Pontevico ciò che non gli fu concesso. Nel 1444 Pontevico fu di nuovo coinvolto nell'assedio che Francesco Piccinino, figlio di Nicolò poneva a Cremona. Veniva occupato dal generalissimo dell'esercito veneto Michele Attendolo, che ne fece base per le azioni di guerra contro l'esercito milanese, sconfitto il 26 sett. 1446. Le fortificazioni di Pontevico erano del resto tali che quando i Milanesi, la notte del 27 marzo 1447, passato l'Oglio ad Alfiano, si diressero su Pontevico credettero bene di non toccarlo dirigendosi invece a compiere razzie e incendi su Alfianello e S. Gervasio. Da Pontevico nel 1447 partirono nuovi tentativi di Venezia di predominio su Cremona. Scoppiata nel 1452 la guerra fra il Ducato di Milano e Venezia, Pontevico divenne ancora uno dei capisaldi della resistenza all'avanzata dell'esercito di Francesco Sforza che lo attaccò il 6 giugno bombardandolo in modo tale che gli assediati dovettero scendere l'8 giugno a patti onorevoli e ad arrendersi. Lo Sforza fortificò il castello e vi pose 500 soldati. Il Muratori scrive che Pontevico fu "il luogo più importante" conquistato dal Duca nel 1452 per cui l'anno dopo, il 25 maggio 1453, venne investito dalle truppe venete comandate da Jacopo Piccinino e, mentre lo Sforza compiva ogni sforzo per accorrere a difenderlo, il 29 maggio, dopo instancabile bombardamento, cadde in mani venete. Molti furono i morti e i feriti. Il castello venne poi dai veneti fortificato e diventò il caposaldo dell'esercito della Repubblica dove nel giugno si riunirono i capi dell'esercito per studiare le mosse di attacco alle truppe del duca di Milano che si trovavano a Seniga. Dopo due giorni di bombardamento, l'8 giugno, Pontevico cadde in mano allo Sforza. Si susseguirono tentativi di scontro, scaramucce senza che si addivenisse allo scontro decisivo. Dopo un primo vivace scontro fra Pontevico e Seniga i due eserciti si spostarono a fine giugno su Ghedi dove sopravvennero in aiuto al Duca di Milano anche le truppe del Duca di Mantova che obbligarono i veneti a ripiegare su Porzano. Sospese le ostilità, per riprendere fiato, i due eserciti si diedero a scorrerie e ruberie sia nel Bresciano che nel Cremonese. La caduta di Pontevico seminò terrore ovunque e portò alla resa spontanea parecchi castelli e paesi della Bassa bresciana, fino a quando con la pace di Lodi del 9 aprile 1454 si pose fine alla guerra. Nel frattempo venivano definiti i rapporti della città con il comune di Pontevico per l'uso del porto sull'Oglio i cui proventi spettavano ab antiquo alla città ed invece, venivano richiesti dagli abitanti del paese "iure loci". Con Provvisioni del 19 ott. e 4 nov. di tale anno agli abitanti di Pontevico si concesse soltanto l'esenzione dal pedaggio per loro e per le cose di uso personale (ma non per la legna), per le fascine ed in genere per i prodotti delle possessioni poste al di là del fiume, con obbligo, inoltre, di provvedere alle spese di manutenzione. Al porto era preposto un custode o «portinaio». L'assedio a Pontevico si fece sempre più duro anzi implacabile fino a quando, aperta una breccia, le truppe del duca poterono alle ore 22 del 19 penetrare nella fortezza saccheggiando ovunque e facendo molti prigionieri. I francesi, giunti in ritardo sul luogo, si diedero con furore a uccidere i prigionieri e le stesse donne e i bambini suscitando orrore negli stessi soldati milanesi che si rivolsero contro loro con le spade in pugno. Molte furono le case incendiate o devastate. Pontevico ottenne privilegi il 20 luglio 1453 ed altri il 17 agosto 1454. La Serenissima esentava gli abitanti per 10 anni da tutti i dazi, i pesi, le angherie e sopra-angherie e da tutte le altre gravezze o imposte di qualsiasi genere, eccettuate soltanto quelle del sale, e della cosiddetta Taglia Ducale. In una lettera del Doge, data in risposta ai 3 Capitoli di una istanza del Comune di Pontevico, gli abitanti ottennero altri favori e ancora altri il 7 dicembre 1454 che li dispensava dalla stessa Taglia Ducale. Tutto ciò favoriva una rapida ricostruzione. La rocca, riedificata nel 1457, venne munita di due nuovi torrioni la cui prima pietra, posta il 18 maggio di tale anno, vide la presenza di tutte le autorità e del popolo. Decenni di pace permisero anche lo sviluppo dell'agricoltura e delle attività artigianali e commerciali, rallentate a volte da gravi alluvioni dell'Oglio specie nel 1458 e 1481, da un terremoto del 1471 e da nuove invasioni di locuste nel 1474, 1477, 1478 con conseguenti epidemie dovute ai miasmi esalanti dalle montagne di insetti putrefatti. In vista di queste sciagure Venezia concedeva, specie il 21 ottobre 1479, nuovi privilegi ed esenzioni, mentre altri benefici vennero da provvedimenti dei podestà e dei capitani di Brescia, come l'esenzione dalla tassa di limitazione e da quella di bollo per le bestie; l'esenzione dal dazio del vino e delle biade, come pure dall'obbligo di alloggiare e mantenere nel Castello parte dei cavalli della Repubblica, e dalla spesa della legna da darsi ai soldati della rocca. Dopo nuove sventure dovute a carestie fu di nuovo la guerra. Nelle ostilità aperte da Venezia contro il duca di Ferrara Ercole I, Pontevico e l'Oglio furono di nuovo base delle manovre del comandante veneto Roberto Sanseverino. Allontanatosi poi verso il Milanese, sopravvennero gli alleati del duca di Ferrara che con scorribande dal Cremonese compirono nell'agosto 1483 razzie di bestiame e di derrate. Furono respinti da Giovanni Greco, capo del presidio di Pontevico, mentre all'interno nacque una congiura che, scoperta, portò tre dei suoi organizzatori al capestro. Dopo giorni di trepidazione per il dilagare dell'esercito nemico capitanato dal duca Alfonso di Calabria nella Bassa Bresciana, in settembre l'esercito veneto riorganizzatosi si rafforzò in Pontevico, riuscendo a penetrare nel Cremonese. Dopo la pausa invernale, riprese nel 1484 le ostilità, le campagne subirono nuove devastazioni di eserciti, fino a quando, finalmente, il 7 agosto 1484 fu firmata la pace delle Chiaviche. Nei non molti anni di pace che seguirono anche Pontevico fu funestata specie nel 1478-1479 dalla peste per cui nel 1493 gli abitanti erano ridotti a 1700. Al profilarsi di nuove azioni di guerra fra Venezia, alleata con Ludovico XII di Francia, contro il Ducato di Milano, Pontevico diventò di nuovo un punto di osservazione sui movimenti dell'esercito milanese, affidata al Castellano e al Conestabile, e luogo di raduno di truppe e di vettovaglie. Il vicario di Pontevico e l'architetto Bernardino Martinengo si davano da fare per la ricostruzione del ponte sull'Oglio che avrebbe potuto servire a future operazioni contro il Cremonese e la fortezza di Robecco che veniva continuamente rinforzata. I beni di Pontevico, assegnati in quel periodo da Giulio II ad Ascanio Sforza nemico dei Veneziani, provocarono vivaci proteste da parte del Senato veneto suscitandovi dissapori con conseguenti contestazioni. Dissapori e contestazioni che concorsero a provocare la nascita di una nuova Lega contro Venezia. Nell'occasione Pontevico divenne il luogo di raccolta dell'esercito veneto. La guerra si mise male per Venezia, Brescia cedette al re di Francia, ma Pontevico rimase fedele a Venezia anche quando nel giugno, fuggito lo stesso castellano Francesco Lippomano, dovette accogliere 300 francesi con a capo il cap. Himbercurt. A Pontevico alloggiò nel giugno lo stesso Luigi XII in viaggio da Ghedi a Cremona. Il desiderio di fedeltà a Venezia, le angherie commesse dall'esercito francese erano sul punto di spingere i pontevichesi a ribellarsi. L'anno appresso (1510) in giugno a Pontevico si concentravano gli eserciti francese e spagnolo per riprendere le ostilità contro Venezia e Gian Giacomo Trivulzio a capo dell'esercito francese si univa a tale scopo con gli spagnoli mentre la popolazione faceva conoscere a Venezia la sua fedeltà e la voglia di insorgere e di scacciare i francesi. Tuttavia solo ai primi di febbraio del 1512 Pontevico potè liberarsi dai francesi che lasciarono in mano degli insorti 14 prigionieri. Ma pochi giorni dopo, sopravvenuto da Bologna Gian Giacomo Trivulzio con 500 lancieri e grande numero di fanti, nonostante la strenua difesa, Pontevico dovette arrendersi. Il paese fu saccheggiato e gli abitanti perseguitati. Restaurato, il castello ospitò alcuni personaggi illustri quali il famoso Cavalier Baiardo, Pierre du Terrail, detto il Cavaliere senza macchia e senza paura, che si era distinto nella battaglia di Agnadello (1509) e il favorito di Luigi XIV, il maresciallo francese Villeroy. In maggio pressato dall'esercito della Lega santa (Venezia, Impero, Papa ecc.) l'esercito francese cercò di rinforzarsi in Pontevico, ma ben presto dovette allontanarsi, non senza aver prima distrutto tutto il possibile. Sopraggiunto il provveditore veneto Cappello, restaurato il castello, inseguì i francesi e gli spagnoli oltre l'Oglio, nel cremonese. Rimanendo ancora Brescia in mano ai francesi Pontevico fu luogo di concentramento dell'armata veneta mentre le autorità venete tentavano di riattivare l'amministrazione locale. Da Pontevico, il 5 agosto 1512, l'esercito e i provveditori veneti marciarono su Brescia che il 18 settembre si arrese agli spagnoli. Nell'incertezza Venezia fortificò Pontevico mentre le truppe ivi attestate vigilavano lungo il fiume per impedire il passaggio ai nemici di Venezia. La Repubblica continuò a guardare con particolare attenzione a Pontevico. La guerra a intervalli continuava e da Pontevico nel 1513 l'esercito veneto si riversò, il 27 maggio, su Cremona, occupandola. Poco dopo, rinforzato poi da truppe ripiegate da Orzinuovi, il castello di Pontevico potè resistere agli spagnoli e loro alleati. A metà luglio l'assedio si strinse sempre più con l'impiego di truppe specializzate, ma senza un esito positivo. Rivelatosi inutile l'assedio, si passò ad un blocco che tuttavia non impedì fortunate sortite degli assediati. I nemici tornarono perciò all'assedio con 3500 soldati favoriti da nuovi rinforzi, e mezzi d'assalto e dal diffondersi della carestia e dalla peste. Gli assediati scesero a metà agosto a patti e si arresero. Alcuni tuttavia presero la via dell'esilio, i più si rassegnarono a subire per 3 anni il dominio spagnolo fino a quando nel maggio 1516, anche Pontevico potè accogliere le truppe venete. Nel giugno del 1517 spedivano ambasciatore a Venezia un certo Domenico Bozzono a presentare alla Signoria una istanza da parte del Comune e degli abitanti, nella quale domandavano la rinnovazione dei privilegi concessi dalla Repubblica, e la conferma delle Sentenze già pronunciate dai Podestà e dai Capitani di Brescia in favore di Pontevico. E il Doge Leonardo Loredano con sua Ducale del giorno 20 diretta al Podestà Francesco Faletro, e al Capitano della Città e Provincia Pietro Marcello, a quelli di Pontevico decretava la conferma dei loro privilegi, il ristabilimento del ponte sull'Oglio, e nuovi favori circa i debiti di privati e del comune. Rimasero invece sospesa a lungo la questione riguardante la manutenzione e i pedaggi sul ponte dell'Oglio, fino a quando si addivenne ad una transazione secondo la quale spese ed entrate erano ripartite in cinque parti, tre toccavano alla città e due al Comune di Pontevico.
Nel 1521 abbiamo nuove ostilità fra impero e Francia. Le truppe di Venezia, alleate con la Francia, furono di nuovo a Pontevico tenendo testa alle truppe avversarie accompagnate a Robecco sulla sponda opposta dell'Oglio ospitando molti che non sopportavano il dominio straniero. Pontevico fu di nuovo rinforzato e la cavalleria, ivi alloggiata, respinse minacce nemiche. Un avvenimento del 1521 venne ricordato da Giorgio Vasari nella sua "Vite dei più eccellenti pittori, scultori, ecc." e illustrata da un suo allievo, lo Stradano, nella sala "Giovanni dalle Bande Nere" (ora ufficio del sindaco) in Palazzo Vecchio a Firenze. Durante la "ritirata strategica" che nel 1521 il gen. Prospero Colonna, comandante delle truppe imperiali pontificie e svizzere, aveva fatto, non potendo, per l'angustia e la tortuosità delle strade, dirigersi da Corte de' Frati su Bordolano, ripiegò su Robecco, accampandosi lungo la riva destra dell'Oglio. Essendosi accorto alle luci dell'alba di trovarsi alla portata della artiglieria del castello di Pontevico si riparò in luogo ritenuto protetto. Poco dopo in seguito ad un colpo di falconetta sparato dal castello, pensò di allontanarsi verso Gabbioneta. Giovanni delle Bande Nere avrebbe difeso la ritirata combattendo valorosamente, come scrive il Vasari. Nel 1529 Pontevico fu di nuovo assalita dalle truppe imperiali che saccheggiarono case e distrussero in parte il castello. Ritornata la pace Pontevico ottenne nel 1533 che venissero distrutti due mulini che i cremonesi avevano costruito presso il castello dando il via ad una causa che durò per anni. Vennero poi lunghi anni di pace nel corso dei quali Venezia aiutò la ricostruzione di Pontevico, concesse esenzioni fiscali, ed autorizzò un maggior prelievo del Comune sulle entrate del ponte, che portarono notevole sviluppo economico sia agricolo che commerciale. Pontevico fu particolarmente al centro del commercio di vino e farina. L'intensificazione della coltivazione dei campi portò a questione con i cremonesi circa la mutazione dell'alveo dell'Oglio. Si discusse molto fino a quando si giunse il 22 dicembre 1549 ad una transazione. Si riaccese anche una vertenza annosa fra il vescovo di Brescia con la città che pretendeva di avere la metà degli introiti del ponte sull'Oglio a Pontevico e che venne superata con un accordo sancito dalle Provvisioni del 29 novembre 1532, del 31 luglio e 24 agosto 1533. Per favorire lo sviluppo economico venne aperto un mercato, concesso dopo ripetute richieste del 1551, 1558, nel 1559 quando il vicario Annibale dei Lantoni e il castellano Vincenzo Delfino vennero autorizzati a comperarne l'area, ottenendo inoltre particolari privilegi, considerandolo strategicamente importante e mandandovi castellani e conestabili di fiducia. La rocca veniva di nuovo rinforzata nel 1560 e nel 1571 vi veniva fondata una scuola di bombardieri reclutati particolarmente fra gli artigiani, con salario e privilegi. Il paese otteneva inoltre nuove esenzioni e riduzioni di tasse e dazi mentre continuavano a nascere contrasti con i cremonesi per diritti di pesca sia nell'Oglio che in un laghetto che gli Ugoni possedevano nel Cremonese. Parallelo a quello economico fu anche un certo sviluppo civile e culturale. Già nel 1548 veniva segnalata l'esistenza di una accademia letteraria, mentre da tempo immemorabile, erano stati assunti medici stabili.
Lo sviluppo economico e l'importanza strategica avevano richiamato fin dai sec. XII-XIII famiglie importanti dalla città e dal territorio che aumentarono sotto il dominio veneto. Fin dal sec. XV vi erano i Gaifami cui si aggiunsero nel sec. XVI i Moro, i Paitoni e i Pontevichi naturalmente, oltre agli Averoldi (a Bettegno con una grossa proprietà subito dissoltasi dopo il 1517), i Gavattari (ai quali succedettero i Bornati alla Gavattina), i Maggi (alla Sabbionera), gli Ugoni (al Campazzo); nel secolo XVII i Lizzari, i Calini (di Mairano nella casa Villa), i Malvezzi (alla contrada Pozzolo), ed infine nel secolo dopo gli Zanetti (alla Vidosa) e gli Archetti (ai Ronchi). Non risulta che vi fossero famiglie bresciane che avessero casa in piazza, come si diceva, e cioè nel centro del paese abitato. In questi grossi borghi i locali vi avevano sempre il sopravvento. Due famiglie ebbero casa in piazza: i Gorno e gli Ottinelli diventati poi Ottonelli. Contrariamente a quanto scrive il Berenzi la peste detta di S. Carlo del 1576-1577 devastò crudelmente Pontevico che nel giro di due anni vide ridotti gli abitanti. Ricorrenti carestie avvenute nel 1565, 1578 consigliarono le autorità bresciane a confermare ed anzi a rendere più favorevole la concessione di esenzioni di dazi. A dirimere questioni fra Bresciani e Cremonesi intervenne nel 1578 il vescovo Domenico Bollani. Più tardi nel 1593 il capitano di Brescia Benedetto Moro interveniva ancora per confermare privilegi già concessi. Eco vasta ebbe nel 1580 la visita apostolica di S. Carlo Borromeo che coincise con la ristrutturazione della chiesa parrocchiale alla quale si era dato mano nel 1574. Ancor più risonanza ebbe la concessione nel 1609 del titolo di abate all'arciprete di Pontevico. Anche se agli inizi del '600 continuarono i contrasti con i cremonesi per motivi sempre nuovi, il fenomeno che si manifestò più grave fu quello del banditismo. Il 10 settembre 1609 infatti, nella piazza di Cremona veniva decapitato certo Tomaso Sartoro che a capo di una banda di malandrini aveva infestato il cremonese con aggressioni ed assassini. Nonostante ciò la vita economica del paese prendeva sempre più respiro per lo sviluppo dell'agricoltura e del commercio favorito anche da una sempre più facile e pacifica navigazione del fiume. Con fermezza Pontevico non omise occasione di far valere i propri privilegi sia riguardo alla somministrazione di strame, legnami ecc. alle truppe ospitate nella Rocca (21 ottobre 1613), sia riguardo alle esenzioni dei dazi. Nel frattempo nel 1624 la Rocca veniva di nuovo fortificata e risolte le questioni con i cremonesi. A rallentare il continuo progresso sopravvennero nel 1628 una terribile carestia e la guerra per la successione di Mantova che vide la sosta di migliaia di armati i quali a loro volta portarono la terribile peste del 1630 che seminò a Pontevico un numero spropositato di morti. Le prime avvisaglie vennero avvertite nel marzo. Il 30 di tale mese infatti da Pontevico giungevano a Brescia notizie che sul confine con il territorio cremonese erano state chiuse alcune case per sospetto di peste. Nell'assistenza si distinsero i curati Chizzoli e Cania, e i cappellani Boldrini, Fausti, Bonvini, Vescovi, Rovino, Rampini e Capparino, di cui gli ultimi quattro soccombettero, vittime del loro sacro ministero. Inoltre si distinsero per zelo nell'assistenza dei poveri appestati anche i Disciplini e i Padri Agostiniani del Convento della Misericordia, tra i quali specialmente il priore P. Vittorio e il P. Gabriel Angelo dei Poncarali. Nel registro dei morti si legge «Adì ultima agosto 1630. Per la stragge crudelissima di peste seguita li anni 1630-1631 et parte si manco di registrare al presente libro altri figlioli et per la suspicione di essa...». Nel libro dei morti venne annotato: «Nel 1630 morsero (sic) di mal contagioso circa mille et novecento omini di Pontevico, et circa mille soldati et più per giusta verità, et non si sono assegnati (nel registro) per esser stati sepolti a S. Andrea sin a 40 al giorno et più»; in un documento dell'Archivio municipale di Brescia, si legge: «a Pontevigo sono empiudi (di appestati) li due lazareti, et non bastano, perché el morbo se alarga tutti i zorni». Dal flagello inoltre sortirono anche opere permanenti di carità come il Pio Istituto Elemosiniero fondato da Francesco Capparino (fratello del sacerdote d. Mattia Capparino morto di peste), il quale con atto rogato, a quanto pare il giorno 29 agosto 1630 dal notaio G. Battista Brighenti, legava quasi tutta la sua sostanza a scopo di beneficenza. Alla peste nel 1631 successe una nuova carestia che prostrò del tutto l'economia fino alla metà del secolo, mentre la Repubblica impegnata dal 1646 contro i Turchi a Candia richiedeva aiuti finanziari e uomini.
Dopo anni di inerzia verso la metà del '600 sembrò tornare un po' di vita. Oltre ad una ripresa dell'agricoltura venne registrata quella del commercio specie dell'olio e del vino. I torchi salirono a 5 (due in paese e tre in Torchiera), mentre aumentarono i mulini. Nel 1661 si dovette restaurare il ponte sul fiume, mentre nello stesso anno il comune attraverso Francesco Davo, otteneva da Venezia la conferma di privilegi ed esenzioni. Non mancarono questioni fastidiose come quella fra il comune e le monache di S. Giulia di Brescia circa alcune barche che il monastero teneva a Pontevico per trasportare attraverso il fiume i prodotti della loro tenuta cremonese di Alfiano, ma delle quali anche altri approfittavano per sfuggire ai dazi. Il ricorso all'autorità diede ragione a Pontevico e il 20 dicembre 1666 la concessione venne revocata. È provato comunque che il trasporto non cessò, ma continuò abusivamente, tanto che troviamo ulteriori proteste di Pontevico nel secolo successivo. Al contempo, come si accennerà altrove, rifioriva anche la vita religiosa del paese grazie soprattutto alle Confraternite e Congregazioni religiose come le Dimesse, alla costruzione di nuove chiese come quella di Torchiera ecc. anche se non mancarono scandali e disordini. Nel 1675 grazie anche all'intervento di un nob. Ugoni, Pontevico potè, dopo nuovi screzi e contrasti, ottenere un decreto da parte dell'autorità cremonese di riconoscimento del possesso della riva destra dell'Oglio. Da parte loro, nonostante che le casse pubbliche fossero esauste per la guerra interminabile contro i Turchi, i Rettori di Brescia confermavano i privilegi ottenuti in passato mentre il Doge Luigi Contarini l'8 aprile 1677 concedeva alla Quadra di Pontevico il dazio sulla macina e l'anno seguente riconfermava ancora una volta tutti i diritti e privilegi acquisiti. Nella guerra per la successione spagnola, ingaggiata tra Francia e Impero, Pontevico dovette ospitare lungo l'Oglio l'esercito imperiale e nel febbraio 1702 il suo comandante il principe Eugenio di Savoia. Poco dopo il 12 maggio erano le truppe francesi del gen. Vendóme a passare l'Oglio e ad avventarsi come locuste su Pontevico. A Pontevico, Eugenio di Savoia tornò nel giugno 1705, che però abbandonò presto per misurarsi con i francesi a Cassano il 15 agosto, ripiegando poi ancora nel Bresciano dove le sue truppe compirono nuove devastazioni e saccheggi, anche a Pontevico, suscitando vivaci reazioni contro chi cercava di rappacificare gli animi come il curato Antonio Scaglia che venne aggredito e trucidato nella sua casa. Seguirono inverni di gelo (1709), alluvioni (1710) che travolsero ponti, strade e case. Accaddero pestilenze di bestiame specie di bovini (1711 e 1712) che spinsero Pontevico a particolari pellegrinaggi, come quello del 23-24 maggio 1712 al santuario di Valverde di Rezzato. Le ricorrenti epidemie del bestiame spinsero nel 1747 Giulio Cicognini, medico condotto di Pontevico, a pubblicare una memoria sull'epidemia dei bovini. Contemporaneamente si sviluppava una particolare devozione a S. Fermo con il suo centro nel santuario a Maria dello Strone, che verrà poi al santo dedicato. Nel 1720 insorsero nuovi contrasti con i "dazieri" cremonesi che pretendevano diritti sul commercio via Oglio, confiscando non solo le merci ma anche le imbarcazioni. Al diffondersi della povertà e anche della miseria, dovuta alla crescente crisi economica della Repubblica venne in soccorso la generosità del nob. Ottavio Pontevico che con testamento del 15 giugno 1726 dichiarava suoi "eredi universali" i poveri della terra e il territorio di Pontevico. Nel 1733 nuovi privilegi favorirono il potenziamento del porto ai piedi della Rocca, la ricostruzione del ponte sull'Oglio, con la riforma del Regolamento che lo riguardava. In più venne allargata la piazza del mercato, costruita una fonderia, magazzini e fondaci per il deposito di merci come olio, sale e specialmente vino del quale Pontevico divenne l'emporio principale del Bresciano. Andavano deperendo invece gli alloggiamenti militari e i depositi per le granaglie. Inoltre il paese si arricchiva di nuove chiese, del restauro di altre, di confraternite come quella del Suffragio, mentre la chiesa abbaziale si arricchiva di suppellettili. Nel 1745-1746 vennero fabbricate le Vincellate poi ristrutturate nel 1754 per sostenere le acque dello Strone, onde utilizzarle per l'irrigazione. Si completarono altre opere per rendere sempre più libera la navigazione sull'Oglio e il commercio del vino. Il 16 agosto 1759 Pontevico otteneva la franchigia del Mercato che si teneva il martedì di ogni settimana, favorendo un continuo afflusso di forestieri. A dirimere crescenti gelosie e contrasti di famiglie dovuti, come scrive il Berenzi, a «rapidi cambiamenti di fortuna avvenuti in paese pel risorgere dei commerci; forse anche un po' di malcontento dei terrazzani contro i Reggenti del Comune, che talvolta non vollero o non poterono entrare colla loro autorità a impedire alcune esorbitanze dei negozianti; ma più che tutto i vecchi odi contro certi esosi Daziari, i quali non cessavano dall'inceppare i nostri affari» intervenne il podestà P.A. Cappello che nel 1761 venne nominato "protettore insigne della Comunità di Pontevico". Accondiscendente e generoso si mostrò pure il Procuratore veneto Giacomo da Riva, per mezzo del quale nel 1766 il Comune e gli abitanti ottennero dal Doge Luigi Mocenigo l'esenzione dal pagamento del Dazio Istrumenti e Testamenti, e poterono così essere equiparati in tutto alle Valli e Quadre più privilegiate. Contrasti, invece, nacquero anche fra il Comune e l'abate Alessandro Palazzi intorno all?"ingerenza" dell'abate nelle scuole e nell'amministrazione delle Opere Pie. Vi furono ricorsi all'autorità bresciana e anche al Senato e al Doge di Venezia. Validi aiuti portò Pontevico alle vittime dello scoppio della polveriera presso la porta S. Nazaro che fece circa 300 vittime e vaste distruzioni. La Repubblica, d'altro canto, continuò a favorire con sentenze e decreti (1768, 1769, 1770, 1771, 1777, 1781 e 1785) gli interessi economici della popolazione. Fiorirono costruzioni dovute a forestieri che, numerosi, si andavano sempre più stanziando a Pontevico. Alcuni di essi si rivelarono perniciosi tanto che nel 1781 i sindaci e l'abate Pulusella intervennero per sfrattare coloro che tenevano in paese o nel territorio condotta cattiva con aggressioni e furto. La situazione dell'ordine pubblico si andò aggravando con la decadenza della Repubblica Veneta, la quale era sempre intervenuta contro i prepotenti della zona. Si andarono sempre più diffondendo le imprese brigantesche, il bulismo, i furti, le aggressioni lungo le strade, i saccheggi, dei quali si incolpavano soprattutto "quei forestieri che emigrando dallo Stato Austriaco (cioè dal Cremonese) si rifugiavano a Pontevico e nel suo Distretto per cui venne ordinato di affidare all'autorità ecclesiastica il controllo sulla presenza di indesiderati ed accertarne il "buon costume" . Pontevico subì per alcuni anni le gesta assassine del conte Alemanno Gambara che dal castello di Pralboino partiva per effettuare azioni di brigantaggio con i suoi uomini in molti paesi della Bassa. Un fatto particolarmente grave di bulismo ebbe luogo il giorno di Pasqua del 1790 (4 aprile) quando durante la predica del quaresimalista, un "bulo" di Pontevico abbandonato dalla fidanzata, la uccise in chiesa, causando la sconsacrazione dell'edificio, durata per poco tempo perché rapidamente "riconciliata" .
La notizia della rivoluzione giacobina bresciana giunse il 18 marzo 1797; ma il 4 e 5 aprile giungevano, come si legge in alcune cronache, a Pontevico, "con l'armi, con soni, tamburri e scarrico di mortari" i controrivoluzionari. di Verolanuova. L'insurrezione durò pochi giorni. L'11 aprile infatti un domestico del conte Brunoro Gambara avvertiva che se non si fosse fatta di nuovo adesione alla Repubblica ci sarebbero stati "gran saccheggio e rovina anche della vita e gran spargimento di sangue", per cui tutti rimisero la coccarda tricolore. Pontevico venne assegnato al cantone del Basso Oglio con capoluogo Verolanuova. Caduti i privilegi e le esenzioni, Pontevico fu trattato alla stregua di ogni altro Comune. Nel 1799 sopravvennero gli austro-russi fino al giugno 1800. Tornato l'esercito francese, Pontevico venne gravato di tasse e dazi che colpirono soprattutto le attività commerciali e manifatturiere. La ripresa della navigazione sul fiume portò benefici e permise a Pontevico, considerato il principale porto della provincia, di far fronte al peso delle imposte e delle tasse che tuttavia andarono aumentando, assieme all'imposizione della coscrizione militare. Nel frattempo si andò formando una nuova classe dirigente. Francesco Cupis venne chiamato nel settembre 1802 a far parte del Consiglio dipartimentale. Il 15 aprile 1799 gli austro-russi raggiunsero Pontevico e misero in fuga i francesi e nel giorno seguente bruciarono l'albero della libertà. Un certo respiro economico diede a Pontevico la collocazione nel castello di una fonderia promossa dal cremonese Cadolini, dalla quale nel 1804 uscì una grande lastra di ferro, ornata di cornice, dedicata con una entusiastica iscrizione a Napoleone I in occasione della sua incoronazione a re d'Italia. Collocata nel Museo archeologico di Milano ricordò il nome di Pontevico a migliaia di visitatori. Nel 1811 un gruppo di possidenti creava una società, detta Società del Teatro, per la costruzione di un teatro, ottenendo l'approvazione del Comune in data 15 marzo 1811. La scelta dell'area quasi contigua alla chiesa abbaziale creò forti malcontenti e consigliò nel 1816 la Società a scegliere invece l'ex osteria di S. Marco, in Contrada Regale, di proprietà di Antonio Gorni, dove il teatro fu costruito su progetto dell'arch. cremonese Faustino Rodi. Il teatro venne inaugurato il 10 ottobre 1818. Caduto Napoleone, sotto il governo austriaco Pontevico fu uno dei soli dieci Comuni del Bresciano che classificati di prima, ebbero una loro Congregazione municipale, i cui membri furono scelti per due terzi tra i possidenti e per un terzo tra gli industriali e i commercianti. I capi della Congregazione comunale, detti podestà, furono nominati dall'imperatore su proposta dei consigli comunali. Caduto Napoleone, si succedettero alcuni mesi di carestia e poi riprese lentamente la vita economica e socia le. Nei sotterranei del castello vennero aperti vasti magazzini per il deposito del sale; venne rifabbricato il torchio comunale e ricostruito il ponte sull'Oglio. L'importanza riconosciuta a Pontevico è anche significata dalle visite che tra il 1816 e il 1819 il vicerè ed alcuni arciduchi fecero al paese. Per iniziativa di Filippo Ugoni venne aperta al Campazzo nel 1819 a Pontevico una scuola di mutuo insegnamento che Ugo Baroncelli giudica più vicina, per i sentimenti politici che l'avevano ispirata, alle iniziative milanesi "piuttosto che all'entusiasmo educativo" di Giacinto Mompiani che di tali scuole era stato il principale ispiratore. Questa scuola coinvolgeva i nobili della zona e si ispirava soprattutto alle nuove idee liberali e rivoluzionarie. Chiusa quasi subito, venne riaperta nel 1821 dallo stesso Ugoni nella chiesa del Suffragio in paese con la speranza di "poterla far passare per normale e tenerla viva" . Ma venne presto di nuovo chiusa causa i sospetti della polizia austriaca circa i sentimenti patriottici che la ispiravano e per l'attività rivoluzionaria dei fratelli Ugoni. In effetti i primi aliti di patriottismo avevano toccato Pontevico intorno agli anni '20 e centro di particolare fervore fu appunto casa Ugoni al Campazzo nella quale furono ospiti, tra gli altri, anche Ugo Foscolo, Federico Confalonieri, il conte Arrivabene ed Antonio Panigada, principale collaboratore dei fratelli Ugoni nella Bassa Bresciana. Sempre al Campazzo nella primavera del 1822 la polizia austriaca tentò di arrestare Filippo Ugoni che potè fuggire grazie all'avvedutezza dello zio don Francesco che riuscì a distrarre coloro che dovevano procedere all'arresto. Riparato in Svizzera e poi in Francia e infine a Londra ove venne raggiunto dal fratello Camillo, anch'egli ricercato dalla polizia austriaca, nell'ottobre 1823 Filippo verrà condannato a morte in contumacia ed impiccato in effige. A Pontevico venne dalla polizia austriaca ricercato la sera del 2 novembre 1822 anche il dott. Antonio Panigada che riuscì a fuggire a Montichiari e poi in Svizzera ed in Belgio ove divenne un agronomo di fama.
Sotto l'Austria Pontevico non mancò tuttavia di registrare notevoli progressi. Nel 1827 venne costruito il grandioso manufatto delle Vincellate, vennero acciottolate le vie del paese, costruiti barconi di privati per il trasporto di merci sull'Oglio, abbellite le case del paese, sviluppato il commercio specie del vino, per il quale vennero costruite vaste cantine. Venne inoltre allargato il cimitero e costruito nella fossa a fianco del castello il gioco del pallone che richiamò una grande quantità di giocatori. Frattanto la fuga degli Ugoni non aveva spento del tutto l'avversione antiaustriaca. L'Alta Polizia infatti negli anni '20 e '30 segnalava a Pontevico come altrove movimenti antiaustriaci. Una nuova ondata di patriottismo si ebbe nel 1830-1831, quando, ai primi di aprile, apparvero sulla caserma delle Guardie della Finanza e poi sulla casa del delegato politico Santo Forcella, libelli contro l'imperatore e l'Austria. Dopo severe ricerche si arrivò ad inquisire lo speziale Giuseppe Gadola già in grave sospetto per avere il 19 febbraio 1831 partecipato a canti equivoci e a brindisi sediziosi (per i quali era stato arrestato il cappellaio Giovanni Alberini) in una compagnia detta dei "fidi amici" della quale pare facessero parte anche Giovanni e Giuseppe Forcella ritenuti autori di satire affisse nel settembre 1830 contro alcuni impiegati e specie contro Paolo Giroldi. Arrestato, lo speziale Gadola venne rilasciato solo il 27 aprile 1833 ma condannato alle spese ed essendo persona "sommamente sospetta in linea politica" venne assoggettato a "particolare politica vigilanza". In tali vicende venne coinvolto ancora una volta il segretario comunale Bertazzi. Aspirazione e cospirazione non toccarono tuttavia la grande maggioranza della popolazione condannata a una vita di povertà e spesso di miserie. Non mancarono calamità come siccità, alluvioni ed epidemie. Di queste la più grave fu il colera morbus del 1836 che in circa tre mesi mietè 180 vittime seminando terrore e spingendo molti ad allontanarsi dal paese. Subito dopo vennero acciottolate altre vie e munite di marciapiedi quelle già selciate. A sollievo della popolazione venne una fondazione, grazie al testamento del 9 novembre 1836 di Caterina Gorno Ruffoni Corbellini, che concorse alla costruzione di un ospedale, alla realizzazione del quale contribuirono anche le principali famiglie del tempo e segnatamente l'abate Giovanni Bonaldi. L'ospedale, costruito su progetto dell'arch. Pietro Pavia, dopo tre anni era una realtà e il 23 ottobre 1842 veniva benedetto. Negli anni intorno alla metà dell'800 sopraggiunsero crescenti difficoltà per l'agricoltura specie a causa della crittogama della vite, di una malattia del baco da seta e di inondazioni. Nella primavera del 1844 il principe Kewmüller acquistò da Gaetano Pietro Cadolini di Cremona il vecchio castello di Pontevico, lo fece demolire costruendo in tre anni, su disegno di Emilio Brilli, un nuovo grandioso edificio che doveva diventare un centro di attività manifatturiera e commerciale ma che finirà per ospitare nel 1901 l'Istituto Frenasteniche. L'impresa infatti venne interrotta per avvenimenti politici del 1848 quando Pontevico che aveva visto il passaggio di truppe dello stesso gen. Radetzky, partecipò attivamente all'insurrezione erigendo barricate agli ingressi del paese, ponendo legna sotto il ponte in legno del fiume per incendiarlo in caso di bisogno. Molti volontari entrarono nell'esercito italiano e, come ha scritto il Berenzi: «Oltre 50 furono quelli di Pontevico che presero spontaneamente le armi per la cacciata degli stranieri, e si arruolarono animosi alla Colonna cremonese capitanata dal Tibaldi per la campagna del Tirolo; anzi molti di essi entrarono a formare l'avanguardia di detta Colonna, nella quale ebbe grado di tenente il nostro ex sindaco, magg. Giacomo cav. Perotti, e di capitano aiutante maggiore un altro concittadino, Pietro Cavalleri. Dei nostri che coraggiosamente sfidarono allora le palle nemiche, rimase vittima Francesco Franchini. Finita poi la campagna, Pontevico fu uno dei 15 Comuni bresciani, che generosamente si offrirono per la cura complessiva di un migliaio di feriti». Ventiquattro pontevichesi parteciparono alla campagna del 1849 e nello stesso 1849 Tomaselli, Zani, Alberini ed altri combatterono con Garibaldi a Roma. Tomaselli anzi moriva nello scontro di S. Pancrazio. Quando dopo le Dieci Giornate, Tito Speri riprese le fila della congiura, trovò a Pontevico un terreno fecondo. Amico del medico condotto Pietro Gorno e del cognato di questi Giovanni Berenzi, il giovane patriota ebbe infatti in un gruppo di pontevichesi un aperto appoggio specie presso la famiglia Berenzi. In casa Gorno e poi in casa Berenzi funzionò anche un torchio per stampare per conto del Sottocomitato insurrezionale di Brescia, cedole del prestito o "Dono Patriottico" emesse dal Comitato segreto di Mantova. Sempre in casa Berenzi i patrioti pontevichesi si riunivano ogni sera col pretesto di giocare a carte, ma in realtà per lavorare attorno al torchio nascosto in un sottoscala. Alle riunioni patriottiche partecipò perfino il capo della gendarmeria austriaca locale Pietro Fantini di Calvatone, che naturalmente negò ogni addebito, oltre al dott. Pietro Gorno, figlioccio di Filippo Ugoni e coetaneo dello Speri con il quale aveva frequentato le scuole di Brescia e, ancora, Pietro Cavalleri, l'avv. Pietro Alberini, Tito Gorno, i fratelli Gustinelli, i fratelli Angelo e Lorenzo Gadola, Prudenzio Masini, Gaetano Zanoni, Battista Fisogni, Giovanni Zeli, Pietro Abrami, i fratelli Bertazzoli, l'avv. Paolo Cupis e parecchi altri. A Pontevico Speri ambientò in parte un "romanzetto" che a quanto pare scrisse dal carcere e che nel gennaio 1853 stava terminando intitolato appunto "Fortunata da Pontevico" e dedicato a quanto si ritiene alla fidanzata Fortunina Gallina, morta nel 1851. Volontari pontevichesi riparati in Piemonte dopo le sconfitte del 1848 e del 1849 parteciparono alla guerra di Crimea del 1855 e alla battaglia della Cernaia. Nel 1855, anche Pontevico conobbe di nuovo il colera che mietè di nuovo in tre mesi circa 180 vittime. Tuttavia il paese non mancò di registrare manifestazioni culturali, quali la presenza di pittori come Luigi Sampietri, Fermo Pedretti ecc. Il 13 giugno 1859 Pontevico vide la ritirata, del III corpo dell'esercito austriaco sconfitto a Magenta, mentre non venne sfiorato dall'avanzata delle truppe piemontese e francese. Ospitò invece in alcune case private i feriti di Solferino e S. Martino alla cui assistenza dedicarono particolari cure il dott. Giulio Filippini ed Enrico Cupis che vennero insigniti di medaglia, d'argento, oltre al dott. Francesco Leidi, al chirurgo Domenico Cavalieri, al dott. Gorno e al nob. Giovanni Ugoni insigniti di medaglia di II classe. A Pontevico morirono e vennero seppelliti 26 soldati francesi e 6 austriaci ai quali venne dedicata la seguente iscrizione: «AI SOLDATI DI FRANCIA ED AUSTRIA / FERITI A SOLFERINO E QUI MORTI / I CITTADINI DI PONTEVICO / ALL'AMICO GRATI, ALL'INIMICO PIETOSI / POSERO / MDCCCXCI». Alle guerre risorgimentali del 1859, 1860 e 1866 parteciparono circa cento pontevichesi. Oltre a quelli ricordati caddero nelle battaglie dell'indipendenza, Giulio Milini, Bortolo Tomaselli, Agostino Bailo e Francesco Galeazzi di Luigi; altri rimasero feriti; e quattro si meritarono la medaglia al valore militare. Tra gli ufficiali nelle file dei volontari o nelle milizie regolari si distinsero: il Cav. Giacomo Perotti, Giuseppe Bertazzoli, Celestino Ghirardi, Battista Canori e Achille Panzi. Tra gli ufficiali si contarono il comm. Santo Forcella tenente-generale di cavalleria, il cav. Pietro Ernesto Rossi tenente-colonnello ed il Capitano dei carabinieri Cesare Cantoni, il tenente Maggiorino Bertazzoli, il capitano di artiglieria Angelo Giovanni Grazioli e il Capitano Ruggero Denicotti». Tra coloro che si distinsero di più si deve citare Celestino Ghirardi (1831-1894) garibaldino nel 1859, 1860, 1866. Nel combattimento di Vezza d'Oglio (luglio 1866) venne ferito l'ing. Cesare Bertazzoli. Scacciati gli austriaci si formò la Guardia Nazionale al comando di certo Baratti che potè aver a disposizione due cannoni, mentre la festa dello Statuto del 2 giugno 1861 venne solennizzata in teatro con il Barbiere di Siviglia di Rossini accompagnato da un Inno di circostanza con parole del cremonese Giovanni Chiosi e musica di G. Verdi.
I primi anni di unità nazionale furono segnati da fervore di opere. Nel 1861 veniva ricostruito il manufatto delle Vincellate, nel 1864 veniva dato ii via ai lavori della ferrovia Brescia-Cremona e alla costruzione del ponte sull'Oglio, inaugurato nel 1867. Devastante fu il colera del luglio 1867 che in due mesi circa provocò 200 vittime. Per venire incontro alle bambine rimaste orfane l'abate Angelini fondava il 31 dicembre 1867 un orfanotrofio femminile amministrato da Maddalena ed Elisabetta Girelli e da Rosa Berenzi. Poco dopo, grazie a Filippo Ugoni, sorgeva l'asilo infantile costruito su progetto dell'arch. Conti di Brescia, inaugurato il 12 gennaio 1874 e poi ampliato e beneficato da altri. Sotto il parrocchiato di mons. Angelini si ebbero aperture significative verso lo Stato nazionale come la celebrazione religiosa, dal 1861, della festa dello Statuto, il richiamo nel 1869 alla scusante dell'ignoranza per l'acquisto di beni ecclesiastici, la trasmissione nel 1874 dei registri dei matrimoni alle autorità civili, la benedizione nel 1875 della bandiera della Società operaia liberale. Alla povertà dominante e al diffondersi della pellagra venivano contrapposte la distribuzione di minestre ed altri interventi assistenziali. Nel giugno 1875 nella chiesa abbaziale veniva inaugurata la Società Operaia che ebbe poi orientamenti sempre laici. Ad essa venne contrapposta nel 1883 la Società Operaia Cattolica detta di S. Giuseppe che fu tra le più fiorenti della diocesi. Queste iniziative rispondevano ad esigenze sociali sempre più urgenti. Nell'estate 1882 Pontevico era infatti sconvolto da scioperi agricoli; 10 braccianti vennero condannati a diversi mesi di carcere per aver chiesto migliorie salariali. Al contempo si riscaldava anche il clima politico. Nacquero associazioni anticlericali che ebbero il loro exploit il 4 novembre 1883 con l'inaugurazione del monumento a Garibaldi, opera dello scultore cremonese Silvio Monti. Questo clima creò una grave e lunga tensione con la parrocchia che in risposta alle feste garibaldine organizzò una grande manifestazione cattolica nella quale parlò l'avv. Giuseppe Tovini. Continuavano intanto le opere pubbliche. Su progetto dell'ing. Tito Brusa dal 1879 al 1881 veniva costruito dall'impresa Cesare Bertazzoli il nuovo ponte sull'Oglio (85 m. di lunghezza, 7 m. di larghezza). Al contempo veniva migliorato il molino e nel 1883 costruito il maglio per la lavorazione di arnesi agricoli. L'espansione economica trovava riscontro anche nella attivazione nel 1880, oltre al tradizionale mercato settimanale, di un mercato bimensile (1 e martedì del mese) del bestiame. In progresso erano anche i servizi pubblici. Nel 1880 infatti veniva aperto nel locale della posta l'Ufficio Telegrafico, nel 1882 venivano istituite le guardie comunali e un corpo di 5 pompieri o vigili del fuoco con relativa macchina. A Pontevico nello stesso anno veniva pubblicata con il titolo: "Giovanni Polli" una rivista settimanale di farmacia, chimica e medicina, a cura di Silvio Plevani e del dott. Gemma. Si sviluppava inoltre l'istruzione elementare, diffusa anche nelle frazioni grazie ai curati e umili maestri. Nel 1883 le 4 classi elementari maschili e femminili vennero ospitate in un nuovo edificio costruito, su disegno dell'ing. G. Tadini, dirimpetto al Municipio. Nel 1884 veniva allargato il Cimitero con la costruzione, su disegno dell'ing. Francesco Bertazzoli, anche di cappelle mortuarie. Come si accenna altrove, nel 1886 venne ampliata e decorata la chiesa abbaziale. Nel frattempo Pontevico diventava sede di una direzione didattica, di una Collettoria del Lotto, di agenzie e uffici di rappresentanza di società di assicurazione e di banche commerciali. Arricchivano poi la vita culturale pontevichese una Società filarmonica e filodrammatica, un circolo di letture e di concerti, una banda musicale. Comunque l'importanza di Pontevico negli ultimi decenni è confermata dall'esistenza lungo l'arteria principale, prima piazza Vittorio Emanuele poi via Mazzini, di ben sei esercizi pubblici ai quali altri cinque si aggiunsero nelle vie adiacenti oltre a negozi di ogni genere. Noti il Caffè Camerini poi Gran Caffè del Ponte, i bar Mezzi, Portici, Centrale e Due Mori e l'albergo Gambero, nell'800 ritrovo di patrioti. La fine secolo e gli inizi del nuovo furono segnati da grandi opere di assistenza. Con testamento del 12 gennaio 1891 veniva istituito il Ricovero Giroldi Forcella "per cronici d'ambo i sessi"; nel 1901 l'ab. Cremonesini dava vita all'Istituto Frenasteniche. Intanto continuavano le opere pubbliche. Nel 1904 veniva ampliato il Cimitero nel quale nel 1905, per iniziativa dell'ab. Cremonesini veniva costruito, su disegno dell'arch. Luigi Tombola, l'obelisco cappella e una cripta sottostante che venne poi rifatta nel 1925 su progetto del pontevichese ing. Battista Berenzi e dedicata ai Caduti. Sempre nel 1904 veniva costruito un nuovo ponte sullo Strone e tratti di strada comunale annessa. Nel 1913 venne lanciata l'idea di una tranvia Quinzano-Verolanuova-Pontevico-Alfianello che tuttavia non fu realizzata. Nel 1907 veniva costruito un grandioso stabilimento della Soc. Linificio Canapificio Nazionale. L'anno dopo veniva fondato dalla contessa Maria Caleppio Martinengo l'asilo infantile di Bettegno. Sempre nel 1908 veniva istituita una scuola di disegno tenuta da Francesco Carleschi appena diplomatosi a Brera. Nel 1910 veniva ampliata la stazione. Diciassette pontevichesi partecipavano nel 1911 alla guerra di Libia. La I guerra mondiale vide intense opere di assistenza ed il sacrificio di vite giovani. Il paese accolse truppe e anche profughi, oltre a truppe addette a laboratori di calzoleria dell'esercito del cui soggiorno sono rimasti graffiti nei locali da esse utilizzati. Il clima di solidarietà creatosi fu il 15 maggio 1917 turbato dall'arresto di Cesare Cantoni, da 7 anni sindaco, e di Pietro Antonio Trinca per peculato, falsificazione di stati di famiglia per sussidi militari. Il dopoguerra vide una vivace presenza socialista e ancor più del P.P.I. e lotte accese, specie nel maggio 1919, per i patti colonici. Intanto nel 1921 veniva di nuovo restaurato il manufatto delle Vincellate e nell'aprile 1923 si inaugurava il campo sportivo. A fatica nacque il fascismo che ebbe la sua approvazione nel 1922, ma che si rafforzò solo a partire dal 1925, quando cominciò ad avere esponenti di rilievo. Caratteristica realizzazione fu nell'estate 1925 la colonia fluviale, una delle prime in provincia. Dedicata nel 1926 ad Antonio Turati padre del gerarca Augusto verrà nel 1938 ricostruita su progetto dell'ing. Gadola ed inaugurata il 9 luglio con una capienza di 350 posti. Chiusa durante la II guerra mondiale venne riaperta nel 1946 e poi abbandonata negli anni '60.
Fra i fatti incresciosi, registriamo il 23 novembre 1928 il crollo di un locale dell'Istituto frenastenico che costò un morto e parecchi feriti. Nel frattempo venivano costruiti l'acquedotto e nuove aule scolastiche, sistemate strade e provviste di energia elettrica le frazioni. Il 23 novembre 1930 veniva inaugurato il monumento ai caduti opera di Giovanni Asti raffigurante la Patria con in mano una corona di alloro su basamento in marmo di Botticino. Nel 1933-1934 venivano sistemati il Cimitero (con l'inaugurazione del monumento ossario), il palazzo comunale e aperto l'asilo infantile a Torchiera. L'ospedale si arricchiva di un reparto maternità. L'anno dopo, nel 1935, veniva sistemata la piazza, inaugurato il Dopolavoro e l'acquedotto sul quale venne posta l'iscrizione: "Signore per sora aqua la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta - 1935" . Nello stesso anno il Comune acquistava il Teatro Sociale. Nel 1937 veniva ampliato, grazie al dono dell'area offerta da agricoltori, il Cimitero mentre veniva sistemata e pavimentata via XX Settembre. Nel 1938 l'Ospedale veniva abbellito ed arricchito di un laboratorio di analisi cliniche.
La II guerra mondiale si preannunciò nel 1939 con le esercitazioni sull'Oglio del genio pontieri alla presenza del principe Umberto di Savoia. La guerra costò nuove vite umane ma anche terrore. Più di venti le incursioni degli aerei alleati su Pontevico nel periodo più cruciale del conflitto. La prima avvenne il 24 gennaio del 1944. Obiettivi principali furono: il ponte ferroviario (distrutto la prima volta domenica 2 agosto 1944 alle ore 11); il ponte stradale (distrutto il 28 dicembre del 1944), la stazione ferroviaria ed il tratto di strada ferrata Pontevico/Verolanuova. Furono distrutte la colonia fluviale comunale (nel 1° bombardamento), la stazione ferroviaria con gli edifici contigui, la casa Cupis (opera dell'arch. Vantini), mentre ebbero danni notevoli il "Castello", l'Istituto Canossiano, la cascina Colombere Nuove (poco distante dal ponte ferroviario), il tetto e le vetrate della Chiesa Abbaziale e i due campanili più alti: quelli dell'Abbaziale e del "Suffragio". Attiva a Pontevico la Resistenza, specie grazie a don Lucrezio Azzini e ad un gruppo di Fiamme Verdi.
La prima amministrazione democratica dal 1946 al 1951 si dedicò alla sistemazione del centro urbano (via Venezia e via Berenzi), alla costruzione di case popolari e ad opere di fognature nelle frazioni, al miglioramento dell'acquedotto. Particolarmente attive le Acli, grazie soprattutto a don Angelo Panzi. Nel 1950 venne inoltre riattato il cinema teatro. Il superimponibile di manodopera agricolo e la chiusura nel 1956 del Linificio, (con il licenziamento di 500 operai), provocarono una grave crisi economica ed una rapida emigrazione verso il milanese, pavese, torinese, varesotto ed un intenso pendolarismo che ridusse la popolazione da 10.000 abitanti a 6.500 nel 1975, obbligando l'Amministrazione comunale a chiedere nel 1960 il riconoscimento di area depressa per tentare un recupero occupazionale. Nonostante la crisi, negli anni '50-'60 venivano realizzate opere varie, la piantumazione di alberi e l'asfaltatura di nuovi viali e strade, il miglioramento dell'illuminazione pubblica, copertura di vasi d'acqua, e miglioramento dell'acquedotto e rete metanifera.
Opere notevoli furono: la colonia marina a Jesolo, un nuovo edificio scolastico in centro e il restauro delle scuole di frazione, lo stadio sportivo, la nuova caserma Carabinieri, nuovi negozi, la farmacia. Nel 1958-1959 venne rimodernata la piazza principale (piazza Mazzini) sede del mercato fin dal 1559. Fra gli avvenimenti notevoli degli ultimi 25 anni sono da segnalare nel dicembre 1970 l'apertura della Biblioteca Comunale che il 16 dicembre 1990 venne dedicata alla scrittrice Carla Milanesi; nel 1977 (3 sett.) veniva inaugurato il nuovo asilo; nel 1978 ricostruito il ponte sull'Oglio, crollato il 22 dic. 1977, e consolidato il ponte della ferrovia. Nel 1978 veniva illuminata la strada Pontevico-Robecco e nel 1979 venivano eletti i consigli di frazione. Il 4 dic. 1983 veniva inaugurata la ristrutturazione dell'edificio delle scuole elementari capace di concentrare tutti gli scolari della zona. Il 3 dic. 1984, grazie ad un consiglio di amministrazione nel quale era stato eletto anche Bettino Craxi, veniva inaugurato un nuovo centro sociale, veniva costruito ex-novo in centro il ricovero "Giroldi Forcella", che prima sorgeva a Chiesuola. Nel 1986 veniva realizzato un depuratore fognario. Su progetto dell'ing. Mazzolari e dei geom. Spinelli e Gobbi nel 1989 veniva restaurato palazzo Ottonelli, sede del Municipio. Nel 1996 nasceva la Pro-Loco (presidente Giuseppe Gobbi e coordinatrice Noemi Prestini); veniva progettata una nuova caserma dei carabinieri, ed un impianto sportivo in località Mesa. Il crollo del ponte accennato e l'efferato delitto di Torchiera della notte fra il 15-16 agosto 1990 che vide da parte di due slavi (Ljubisa Urbanovic detto Manolo e il cognato Jvica Bairic) lo sterminio di quattro persone della famiglia Viscardi, furono i fatti che più colpirono l'opinione pubblica in genere. Vivace l'attività dei partiti e sindacati. Il 25 aprile 1981 usciva "Rosso di sera" foglio del Pci e poi del Pds. Il 6 dicembre 1985 veniva inaugurata la nuova sede della Cisl dedicata ad Ezio Tarantelli. Nonostante le difficoltà economiche si sviluppava l'assistenza. Nel 1952 la Pia opera Gorno Ruffoni si costituì in ospedale di terza classe e il 31 ott. 1968 con D.P.R. n. 1653 diventò Ente Ospedaliero di Zona. Nel 1971 venne rinnovato l'Ospedale che in seguito fu però poi chiuso. Nel 1954 per incitamento del dott. Cesare Caldonazzo e il dott. Tullio Corazzina veniva fondata la sezione AVIS. Lo slancio assistenziale spingeva il 21 novembre 1966 don Lucrezio Azzini a creare la "Casa del fanciullo Giovanni XXIII" per bambini affetti da turbe psichiche e con problemi collaterali, che, continuata dalla parrocchia, raccolse 20-30 ospiti raggiungendo anche i 60. Chiusa nel 1978, nel 1985 la struttura ospitò una Comunità per il recupero di tossicodipendenti fondata a Bessimo da don Redento Tignonsini. Intanto si sviluppava sempre più l'Istituto Cremonesini, che pure aveva subito nei primi mesi del 1963 una vera strage di ammalati per la grave influenza detta "asiatica" . Nel marzo 1983 si è formato per iniziativa dell'AVIS-AIDO un gruppo volontari di Pronto Soccorso per il trasporto in ospedale di ammalati e di feriti in incidenti. Sempre in campo assistenziale, nel 1985 nasceva presso il Centro Giroldi Forcella sotto la guida di Marino Guarinelli un presidio di zona della Croce Bianca. Nel 1988 nasceva la Cooperativa di solidarietà sociale il Gabbiano che nel gennaio 1994 apriva il Centro socio-educativo. Nel 1990 si costituiva il C.A.T. (Club Alcoolisti in Trattamento) che si estese oltre che a Pontevico, a Leno e a Manerbio. Nel 1990 si formava un gruppo di Protezione Civile intitolato alla "Madonna della strada" composta da cinofili, sommozzatori, ultraleggeri e operatori. Nel 1996 nascevano una Scuola-bottega e l'Associazione "noprofit" «Il Ponte», e veniva istituito l' "Informagiovani" . Nello stesso 1996 si costituiva fra gli alunni delle classi IV e V elementare della Scuola cattolica Maddalena di Canossa la cooperativa di solidarietà "I colori del cielo". In campo scolastico, nel 1991, famiglie pontevichesi davano vita all'Istituto Maddalena di Canossa, una scuola cattolica autogestita trasferita poi nell'edificio ex Bertazzoli. In campo culturale e del tempo libero sono da registrare una forte attività di un gruppo hobbistico promosso nel 1988 che organizza ogni anno mostre d'artigianato, filateliche ecc. Per la salvaguardia ecologica nel 1995 veniva fondata l'Associazione "Amici delle Vincellate" .
LO SPORT - Pontevico ebbe le prime strutture stabili nel campo sportivo inaugurato nel 1923 e in un velodromo per corse ciclistiche attivo anch'esso negli anni '20. Nel marzo 1923 si costituiva anche l'Unione Sportiva che si distinse soprattutto per una squadra di calcio che diede uno dei migliori calciatori di Pontevico, Battista Perotti, uomo di grande sensibilità sociale che operò per molti anni in campo sportivo. Sulla pista in terra battuta che circondava il campo di calcio si disputarono gare ciclistiche di inseguimento, di velocità, americane per dilettanti ma con la partecipazione anche di Learco Guerra, Di Paco, Bottesini, Benedetto Pola. Tuttavia dalla guerra in poi fino alla fine degli anni '70 lo sport si restrinse solo al calcio sia pure con notevoli successi sotto la presidenza di Antonio Scalvenzi (dal 1975) e con la squadra OMAS (1975) che entrò in I categoria dilettanti. Successo ebbero i tornei notturni di calcio, specie il torneo "Città di Pontevico". Dal 1978 si andarono formando lo Sci club Pontevico, il Gruppo podistico Mambreani Sport, il Gruppo ciclistico Zeli Lucini. Nuovo impulso venne con la palestra inaugurata il 14 dicembre 1980, progettata dall'ing. Cremaschini. Nacquero in seguito, alcune sia pure con vita breve, la squadra ciclistica Vivi, la squadra arcieri (che nel 1990 organizzò il campionato lombardo), la Polisportiva basket e pallavolo. Attivo il tiro al piattello. Nel 1978 nacque il gruppo "Amici dell'Oglio". Nel settembre 1983 nasceva una sottosezione del CAI comprendente anche Leno, Bagnolo e Pontevico. Caratteristici dal 1984 il Palio delle contrade di Chiesuola, quello degli asini nel quartiere Borgo e dal 1993 il Palio del ciancol.
ECCLESIASTICAMENTE Pontevico fu pieve dedicata, secondo alcuni, a Maria Assunta, ma poi a S. Andrea apostolo patrono dei barcaioli. La pieve custode del "cursus publicus" della via Cremonese ebbe due xenodochi o ospizi di pellegrini: uno a Ripa d'Oglio presso il porto dove trasbordavano le persone per attraversare l'Oglio e l'altro presso Bettegno, dedicato a S. Bartolomeo "de Vidosa", in corrispondenza di una biforcazione stradale che un tempo congiungeva la pieve di Pontevico con quella di Comella. L'importanza assunta dalla nuova organizzazione ecclesiastica di Pontevico ha anche riscontro in un fatto grave di cui non si conoscono i termini certi ma che sembrerebbe dovuto a soldati cremonesi acquartierati nel Castello. Fu talmente rilevante da spingere l'arciprete e il capitolo a ricorrere all'autorità dell'arcivescovo di Milano Guglielmo per ottenerne immediata soddisfazione. Come ha scritto Giuseppe Fusari: «Sembra che i buoni uffici dell'alto prelato milanese non avessero l'esito sperato dai nostri sacerdoti se poco dopo lo stesso fu costretto a comminare la scomunica ai Consoli cremonesi ed a lanciare l'interdetto ecclesiastico sull'intera città con l'ingiunzione al vescovo Sicardo a non avere più rapporti con i reggenti della stessa. Il papa Innocenzo III, informato dell'incidente dall'arcivescovo milanese, il 15 settembre 1208 delegò anche su istanza dei consoli cremonesi che mal sopportavano l'intervento del conte Guglielmo negli affari della loro città, l'abate di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia come arbitro della vertenza tra la pieve pontevichese ed il comune cremonese, con facoltà di emettere la sentenza definitiva». Le trattative dovettero essere lunghe e laboriose se soltanto il 20 agosto dell'anno successivo l'arciprete della cattedrale di Cremona per delega papale assolse dalla scomunica i Reggenti e liberò dall'interdetto la città. Nei sec. XII-XIII il territorio di Pontevico venne segnato, come è già stato rilevato, dalla presenza degli Umiliati. Notevole in seguito l'influenza francescana come sembrano confermare il culto di S. Bernardino da Siena e di S. Giuseppe. La pieve, che nel 1410 aveva ancora un solo beneficio sacerdotale e tre benefici clericali, ebbe una circoscrizione territoriale comprendente oltre Pontevico le parrocchie di Alfianello, Seniga, S. Gervasio per una superficie globale di 85 Kmq. ed una popolazione che nel sec. XVI sarà di 12.000 abitanti. Alla pieve andarono a fare corona chiese e cappelle con relativi benefici quali (S. Vitale al Campazzo, S. Maria Maddalena a Bettegno, S. Bartolomeo ai Barchi, S. Maria de Paradiso, S. Zenone, S. Michele, S. Pietro, San Paolo secus pontem Stroni, S. Rocco, S. Maria di Ripa d'Oglio; e più tardi San Giuseppe, ecc...). All'epoca della Visita del vescovo Bollani risultano soggetti alla Pieve: S. Vitale e S. Pietro al Campazzo; S. Maria Maddalena e S. Zenone a Bettegno; S. Bartolomeo ai Barchi; S. Michele, S. Maria del Paradiso e la B. Vergine della Cintura presso Torchiera; S. Tommaso, S. Rocco, S. Maria di Ripa d'Oglio e S. Paolo (detta anche di S. Maria presso il fiume Strone) di pertinenza dell'abitato urbano, e la cappella di S. Marco nella rocca. Delle chiese sopra citate dagli atti della visita sono ormai scomparse quelle di S. Pietro Ap., di S. Maria del Paradiso, di S. Zenone e di S. Marco Ev. di pertinenza del castello. Negli Atti della visita sono inoltre registrate l'"Ecclesiola Ulmi" (chiesetta dell'olmo) sita dove ora si trova la frazione di "Chiesuola" e che viene più volte registrata nel "Libro dei Morti" nel 1573; quella campestre delle "Vincellate" (non si conosce la dedicazione), fatta costruire dal Comune nel 1535; quella che nell'estimo del 1554 viene ricordata come "Maestà dei Zanelli" ancora visibile all'incrocio delle strade provinciali per Verolanuova e Quinzano; quella detta della "Disciplina" contigua all'attuale chiesa abbaziale. Segni di vitalità religiosa fu nel sec. XIV la presenza di flagellanti dai quali provennero i Disciplini, registrati nel 1580 da S. Carlo come presenza secolare. Nella campagna di Torchiera prestavano la loro opera di assistenza religiosa i frati Eremitani di S. Agostino che avevano innalzato una chiesa dedicata a S. Maria della Misericordia ed un convento. Anche Pontevico dovette registrare periodi di grave decadenza religiosa, affidata come fu alla fine del '400 e nei primi decenni del '500 ad un arciprete veneto, Valier, di famiglia nobile. Nel 1541, infatti, il nob. Silvestro Valier, Arciprete commendatario godeva le rendite del beneficio parrocchiale unitamente alle prebende di parecchie altre pievi bresciane (es. Longhena) senza risiedere in alcune di esse. Come ha scritto Giuseppe Fusari, "la mancanza di un responsabile e di un coordinatore della cura d'anime nel vasto territorio del pievatico portò fatalmente ad un grave sfasamento del servizio religioso. I vari sacerdoti residenti in Pontevico preferivano celebrare gli uffici divini ed amministrare i sacramenti nelle varie cappelle sussidiarie della parrocchiale, nelle quali molti legati di culto di cittadini pontevichesi assicuravano ad essi una relativa tranquillità finanziaria" . Rileva ancora il Fusari: "I meschini e poco edificanti contrasti fra il popolo spirituale e quello politico, la mancanza della dottrina e della formazione essenziale della coscienza cristiana nel popolo dovuta alla inettitudine del clero regolare e secolare prepararono il terreno adatto alla diffusione dell'eresia protestante nel nostro territorio". Anche a Pontevico verso la metà del XVI secolo ci fu un propagatore dell'eresia anabattista nel prete marchigiano Fedele Vigo da Penne (Fermo), insegnante nomade. Nel 1554 si trovava a Venezia donde venne a Pontevico forse per mezzo della famiglia Valier, titolare della arcipretura pontevichese. "Trovandosi nel nostro territorio - narra l'eretico nel suo processo - venne in relazione con un certo Roncadelli cremonese dal quale ebbe alcuni libri proibiti (un catechismo e la tragedia del libero arbitrio di Francesco Negri). Non sappiamo quanto tempo sia rimasto a Pontevico; si sa però che fu processato dalla Inquisizione Veneta nel 1568 e condannato a pene severissime". L'anarchia ecclesiastica portò alla crisi della Pieve di S. Andrea che cadde in abbandono mentre i sindaci fondavano nella chiesa succursale di S. Tommaso Apostolo, sita nella parte alta del paese, un beneficio canonico dedicato a S. Bernardino (forse in ricordo della predicazione tenuta dal santo senese nel territorio), erezione sancita da bolla di Pio II il 28 aprile 1463. Ma sul finire del secolo XV per la successione alla ricca prebenda pontevichese scoppiarono aspri contrasti fra la S. Sede e la Repubblica veneta in seguito all'investitura fatta da Giulio II al card. Ascanio Sforza, vescovo di Cremona e fratello di Lodovico il Moro, nemici dichiarati di Venezia.
In controtendenza operò fin dalla seconda metà del sec. XVI e specialmente dal tempo della sua visita pastorale (del 25-27 settembre 1565) il vescovo Bollani. Come ha scritto Giuseppe Fusari, nel 1567, il vescovo Domenico Bollani divise in due porzioni il beneficio di S. Bernardo in modo da poter avere un cappellano in più per l'esplicazione del servizio religioso nella chiesa di S. Tommaso. La visita del vescovo Bollani segnò una intensificazione della vita parrocchiale. In pochi mesi vennero istituite la Dottrina Cristiana, una scuola per bambini, il Monte di pietà, ecc. Ancora più energico l'intervento di S. Carlo B. nella sua visita apostolica del 10 luglio 1580 che pone energicamente fine alla collazione del beneficio plebanale da parte dei Valier, istruendo un processo canonico a carico del nob. Salomone che si godeva le rendite senza risiedere in loco come prescrivevano i canoni tridentini. Il cardinale esamina la posizione canonica di ogni sacerdote quivi residente ed impone severe limitazioni ai molti non riscontrati idonei per la cura d'anime. Visita dettagliatamente tutte le chiese e le cappelle della parrocchia ordinando il ripristino delle cose sacre, indispensabili per il culto e per il decoro della casa di Dio. Ascolta i Sindaci della comunità e delle varie Schole esistenti nella terra pontevichese e con essi studia i rimedi per eliminare i contrasti, per raddrizzare le malformazioni delle coscienze e per ovviare ai moltissimi abusi riscontrati. Nota la non residenza del rettore del pievato (Nob. Silvestro Valier) canonicamente investito di esso dalla Sede Apostolica e rende operante la prescrizione tridentina, intimandogli la residenza, pena la decadenza dalla sede. Le insistenze del santo portano alla costruzione della nuova chiesa parrocchiale. Nel 1585 tramontò il progetto di creare a Pontevico una comunità di religiose cappuccine che venne invece istituita a Capriolo.
L'erezione in abbazia della pieve dovuta alla Bolla di Paolo V del 7 settembre 1609, costituì un riconoscimento all'importanza del paese e anche della ripresa della vita religiosa. La chiesa di S. Tommaso venne abbellita e dichiarata parrocchiale in luogo di quella di S. Andrea e il 19 aprile 1761 venne consacrata. Nel sec. XVII si rafforzarono e si svilupparono sia nella parrocchiale che nelle chiese sussidiarie confraternite e congregazioni. L' 11 dicembre 1611 nasceva per iniziativa dell'ab. Gabrieli la Confraternita o "Scuola sacra" del S. Rosario che nel 1613 erigeva un altare. Il 15 settembre 1652 il Consiglio Comunale eleggeva la Madonna del Rosario "protettrice della Comunità" decidendo il 22 settembre di incoronarla, ciò che avvenne il 13 ottobre seguente. Il 10 luglio 1665 nasceva la Compagnia di S. Orsola o di S. Angela Merici. Sempre nel sec. XVII si sviluppò un singolare culto alle Reliquie. Già notevole nel 1642 per le Reliquie di S. Pancrazio si andò espandendo più tardi con la costituzione della Compagnia delle S.S. Reliquie alla quale era demandato il compito di provvedere alle pubbliche "onoranze". Nell'anno 1686 il gesuita p. Goti donò le reliquie di S. Desiderio raccolte in un reliquiario. Altre reliquie vennero donate nel 1710, da p. Roberto Forcella, nel 1720, mentre nel 1728 la Compagnia provvedeva il prezioso reliquiario delle S.S. Croci di un tabernacolo marmoreo. Sempre nel sec. XVII si sviluppavano singolarmente i luoghi di culto. Nel 1672 veniva costruita la chiesa di Torchiera, incominciata quella del cimitero, "ridotte, come scrive il Berenzi, a miglior stato le altre del paese compresa la chiesuola della Rocca" al cui restauro collaborò il governo veneto.
Vi furono anche disordini come quelli apportati dalle bettole che venivano improvvisate nelle varie feste della Madonna della Strada, della Natività della B.V., di S. Fermo e al convento dei padri Agostiniani della Misericordia. In seguito, per l'andazzo del tempo, furono abati nobili locali quali: Stefano Ugoni (1617-1634), Costanzo Ugoni (1634-1660), Pietro Ugoni (1660-1673). Questi fondò in parrocchia una Compagnia di Dimesse, fece abbellire le chiese di S. Giuseppe e quella del castello, diede il via alla costruzione della chiesa del cimitero abbattuta nel 1901. Ucciso da un cugino Achille Ugoni q. Orazio, gli successe il nob. Scipione Garbelli che provvide a restauri della chiesa di Ripa d'Oglio dotandola di beni e al contempo si adoperò a togliere superstizioni specialmente riguardo ai defunti. Il nipote ab. Filippo Garbelli (1699-1750), dotto e zelante, consigliere di personaggi importanti, realizzò, grazie ai beni lasciati dal nob. Ottavio Pontevico, il Pio Luogo Poveri.
A metà del sec. XVII rifiorirono anche confraternite religiose. Nel 1700 si diffuse la devozione (che però scomparve presto) a S. Giovanni Nepomuceno, protettore dei ponti, al quale nel 1751 venne dedicata la pala della chiesa abbaziale sostituita con quella raffigurante la professione di fede di S. Tommaso ap. Singolare anche la viva devozione che i pontevichesi manifestarono per la Madonna di Rezzato. Al santuario, ritenendosi liberati da un morbo che seminò strage fra i bovini del Bresciano, compirono il 23 maggio 1712 un solenne pellegrinaggio e donarono nel 1713 un calice d'argento.
Tutta la storia ecclesiale di Pontevico dell'800 è segnata dalla carità dei suoi sacerdoti. L'ab. Giovanni Bonaldi (1813-1856) fu definito "l'abate dei poveri" per i quali si spogliò di tutto quanto aveva, spendendosi nell'assistenza quotidiana, nell'assistenza ai colerosi nel 1836, nell'erezione dell'ospedale (1839-1842). Attivissima la presenza dei numerosi sacerdoti nelle frazioni i quali supplirono nell'istruzione elementare alla penuria di insegnanti laici. Altrettanto ricco di carità e di zelo il parrocchiato dell'ab. Carlo Angelini (1858-1879). Colto, geniale nelle intuizioni anche tecniche (suo un progetto del tunnel sotterraneo sotto il canale della Manica) fondò, dopo il colera del 1855 (come già aveva fatto a Rovato), un orfanotrofio femminile, istituì la quotidiana distribuzione della minestra e del pane ai poveri, sostenne le opere pubbliche di carità. Sotto il suo parrocchiato si sviluppava anche l'oratorio maschile al quale l'ab. Angelini destinò il locale detto la "Fonderia" ristrutturato poi nel 1886. Intenso e molto dibattuto fu il parrocchiato di mons. Bassano Cremonesini (1880-1917). In tempi di aperto anticlericalismo, di profonde trasformazioni sociali, con zelo instancabile potenziò con devozioni particolari e con confraternite la vita religiosa della parrocchia, chiamò a Pontevico, il 19 marzo 1889, le suore canossiane per l'educazione della gioventù femminile, (sistemandole in casa Pavoni) potenziò l'oratorio maschile, fondò la Società operaia, ecc. Monumento della sua carità è ancora oggi l'Istituto Frenasteniche, fondato nel 1901. Nel 1903 erigeva l'oratorio femminile, sistemato poi nel 1918 in casa Cupis. A suo merito vanno anche la fondazione in città del Pensionato scolastico e di quello operaio. Provvide inoltre al restauro e decorazione dell'obelisco del cimitero. Intensa fu anche l'assistenza religiosa sempre più decentrata alle frazioni. Per quella di Chiesuola venne nel 1905 costruita una nuova chiesa dedicata a S. Antonio di Padova. Agli inizi del '900 vennero costituiti il Circolo Democratico Pio X (1905), l'Unione Giovanile S. Pancrazio e il Circolo Studentesco, dei quali furono animatori don Luigi Fossati, don Severino Bettinazzi, don Abele Magli. Si deve ancora a mons. Cremonesini il teatrino e il cinema dell'oratorio (1 gennaio 1910), il teatrino dell'Istituto Frenasteniche, la banda musicale.
Sulla stessa scia si svolse fino al 1924 il breve parrocchiato di mons. Egisto Melchiori. Costui fondò una casa del popolo, un orfanotrofio maschile, un laboratorio di maglieria. Primo in diocesi diede vita ad un reparto di esploratori cattolici, favorendo anche la nascita dello scautismo, e a ricordo dei caduti eresse nella chiesa abbaziale un altare per i caduti di guerra e nel 1924 trasferì la sede dell'oratorio in via Zanardelli. Osteggiato dal fascismo, tenne fermi i principi religiosi ed educativi.
Il parrocchiato di mons. Luigi Eloni (1925-1945) si distinse per l'intensa attività catechistica ed educativa. Oltre a potenziare l'oratorio femminile e ad istituire una scuola di magistero, nel 1927 affidò ai Padri Giuseppini di Asti che lo esercitarono fino al 1962 l'apostolato fra la gioventù maschile affidando loro l'oratorio maschile, il catechismo e l'assistenza alle Associazioni di Azione Cattolica, prima nella casa prospiciente l'abside della chiesa abbaziale, poi, dal 1938, nel palazzo Tagliavini. Per merito specialmente di p. Mario Cisari nacque la Schola Cantorum S. Gregorio Magno (1929) poi dedicata a S. Cecilia, la compagnia teatrale, il Cinema Concordia e un'intensa attività sportiva. Mons. Eloni favorì anche, il 7 giugno 1939, la nascita della nuova parrocchia di Chiesuola. I tredici anni di parrocchiato di mons. Giuseppe Miglioli (1945-1958) furono contrassegnati da una cura particolare alla chiesa abbaziale che abbellì con cura ed amore e all'ampliamento dell'Istituto Frenasteniche. Sotto di lui nasceva il 25 luglio 1956 la nuova parrocchia di Torchiera.
Attivo sotto gli aspetti più diversi fu il parrocchiato di mons. Angelo Crescenti. Il primo impegno fu la pratica ristrutturazione della chiesa abbaziale in seguito al devastante incendio del gennaio 1959. Il suo continuo abbellimento fu accompagnato dai restauri alle chiese sussidiarie di S. Giuseppe, Ripa d'Oglio, S. Rocco, l'ampliamento (nel 1959-1974) dell'oratorio maschile, la nascita del circolo ANSPI ed infine la costruzione, dal 1985 al 1990, del nuovo grandioso centro parrocchiale inaugurato il 30 settembre di tale anno. Al Natale del 1980 nasceva il nuovo periodico parrocchiale «Pontevico» che ebbe un numero sempre crescente di abbonati. Nel settembre 1984 veniva avviata la Radio parrocchiale e nel gennaio 1985 inaugurata la nuova sede del Patronato ACLI. Notevole lo sviluppo dell'attività missionaria e caritativa potenziata poi dal nuovo abate (1992) mons. Bonfadini.
LE CHIESE.
S. ANDREA, antica parrocchiale. La primitiva chiesa, dedicata a quanto sembra prima a S. Maria Assunta e, poi, a S. Andrea ap. protettore dei pescatori, si trovava sulla strada romana del Porto, all'incirca tra l'attuale cimitero e la Madonna di Ripa d'Oglio. Dalla cronaca manoscritta di mons. Filippo Garbelli - già citato dal Berenzi - sappiamo che il fabbricato antico era a tre navate. Come sottolinea A. Marchesi a dissipare ogni dubbio tale chiesa era ben distinta da quella della Madonna di Ripa d'Oglio, la quale nacque come santuario votivo accanto ad un antico ospizio per pellegrini o «Xenodochio» dei primi secoli della Chiesa. Opere di restauro venivano compiute nel 1547 da Silvestro Valier. Ma nel 1565 aveva già ceduto, pur essendo ancora parrocchiale, le funzioni ad essa inerenti alla chiesa di S. Tommaso. Il vescovo Bollani ordinava che fosse imbiancata e l'altare provvisto di tutto. Nel 1572 era già un magazzino ma ancora consacrata per cui il visitatore vescovile ordinava che venisse messa in ordine (imbiancata, munita di vetrate ecc.). Agli inizi del '600 della chiesa plebana non restava che una piccola chiesa. Offerte raccolte per suffragare le numerosissime vittime della peste del 1630 consigliarono l'ab. Ugoni di destinarle, oltre all'ampliamento della chiesa del Suffragio, alla costruzione di una nuova chiesa nel cimitero che venne dedicata ancora a S. Andrea e che venne demolita nel 1905. In suo luogo venne costruito per intervento dell'ab. Cremonesini un obelisco alto 25 m. su progetto dell'arch. Tombola con una cappelletta poi dedicata ai caduti in guerra.
S. TOMMASO APOSTOLO. Spostandosi il centro abitato sempre più in alto, a nord venne eretta una cappella dedicata a S. Tommaso ap. e affidata nel sec. XV a tre cappellani scelti dalla comunità ma dipendenti dalla parrocchiale di S. Andrea. Un'iscrizione graffita ritrovata nel 1886 sembra far risalire la fondazione o una ricostruzione al 1486. Nel settembre del 1565, all'epoca della visita pastorale del vescovo Bollani, la Chiesa di S. Tommaso, pur modestissima e di capienza insufficiente, esplicava già le funzioni di parrocchiale, vi si amministravano i sacramenti, vi si celebravano le maggiori funzioni e vi si custodiva il fonte battesimale. Nel 1570 i tre cappellani qui officianti presentarono formale istanza al Vescovo di Brescia perchè dichiarasse parrocchiale la nuova chiesa e ne iniziarono l'allargamento, invitando a concorrervi la popolazione e l'arciprete parroco mons. Silvestro Valier. Costui sulle prime rifiutò, sostenendo che si dovesse restaurare, se mai, la vecchia chiesa madre; in seguito si arrese alla logica che imponeva il trasferimento, anche perchè da Brescia giunse il decreto vescovile di erezione. Si sa anche che in seguito il Valier concorse con danaro suo alla nuova costruzione. La chiesa era già in cattivo stato al tempo della visita del Pilati nel 1572 nonostante gli ordini del Bollani di restaurarla. Infatti veniva ordinato un tabernacolo più decente, la pietra sacra, suppellettili e paramenti. Una radicale ristrutturazione veniva ordinata nel 1580 da S. Carlo Borromeo in occasione della sua visita apostolica, raccomandando che: "Si porti a compimento la fabbrica della chiesa, la si allunghi di altre tre arcate nella parte anteriore, verso il cimitero; sia completato il pavimento. La torre campanaria rimanga nel medesimo luogo". Ordini o esortazioni che il santo arcivescovo ripetè con due lettere nel 1582. Due anni dopo, nel 1584, la chiesa veniva completamente ricostruita e terminata nel 1586 come ricorda un'iscrizione latina che tradotta dice: "Nell'anno del Signore 1486, il giorno 4 maggio fu fondato (questo tempio). Al 15 di giugno del 1584 fu distrutto dalle fondamenta per ordine dell'Ill.mo Cardinale Carlo Borromeo visitatore della Sede Apostolica. Al 13 di agosto dello stesso anno fu riedificato ed ampliato essendo Rettore (Arciprete) l'Ill.mo e Rev.mo Salomone Valier veneto, prefetto l'Ill.mo Conte Nicolò" . Del progetto venne incaricato nel 1583 l'arch. cremonese Giuseppe Dattari detto il Pizzafoco che già lavorava da anni per i Gambara a Verolanuova. Come ha scritto Valentino Volta: "I lavori di Pontevico iniziano verso il maggio del 1583. Nel luglio il Pizzafoco manda da Sabbioneta le istruzioni scritte per elevare la struttura. Il 15 giugno 1584 è completamente abbattuta la vecchia chiesa; il 13 agosto si inizia l'edificazione della nuova; il 25 agosto 1585 si arriva già alla stabilitura della facciata. È probabile che le volte vengano costruite più tardi, secondo una prassi piuttosto abituale che richiedeva la copertura delle cosiddette «muraglie» ancora prima della costruzione dell'«involto», essendo quest'ultima una delle operazioni più lunghe e dispendiose". Lo stesso V. Volta, afferma che dopo i rimaneggiamenti del 1886 e anche i restauri del 1959 del primitivo progetto del Dattari non rimane che il grosso della navata, escluse le due cappelle vicino alla facciata ed i fianchi della zona presbiteriale antica, che dovevano costituire le testate del transetto di una sorta di pianta cruciforme, disegnata dal valente architetto cremonese secondo le istruzioni del Cardinal Borromeo. Prima del 1886, ha scritto Giuseppe Fusari,: "Innanzitutto esisteva un portico, sorretto da quattro colonnine. Due di quelle colonnine furono utilizzate per la costruzione della edicola sacra tuttora esistente sul muro di cinta della cascina "Maestà", in prossimità del cimitero; le altre due si trovano collocate sul muro che divide il giardino della casa canonica dal cortile superiore dell'oratorio maschile. I due altari laterali, della Madonna del Rosario e dell'Ultima Cena, erano sistemati dove ora si trovano le due porte laterali, verso la parte centrale della chiesa. Al posto dove attualmente si trovano c'erano: l'organo con cantoria, a destra, mentre a sinistra esisteva una "tribuna" destinata alle autorità della comunità e della vicinia. Ad entrambi si accedeva attraverso 4 scalette a chiocciola, in pietra, ora non più agibili (si notano ancora le finestrelle per illuminarle, vicino alle 4 porte laterali della Chiesa). L'allungamento a mattina ridusse di oltre la metà le dimensioni della sacrestia e nello stesso tempo il drastico ridimensionamento dei grandi armadi della fine del Cinquecento, decurtati di un terzo della lunghezza (erano tra le cose più belle ed antiche della nostra parrocchiale). Anche il coro ligneo venne notevolmente ridotto". Nel 1599 il vescovo Giorgi pur essendo ancora incom pleta la trovava già "decorosissima" ed egli stesso la consacrava il 18 aprile 1610. Non esistono altre rilevanti notizie sulla chiesa. Il 17 gennaio 1706 un incendio minacciò la chiesa senza recare danno, tanto che anni dopo, 1'11 gennaio 1731, il clero di Pontevico chiedeva al Vescovo che dichiarasse, in riconoscenza, festa di precetto la ricorrenza di S. Antonio ab. Tra il 1741-1743 venne innalzato un nuovo campanile e al contempo ampliata la sagrestia. Nel 1751 veniva commissionata ad Angelo Paglia una pala raffigurante S. Giovanni Nepomuceno raccolta in una grande soasa lignea e posta sull'altare maggiore, sostituita nel 1886 dall'affresco di Luigi Tagliaferri raffigurante la Professione di fede di S. Tommaso. La pala di S. Giovanni Nepomuceno dopo varie vicende fu distrutta. Cure particolari alla chiesa vennero riservate nel sec. XIX. Nel 1806 Angelo e Pietro Inganni affrescavano, su commissione della Scuola del Rosario, il volto della ex cappella della B.V. del Rosario (ora vano della porta laterale su via Gorno-Ruffoni). Nel 1815 Angelo Dragoni di Cremona dipingeva a fresco le prospettive a colonne attorno al piccolo altare della Madonna del Castello qui appunto trasferito dal Castello mentre il cremonese Giovanni Galli ne eseguiva la tela raffigurante il Padre Eterno, posta sopra il timpano dell'altare, e forse ridipinse o restaurò la tela della Madonna, di nuovo ridipinta nel 1854 dal pontevichese Luigi Sampietri. La nuova cornice è dovuta alla bottega dei Poisa. Già nel 1819 il cremonese Giulio Motta aveva dipinto i due quadri posti sulle pareti della stessa cappella, raffiguranti l'uno S. Bernardino da Siena e l'altro l'Angelo custode che conduce per mano un bambino. Nel 1861 Giulio e Francesco Motta dipingevano il volto dell'ex cappella (ora vano d'ingresso da vicolo Garbelli) del S.S. Sacramento. Ma a metà dell'800 la chiesa era ridotta in cattive condizioni, tali da farla definire "un lurida taverna" e da sollecitare l'ab. Carlo Angelini ad incaricare l'arch. Melchiotti a preparare il progetto di un radicale restauro ed ampliamento che venne invece intrapreso, dietro sollecitazione del vescovo, dall'ab. Cremonesini subito dopo il suo ingresso nel 1881. Vincendo forti resistenze di locali nel 1881 gli impresari Pellini di Lovere avevano già approntato il progetto. L'opposizione delle autorità consigliarono l'ab. Cremonesini ad approntare un nuovo progetto, chiedendolo prima agli impresari Gaffuri di Manerbio e facendolo controllare all'ing. Tadini di Verolanuova. Nel 1884 nuovi ostacoli amministrativi fecero rimandare l'attuazione che venne decisa il 18 maggio 1886. Come ha scritto Alfio Marchesi: "Si cominciò con l'abbassare quasi al livello stradale il piano di tutta la costruzione, procedendo alle necessarie sottomurazioni. La facciata fu interamente rifatta e portata in avanti, sicchè si ricavarono due nuove cappelle - una delle quali adibita a battistero - e parallelamente anche il presbiterio fu arretrato incorporando parte della vecchia ed ampia sacrestia. Nel luogo dove pressapoco sorgeva la vecchia abside fu riattata con leggere modifiche la pseudo cupola attuale; la volta fu rimaneggiata e tutto l'insieme affrescato e decorato con stucchi. L'organo, convenientemente riformato dai bergamaschi fratelli Parietti, allievi e successori dei fratelli Serassi, fu trasportato in avanti e sistemato sul lato destro del nuovo presbiterio. L'autore degli affreschi fu il comasco Luigi Tagliaferri, coadiuvato, limitatamente alla decorazione delle cappelle, da un certo Nicora milanese. Gli stucchi furono eseguiti da un certo Luigi Soldati milanese; le altre decorazioni e le dorature furono opera dei sigg. Peduzzi di Milano, Cremonini svizzero e Zambelli cremonese. Dal giugno al novembre 1886 si lavorò a ritmo serrato e ciò nocque alla bontà del risultato finale". In pochi mesi i lavori furono compiuti ma con notevoli inconvenienti. Come rileva sempre il Marchesi "la sproporzione tra lunghezza e altezza; gli ineleganti capitelli delle semicolonne laterali; la tinteggiatura molteplice e male intonata e il cornicione pesante davano la sensazione che la navata fosse più bassa di quanto era realmente. Sotto il pavimento inoltre non fu fatto un conveniente sottofondo sicchè presto si notarono degli avvallamenti e molta umidità. Anche gli affreschi del Tagliaferri indulsero a troppa scenografia od oleografia con evidente monotonia delle figure specie femminili, avendo scelta per esse per modella la sola sua moglie. Comunque con eccezionale celerità alla fine del 1886 l'edificio fu riaperto. Nel 1911 i fratelli Bergamaschi di Quinzano realizzavano la porta maggiore. Gli stessi nel febbraio 1912 presentavano il grandioso apparato dei Tridui. Anni dopo, a ricordo dei Caduti della I guerra mondiale, l'ab. Melchiori erigeva nella cappella, di fronte al pulpito, l'altare al S. Cuore affiancato da due grandi lapidi in marmo di Carrara con il loro nome e di quello degli oblatori, il tutto sacrificato ai restauri richiesti dall'incendio del 1959 per l'apertura della porta laterale. All'altra porta laterale venne sacrificata la lunetta affrescata da Vittorio Trainini. Nuovi interventi vennero compiuti nel 1927 quando la base della facciata, il presbiterio, il pulpito e gli stipiti della porta della chiesa vennero rivestiti di marmo bianco. Nel 1939-1940 la chiesa fu arricchita da nuove stazioni della Via Crucis. Nel II Dopoguerra dall'ab. Miglioli vennero rifatte le vetrate delle navate rovinate dai bombardamenti, rivestite di marmo di Botticino le basi della navata e rinnovata l'illuminazione. L'incendio, scoppiato poco dopo le ore 22 del 18 gennaio 1959, devastò il tempio; ma pronta fu l'opera di restauro, comprendente il pavimento, il rifacimento del tetto, il rifacimento degli stucchi, il restauro degli affreschi, delle opere lignee, dei quadri, dell'altare maggiore, l'apertura di due porte laterali in luogo del pulpito e dell'altare del S. Cuore, la collocazione di un bell'altare settecentesco nella cappella di fronte al presbiterio, il ridimensionamento degli ambienti annessi all'edificio lungo il presbiterio e l'abside, la risistemazione dell'abside e del tabernacolo. Restaurata e rimessa a nuovo, la chiesa venne dotata di nuove stazioni della Via Crucis, e rimesso a nuovo il Battistero con relativo affresco. Furono acquistate le statue del S. Cuore e del Cristo morto, restaurati vari quadri, messe in opera le nuove porte laterali e quattro nuovi confessionali. A suggello dei restauri ormai quasi conclusi in poco più di un anno, il 13 marzo 1960 venne consacrato l'altare maggiore. La chiesa si presenta ora coperta (salvo le lunette dei volti delle porte laterali) degli affreschi del pittore lecchese Luigi Tagliaferri. Nell'abside campeggia la "pala", dedicata alla "Professione di Fede di S. Tommaso". Attorno ad essa e per la totalità dell'abside figura un cielo popolato da moltissimi angeli in varie pose, due dei quali recano la scritta "Dominus meus et Deus meus". Sul volto del presbiterio un grande medaglione centrale, avente per oggetto "il trionfo dell'Eucaristia". Quattro ovali con angioletti completano il volto del presbiterio. La cupola è completamente coperta da un unico affresco avente per tema: "la gloria di S. Tommaso". Tra le molte figure, caratteristiche quelle in costumi orientali inserite in un paesaggio di tipo asiatico. Le quattro vele della cupola portano affreschi raffiguranti: Noè, Mosè, Aronne, Leone XIII ecc. La navata centrale è decorata da tre affreschi del Tagliaferri, da un quarto del pittore Giuliano Girelli (1960) raffiguranti un trionfo di angeli, il martirio di S. Pancrazio, la chiamata degli apostoli Pietro e Andrea. Nei medaglioni laterali, sempre del Tagliaferri, l'unico ri conoscibile è il Re Davide; gli altri personaggi sono probabilmente S. Ambrogio, S. Leone Magno, e un Profeta del Vecchio Testamento. Nella cappella laterale e di S. Bernardino: sul volto, nel medaglione centrale è dipinta la "Giustizia"; in quella della Madonna del Castello: sul volto un angelo che regge un cartiglio con scritto "Ave Maria"; in quella di S. Giuseppe: un angelo circondato da vari attrezzi da lavoro (falce, aratro, sega, ecc...); in quella di S. Carlo: è raffigurato un angelo, sempre al centro del volto, portante con una mano il pastorale e con l'altra la scritta dello stemma del Borromeo: "Umilitas".
Entrando a destra si trova un bell' altare settecentesco in marmo intarsiato con una copia della Madonna di Paitone del Moretto dono degli eredi Volpi-Girelli. L'altare del SS. Sacramento è adorno di una bella tela raffigurante l'Ultima Cena attribuita ad Antonio Gandino. L'altare del SS. Rosario eretto nel 1613, con una statua della Madonna contornata dai 15 Misteri venne rifatto nel 1654 e infine trasferito nel luogo attuale nel 1886 quando anche l'antica statua della Madonna venne sostituita con altra in cartapesta di don Luziardi (1887); l'antico simulacro venne collocato nella chiesa di S. Rocco. L'attuale statua venne incoronata nel 1925 con una corona confezionata dalla ditta Pizzoli. Nel 1954 il simulacro venne sostituito con altro della bottega Poisa anch'esso incoronato con due corone del 1979. Sembra che il primo organo fosse opera degli Antegnati. Di un organo però si ha più sicura notizia nel 1608 quando il Comune decise di contribuire "quanto prima" alla costruzione di uno strumento, stipulando in proposito nell'aprile 1609 una convenzione con l'arciprete Gabrieli. Un nuovo organo veniva installato nel 1739 e di nuovo sostituito da un altro costruito nel 1837-1839 dalla ditta Serassi di Bergamo. Venne poi ristrutturato da Luigi Parietti di Solino, Bergamo, nel 1885-1886 e collaudato il 2 luglio 1889. Venne poi aggiornato da un Pedrini nel 1939. Distrutto dall'incendio del 18 gennaio 1959, fu sostituito. Tra gli organisti si segnalarono soprattutto Luigi e Giuseppe Ramella, Giuseppe Fugazzola, Serafino Balzarini.
Il campanile venne ricostruito su deliberazione del Consiglio Comunale del 9 giugno 1743; finito nel 1747, vi vennero collocate le quattro campane della vecchia torre. Un nuovo concerto di cinque campane venne fuso nel 1784. Venne poi rifuso nel 1895 in otto campane. Il giorno di Pasqua del 1897 dalla maggiore si staccò il battaglio che uccise Giuseppina Olivetti e ferì gravemente Caterina Marini. Nel 1943 venivano requisite, su 45, ben 13 campane: tutte quelle esistenti sui campanili delle chiese sussidiarie e tre della chiesa abbaziale. Nel 1948 la ditta Carlo Ottolina di Seregno fuse un nuovo concerto di 8 campane, benedetto la prima domenica di luglio del 1949.
DISCIPLINA. Sorge a fianco della chiesa abbaziale ed è dedicata all'Assunta, con aggiunto il titolo di S. Francesco. C'è chi la dice sorta in tempi antichi. Ma non la nominano gli atti della visita del vescovo Bollani. La cita invece il Pilati nella sua visita del 1572 che accenna a piccoli proventi da un piò di terra e dalle elemosine. Negli atti della visita di S. Carlo B. (1580) viene imposto di mettere i vetri alle finestre e di erigere un altare di marmo. La chiesa ospitava la confraternita dei Disciplini bianchi. Nel 1724 i fratelli Ottavio e Pietro Antonio Pontevico fecero una donazione di ben 4.000 scudi per abbellire questo oratorio, dotarlo di cappellano fisso (che fosse anche di aiuto alla parrocchia), di paramenti e suppellettili per la celebrazione di S. Messe perpetue quotidiane a suffragio delle loro anime e di quelle dei loro defunti. Nella chiesa i due benefattori vollero essere sepolti. Probabilmente grazie a queste donazioni nel 1757 la chiesa venne affrescata da Pietro Corbellini. Soppressa nel 1797, la Disciplina servì per la dottrina cristiana, per conferenze ecc. La chiesa venne poi decorata nel 1912 dal verolese Gottardo Este mentre Achille Vinetti restaurò la cupola e dipinti. Nella volta un piccolo affresco raffigura Gesù fra i fanciulli; ad esso fanno corona 6 medaglioni raffiguranti (da destra a sinistra) S. Giuseppe, S. Filippo Neri, S. Tomaso, S. Pancrazio, S. Luigi e S. Pietro. Sopra l'altare: Simbolo Eucaristico (calice e ostia tra angeli). Nella Cupoletta (in coro) l'incoronazione di Maria Santissima (Dio Padre e Gesù Cristo incoronano la Madonna tra schiere di angeli); ai quattro angoli stanno quattro personaggi biblici con cartigli che riportano scritte che richiamano la Madonna. Seguendo la descrizione che ne fa A. Milanesi, entrando a sinistra sul primo altare sono una statua di S. Maria Bambina e due quadri di Corilla Volpi Girelli raffiguranti le SS. Capitanio e Gerosa; al secondo altare vi è una tela settecentesca (restaurata nel 1990) che raffigura l'Immacolata con ai piedi S. Gaetano da Thiene. Sull'altare maggiore è una tela raffigurante l'Assunzione di Maria Vergine con angeli e Santi. In presbiterio a destra: S. Francesco che per intercessione di Maria SS. ottiene l'indulgenza per il Perdon d'Assisi; a sinistra, S. Francesco fonda il Terzo ordine francescano. In coro, stanno a destra, il giudizio di Salomone; a sinistra, Ester e Assuero. Nei quattro medaglioni sono raffigurati: a destra Giaele, Sisara e Tobia con l'angelo Raffaele; a sinistra, Giuditta e Oloferne, Debora e Barac. Scendendo sul lato destro si trova una pregevole soasa barocca in legno dorato che raccoglie una pala raffigurante le Stigmate di S. Francesco d'Assisi. Il secondo altare è dominato da un Crocifisso secentesco scolpito e applicato alla croce dipinta sulla pala con la Madonna, Maria Maddalena e S. Giovanni evangelista, di autore ignoto della fine del '700 o inizi dell'800, restaurata nel 1990. Sulla cantoria vediamo "la morte di S. Francesco (3 ottobre 1226)". Sul pilastro tra il confessionale e l'altare della Immacolata e S. Gaetano, è il bel monumento funebre, in marmo nero, a Ottavio Pontevico con il busto del fondatore del Pio luogo e l'iscrizione dell'abate Garbelli.
S. MARIA del SUFFRAGIO poi S. Giuseppe. Già esistente dal sec. XVI, quando allo scopo di allargare il sagrato della nuova chiesa abbaziale l'abate Garbelli ottenne dal vescovo di Brescia di trasportare gli avanzi delle sepolture anzichè al cimitero in un ossario aperto nella chiesa del Suffragio, essa fu sempre più frequentata. Sostenuta da una Confraternita dei Suffraganti, fu arricchita da Clemente VIII di indulgenze e privilegi. A ricordo delle numerosissime vittime della peste del 1630 i pontevichesi offrirono all'ab. Ugoni i mezzi per ampliare la chiesa del Suffragio e per costruire il campanile. Ma la ricostruzione decisa il 22 febbraio 1686 ed iniziata nel 1687, ottenuti i dovuti permessi del vescovo Gradenigo e del Doge in data 22 febbraio dello stesso anno, non era ancora finita nel 1703. In essa ebbe sede la Confraternita del Suffragio con la condizione posta il 2 ottobre 1686 dall'abate Francesco Morini di provvedere alla celebrazione della messa nei giorni festivi. Ma don Giovanni Battista Gilberti che provvedeva alla costruzione l'aveva invece donata alla Comunità di Pontevico che ne era diventata proprietaria. La chiesa venne anche arricchita di affreschi sulla porta centrale (Madonna tra gli angeli e anime purganti), e su quelle laterali: S. Francesco da Paola con anime purganti a destra, S. Carlo a Maderno fa la ricognizione dei resti del vescovo S. Erculiano a sinistra. L'enorme afflusso dei fedeli e le abbondanti elemosine portarono i cappellani della Confraternita a ritenersi quasi autonomi dall'autorità dell'abate introducendovi, feste, solennità, novene e anche funzioni con grande richiamo di popolo. Contro tale andazzo si schierò l'abate che ottenne non si svolgessero nella chiesa funzioni da lui non approvate. Anzichè ottemperare a tali ordini molti confratelli dirottarono un gran numero di fedeli a portarsi la domenica al cimitero piuttosto che in parrocchia. Soltanto l'ab. Filippo Garbelli riuscì a togliere tale abuso, a stringere stretti rapporti con la Confraternita che prese il nome di Confraternita della Madonna del Suffragio o dei Morti: Benedetto XIII la arricchì di nuove indulgenze e Clemente XII, dopo di averne confermati e ampliati i privilegi, nell'anno 1739 la fece aggregare all'Arciconfraternita di Roma. Interessante una tela di Francesco Paglia raffigurante il transito di S. Giuseppe. Vi era anche un quadro riproducente S. Nicola da T. noto fra la popolazione per la "diaulina", cioè una tentatrice del santo in esso rappresentato, ora nella sagrestia dell'abbazia. La confraternita andò poi declinando quando sorsero due altre compagnie per il suffragio dei morti, l'una detta di Assisi, l'altra della Corona. La chiesa venne sempre più usata per altri usi. Nel 1821 ospitò la Scuola di mutuo insegnamento fondata da Filippo Ugoni. Ha scritto Angelo Berenzi: "Spesse volte la Chiesa del Suffragio venne aperta al pubblico anche per i saggi finali delle Scuole del Comune: come fu pure alloggio di soldati ora tedeschi ed ora francesi e piemontesi nel passaggio di truppe al tempo delle ultime guerre contro lo straniero; e anche ospizio di feriti dopo le battaglie combattute per l'indipendenza nazionale. Purtroppo però questa Chiesa nel 1866 fu dalle milizie transitanti da Pontevico usata anche come gran scuderia, pur protestando la popolazione, che mal vedeva scalpitar i cavalli nel luogo sacro a Dio e alle ceneri e alla memoria dei padri. Assai devota e commovente riuscì la funzione celebratavi poscia da Mons. Abbate Angelini, nel giorno in cui la Chiesa fu ribenedetta e riaperta solennemente al culto". Già nel 1839 la chiesa non aveva nessun obbligo di messe e «quelle che vi si celebrano vengono supplite dai devoti». Nel 1845 tuttavia veniva installato un concerto di cinque campane fuso dalla ditta Innocenzo Maggi. Nel 1886-1887 sostituì la parrocchiale durante i lavori di ampliamento. Venne usata anche per la dottrina delle donne e per la messa domenicale della gioventù. Nel 1888 venne dall'ab. Cremonesini dedicata a S. Giuseppe. Ma ciò non risollevò per molto le sorti della chiesa. La chiesa era, di nuovo nel 1923, in tale abbandono che il vescovo mons. Gaggia ordinava che rimanesse chiusa o trasformata in "un salone di conferenze". Venne inoltre utilizzata come teatrino dell'oratorio e ciò fino all'ottobre 1965. Erano rimaste sul campanile le campane requisite nel 1943, che vennero sostituite nel 1960 con quelle provenienti dalla parrocchiale di Levrange.
La chiesa fu riaperta nel 1965, dopo essere stata soggetta al rifacimento integrale del tetto e del campanile, al ripristino degli stucchi, degli infissi e delle vetrate, alla completa tinteggiatura dell'interno, alla installazione di un concerto di cinque campane del peso complessivo di 10 quintali e al restauro di pale e affreschi. Durante i lavori di ripulitura degli affreschi si ebbe la gradita sorpresa di scoprire sotto una tempera di nessun valore artistico, dipinta sopra la porta centrale e dovuta, con ogni probabilità, al ben scarso estro pittorico dell'Abate Cremonesini, un bellissimo affresco che, da un primo esame del disegno e del colore, sembra doversi attribuire a qualche discepolo del pittore bresciano Lattanzio Gambara. Esso ha tre piani nettamente distinti. Nel primo, in alto, campeggia una deliziosa Madonna con Bambino; nel secondo, in basso, sono rappresentate le anime purganti avvolte dalle fiamme e in atteggiamento di implorazione alla Vergine; nel terzo, l'intermedio, sono raf figurati un frate domenicano in preghiera e un angelo che sta per sollevare dalle fiamme un'anima ormai purificata. Particolare curioso che si nota nella composizione: l'unica figura di spalle, nell'atto di
rivolgersi al frate orante, è un sacerdote: ce lo rivela la chierica, perfettamente visibile al centro del capo.
S. FRANCESCO. Disciplina eretta in contrada della Chiesa in seguito ad autorizzazione del 16 maggio 1718.
S. MARIA IN RIPA D'OGLIO. Il più antico santuario mariano fu quello di S. Maria in Ripa Olei (cioè in riva all'Oglio) in località "Vigne", oggi denominata Fenil Nuovo. Monsignor Paolo Guerrini pensa che sia stato un antico ospizio del monastero di S. Giulia per il transito del fiume fra il territorio bresciano e cremonese, specialmente per le comunicazioni con la corte monastica di Alfiano e con Cremona. Passò poi in proprietà agli Umiliati di S. Bartolomeo di Contignaga che esistevano nella zona di S. Afra a Brescia, e poi in commenda di diversi cardinali come il Borghese, il Chigi, il Rubini. Questi, lo vendette, con il permesso del governo veneto e assieme al beneficio, alla famiglia Ruffoni che ne rivendicò poi il giuspatronato. Il visitatore Pilati nel 1573 infatti la riscontrava dotata di circa 40 scudi di entrata all'anno ricavati da una pezza di terra situata in riva all'Oglio con onere di celebrarvi la messa. Il visitatore ordinava che venisse distrutto l'altare che esisteva fuori la chiesa. Nel 1580, dagli atti della visita dell'abate Carlo Agostini, visitatore sub-delegato di S. Carlo, sappiamo che la Chiesa di S. Maria in Ripa Olei, con l'annesso terreno, era di proprietà del vescovo di Torcello, Giovanni Dolfin, divenuto poi vescovo di Brescia e che era priva di campanile e di sacristia tanto che i paramenti erano conservati in una cassa di legno. S. Carlo B. ordinava i vetri alle finestre, la costruzione della sagrestia e del campanile, l'acquisto di suppellettili. Dagli atti della visita A. Milanesi riporta che "Altare solum habet in cappella fornicata" cioè con soffitto e questo è importante poichè si sa che la chiesa è stata costruita in due epoche diverse e si conferma che dove è sistemato l'altare è la parte più vecchia. Poichè sappiamo che l'abate Scipione Garbelli nel 1683 restaurò la chiesa si può pensare che l'allungamento della stessa e il campanile siano opera sua. Nel 1600 aveva un solo altare ed era custodita da un eremita. Nel 1703 l'abate (che era il nobile Filippo Garbelli) attestava che la chiesa possedeva otto piò di terra in commenda al Cardinal Ottoboni. Vi si celebrava tutte le feste e più tardi, grazie ad un legato istituito da Bartolomeo Bissoloti, anche ogni giorno. In ricordo della proprietà acquisita su Ripa d'Oglio e sull'antica chiesa nel 1837, la signora Caterina Gorno, vedova ed erede di Orazio Ruffoni, morendo lo lasciava con 22 piò di terra alla fabbriceria parrocchiale, con tutti gli arredi sacri, permettendo in tal modo la costituzione di una Cappellania per la celebrazione di quattro Messe settimanali (tre nella chiesetta e una in parrocchia) compreso il servizio del cappellano in parrocchia per confessioni, ecc. Il reddito doveva essere usato per il funzionamento del santuario. Probabilmente l'appezzamento di terra lasciato dalla Gorno faceva parte delle proprietà dell'antico ospizio delle "Vigne" tanto che il titolo della chiesetta fu "Madonna di Ripa d'Oglio della profanata chiesa delle Vigne". Ma nel 1885 l'abate Bassano Cremonesini la rivendicava di nuovo all'Abbazia vincendo una causa contro il demanio ed ottenendo la restituzione dell'equivalente del beneficio Gorno-Ruffoni, in L. 11.267,87. Più tardi grazie alla generosa eredità delle sorelle Maria e Angelina Bertazzoli, anche i terreni sono ritornati di proprietà della parrocchia per la costruzione del nuovo oratorio. Nel 1947 venne ricollocato il concerto di campane fuse dalla ditta Ottolina. Vivissima rimase la devozione verso questa Madonna specie da parte della popolazione del "borgo". Nel 1905 il santuario venne decorato in stile neogotico dal Verdello. Nel 1973 in ricordo di don Luigi Ziletti venne rifatto il pavimento in cotto e, inoltre, completamente l'intonaco esterno di tutto l'edificio mantenendo in luce sulla facciata un affresco raffigurante una Madonna con Bambino e il portale in mattoni con due finestre laterali. È stato consolidato il campanile mediante siringature di cemento conservandone così tutta la bellezza dei mattoni a vista e lo si è sormontato di una enorme croce in alluminio, che illuminata durante le feste è ben visibile anche da molto lontano. La chiesa presenta oltre all'affresco quattrocentesco della Madonna con Bambino sopra l'altare, ai lati dello stesso, due affreschi del sec. XV, sempre raffiguranti la Madonna col Bambino, strappati dalla cucina del custode nel 1984, e restaurati da Romeo Seccamani. Nuovi restauri specie ai dipinti vennero compiuti nel 1991. La festa del santuario detta "de Ria d'Oi" è ancora oggi dal 1975 la festa rionale più sentita. Vi si tiene un particolare palio.
S. ROCCO. Si trova alla confluenza della provinciale per Alfianello con la nazionale Brescia-Cremona e venne eretta forse sul finire del sec. XV. Il rinvenimento nel 1977 di due pietre ritenute basi di due colonne ha fatto pensare alla preesistenza di una santella poi trasformata in cappella e sostituita poi dall'attuale chiesa. Preesistente è anche l'attuale massiccia torre campanaria che M.T. Guerra sostiene essere una trasformazione di un antico torrione di avvistamento o difesa che potrebbe far pensare a resti di fortificazioni in una posizione particolarmente strategica all'incrocio tra la statale di Brescia-Cremona e l'antica via Francesca o ad una torre di vedetta o di guardia completata nel 1535 e dotata di una campana. Sulla fine del sec. XIX venne aggiunta una struttura a cuspide ottagonale. Una meridiana venne sostituita nel 1981 da un orologio costruito da Giuseppe Bricchi. La chiesa è già ricordata negli atti della visita Bollani (1566). Nel 1572 il visitatore mons. Pilati ordinava che venisse ridipinta la nicchia dove era conservata la statua del santo e che venissero distrutti tutti gli altari tranne il maggiore. Nel 1911 vennero regalate da mons. Berenzi due statuette. Armoniosa è l'architettura esterna e interna. La chiesa, in una elegante soasa settecentesca, raccoglie una bella statua di S. Rocco del '500-'600. Dal 1974 vi si tiene a ferragosto, per iniziativa di Antonio Roda, un'animata festa rionale, con il ricavato della quale sono stati compiuti dal 1976 da un gruppo di volontari notevoli restauri. Come ha scritto A. Milanesi: "all'interno, oltre all'altar maggiore che nel 1977 è stato spostato al centro del presbiterio in ossequio alle nuove direttive liturgiche, troviamo: a destra, un bellissimo altare in marmo con intarsiato S. Rocco, con soasa in legno dorato che fa da cornice ad una tela del Bassano (?) raffigurante S. Anna e Sacra Famiglia (soasa e quadro necessitano di un appropriato restauro); a sinistra, la splendida statua in legno della Madonna ultimamente restaurata insieme a tutto l'altare che si presenta veramente degno di nota". L'ing. Sandro Guerini, che attribuisce la scultura alla bottega bresciana dei Boscaì di Levrange, afferma: "...si deve all'abate monsignor Crescenti, che con gusto e passione sa valorizzare il patrimonio artistico che gli è stato affidato, la riscoperta di questa importante opera d'arte e il suo restauro, compiuto a regola d'arte dalla ditta Poisa di Brescia... La statua è un interessantissimo esempio della scultura lignea del tardo Manierismo bresciano, poichè si deve collocare intorno alla fine del cinquecento...". Questa statua era prima in abbazia dove fu sostituita dalla Madonna di Lourdes in occasione dell'ampliamento della parrocchiale effettuato da monsignor Cremonesini nel 1886. In cambio da S. Rocco fu tra sportato in parrocchia un Crocifisso, a sua volta sostituito da monsignor Eloni con "l'Ultima Cena" del Gandino.
S. MARIA dello STRONE poi S. Fermo. Devoto santuarietto così chiamato dal fiume presso le cui rive sorge. Paolo Guerrini ha creduto di individuarne le origini nella chiesa di S. Paolo che gli Umiliati ebbero a Pontevico mentre invece nel 1565 dagli atti della visita del Bollani è ricordata semplicemente come una cappella "secus Pontem Stroni". A quel tempo era già circondata da viva devozione, come conferma la celebrazione di messe su un altare che nel 1572 il visitatore mons. Pilati ordinò di sostituire. In vista della venerazione che circondava l'immagine della Madonna nel 1602 il vescovo Giorgi ordinava che tutta la santella venisse decorata con pitture. Nel corso del '600 era dotata di una piccola rendita di 5 scudi ricavata da una chiesetta ed era custodita da un. romito. Più tardi vi si celebrava quattro volte la settimana (156 messe) grazie ad un legato di Camillo Gorno istituito con testamento del 5 giugno 1646 e nel 1800 a carico del Pio Luogo, e una volta la settimana per disposizione testamentaria di Catarina Caparina del 12 agosto 1661. Nel 1696 ai legati già esistenti si aggiungeva un legato di Francesco Frate di 163 messe annue che nel 1860 l'abate chiese potesse essere adempiuto nella chiesa di S. Giuseppe (ex Suffragio) per comodità della popolazione. La chiesa, come è oggi, è dovuta all'abate Filippo Garbelli. In data 7 dicembre 1699, troviamo un contratto nel quale il Garbelli "Abbate nella Parrocchia et Abbazia di Pontevico Superiore, et sovraintendente della Chiesa della SS.ma Madonna dello Strone, fuori del Centro della terra di Pontevico... "acquista" una pezza di "terra" per allargare la chiesa e costruire l'abitazione per l'eremita. Già presente la devozione a S. Fermo protettore degli animali e del quale esiste nella chiesa fin dal 600 una bella tela che soverchiò quella della Madonna. Il campanile venne dotato dalla sua costruzione sul finire del '600 di due campane che, tolte durante la guerra, vennero sostituite nell'ottobre 1949 con altre della ditta Ottolina di Seregno, a loro volta sostituite con altre fuse da De Poli di Vittorio Veneto, per iniziativa di alcuni devoti del Comitato rionale. Ogni anno il 9 agosto si tengono solenni festeggiamenti con musica e fuochi d'artificio. Ma sull'altare continuò a troneggiare la Madonna col Bambino. All'interno due quadri restaurati dal pontevichese Bruno Scaglia raffiguranti l'uno S. Fermo, l'altro S. Giovanni Nepomuceno e S. Lucia. Nel 1978, promosso da don Angelo Peroni, venne costituito un apposito comitato che nel giro di pochi anni compì opere di notevole restauro alla chiesa e al campanile organizzando ogni anno una festa patronale di forte richiamo.
MADONNA della STRADA. Importanza e devozione godette il santuario della Madonna della Strada sulla Brescia Cremona a 7 km circa a Nord di Pontevico. Venne, come ritiene Giuseppe Fusari, costruito tra il 1572-1580 dato che non è ricordato nella visita pastorale di questo anno, mentre lo è in quella di S. Carlo negli atti del convisitatore delegato del Card. Borromeo, Carlo Agostini (1580/20-21 marzo), come costruita da poco, priva del campanile, con due altari, ove si celebra quotidianamente la S. Messa da parte di un frate agostiniano (del convento della Misericordia di Torchiera). Ad erigerlo erano stati infatti gli abitanti delle contrade: Colombere, Barchi, Vidosa, Vidosetta e Passere, che oltre alle elemosine abbondanti pro il Santuario, lo provvidero di tredici piò di terra (Campo Bettolino, Campo della Madonna) per la celebrazione di due Messe settimanali «pro animabus benefactorum» e per comodità degli abitanti delle predette contrade. È anche possibile che il santuario sia sorto su un antico ospizio o xenodochio per viandanti transitanti, non solo sulla strada Brescia-Cremona, ma anche su quella che conduceva al pievato di Comella. S. Carlo nella sua visita (1580) stabiliva l'allungamento di modeste dimensioni ed il trasferimento della venerata immagine della Madonna detta dei Miracoli dal fondo della chiesa a sopra l'altar maggiore ed inoltre ordinava di togliere l'altare dove si trovava il quadro della Madonna dei Miracoli, mettere un cancelletto al presbiterio per dividerlo dalla navata, chiudere la finestrella che permetteva di vedere dall'esterno l'immagine della Madonna nella vecchia cappella, etc... Da tutte le citate disposizioni Giuseppe Fusari deduce che la chiesa era stata innalzata per «contenere» e dare decorosa sistemazione ad una preesistente «santella» stradale mariana da tempo assai venerata nella zona e dai viandanti che percorrevano la contigua strada per Brescia e Cremona. Ed aggiunge che altro scopo della chiesa sia stato quello di riempire un vuoto di assistenza religiosa sul territorio circostante, creatosi con la ormai definitiva decadenza dell'antico ospizio plebanale di S. Bartolomeo, situato poco distante da Bettegno, nei paraggi di un'antica strada, ormai scomparsa, che univa il territorio della Pieve di Pontevico con quello dell'allora assai nota pieve di Comella e che svolse nel Medio Evo una preziosa attività di assistenza spirituale e materiale ai viandanti ed ai pellegrini. Il vescovo Giorgi nel 1602 esortava anche a riboccare e dipingere le pareti ancora rozze, a porre i vetri alle finestre del presbiterio, e conservare le elemosine in una cassetta con due chiavi che dovevano essere tenute una dall'Abate e l'altra da due sindaci ad essa preposti. Il 22 maggio 1612 venivano benedette, da mons. Averoldi, vescovo di Caltanissetta, anche le campane. In seguito si notò una certa decadenza tanto che il vescovo Morosini nella visita pastorale del 1653 doveva ribadire ordini già espressi in antecedenza come quello di spostare l'immagine della Madonna dalla sua antica edicola in fondo alla chiesa al centro dell'abside, sopra l'altar maggiore, stabilendo che si rendesse più decoroso il presbiterio e che si provvedesse l'altar maggiore di una immagine «più decente» di quella esistente! Venne così fatto collocare nell'abside un quadro raffigurante l'incontro di Maria SS.ma con S. Elisabetta. Nel 1668 veniva arricchita di un nuovo altare anch'esso dedicato alla Madonna con l'antico affresco della Madonna dei Miracoli sempre collocato in fondo alla chiesa, con la finestrella che la rendeva visibile esternamente ai passanti e possedeva 15 piò di terra grazie ai quali si celebrava la messa quotidiana. Due altri piò di terra venivano donati con testamento del 17 ottobre 1698 da Antonio Bosio per una messa al venerdì mentre l'affitto di una casa donata da Francesco Parma il 9 novembre 1697 serviva a mantenere l'olio della lampada alla Madonna. L'amministrazione della chiesa affidata ai Deputati della B.V.M., o Vicinia generale dei capifamiglia gravitanti intorno alla chiesa, provocò interminabili liti con i nob. Averoldi che vantavano diritti di patronato e questi a loro volta ebbero a sostenere liti specie per la nomina dei cappellani addetti alla chiesa che si ripeterono nell'800 fra abate, fabbriceria e comune fino a quando con la promulgazione della legge eversiva del 15 agosto 1867 vennero soppresse la cappellania e incamerati al Comune i beni, portando come ragione che non esistevano gli atti autentici di fondazione della Vicinia. Di bella eleganza architettonica la chiesa era ricca di affreschi alcuni dei quali ancora in parte visitabili, da quello che faceva da pala dell'altare raffigurante la Madonna col Bambino con due angeli reggenti la corona, a quelli delle pareti del presbiterio raffiguranti i dodici apostoli. Nella volta del presbiterio era dipinta l'Assunzione, con intorno sibille e simboli mariani. La volta della navata porta le scene della natività, della guarigione del cieco nato e della resurrezione; tra i resti nell'arco del presbiterio era raffigurata l'Assunzione; nel cornicione la crocifissione. Nella cappella della Madonna dei Miracoli numerosi erano gli affreschi con figure di santi, angioletti di un altare anonimo e con la data 1624 in lettere romane. Con al centro il primitivo affresco della Madonna col Bambino (fine '400, inizio del '500). Nel 1958 Giuseppe Fusari contò tele secentesche e settecentesche delle quali due sono rimaste nella parrocchia di Bettegno e un'altra raffigurante la Guarigione del sordomuto nella sacrestia della chiesa abbaziale. Tutte opere, scrive il Fusari, quasi certamente del pittore Tortelli ed eseguite nel 1773. Gli altri dipinti sono stati dilapidati come l'affresco della Madonna dei Miracoli con la bella soasa e altri affreschi strappati. La chiesa andò così sempre più decadendo passando poi alla parrocchia di Bettegno, troppo povera per provvedere al restauro e alla manutenzione. Nel 1970 era addirittura pericolante e stava per essere venduta se non fosse intervenuto il vincolo della Soprintendenza.
CHIESE SCOMPAESE.
S. MARCO in Castello. Antica, dato che nel 1565 il vescovo Bollani ordinava che venisse imbiancata, riparato il tetto ecc.
S. MICHELE, chiesa campestre ormai cadente all'epoca della visita Bollani. Il Guerrini nel 1936 scriveva che ne esistevano ancora i ruderi in un campo della prebenda abbaziale di Pontevico sul confine di Alfianello. Recentemente gli abitanti della zona l'hanno restaurata ed ogni anno vi si celebra una festa con grande partecipazione di persone.
S. PIETRO al Campazzo, chiesa campestre già abbandonata alla data della visita pastorale del vescovo Bollani nel 1565 e della quale ordinava la riduzione a santella.
S. VITALE al Campazzo. Antichissima chiesa eretta forse su uno dei primi loca sanctorum con cimitero. Vi vennero trovate strutture murarie tardo romane e altomedievali. Nel 1565 era in via di ricostruzione. Aveva tre altari.
CAPPELLA del CENTRO SOCIALE Giroldi Forcella. Costruita nel 1984 è dominata da una pala di L. Salvetti che raffigura le Beatitudini.
CROCEFISSO, Cappella dell'Istituto Frenasteniche Cremonesini. La prima pietra veniva benedetta il 16 giugno 1909 ed è intitolata alla S. Famiglia mentre l'altare maggiore venne dedicato a Nostra Signora del S. Cuore. Affrescata da Vittorio Trainini è poi stata rifatta e dedicata a S. Maria Crocifissa di Rosa. Contiene la tomba dell'ab. Cremonesini, fondatore dell'Istitito, opera dello scultore Carlo Botta e con affresco del Cristo risorto di Vittorio Trainini e quattro grandi dipinti su tela con episodi della vita di S. Maria Crocifissa di Rosa, di Eliodoro Coccoli, poi traslocati.
Fra le SANTELLE o CAPPELLE ricordiamo la cappella delle VINCELLATE dedicata a S. Antonio e già ricordata negli atti della visita pastorale del vescovo Bollani (1565);
la MADONNA dei ZANEI, cappella già esistente all'epoca della visita del vescovo Bollani, il cui nome deriva forse dal cognome. È chiamata anche della Madonna del latte, e particolarmente invocata come protettrice delle madri che allattano. Ma da tempo immemorabile sotto il portichetto prospicente la cappella veniva depositato e ritirato il latte prodotto dai piccoli proprietari, delle "Vigne". Mentre una cappella scompariva, un'altra ne sorgeva con la stessa denominazione. Era già costruita nella seconda metà del sec. XVI. Un'immagine scomparsa testimoniava la devozione dei barcaioli verso la Madonna. L'affresco si trovava in una santella vicino al cimitero e rappresentava la Madonna che allattava il Bambino. Una leggenda vuole che il diavolo in odio alla B.V. raffigurata in una santella abbia pagato un vecchio barcaiolo per distruggerla. Senonchè all'atto di iniziare la demolizione si scatenò un terribile uragano impedendone l'opera. Il gruzzolo d'oro raccolto nella borsa, si trasformò in un mucchio di erba secca. L'affresco della Madonna in atto di allattare il Bambino, che si trova sopra l'altare maggiore, è dipinto su muro massiccio e maestro.
Cappella del "BEAT FRANSES". Sorge a 2 Km a N del paese, poco discosto dalla strada nazionale, è dedicata ad ignoto soldato francese che fu ucciso in circostanze oscure e seppellito di nascosto secondo qualcuno nel 1796 secondo altri nel 1859. La sua salma venne ritrovata per un fatto miracoloso. Una squadra di soldati francesi giunti sul posto non potè più proseguire; trattenuti da una forza misteriosa scoprirono l'esistenza della tomba improvvisata. Vi posero un cippo, come ricordo e, diventato indecente, nel 1914 don Pietro Mensi di Pontevico espresse il desiderio ad un giovane capomastro da poco ritornato dall'America di sostituire il cippo con un più degno ricordo. Si decise allora di costruire una cappelletta votiva.
Fra le santelle ultimamente costruite sono da ricordare un'edicola particolarmente elegante in pietra bianca restaurata nel 1984 ed ornata di una Deposizione del pontevichese B. Scaglia. Una santella con una Deposizione venne costruita presso il Fenil Nuovo come ex voto per il salvataggio di un bambino caduto nel fosso e trascinato da forte corrente. Una nuova santella dedicata alla Consolata veniva benedetta il 3 ottobre 1990. Una dedicata alla Madonna di Fatima ed eretta all'incrocio delle vie La Pira e Donatori di sangue, venne benedetta il 13 giugno 1992.
ECONOMIA. La fortuna agricola di Pontevico è sempre dipesa dalla fertilità della terra e dall'abbondanza dell'acqua per la presenza di due fiumi: l'Oglio e lo Strone, oltre alla Seriola comunale, a rogge come la Gambaresca e canali vari. Più recentemente l'abbondanza d'acqua venne maggiormente potenziata con imponenti manufatti come quelli costruiti nel 1745-1746 alle Vincellate per sostenere "alte le acque del fiume Strone per derivarle nella Seriola comunale" ma che, minacciando già rovina nel 1754, venne in gran parte rifatta. Un'altra opera a scopo di irrigazione venne compiuta sullo Strone e alle Vincellate nel 1827 e poi rinnovata in seguito. L'energia elettrica fornita a prezzi di favore dalla Società Elettrica Bresciana poi, agli inizi del secolo, portò vantaggi enormi al sollevamento delle acque. La fertilità del terreno a nord del paese e l'abbondanza di acque portarono al più intenso sviluppo le coltivazioni dei cereali di ogni genere, frumento, melicotto o granoturco, segale e avena; prati, leguminose e graminacee da foraggio; viti, ortaglie, frutta e legname; e riguardo al lino poi si può dire che Pontevico viene a formare con Verolanuova, Alfianello e Pralboino la plaga maggiore e più importante della linicoltura bresciana. Nel 1610 il Da Lezze annotava che "i circa 500 piò di terra et più sono fertili di pan, vin, legne e lino". Ottavio Rossi discorrendo della qualità del suolo dice che la Quadra di Pontevico «è di molta consideratione anche per la bontà dei terreni, e per la copia dei contadini di polso». Lo stesso Rossi, accennando ai terreni di Gabbiano (Borgo S. Giacomo) e Verolanuova, scrive: «Queste terre han campi grassissimi e forse tanto perfetti come quelli del Campaccio, il qual è un buon habitato sul territ. di Pontivico, e patrimonio dell'antichissima casa Ugoni». Una Cronaca riferisce: «il Campaccio, tener di Pontevico, è fertile di modo, che aggiamente vivono chi in esso distretto abita». Il Berenzi aggiunge che «per le sue estese piantagioni di gelsi il territorio di Pontevico si presta poi ad una larga coltura dei bachi da seta, e per le sue praterie all'allevamento del bestiame e quindi anche alla lavorazione di latte. È altresì praticato su larga scala l'allevamento e il commercio del pollame». La coltura del gelso e la bachicoltura portò alla nascita di filande e torcitori della seta ancora presenti agli inizi del '900.
Nel Cinquecento la coltura del lino è già sviluppata, tanto da far scrivere a Ottavio Rossi: «I terreni sono appropriati alla coltura del lino, del quale se ne suole estraher da queste parti (n. 7 quadre) da i mercanti, sino a duecentomila pesi per venderlo in terre forastiere. Nel 1600 la sola famiglia Conter ne avea commercio estero per 40.000 ducati». Più tardi all'atto della costruzione del nuovo Castello (1844-1847) era sorta l'idea di aprire nel lato ovest del fabbricato uno stabilimento di filatura del lino, non realizzata. Nel 1857 era Zanardelli ad auspicare l'impresa che venne rimandata per una sopravvenuta crisi che andò peggiorando dopo il 1885. Un lento miglioramento a partire dal 1900 portò alla creazione a Pontevico, nel 1907, da parte del Linificio Canapificio Nazionale con sede in Milano di un grande stabilimento che nel 1923 impiegava 650 operai, ridotti a 500 nel 1956 quando venne chiuso. Nel 1907 a beneficio dell'agricoltura si costituì un consorzio di agricoltori per l'utilizzazione delle acque in tempi di siccità, mentre istruzione agricola e sollecitazioni produttive venivano dal prof. Giovanni Sandri e dall'on. Carlo Gorio. In grande sviluppo negli anni '70-'80 la suinicoltura con primati nel 1988. Notissimo fu l'allevamento di Carlo Ransenigo di Pontevico. In sviluppo negli anni '80 anche la coltivazione di kiwi per iniziativa di Giovanni Ambrogio. Complementari all'agricoltura erano i mulini sia mobili e galleggianti sull'Oglio che stabili lungo la seriola e sul canale di Rezzato. Esistettero anche torchi per la produzione dell'olio di lino, di cui due in paese e altri due a Torchiera che da essi prese il nome. Accanto a queste attività complementari all'agricoltura esistettero, specie nel borgo, officine per la produzione di utensili vari alle quali si aggiunse nel 1804 la Fonderia del cremonese Cadolini già ricordata. Si tratta di un vario artigianato che andò sviluppandosi sempre più nella seconda metà dell'Ottocento e la cui presenza Angelo Berenzi nel 1905 riassumeva scrivendo: «Ora le industrie sono rappresentate in Pontevico da una, officina con maglio, mosso da forza idraulica per la lavorazione del ferro in attrezzi rurali; da un cantiere per lavori in cemento; da una fornace a fuoco continuo (sistema Hoffmann) per la fabbricazione e cottura dei laterizi; da un opificio per la trattura della seta; da sgranatoi meccanici, e da essiccatoi per bozzoli e granoturco; da un molino a cilindri per la macinazione del frumento, con palmenti per quella del melicotto; da una segheria per legnami d'opera da torchi e da caseifici; da laboratori per impianti elettrici e a gaz per argentatura e doratura; da una premiata officina idraulica; da due laboratori di marmi; da una tintoria; da fabbriche, la maggior parte premiate, di attrezzi d'agricoltura, di carri e carrozze, di mobili in legno, di organi ed harmonium, di aceto, di liquori, di pane con zucchero, di paste dolci ed alimentari, e da altri rami di piccole industrie casalinghe». Soggiunge il Berenzi: «Assai riputate, la maggior parte premiate alle esposizioni nazionali ed estere, le ditte: Turri, Prestini, Pari, Scalvenzi, Bosio, Cassia, Pigozzi, Bozzoni, Cucchi, Sora, Vareschi, Montelli, Antoldi». Rilievo ebbe la farmacia Cassia, nota per le Pillole Cassia. Sempre nella seconda metà dell'800 Pontevico si andava arricchendo di alcune fabbriche che ebbero poi un loro rilievo. Così nel 1885 Antonio Scalvenzi fondava la ditta omonima (poi "Fratelli Scalvenzi rotabili s.n.c.") che, dopo aver fabbricato per decenni carri agricoli, si dedicò alla produzione di rimorchi, carri botte ecc. Chiuse, come "Omas", nel 1983 lasciando l'iniziativa alla "Pontevico Interventi spa" (costituita con lo scopo di utilizzare la vasta area occupata (62 mila mq.) per l'insediamento di aziende artigianali e piccole imprese), al Consorzio della Bassa centrale e alla Nuova Scalvenzi. Nel 1883 veniva aperto un maglio per fabbricare badili e zappe, ancora attivo. Nel 1888 nasceva l'impresa "Roda Paolo" che nel 1893 diventava Impresa edile Fratelli Roda s.p.a. e nel 1928 incomincia a costruire elettrodotti per conto della Società Elettrica Bresciana, mentre nel 1987 teneva ancora aperti dieci cantieri impegnando 130 dipendenti. Nel 1903 veniva fondata da Giuseppe Olivetti, una fabbrica di carri agricoli che poi prese il nome di "ORMA" dei fratelli Olivetti. Sulla fine dell'800 prendeva piede l'officina idraulica per la fabbrica di pozzi tubolari di Francesco Turri. Agli inizi del '900 si segnalava la fabbrica di paste alimentari di Vittorio Cucchi. Nel 1908 la Fratelli Scalvenzi erigeva su un'area di 62 mila mq. un nuovo stabilimento. Tali attività, tuttavia non fecero mai di Pontevico un paese industriale nel vero senso della parola, per cui quando la crisi del secondo dopoguerra, alla quale si è accennato, travolse anche il Linificio e Canapificio che chiuse nel 1956 fu necessario dichiarare nel 1960 Pontevico zona depressa. Le facilitazioni annesse a questa determinazione favorirono negli anni '60 un rinascere di iniziative artigianali e industriali, fra cui un maglificio nel 1962 seguito da, altri, assieme a camicerie ecc. Fra tutte di rilievo fu nel 1966 la nascita delle Confezioni Citman di Pietro Martinelli che assorbirono 200 dipendenti. In crisi nel 1975, andò sempre più ridimensionando la propria capacità occupazionale. Negli anni '70 furono aperte camicerie di rilievo come la Caliban e la Gio Darvel dei fratelli Savio che, fondata negli anni '60 nel 1984 estendeva la sua attività in nuovi locali occupando 71 dipendenti e poi chiusa. Seguì la Camiceria Emme Pi. che tuttavia chiuse presto. Sulla scia del settore dell'abbigliamento nascevano anche altre attività di rilievo come la "Vivi s.a.s." per la costruzione di biciclette e giocattoli fondata da Renato Ceruti nel 1961 e che nel 1984 dava lavoro a 360 operai negli stabilimenti di Pontevico e di Pozzaglio. In crisi nel 1987, ebbe un nuovo rilancio ma poi venne trasferita definitivamente a Pozzaglio. Nel 1967 Antonio Baribbi fondava a Pontevico la filiale "Officine Carba carrozzerie" che nel luglio 1992 passava al lumezzanese Zobbio della Montesuello. Nel 1982 si trasferiva a Pontevico l'EDRA s.p.a. di Calvagese dei fratelli Gnutti, fondata nel 1976 per produzione di leghe di metallo. Nonostante che nel 1988 Pontevico fosse diventato il polo più importante del Consorzio della Bassa Centrale, non riusciva ad arrestare la sua decadenza economica. Il consorzio formato da sette paesi acquistò in Pontevico un vasto lotto di terreni che furono poi urbanizzati, frazionati e ceduti ad attività industriali, ma sul piano occupazionale i risultati furono inferiori alle aspettative. Nel 1992 al fallimento della Baribbi, dell'Omas e della Olivetti Leone facevano da contrappeso nuove imprese come la Società Casella e nel 1994 l'ACE (Alluminium Casting Export) con l'assunzione di 53 unità lavorative. Ma nonostante queste iniziative l'attività economica andò ancora restringendosi per cui nel 1995 erano in attività fra le aziende più importanti solo: la Camiceria Giemme s.r.l. (via Mattei, 1), la Citman s.r.l. (via Marconi, 85) per la produzione di abbigliamento donna; la G.P.D. (Gomma Plastica e Derivati) s.p.a. (via Verdi, 2); la Roda s.p.a. (via S. Rocco) per la costruzione di immobili; la Vivi Bikes s.r.l. trasferitasi però a Pozzaglio. Sotto il profilo commerciale ebbe rilievo l'apertura, alla fine del settembre 1982, di un supermercato promosso, con vari punti di vendita, da una cooperativa "Unione" con l'adesione di circa 900 soci.
Antichissima risorsa economica di Pontevico fu il commercio favorito dal fiume che fin dall'antichità più lontana fu la via più praticata. Ad esso si è già accennato più volte ricordando i particolari privilegi concessi da imperatori e dalla Repubblica di Venezia. Al mercato poi del martedì si aggiunse la Fiera che ebbe dapprima come date il 15 agosto e il 2 ottobre e poi il Corpus Domini. Fino al 1859 arrivavano via fiume sale, olio e zolfo da Venezia, vino dal Mantovano, dal Modenese e anche da Venezia. Sempre attraverso fiume si spedivano panello per Ferrara, granoturco per il basso Mantovano, lino e linosa per Venezia. Attivo anche il trasporto di laterizi, legname e fieno. Solcavano il fiume una cinquantina di "rascone" o barconi della portata utile media di 700 quintali che venivano usati da qualcuno anche per viaggi di nozze a Venezia. Ma già in crisi nella prima metà del sec. XIX, al commercio pontevichese inferse l'ultimo colpo nel 1867 la costruzione della ferrovia Brescia-Cremona e il miglioramento continuo delle strade. Il credito bancario contò dapprima sulla Cassa Rurale locale e dal 1919 sull'Agenzia CAB cui si aggiunse nel gennaio 1922 una filiale della Banca Agricola Italiana. Negli anni '30 erano attive, oltre all'Agenzia CAB, quella della Banca Provincie Lombardia e quella del Credico Commerciale di Cremona. Ora sono aperti sportelli bancari della Cassa Rurale Artigiana di Verolavecchia, del Credito Agrario Bresciano e dell'Istituto Bancario S. Paolo di Torino.
PERSONAGGI: Giacomo da Pontevico (sec. XV), pittore; Silvio Pontevico (sec. XVI), poeta; Ottavio Pontevico, benefattore; Domenico Cataglio (sec. XVI) religioso domenicano, predicatore; Goffredo o Gotifredo Anselmi (sec. XVI), religioso domenicano, teologo e poeta; Francesco Capparino (sec. XVII), benefattore; Beniamino Zacco, religioso domenicano, scrittore e teologo; Carlo Comi, religioso agostiniano, vicario generale dell'Ordine; Caterina Gorno, benefattrice; Filippo e Camillo Ugoni, patrioti; Luigi Sampietri e Fermo Pedretti, pittori; Luigi e Giuseppe Ramella, musicisti; G. Tadini, architetto; Domenico Cassia, chimico; Annibale Bertazzoli, ostetrico; Domenico Denicotti, funzionario statale; mons. Angelo Berenzi, storiografo; Battista Perotti, calciatore; Giuliano Girelli e Corinna Volpi Girelli, pittori; Carla Milanesi, scrittrice; Fausto Moretti, fotografo; Bruno Scaglia, pittore ecc.
ARCIPRETI e ABATI: Alberto (1196-1217), Azzone (1266), Martino (1274), Bartolomeo De Caprariis (1301), Gerardo De Fruschefollis (muore nel 1376), Bonagiunta De Zentenariis (1376), Natale Valier (m. nel 1503), Leonardo Valier (1503-1527), Silvestro Valier (1527-1550), Salomone Valier (1550-1607), Angelo Gabrieli (1607 - diventa abate nel 1609), Stefano Ugoni (1617-1634), Costanzo Ugoni (1634-1660), Pietro Ugoni (1660-1676), Scipione Garbelli (1676-1699), Filippo Garbelli (1699-1750), Alessandro Palazzi (1750-1770), Pietro Polusella (17701790), Angelo Faglia (1790-1812 - di Chiari), Giovanni Bonaldi (1812-1856 - di Brescia), Carlo Angelini (1858-1879 - di Rovato), Bassano Cremonesini (1880-1917 di Corte di S. Andrea, Lodi), Egisto Domenico Melchiori (1917-1925 - di Bedizzole), Luigi Eloni (1925-1945 - di Trenzano), Giuseppe Miglioli (1945-1958 - di Castelletto di Leno), Adalberto Angelo Crescenti (1958-1992 di Ospitaletto), Francesco Luigi Bonfadini (dal 1992 di Clusane).
SINDACI dall'Unità d'Italia: Giroldi nob. Paolo (1866); Gorno Tito (1867); Cupis avv. Paolo (1868); Marchioni Gaetano (1869); Cicognini Gaetano (1869-1871); Gorno Tito (1872); Cicognini Angelo (1873-1879); Morelli Carlo (1880); Robusti dott. cav. Giuseppe (1881-1882); Masini avv. Angelo (1883-1885); Perotti cav. magg. Giacomo (1886-1887); Morelli Carlo (1888); Bertazzoli dott. Giovanni (1889); Deretti cav. Filippo (1890); Arrigoni Giacinto (1891); Rossi cav. Pietro Ernesto (1892-1894); Marchioni Giovanni (1895-1896); Zavaglio Giovanni (1897); Bosio Francesco (1898); Zavaglio Giovanni (1899-1901); Cottulasso dott. Damiano (Commiss. Prefettizio, 1902); Robusti dott. cav. Giuseppe (1903-1909); Cantoni cav. cap. Cesare (1910-1919); Marca cav. Antonio (1920-1922); Bonetti dott. Giuseppe (Commiss. Prefettizio, 1923); Bertazzoli Emilio (1924-1933); Gianitrapani dott. Luigi (Commiss. Prefettizio, 1933); Cicognini avv. Pier Paolo (1934-1938); Giarrusso rag. Giuseppe (Commiss. Prefettizio, 1938); Cattina rag. Antonio (Commiss. Prefettizio, 1938-1939); Prestini Angelo (1939-1940); Austria dott. Alfredo (Commiss. Prefettizio, 1940-1941); Cascini comm. Mario (Commiss. Prefettizio, 1941); Berenzi ing. Battista (1941-1943); Guerra Luciano (Commiss. Prefettizio, 1943-1944); Austria dott. Alfredo (1944); Gadola ing. Antonio (1944); Scalvenzi Paolo (1944); Milini Vittorio (1944); Pedretti Angelo (1945-1946); Bertazzoli Tino (1946-1947); Jarabech dott. Oscar (Commiss. Prefettizio, 1947); Pedretti Angelo (1947); Finadri rag. Pietro (1947-1950); Di Milia dott. Ciro (Commiss. Prefettizio, 1950-1951); Pipperi cav. Palmiro (1951-1956); Donati sen. avv. Albino (19561970); Bianchi Antonio M° (1970-1972); Gobbi geom. Francesco (1972-1980); Guerra Pasquale (1980-1985); Gambaretti M. Augusto (1985-1995); Generali Primo (1995).