PAOLO

PAOLO (Bellintani) da Salò

(Gazzane di Salò, 1530 - Milano o Brescia 1590). Al secolo Antonio. Fratello di p. Mattia e di fra Giovanni. Venne confuso a volte con il fratello p. Mattia. Con la famiglia ancora fanciullo si trasferì a Salò per cui venne chiamato anche p. Paolo da Salò. Nel 1553 sarebbe entrato nell'Ordine cappuccino per cui non è plausibile l'informazione secondo la quale avrebbe fondato nel 1551 l'Istituto delle Zitelle di S. Agnese destinato ad accogliere bambine di età inferiore ai 12 anni. Venne avanzato anche il dubbio che sia stato sacerdote, ciò che è invece confermato dall'epistolario che egli ebbe con S. Carlo Borromeo. Svolse la sua prima rilevante attività sacerdotale nelle forze armate del pontefice Pio V, impegnate nella guerra contro i Turchi dal 1570-1573 e fu forse presente, come qualcuno ha pensato, alla battaglia di Lepanto. È probabile che in tale impegno abbia anche avuto modo di svolgere assistenza spirituale e materiale fra gli appestati. Forte, probabilmente, di questa esperienza quando, nel 1576, la peste scoppiata l'anno prima andò dilagando a Venezia, mentre si trovava nel convento di Lodi alla metà agosto, si offrì per l'assistenza agli appestati. Ma mentre si apprestava a partire per Venezia seppe che anche Milano era stata investita dalla terribile epidemia, il 25 agosto 1576, dichiarava a S. Carlo «in ginocchio... di non rifiutare il suo sacrificio in tale assistenza». Fermato da un breve malanno, il 29 settembre del 1576 veniva dallo stesso santo cardinale e da altri accompagnato al lazzaretto, dove si dedicò con totale dedizione all'assistenza spirituale degli appestati. Da essa passò anche a quella materiale. Il 21 ottobre infatti, dietro pressione dello stesso arcivescovo, veniva nominato presidente del lazzaretto assumendo, oltre all'amministrazione dei Sacramenti, la cura degli infermi, la sepoltura dei morti, il vettovagliamento, le registrazioni finanziarie, il mantenimento dell'igiene, l'organizzazione dei servizi, i rapporti col personale, le pratiche burocratiche, la tutela degli orfani; tutto questo sempre mantenendo stretti rapporti col cardinale, con le autorità civili, i deputati alle porte e alle parrocchie. E ciò in base a precisa disposizione del Tribunale di Sanità di Milano che prescrisse sotto anche le più severe pene "qualsiasi persona" che si trovasse in luogo, dovesse prestare "obbedientia, aiuto et favore" allo stesso "padre frate Paolo". Poiché la peste a Milano era in via di estinzione, ma ancora infuriava a Brescia, il vescovo Bollani che si era rivolto a Roma per avere sacerdoti che assistessero gli appestati, ebbe invece la proposta da S. Carlo dell'invio a Brescia di p. Paolo e di un altro sacerdote cappuccino: p. Andrea da Bione. Ciò avvenne il 22 agosto 1577. Coadiuvato dunque da p. Andrea, che a Milano aveva dato la migliore prova di sé, in seguito da altri due suoi confratelli, p. Paolo si portò pertanto a Brescia, dove trovò un'altra disperata situazione ed altre ancor più gravi difficoltà che egli affrontò con grande fermezza e pazienza, vincendo fiere persecuzioni e la stessa resistenza delle autorità civili e dimostrandosi, come scrisse Paolo Guerrini, di "tempra adamantina, veramente bresciana, robusto di anima e di corpo, energico e mite, austero e generoso...". Già il 28 settembre un confratello di p. Paolo, p. Giandomenico, poteva scrivere che «ogni ben del lazzaretto è opera di fra Paolo» che era riuscito "finalmente con la disciplina di Milano" a regolare "tanto ben" il lazzaretto di Brescia, col separare gli infermi dai sospetti, che siccome prima per la confusione del luogo, pochi ne uscivano liberi; et quelli non troppo sicuri di appestarsi di nuovo; così adesso tutti quelli che sono usciti dopo la sua venuta, non hanno innovato altro; ed in questo poco tempo di quattromila in circa che erano nel lazzaretto, adesso non ve ne sono più di settecento" . I risultati furono tali che p. Paolo ebbe anche l'incarico di visitare le località del territorio bresciano dove la peste dilagava ancora. Agli inizi del 1578, quando p. Paolo e i confratelli si ritirarono ebbero dalle autorità un benservito pieno di gratitudine. Dopo essersi di nuovo offerto a S. Carlo di ritornare nel lazzaretto di Milano, dove però non sussisteva più bisogno alcuno, nei primi mesi del 1580 fu a Marsiglia in Francia dove l'epidemia infuriava e dove operò con rinnovata energia e con successo. In seguito di lui non esistono notizie sicure. Infatti non si può affermare che il Bellintani sia sicuramente identificabile con quel p. Paolo di Salò che dal settembre 1580 al 1585 fu su designazione di S. Carlo rettore o procuratore del Seminario di Milano; incarico nel quale rientrò dal giugno 1586 fino al 1587. Sicuro invece, secondo Elena Pontiggia, l'anno della sua morte: 1590, nel convento di Treviglio, secondo il Bonari, a Brescia secondo quanto possiamo leggere in «Italia francescana» del 1926. Il nome di fra Paolo, nell'elenco riportato dal Bonari, appare tra quelli dei guardiani di quel convento di Treviglio e che lì morirono. Dal 1584 al 1590 scrisse in forma di dialogo, allo scopo di insegnare a governare un lazzaretto o qualunque altro luogo invaso dalla peste, il "Dialogo della peste", «nel quale s'insegna come si habbia da governare una città o terra quando ha la peste circumvicina, e come si debba governare detta città e il lazzaretto quando vi è entrata la peste, che Iddio ne guardi ognuno». Il Dialogo fu poi pubblicato in "L'Italia francescana" negli anni 1926, 1927, 1928, 1929, 1930.