LECHI Ghirardi Francesca
LECHI Ghirardi Francesca
(Brescia, 1774-1806). Di Faustino e di Doralice Bielli detta Fanny. Giovanissima sposò Francesco Ghirardi, funzionario veneto. Partecipò alla attività del Club dei Buoni Amici e fu ammiratrice della rivoluzione giacobina e rimbrottava i giovani bresciani d'essersi lasciati superare dai bergamaschi nell'abbracciare i programmi rivoluzionari, diceva apertamente che si vergognava di essi. Fu la prima donna a Brescia a portare abiti di foggia repubblicana. Il 17 marzo 1797 accompagnata da Francesco Filos comperava in tre botteghe diverse, per non dare negli occhi le sete per confezionare il tricolore che il giorno appresso i rivoluzionari, lei presente, isseranno su un pilastro del Broletto. Nel 1861 accompagnò il marito ai comizi di Lione. Strinse una relazione ardentissima con Gioacchino Murat che ebbe perfino eco nel Direttorio e di cui rimasero lettere oltremodo passionali. Fu passione che ella non nascose. Così da recarsi scortata da uno dei buli di casa Lechi, tale Borni da Iseo, a visitarlo mentre si trovava all'Armata del Reno. Altrettanto sconsideratamente ella si comportò quando era ormai trasferita a Milano col marito, deputato del Corpo legislativo della repubblica Cisalpina: per quanto si vociferasse «che era allora corteggiata dal Ministro plenipotenziario di Francia, Petiet» essa partì tranquillamente nell'aprile del 1799 per raggiungere Murat addirittura impegnato al Congresso di Rastadt. Lo stesso Murat in una stanza del palazzo di Montirone aveva inciso con la sua sciabola: «Je t'aime de tout mon coeur...» L'avventura venne poi stroncata dalla partenza del Generale per la spedizione d'Egitto e dalle sue nozze con Carolina, sorella di Napoleone. Seguì poi il marito a Lione. Nel giugno 1865 fu presente alla sosta di Napoleone nel palazzo di Montirone e assistette, da una carrozza con una veletta sugli occhi alla rivista militare. Stendhal nella "Vita di Napoleone" scrisse di lei": «l' être le plus seduisant que l'on ai jamais vu», con «les plus beaux yeux de Brescia, le pays des beaux yeux". Usava vestire un abito di amazzone, con vestiario «simile a quello di mademoiselle Lange nella Figlia di Madame Angot», cioè con un abito "mascoline" per cui veniva chiamata l'amazzone bresciana". Venne ritratta dall'Appiani e il ritratto passò poi al principe Trivulzio.