EMIGLI Emilio
EMIGLI Emilio
(Brescia, intorno al 1480 - fine luglio 1531). Di Girolamo. Ebbe la sua formazione tra il 1490-1500, nel periodo aureo dell'umanesimo bresciano. Gentiluomo di modeste condizioni finanziarie acquista una vasta cultura filosofica e letteraria. Non sembra abbia conseguita una laurea dottorale. Aveva sposato nel 1517 la nob. Chiara Soraga che gli diede numerosi figli. Nonostante la grossa famiglia, adottò, per voto, anche un trovatello. Nel 1526 concorse al posto di cancelliere del comune ma gli fu anteposto, come ricorda il cronista Pandolfo Nassino, Vincenzo Pedrocca, e la mancata elezione fu oggetto di una pungente satira contro il Consiglio comunale. A tale carica l'Emigli venne chiamato invece il 9 settembre 1529, dopo la rinuncia del Pedrocca. Coltissimo, tradusse "Enchiridion" di Erasmo da Rotterdam, entrando nel 1529, assieme a Vincenzo Maggi, in rapporti con il grande umanista fiammingo, al quale si rivolse in tale anno per avere il permesso di pubblicare tale traduzione. Erasmo gli rispondeva il 17 maggio 1529 per deplorare le lotte religiose del suo tempo, ricordare altre sue operette tese alla riforma religiosa e dandogli il permesso della pubblicazione lo consigliava a omettere o a spiegare alcune frasi della sua operetta che potevano essere male interpretate, concludendo con un elogio di Vincenzo Maggi. Sembra non provata la taccia affibbiatagli da qualcuno di eretico. La prima edizione dell"Enchiridion" uscì in Brescia nel 1531 e l'Emigli vi premise un sonetto "Se veggiam questa nostra cieca et frale" di intonazione apocalittica, intorno alla morte. Dedicava l'operetta a mons. Altobello Averoldi e in una calda esortazione ai lettori li sollecitava a leggerla e meditarla frequentemente. In appendice aggiungeva una "Canzone di penitenza" composta dallo stesso Emigli, per riassumere in versi facili, adattabili anche a melodia popolare, la sostanza del libro. L'operetta ebbe fortuna tanto che nel 1540 ne uscì una nuova edizione postuma. L'Emigli si esercitò anche nella poesia profana e alcune sue rime (quattro sonetti e due sestine) di intonazione petrarchesca, sottilmente erotiche e svenevoli, ma di discreta fattura letteraria, vennero raccolte da Girolamo Ruscelli tra le "Rime di diversi eccellenti autori bresciani" (Venezia, per Plinio Pietrasanta 1553, p. 187-194). Altri versi vennero raccolti nel vol. VIII delle "Rime degli Arcadi" a cura di Giov. Maria Crescimbeni (Roma, 1722). Sappiamo dal Nassino che lo dice "de meza statura et acorto, et de naturale acento" che fu anche abile regista di commedie e sapeva suonare diversi strumenti. Il Bembo congratulandosi con gli studiosi bresciani perché molti giovani si dedicavano anche allo studio della lingua volgare, rilevava come si erano riuniti per udire Emilio Emili a leggere il Petrarca e le prose dello stesso Bembo sulla lingua volgare.
Venne sepolto nella chiesa di S.Giuseppe e nel suo epitaffio si leggeva: "Tantum Aemilius meruit defuerit/ qui scribere sit ausus".