DUOMO VECCHIO

DUOMO VECCHIO

Non esistono documenti che indichino con precisione l'epoca di costruzione dell'attuale Duomo vecchio o Rotonda. Tuttavia, anche se la bolla di papa Onorio del 1125-1130 non offra alcun elemento per stabilire se si riferisca alla basilica o alla Rotonda, il Panazza ritiene che risalga ai decenni dal 1110 al 1140. Confermerebbero questa opinione la modellazione delle mensoline del torciglione in cotto ed altri motivi e ne risulterebbe che la Rotonda è contemporanea a S.Lorenzo di Mantova e a S.Tommaso ad Almenno S.Bartolomeo, ai quali si avvicina per la pianta l'alzato, ed è dovuta alle stesse maestranze lombarde. Fra gli edifici romanici a pianta centrale ancora esistenti in Lombardia è il più antico e il più grandioso. E' probabile che ad affrettare una ricostruzione abbiano concorso il terremoto del 1051 e l'incendio del 1096. Lo schema generale della costruzione è dato da due forme circolari concentriche, di cui quella interna balza su da quella esterna, in un ripetersi, scrive il Panazza, di ritmi circolari, sottolineati dai due ordini di finestre, dalla galleria di fornici e dalla cornice in cotto, che si concludeva ad occidente nella linea verticale della torre ergentesi dove oggi vi è l'entrata principale; a oriente il presbiterio.


La torre caduta nel 1708, era, come risulta dai documenti e dalle tracce ancora esistenti, contemporanea alla Rotonda, in parte inucleata nell'ambulacro e in parte sporgente, in pietra viva interrotta da qualche feritoia, con base a scarpata. Il presbiterio originario in parte sussiste tuttora, come risulta dall'interno - dove ancor si vedono quattro archi che lo racchiudevano e che indicano una probabile terminazione a tre absidi - e dai sottotetti dove si scorgono le tracce dei muri terminali che si collegano al tamburo della cupola. Ma per poter dire una parola definitiva circa la forma originaria di questa parte, sarebbero necessari assaggi nelle murature e scavi nel pavimento. Il presbiterio venne poi alzato nel secolo XIV, come ancor oggi si vede salendo nei sottotetti. In complesso, si tratta di una bella costruzione, di un colore che per la pietra usata (il medolo) assume varie tonalità dal grigio ferrigno all'avorio e per quella decorazione terminale del tamburo, in cotto. Quasi privo di ornamenti, ha scritto ancora il Panazza, la sua bellezza consiste soprattutto nel rapporto dei pieni e dei vuoti: nei muri lisci e compatti si aprono le finestre, ampie e raggruppate a due quelle dell'ambulacro, maggiormente distanziate quelle del tamburo; questo è alleggerito nella parte alta dall'elegante giro dei fornici e diviso in tanti scomparti da sottili lesene; una cornice in cotto, varia di motivi e di disegno ad ogni scomparto, termina la decorazione alla sommità del tamburo.


Dalle due porte originarie aperte obliquamente nei muri ai lati della torre si entrava nell'androne che le unisce e che è nascosto tanto all'interno che all'esterno dal girare dalle pareti dell'ambulacro: l'androne dà, attraverso una porta con arco a pieno centro, nell'interno della Chiesa che si presenta in tutta la sua maestosa grandiosità. In origine l'interno doveva essere decorato di affreschi nelle volte e sulle pareti e di questa ricca decorazione vi è ancora qualche traccia del '300 e del '400: oggi la sua bellezza sta tutta nella maestosa struttura, nell'armoniosa disposizione delle parti, nell'ingegnosità delle soluzioni, nella razionale e insieme spontanea abilità dei costruttori. L'ampio vano centrale, luminoso e schietto nella sua forma circolare, è coperto da una vastissima cupola fatta per un tratto di conci di medolo e per la parte più in alto di pietre tufacee. L'alto tamburo, interrotto dalle grandi monofore con arco a pieno centro, è sorretto da possenti pilastri di pianta trapezoidale collegati da archi di forma ellittica: il balzare degli archi è interrotto, ad es, dall'elevazione improvvisa di un arcone bizantineggiante che mette in comunicazione il vano centrale col presbiterio e, ad ovest, dal tratto di parete in cui si apre la porta d'accesso e sormontata da un grande fornice. Intorno a un livello alquanto più alto, si svolge l'ambulacro con duplice funzione: statica, in quanto esercita una controspinta alle forze centrifughe della cupola, ed estetica, perché crea una fascia di penombra intorno alla luminosità della parte centrale, e perché si ha in esso un balzar di archi, un gioco di volte alternativamente triangolari a botte e trapezoidali a crocera, un alternarsi di ripiani e scalee (che salivano fino alla torre) che creano un complesso movimento di masse in contrapposto alla grandiosità statica del vano centrale.


Oltre le porte accennate, ve n'era una terza che dava su un portico, in corrispondenza della porta laterale di S.Pietro de Dom: portico detto dei Canonici e del quale furono ritrovate tracce notevoli appartenenti alla prima metà del sec. XV; il portico era addossato alla parete ovest di una cappella molto più alta, coperta con volte a crocera risalente al sec. XIII tardo o al principio del XIV, oggi ridotta a magazzino: potrebbe questa cappella molto rovinata, essere un avanzo della chiesetta dei SS.Grisanto e Daria che sappiamo esisteva fra le due cattedrali.


Suggestivo l'interno di forme grandiose ed al contempo armoniche, semplici e severe. Nella Rotonda vera e propria coperta da una grande cupola emisferica poggiante su otto arconi a tutto sesto impostati su massicci pilastri a base trapezoidale, si snoda a forma di anello un ambulacro, più alto del vano centrale, al quale si scende, attraverso due scalinate che partono da un tratto più rialzato che serviva da matroneo. In mezzo ad esso, di fronte all'entrata centrale sta il bel sarcofago del vescovo Berardo Maggi che, come suggerisce la scritta, fu vescovo e signore della città e che morì nel 1308. Il monumento è considerato uno dei migliori esempi di scultura romanica rimastoci, probabile opera di un maestro campionese. Il vescovo è raffigurato su uno degli spioventi, con alle estremità i simboli degli Evangelisti e le figure dei SS.Faustino e Giovita, Apollonio e Filastrio, mentre sullo sfondo si scorgono sacerdoti che assistono alle esequie. Sull'altro spiovente è raffigurata la pace stretta tra guelfi e ghibellini alla presenza del Vescovo. Ai lati della porta d'ingresso rimangono i resti di due strette scalette che conducevano alla torre caduta nel 1708. Nel vano del sottoscala di destra esiste una rozza scultura del sec. XIII raffigurante S.Apollonio vescovo. Al finire dell'ambulacro, prima di scendere nella rotonda centrale, esistono due cappelle. Quella di destra è adorna di una bella tela di Antonio Gandino raffigurante l' "Angelo Custode". Accanto ad essa sta il monumento del vescovo Lambertino Baldovino (morto nel 1349), bella opera attribuita al campionese Bonino. Nella cappella di sinistra sta una pala di Pietro Marone rappresentante la "Madonna". Accanto alla cappella è il monumento funebre del vescovo Domenico Domenichi (v.)(1478), opera rinascimentale del 1488. Davanti al presbiterio due ripide scalette portano alla cripta di S.Filastrio a cinque navatelle, con tre piccole absidi semicircolari, le volte a crocera poggianti su bellissimi capitelli classici di sedici colonne del sec. VI e IX. Pochi in una volta e nelle tre piccole absidi i resti di affreschi del sec. XII - XIV, con evidenti influssi bizantini. A questa cripta si riferiscono le parole del Vescovo Ramperto (838) al tempo della traslazione del corpo di S.Filastrio "in marmoreo antro": è da questo importante sermone che risulta essere da poco tempo divenuta cattedrale la basilica di S.Maria.


Il presbiterio rialzato e profondo, con due cappelle laterali sormontate da cupolette con lanterne, corona a oriente, la Rotonda, sostituendo l'abside primitiva quando alla fine del sec. XV l'edificio venne ampliato. La parte centrale del transetto altro non è che la campata dell'antico presbiterio, conservata intatta insieme all'originaria volta a nervature, con decorazioni a fresco della seconda metà del Duecento, al cui centro è una formella con scolpito l'Agnus Dei. Nelle vele, tra stelle e croci, gigli e tralci, in quattro tondi sono raffigurati i simboli degli Evangelisti, mentre nella lunetta centrale è rappresentata la Vergine, fra due angeli, e in quella meridionale è raffigurato il Cristo benedicente. Affreschi simili, si trovano anche in alcuni tratti della volta dell'ambulacro. Nel presbiterio campeggia la splendida Assunta del Moretto. Sotto la pala sta il busto di papa Alessandro VIII, già vescovo di Brescia (card. Ottoboni) opera dello scultore Orazio Marinali (sec.XVII). Adornano il coro gli stalli lignei di Antonio da Soresina (1522). Sulla parete destra è collocato il grandioso organo opera di Costantino Antegnati (1536) e rifatto da Carlo Serassi (1826); sulla parete di sinistra stanno una tela di Giuseppe Tortelli raffigurante S.Girolamo Emiliani e un'altra di Palma il Giovane, rappresentante la Cena in Casa di Simone Fariseo. L'altare maggiore a colonnine binate in marmo rosso è del sec. XIV. Nella cappella di destra l'altare è sormontato da un tabernacolo opera di Carlo e Giovanni Carra. Domina l'abside un affresco del sec. XV raffigurante il Cristo flagellato e qui trasferito nel 1603 dal passaggio che congiungeva la Rotonda e S.Pietro de Dom. Sulle pareti stanno tre tele con S.Luca, S.Marco e Elia dormiente e la Cena dell'agnello del Moretto, e inoltre i SS.Matteo e Giovanni di Francesco Barbieri. Sulle pareti che affiancano la cappella stanno due tele raffiguranti la "Raccolta della manna" di Gerolamo Romanino. Nel transetto di fronte alla cappella stessa, sopra la sagrestia domina la gran tela di Francesco Maffei raffigurante la Traslazione dei corpi di alcuni santi bresciani avvenuta nel 1581, presente S.Carlo Borromeo da S.Stefano in Arce a S.Pietro de Dom. Accanto sono tele raffiguranti David e Abimelec, di scuola morettiana. Particolarmente importante per tesori d'arte anche la cappella di sinistra, detta delle "SS. Croci". Costruita una prima volta alla fine del sec. XV, venne totalmente rifatta su disegno del Piantavigna nel 1572, in seguito alla deliberazione presa dal Consiglio Generale il 25 ottobre 1571 per solennizzare la vittoria di Lepanto. Dedicata a S.Marco e S.Giustina della Vittoria venne terminata nel 1576.


Il tesoro delle SS.Croci (v. Croci) è custodito in una moderna cassaforte (che ha sostituito dal 1935 l'antica cassa di ferro) a sua volta protetta da una pesante inferriata. Sulla parete di sinistra sta una tela raffigurante l'Apparizione della Croce a Costantino, firmata da Grazio Cossali nel 1605; su quella di destra un'altra tela di Antonio Gandino raffigura "Il Duca Namo di Baviera che dona a Brescia le SS.Croci". Di fronte alla cappella sta il monumento funerario Morosini di Antonio Carra (1596).


In seguito alla caduta di alcuni elementi dei rosoni della cupola, nel giugno 1972 venne di nuovo chiuso, mentre veniva predisposto con sollecitudine un programma di lavori per consolidare le parti pericolanti. Valido aiuto diede l'Amministrazione civica mentre parte del capitale occorrente venne raccolto attraverso una sottoscrizione pubblica. Vennero rifatti tetti e sottotetti e compiuta una ricognizione accurata. I nuovi lavori costarono 200 milioni di cui 156 stanziati dal Municipio di Brescia.


Accanto al Duomo vecchio che era considerata la cattedrale iemale o invernale sorse presto, forse contemporanea, anche una cattedrale o duomo estivo chiamato S.Pietro de Dom. Mancano prima del sec. IX documenti che ci parlino dell'esistenza di detta chiesa; è infatti ritenuta apocrifa la Cronaca di Rodolfo Notaio dalla quale apparirebbe che il Vescovo Anastasio (636-652) avrebbe costruito una "basilica S.Petri" che potrebbe identificarsi con la nostra e che i duchi Marquardo e Fradoardo (662 - 671) avrebbero edificato "grandem et celeberrimam Civitatis Basilicam" che sarebbe S.Maria Maggiore. Ma è più probabile che anche S.Pietro sia stato edificato contemporaneamente a S.Maria anziché nel secolo VIII, per quanto risulta dallo stile dell'iscrizione di un mosaico oggi perduto, ma che sappiamo esisteva nella cattedrale estiva.


Da una pianta disegnata dall' architetto G.A.Avanzo e conservata nella Biblioteca Queriniana risulta che la basilica era a tre navate divise da 28 colonne (oltre le semicolonne della controfacciata e dell 'arcone trionfale), coperta a tetto con tre porte; una verso la piazza, l'altra aperta nella parete nord, ed una in quella sud. Delle colonne, di forma e materiale diverso, tratte da edifici romani, se ne conservano ancora due al Broletto, due alla chiesa della Carità e sei nella villa Mazzucchelli a Ciliverghe. La pianta invece non ci conserva più l'antico presbiterio, perché quello che vi si scorge risale al secolo XVI.


La basilica, come sappiamo dai documenti, subì moltissime trasformazioni e alterazioni dal tempo del Vescovo Antonio (865 - 898) alla fine del '500; particolarmente importanti furono le ultime dirette dal Piantavigna fra il 1571 e il 1581. Tuttavia la pianta ci dà un'idea esatta del come fosse basilica fin dall'origine; non da però molta luce sull'epoca della sua erezione che può oscillare fra il VI e l'VIII secolo. Ma già dalla fine del Quattrocento si imponeva la ricostruzione della Cattedrale. Nell'Indice delle provvisioni per la città, del 1598, Achille Poncarali dice che si trattava di costruire una nuova Cattedrale già nel 1494 - 1495 e poi ancora negli anni 1524 e 1529. Nel 1522 vi fu anzi una convenzione fra il Vescovo e la Città, per cui le spese sarebbero state distribuite in queste proporzioni: la città costituirebbe con un quinto, il clero un altro quinto, oltre gli spogli dei beneficiati e la metà delle entrate dei benefici vacanti. Si pensò al luogo da scegliere, e parve che il sito detto "Paganora" fosse il più adatto; l'architetto Agostino Castelli partì per Venezia a chiedere la cessione di detto luogo, incaricato anche di stendere un disegno: ma non erano mature le circostanze necessarie a un'opera di tanta mole, e tutto arenò. L'idea di erigere una nuova cattedrale fu coltivata anche dal vescovo Bollani che si adoperò instancabilmente con esortazioni al popolo e alle autorità affinché il Consiglio Generale disponesse un aiuto fisso, mentre egli impegnava sé e il clero per mille ducati d'oro all'anno. L'autorità acconsentì disponendo per l'opera la metà delle entrate penali, purché il Sommo Pontefice confermasse l'impegno del Vescovo e del Clero. Il Vescovo aveva già provveduto a sollecitare dal Pontefice due "Brevi" di approvazione, quando trovò la ferma opposizione del clero che intendeva anzi, "con ogni riverentia esponerne al Sommo, et Santissimo Pontefice le cause et ragioni, alla Santità del quale pretendevano haver ricorso per causa del breve".


Allora tutto fu sospeso, e si stabilì di riparare alla meglio la Basilica di S.Pietro de Dom. Nel 1567 è a Brescia il Palladio per esaminare un disegno dell'architetto Beretta e ne stende uno per conto suo; ma non fu concluso nulla per il momento. Al Vescovo Marino Giorgi, successo al Bollani, riuscì di superare le difficoltà incontrate nel clero, e ottenuto dal Papa un amplissimo "Breve", il Consiglio Generale, al 2 aprile 1599, permise la demolizione dell'antico Duomo, dichiarato pericolante già nel 1595 da un comitato di periti e l'erezione del nuovo in suo luogo; non però prima che fosse raccolta la somma di ducati 12.000 o più (la cassa del Duomo si custodiva al Monte di pietà e la prima somma di lire 13.120 di planetti fu rubata dopo il 9 febbraio 1601...). Nel tempo necessario alla raccolta della somma artisti e commissioni lavoravano attorno ai disegni e ai modelli. Risultò vincente su quelli di G.B. Trotti, di G.A. Avanzo, il progetto di Giovanni Battista Lantana. Aveva solo ventidue anni, era bresciano, ma aveva soprattutto alle spalle un già celebre architetto, il barnabita Lorenzo Binago. Si deve a costui se il progetto Lantana venne definitivamente approvato, anche se con qualche modifica. Infatti il Lantana aveva presentato un progetto a pianta centrale, che prevedeva tre campate con cupola e presbiterio. Il 12 febbraio 1604 il Vescovo Marino Giorgi e i Deputati alle fabbriche della Città, Ferrante Secco e Agostino Covi, "accordarono con alcuni muratori l'impresa di distruggere il coro di S.Pietro del Duomo, di nettar tutta la roba, e condur il rovinazzo altrove", e il 15 di trasportar in S.Maria Rotonda i corpi dei Santi. Nei lavori intervenne poi P.M.Bagnatore con i suoi progetti che, se non prevalsero su quelli del Lantana, valsero ad assicurargli la direzione dei lavori. Questi però vennero di nuovo ostacolati da un intervento dello storico Ottavio Rossi, che nel 1611, piccandosi anche di architettura, presentò nuovi suoi disegni. La commissione parve piegarsi ma fortunatamente alcuni membri si opposero e si chiamò da Milano l'architetto padre Lorenzo Binago, barnabita che riprovò le idee del Rossi e lodò le forme pensate dal Lantana sia pure con qualche modifica. I lavori ripresero il 22 maggio 1613. Il Vescovo Giorgi nel 1627 fece erigere la prima Cappella dedicata alla Vergine Assunta, del cui altare si è parlato in altre note. Ai lati della prima pietra, sotto la quale furono deposte medaglie e lettere, sono state scolpite due iscrizioni commemorative. La scarsezza dei mezzi finanziari, i dissensi di carattere tecnico sul modo di realizzare il grandioso progetto e gli interventi ripetuti di architetti e consulenti esterni, avevano maturato la decisione. In verità un serio tentativo di ripresa dei lavori venne compiuto dal card. Pietro Ottoboni (poi papa Alessandro VIII) che il 13 aprile 1656 fece "esporre Bolle per la città per esortare a far elemosine" per la fabbrica del Duomo nuovo. Divenuto papa, lasciò per tale scopo 16 mila ducatoni d'oro di quelli che il nostro vescovo pagava a lui. Grazie forse a questi stanziamenti, dal 1711 al 1731 vi lavorò Giovan Antonio Biasio. Quando nel 1727 il cardinale Angelo Maria Querini assurse alla dignità di vescovo di Brescia, i muri erano così giunti all'altezza voluta, ma solo una parte del presbiterio era coperta. A dirigere i lavori fu chiamato l'architetto G.B.Marchetti, coadiuvato dal figlio. Naturalmente la serie di interventi di tanti artisti che si sono inseriti sul progetto Lantana-Binago soprattutto con la ripresa dei lavori nel Settecento, non potè non compromettere le linee dell'edificio. Il Biasio, i due Marchetti e da ultimo il Cagnola non erano semplici capomastri d'impresa, ma fior di architetti e la loro presenza, con la loro propria sensibilità, lasciò tracce su quelle parti di fabbrica che essi eseguirono, pur senza distaccarsi sostanzialmente dal progetto esecutivo del Lantana. Per di più, specie da parte dell'autorità civile, non si mancò di sollecitare pareri pur dall'esterno. Si ebbero così i consigli del Torri da Bologna nel 1711, di Giorgio Massari da Venezia nel 1720; perfino da Filippo Juvara che qui fece un sopralluogo nel 1729.


Tutti questi interventi sul primitivo progetto furono deleteri nel senso che tolsero alla costruzione la sua "unitarietà", tanto più necessaria in un'opera di così vasta mole. Così la gran macchina della facciata tradisce palesemente nelle due parti, che la compongono, l'elemento barocco nella parte inferiore e l'attrattiva del rococò in quella superiore. Così la pianta centrale non è molto chiara, specie se vista dall'esterno dell'abside. L'innalzamento del tetto del presbiterio e del coro; l'attaccatura del presbiterio alla parte centrale dell'edificio, senza quella opportuna cesura atta a dar rilievo e valore alla perfetta simmetria dei bracci: tutto ciò sposta l'attenzione sull'asse centrale, che diventa "navata centrale", sminuendo la cupola di ogni valore architettonico riassuntivo come spazio e togliendo ai bracci trasversali ogni ragione della loro altezza. Comunque, l'impulso dato ai lavori dal card. Querini fu tale che in breve tempo tutto il presbiterio e parte delle navate laterali, poterono essere ricoperte e nella Pasqua del 1737 il vescovo poteva celebrare la prima volta i solenni riti nel Duomo nuovo e due anni dopo, nella Pasqua 1739 poteva annunciare l'inizio della maestosa facciata. Alla morte del cardinale, nel 1755, i lavori si arrestarono nuovamente: solo le generose offerte del conte Gerolamo Silvio Martinengo di Padernello e di altri benefattori permisero la costruzione della facciata e la copertura delle navi laterali. Frattanto, nel 1785, G.Battista Marchetti aveva ceduto la direzione dei lavori al proprio figlio, l'abate Antonio Marchetti, che restò in carica fino al 1791, portando a termine anche un nuovo interessante progetto per la cupola. Ma già all'inizio dell'800 l'attività attorno al sacro edificio si trova arrestata per l'ennesima volta. La ripresa dei lavori fu dovuta nei primi decenni dell'800 alla munificenza del N.H. Girolamo Silvio Martinengo di Padernello, che essendo stato per molti anni il presidente della Commissione della Fabbrica del Duomo, venne denominato "il Martinengo della Fabbrica". Accanto a lui è da ricordare il benemerito nob. Francesco Barbéra, canonico della Cattedrale. Al completamento del Duomo nuovo contribuirono, specie dal 1818 in poi, le parrocchie della Diocesi che mandarono a Brescia, oltre alle offerte, legname, pietre ecc.


La festa di Natale del 1818, sul mezzogiorno, una lunga teoria di sessantaquattro carri carichi di legname, in parte offerto e in parte comperato, concentratisi all'esterno di porta San Giovanni entrarono in città, sfilando per le vie, preceduti da bande musicali e salutati dal suono delle campane di tutte le chiese. Il lungo corteo finì in piazza del Duomo dove fu celebrata una messa solenne e dove a tutti i conduttori di carri fu offerto un festoso rancio. Il legname tuttavia rimase inutilizzato per alcuni anni. Nuovi dubbi circa il disegno preparato dal Lantana consigliarono un riesame del progetto che fu affidato all'architetto milanese Luigi Cagnola che lo modificò dando alla cupola un più elegante slancio. I disegni dell'interno furono invece preparati dal romano Basilio Mazzoli, mentre a seguire direttamente i lavori fu chiamato il giovane architetto Rodolfo Vantini. L'opera ardita fu compiuta nel 1825 quando il 21 dicembre la cupola fu coronata della grandissima croce. La cerimonia fu particolarmente solenne. Fu cantata la messa solenne e il vescovo benedisse la croce. Seguì il canto del Vexilia regis prodeunt. Alla strofa: "O crux ave spes unica" il vescovo si prostrò ad adorare la croce. Alzatosi, si appressò ad essa e la baciò con devozione e commozione. Terminato l'inno pronunciò parole di esaltazione della Croce come strumento e simbolo della Redenzione. Poi cantato il Te Deum l'immensa croce di metallo dorato fu innalzata, in alto, fra gli applausi e la commozione dei presenti. Era così compiuta la cupola che con i suoi ottanta metri d'altezza e la sua maestosa eleganza è considerata la terza d'Italia dopo S.Pietro in Roma e S.Maria del Fiore a Firenze. Nuovi interventi assicurarono in seguito non solo il funzionamento ma anche un progressivo arricchimento del Duomo. A sanzione di essi il 4 luglio 1914, mons. Giacinto Gaggia consacrava solennemente il tempio. Rimase però sempre incompiuto il disegno, mancando ancora nella facciata e precisamente nelle due pareti laterali, le maestose balaustre che dovevano continuare sui fianchi, adorne di bei gruppi statuari, mentre l'interno aveva bisogno di perfezionamenti denunciati dagli altari in legno e da vuoti architettonici. Ma già erano delineate le linee interne ed esterne, come la facciata in bianco botticino, solenne nei suoi due ordini di imponenti ed eleganti colonne e nel timpano triangolare, in cui campeggia il leone rampante di Brescia e coronato dalle statue dell'Assunta e degli apostoli Pietro, Paolo, Giacomo e Giovanni. Sulla porta maggiore vigila il busto del card. Querini, opera del Callegari. Due grandi statue dei santi Faustino e Giovita del Carra dominano dall'abside.


Con il bombardamento del 13 luglio 1944, la cupola e la copertura del timpano, colpiti dagli spezzoni di una bomba lanciata da aerei alleati, vennero in parte distrutti e bruciarono per ore tra lo sgomento dei bresciani, duramente flagellati dalle bombe che seminarono ben 195 morti e moltissimi feriti. Il duomo dovette essere chiuso e occorsero lavori massicci anche se non esaustivi che durarono per anni con il concorso dello stato. Venne riaperto solo nella Pasqua 1950. Per completare le opere il vescovo indisse nel dicembre 1949 una giornata della Cattedrale. A dimostrazione della buona volontà dei bresciani, nell'ottobre dello stesso anno, nella pagina bresciana de "L'Italia" si discussero , grazie soprattutto all'iniziativa del prevosto mons. Luigi Fossati, non solo i problemi dei restauri ma anche quelli di un definitivo completamento nell'architettura e nell'ar redo. Purtroppo il dopoguerra ha permesso solo urgenti riparazioni. Ma il 7 maggio 1971 per ordine dell'assessorato dei lavori pubblici del Comune di Brescia, venne di nuovo chiuso dato che cominciavano a staccarsi frammenti delle decorazioni a forma di rosa che adornano la cupola: la calce, per l'usura del tempo, non riusciva più a tenere unito il materiale di recupero, pezzi di marmi, cocci, frammenti di mattone ecc., con il quale erano realizzati. Si pensava che la sistemazione di questi "rosoni" (quelli in basso misurano oltre due metri di diametro) fosse sufficiente, ma non è stato così: assaggiando la ricopertura esterna in marmo della facciata e delle absidi laterali si è appurato che anche questa aveva bisogno di essere rafforzata, per evitare che si staccasse qualche lastrone, pericolo che pareva imminente. Nelle opere di consolidamento, del novembre 1972, nella pala della cupoletta venne scoperto un proiettile austriaco sparato dal castello contro la città durante le Dieci Giornate del 1849, probabilmente il 27 marzo. Il Duomo è stato riaperto l'8 dicembre 1974 alla presenza del card. Alfredo Bengsch, arcivescovo di Berlino, la presenza del quale segnava una specie di gemellaggio fra Berlino e Brescia, avendo il card. Querini efficacemente contribuito all'erezione della Cattedrale della capitale tedesca.


Non certo omogenei sono stati e sono i pareri sul Duomo Nuovo, ma non si può certo negare ad esso una imponenza suggestiva. La facciata in bianco botticino si innalza imponente e grandiosa con i suoi due ordini di colonne composite e il timpano triangolare - in cui campeggia lo stemma della città con il leone rampante - coronato dalle statue della Vergine Assunta e dei Santi Pietro, Paolo, Giacomo e Giovanni; in basso si apre il portale centrale su cui, tra ricchi festoni è il busto del cardinale Querini, scolpito dal Callegari; di nobili linee sono pure il fianco sinistro e l'abside con le grandi statue dei Santi Faustino e Giovita del Carra (Vannini). Ma non meno imponente è l'interno a tre navate, con le alte colonne, le lesene scanalate e i massicci pilastri che sorreggono la grandiosa cupola nei cui pennacchi si affacciano, tra decorazioni barocche, i busti degli evangelisti Luca e Giovanni (di Sante Callegari il Giovane) e Marco e Matteo (di Giambattista Carboni). L'elegante alternarsi delle tonalità bianca e grigia, nella pietra e nell'intonaco è particolarmente godibile adesso, dopo la lunga e accurata opera di restauro. A fianco della porta principale, a destra, è il monumento funebre del vescovo Gabrio Maria Nava di Gaetano Monti. Sulla porta laterale destra è una lunetta del Tortelli raffigurante i "SS.Faustino e Giovita" tra puttini adoranti la Croce. Il primo altare, partendo da destra è dominato da un grande crocifisso ligneo della seconda metà del Quattrocento. Sopra di esso una bellissima lunetta del Moretto, raffigurante il "Sacrificio di Isacco". Ai lati due tele: un "S.Liborio in estasi" di Giuseppe Tortelli (1711), e il "Martirio di S.Agata" di Francesco Maffei. L'altare del SS.Sacramento è dominato da una grande architettura neoclassica, opera discussa e contrastata di Rodolfo Vantini (1842 - 1846); affiancata dalle statue della Fede di Giovanni Seleroni e della Speranza di Giovanni Emanueli, poste nel 1853. La pala di Michelangelo Grigoletti (1846) raffigura il "Discorso della montagna". Tra il secondo e il terzo altare, inquadrata in una pittura prospettica che simula una grandiosa arcata, è l'arca funeraria del vescovo S.Apollonio, costruita nel 1510 per deporvi le spoglie del vescovo, scoperte per caso in S.Pietro de Dom nel 1503. L'urna, riccamente scolpita appoggiata sopra un alto zoccolo decorato a festoni, è attribuita a Maffeo Olivieri. Quasi di fronte al terzo altare, sopra un confessionale una grande tela di Giuseppe Nuvolone, raffigurante i SS.Nicola, Faustino e Giovita che implorano dalla SS. Trinità di liberare Brescia dalla peste (1676). Fra i più belli della cattedrale è il terzo altare di fondo della navata destra. E' dominato da una tela del Basiletti raffigurante l'Angelo custode, affiancata dalle statue della Fede e dell'Umiltà di Antonio Callegari. Di fronte alla porta laterale che conduce alla sagrestia sta una tela di Giuseppe Nuvolone rappresentante "S.Antonio da Padova". L'amplissimo presbiterio è dominata dalla pala dell' "Assunta" attribuita allo Zoboli (1773). Sotto di essa è il busto del card. Querini, del Pincellotti. Giganteggiano nell'abside le statue del Callegari raffiguranti i SS.Gaudenzio e Filastrio. In fondo alla navata di sinistra si apre una cappella adorna di una pala di Palma il Giovane raffigurante la Madonna Assunta che appare ai SS.Carlo, Francesco e al Vescovo Marin Giorgi. Di fronte alla porta d'ingresso al capitolo una tela di Santo Cattaneo raffigurante "S.Gaudenzio che offre i suoi sermoni alla SS.Trinità". Nella parte centrale della fiancata sinistra sono raccolti tre veri gioielli e cioè la "Visitazione" lo "Sposalizio" e la "Nascita della Vergine" del Romanino che costituivano un tempo le ante dell'organo del Duomo Vecchio. Nella controfacciata a sinistra altri monumenti di vescovi fra cui quello del vescovo Ferrari di Giovanni Emanueli (1855).