ALBERTANO da Brescia
ALBERTANO da Brescia
Giurista, filosofo, pedagogista, magistrato, politico. Studiò probabilmente a Bologna verso il 1215-20, sentendo l'influsso del francescanesimo. Nel 1226 partecipava alle trattative della II Lega Lombarda. Ascritto al collegio dei giudici di Brescia, coprì cariche pubbliche per le quali rappresentò Brescia in convegni di Comuni. Nel 1238 gli fu affidata la difesa di Gavardo, importante feudo vescovile, contro Federico II. Fatto prigioniero il 26 agosto dello stesso anno, fu chiuso nelle carceri di Cremona, dove scrisse il primo dei suoi lavori filosofici, di alta ispirazione cristiana, dedicato ai tre figli Vincenzo, Stefano e Giovanni. Liberato dopo la sconfitta dell'imperatore, tornò a Brescia per riprendere vigorosamente l'attività politica e culturale. Nel 1243 fu a Genova come consulente legale del podestà Emmanuele Maggi, compito che probabilmente assolse anche altrove. A Brescia cooperò al risveglio religioso e alla pacificazione sociale (tema dei suoi sermoni) secondo l'ideale francescano. Non si sa della sua morte; forse fu sepolto in s.Francesco. Abitava in "hora s.Agathe", e cioè presso la porta di s.Agata.
Scrisse alcune opere che ebbero vasta diffusione, specie tradotte in volgare, sia in Italia che all'estero. Fra esse ricordiamo "De dilectione Dei et proximi, et aliarum rerum" (1238); "De arte loquendi et tacendi", che Brunetto Latini compendiò nel suo "Trèsor", e il "Liber consolationis et consilii" (1246), in 50 capitoli, dedicato ai figli Stefano e Giovanni, e cinque "Sermones". Nelle due prime opere Albertano ricuce con qualche osservazione, citazioni di autori sacri e profani. Più originale è il terzo trattato nel quale Prudenza consola il marito Melibeo, malmenato nella sua stessa casa, e lo esorta al perdono con citazioni tratte dalla Bibbia e da autori romani. Quest'operetta ispirò a Chaucer uno dei suoi "Racconti di Canterbury" (sec. XIV). I trattati di Albertano ebbero grande fortuna come dimostrano i volgarizzamenti, in lingua toscana, di Andrea di Grosseto (1268) e del notaio pistoiese Soffredi del Grazia (1275), presi come modelli di lingua. Meno fortuna ebbero invece i "Sermones".