VIRLE TREPONTI

VIRLE TREPONTI (in dial. Irle, in lat. Virlarum)

Centro per lo più industriale (m. 150 s.l.m.) a O di Brescia, lungo la vecchia strada per la Valsabbia, in parte in piano e in parte sulle alture che si innalzano alle spalle con il monte Predelle, il monte dei Grii, con il monte Marguzzo (m. 450 s.l.m.) e il monte Regogna (m. 410 s.l.m.). Separato a SO è il colle roccioso di S. Martino. Dista km. 9,7 da Brescia. Il territorio confina a E con Mazzano e Molinetto, a N con Rezzato, Botticino, Nuvolera, a O con Rezzato e Castenedolo, a S con Ciliverghe. Fa parte dal 1928 del Comune di Rezzato ed è parrocchia autonoma nella zona XXVII Suburbana.


Il territorio è attraversato da rivi e canali quali: il Rudone-Abate proveniente da E e attraversante tutto il territorio, con declino verso S, presso la piazza; il Naviglio Grande, pure proveniente da E e in congiunzione, verso Treponti, con il limite superiore della strada statale. Altri tre canali escono dal Naviglio nella parte sud, e sono la Lupa, l'Arena e la Roberta che servono per le irrigazioni dei campi meridionali. Il Rino scende dai monti settentrionali, è torrentizio e si immette nel Rudone-Abate. Geologicamente il territorio si è formato nell'era terziaria, quando per forti corrugamenti, dal mare che lo copriva, emersero (70 milioni di anni fa) le alture che formano parte del territorio, nel periodo giurassico quando nel Lias inferiore si formò la corna (un calcare biancastro compatto o in grandi banchi), nel Lias medio il corso (calcari marnosi grigio-plumbei in strati regolari di medio spessore, a volte alternati da selce scura) e nel Lias superiore il medolo (costituito da strati di qualche decina di centimetri di spessore formati di calcare biancastro marno so intercalato da scisti argillosi verdognoli, chiamato, in luogo, "medolo"). Così è stato indicato da Leonardo Poli: «Nelle vallate e ai piedi dei pendii dei suddetti monti ci sono falde di detrito, talora cementate, formatesi nel periodo pleistocenico dell'era quaternaria inferiore». La vegetazione offre sorprese quali una nicchia naturale mediterranea che si trova sotto la strada di San Martino, messa in evidenza dal dott. Edoardo Carini nel 1998 e facente parte, a suo parere, di un vero orto botanico preistorico con prevalenza di fichi d'India, ora abbandonato perché non più redditizio.


Dante Olivieri fa derivare il nome dal lat. "Villulae" = piccole ville. Paolo Guerrini ricorre al latino medievale "vigra" da "vetus, veteris" = terreno improduttivo o incolto nel plurale "vigriolae", e il Lorenzoni è ricorso alla voce latina "Viriola" (dal gallico "Virira") nel significato di cinghia, cintura. Il termine Treponti deriverebbe, secondo Emilio Spada, dall'esistenza in luogo di un terzo ponte ("ad tertium pontem") sul Naviglio vecchio a partire da Brescia. Le più antiche attestazioni del nome risultano: Virle nel sec. XI, in «curte Vilule» nel 1131, Virlanem nel 1167, Virlis nel sec. XIII, Virli nel 1597. Virle fino al 1862; con R.D. 4 dicembre 1862 n. 1024 assume la denominazione di Virle Treponti.




ABITANTI (virlesi, nomignolo "sgagna casitì"): 540 nel 1493; 540 nel 1580; 500 nel 1610; 1100 nel 1658; 1380 nel 1727; 741 nel 1775; 749 nel 1791; 749 nel 1805; 781 nel 1819; 872 nel 1835; 890 nel 1848; 990 nel 1858; 993 nel 1861; 1040 nel 1868; 1046 nel 1875; 1045 nel 1881; 1200 nel 1898; 1332 nel 1901; 1613 nel 1908; 1553 nel 1911; 1619 nel 1921; 1672 nel 1926; 1835 nel 1939; 2057 nel 1949; 2600 nel 1963; 2235 nel 1971; 3500 nel 1981; 3645 nel 1991; 4157 nel 1997; 4510 nel 2006.




Di rilievo i ritrovamenti preistorici specialmente nella cavernetta di "Cà dei Grii" effettuati sul monte Regogna nel 1954-1956 dal Gruppo Grotte di Brescia, e nel 1955-1956 dalla Soprintendenza alle antichità della Lombardia e in seguito da altri. Primi ad essere rinvenuti furono due reperti litici ascrivibili al Paleolitico. Seguirono altre scoperte, quali un raschiatoio in selce rossa, una piccola punta. In seguito a più accurate ricerche, concentrate sempre nella "Grotta dei Grü", sono emersi alcuni reperti (come si ricava dalla "Carta archeologica della Lombardia". La provincia di Brescia, p. 175) di industria litica, databile probabilmente al Paleolitico inferiore; materiali ceramici e di industria litica del Neolitico medio; quindici sepolture ad inumazione dell'Eneolitico e materiali ceramici e litici vari databili tra l'Eneolitico e il Bronzo antico; materiali ceramici ed una fibula in bronzo della prima età del Ferro; materiali ceramici, vitrei e monete relativi ad un insediamento di età romana, databile tra età tardo-repubblicana e tardo-antica. Si presume che anche il poggio di S. Martino e altre località siano state abitate da popolazione protostorica vivente su palafitte a causa della zona paludosa. Il territorio è stato attraversato fin da tempi preistorici lontanissimi da un sentiero che, secondo gli studiosi, correva lungo tutta la linea ai piedi delle prime alture, ai margini delle pianure e dei laghi. Tale sentiero diventò una via nei tempi delle dominazioni dei Galli Cenomani e di Roma. Sarebbero resti di questa via gallico-romana in Virle un tratto di piano stradale costituito da grosse lastre di pietra non regolari ed un tratto di circa 50 m. di muro a nord della chiesa parrocchiale, ai piedi della montagna. Un altro tratto di questa via sembra sia da individuare in un percorso simile rinvenuto presso le scuole di Mazzano, a est. Proseguendo a ovest da Virle, la via doveva passare per l'attuale via XX Settembre, toccare Rezzato presso la Disciplina, ai piedi della collina del Convento (dove ne venne rinvenuto un altro tratto) e raggiungere S. Eufemia e la città. Più a sud il territorio era percorso dalla via Aemilia Gallica, la più importante via commerciale dell'Italia Settentrionale in età imperiale. Uscendo da Brescia, la via lambiva le falde della Maddalena, toccava (secondo Andrea Lorenzoni) Rezzato e si dirigeva su Treponti, poi, secondo sempre Lorenzoni, si biforcava dirigendosi con il tratto più settentrionale, ricalcato dall'attuale 45 bis, su Gavardo e Vobarno mentre l'altro andava a Pontenove di Bedizzole.


Nel territorio si avvertono solo brandelli di centuriazione romana mentre invece antica sembra la presenza del Rudone. Secondo G. Brena Farisé potrebbe essere sorto in tempi romani un importante fortilizio. Il Naviglio, sebbene vi sia chi lo fa risalire ai tempi di Roma, non compare in documenti del sec. XIII. Non risolto invece è il problema se le cave di pietra siano state utilizzate fin dai tempi romani. Di notevole interesse l'iscrizione, databile tra II e III secolo d.C., collocata «sopra il muro della chiesa de' Signori Avoltori» corrispondente all'attuale palazzo Provaglio in via Trieste: «Mercurio / Gaius Quintius / Salvianus / v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)», ovvero Gaio Quinto Salviano offre l'iscrizione (che forse era parte di un'ara) a Mercurio per sciogliere un voto. La menzione di Mercurio, divinità preposta alla protezione dei commerci, ha persino indotto a pensare che in quest'area esistesse un tempio a lui dedicato. Inoltre nel 1931 presso casa Portesi sono state rinvenute undici monete (sesterzi) di Elio Cesare, Antonino Pio, Marco Aurelio, Faustina, Lucilla e Alessandro Severo. Sei sepolture ad inumazione a cassa di laterizi, di epoca tardo romana o altomedievale, sono venute alla luce presso la cascina Caprioletta nel 1976.


Dopo i secoli oscuri della decadenza di Roma, si può solo presumere, senza prove, che il territorio abbia conosciuto una presenza longobarda data la consuetudine di quel popolo ad accamparsi fuori le città. In effetti il primo documento riguardante il territorio è nel diploma dell'8 luglio 879 con il quale l'imperatore Carlomanno, tra i beni che conferma al monastero di S. Giulia, indica «in curte Trevoncio» (Treponti) una delle 94 curtes elencate nel celebre Polittico Giuliano, databile alla fine del IX secolo, che registra nella corte stessa tre case, una delle quali "Caminata", un mulino, dieci manentes, boschi infruttuosi e terra arabile e in grado di dare grano, segale, spelta, legumi, miglio, buoi, polli, maiali. Una «corte che si chiama Virle» (e sembra sia la prima volta che questo nome compaia in un documento) è nominata in un atto di vendita del giugno 1019 con il quale l'arcidiacono Milone vende al vescovo di Brescia Landolfo II una vasta proprietà che confina con la corte, aggiungendo altre proprietà fra le quali una «infra castro Virle» costituita da terreni, e da una casa assieme ad altri possedimenti (prati, viti, gerbe, selve, tanto in pianura, quanto in montagna) per un totale di 18 jugeri. Nel documento si può rilevare che, mentre Virle è un castrum" cioè un luogo fortificato, Rezzato è un semplice villaggio. In nuova bolla, data in Laterano nel febbraio 1123 e indirizzata da papa Callisto II all'abate del monastero di S. Eufemia, sono due le "masseritia", cioè le aziende agrarie di Virle, che tra l'altro compaiono di nuovo citate in bolle papali del 1133 e del 1186. I nomi della "corte", della "vicina" e degli "uomini" di Virle compaiono in documenti del 1175, 1181 ecc. del monastero di S. Pietro di Serle.


Nella seconda metà del sec. XII Virle compare come feudo dei Confalonieri i quali vi tengono come gastaldo Antonio. 4 maggio 1184 poi il vescovo Giovanni di Fiumicello investe il clero della basilica di S. Andrea fuori la porta orientale della città di tutto quello che il marchese Framesino teneva in feudo dall'Episcopato di Brescia nel territorio di Virle e adiacenze, con diritto di farne ciò che voleva eccetto la vendita; e con dovere di trasmettere annualmente al vescovo e suoi successori, a S. Martino o fra l'ottava, dodici buoni mezzani di Brescia o altre monete equivalenti. Altra terra arativa sita in Virle, presso la palude e gestita da un certo gastaldo (o fattore) Martino, veniva ceduta da questi per nove denari e quindici soldi ad Ambrogio e Teutaldo, amministratori della chiesa di S. Andrea in Brescia. Due terre site in Virle, una in località Foriniga, l'altra alla Musa, venivano vendute in data 4 novembre 1151 dai fratelli Benedetto e Gebizone con la moglie Cesaria a Pietro, sacerdote di S. Andrea, per soldi 16 e denari 6 d'argento. Una di esse, quella di Foriniga, confinava con proprietà del monastero di S. Faustino maggiore. Altre terre in Virle venivano vendute il 3 gennaio 1152, il 4 maggio 1157, il 3 aprile 1179.


Circa la collocazione del castello, Emilio Spada avanza tre ipotesi: 1) la vecchia casa Avoltori, detta casa del fattore, a oriente del palazzo Provaglio, il cui ingresso ha nei muri l'aspetto di una torre; 2) la casa alla ponticella, ora Sberna, i cui muri presentano una feritoia; 3) nella zona a sud del colle S. Martino dove era un vicolo detto via Castello e dove esistono vecchie case e vi fu, come risulta da una mappa del XVIII secolo, una torretta circolare.


Passati gli anni delle invasioni ungare, fin dal sec. X si verifica un notevole sviluppo economico. Si costruiscono canali come il Rudone, l'Arena, la Lupa e la Roberta a Treponti e il Naviglio vecchio documentato a sud di Treponti nel sec. XV. Altri documenti rivelano presenze di coltivatori di terra. Il 30 maggio 1261 vengono investiti di terreni in Virle Giovanni Bubullo e Alberto Ravella di Rezzato con testimoni di Virle: Gerardo Ochi e Pietro Corte; il 4 maggio 1282 Rebugo di Virle viene investito dal clero di S. Andrea di una pezza di terra arativa in località «alla panca». Il 28 marzo 1365 il vescovo di Brescia riscuote quote dei suoi beni della chiesa di S. Andrea, da Opicio Ochi, da Galvano di Virle, dai Longhena ecc. La parte del beneficio della parrocchia di S. Andrea in città nel 1427 confluisce in quello di S. Agata.


Nel 1385 Virle appartiene alla Quadra di Gavardo con un estimo di lire 3, soldi 14 dovute all'erario, in confronto di Mazzano con lire 1 soldi 1 e di Molinetto con lire 1 e soldi 10. Nel 1429, nello statuto di Francesco Foscari, è passato a far parte della Quadra di Rezzato. Documento del consolidarsi dello sviluppo vero di Virle è costituito dalla casa di via Goini ad uso misto rustico-residenziale (stalla al piano terreno, abitazione al piano superiore). Ma la comunità del luogo è già in piena efficienza, come confermano i rapporti particolarmente tesi fra la stessa e quella di Rezzato, dei quali sono probanti i documenti contenuti negli Annali di Rezzato compilati da Anna Maria Franchi. Una notizia risale al 30 settembre 1430 e registra una sentenza per la quale il Comune di Virle viene obbligato a cedere a Rezzato un appezzamento di 60 piò di carattere montivo e boschivo in località Torniolo di Castagna Torta, ai confini con Nuvolera, in compenso di appezzamenti boschivi. Seguirono altre contese per appezzamenti di terre, dal 1434 per l'uso delle acque d'irrigazione. Da un primo documento, il "Registrum bucharum" del 1414, risulta che il Comune di Virle era proprietario con il Comune di Mazzano di una bocca d'acqua nel Naviglio situata nel territorio di Nuvolera, mentre Rezzato possedeva quattro bocche nel territorio di Virle, costituendo con ciò contese e rivendicazioni. Entrato nel 1426 a far parte della Quadra di Rezzato, nell'ambito della Repubblica di Venezia, per l'occupazione nel 1437-1438, da parte di truppe guidate da Nicolò Piccinino durante l'assedio di Brescia il Comune godette esenzioni di tasse e di dazi, per riparare ai danni subiti. Altre agevolazioni ed esenzioni seguirono poi, mentre contrasti fra comuni continuarono nel tempo. Nel 1461 un'aspra contesa sorse tra Virle e altri comuni con il Monastero di S. Pietro in Oliveto, erede di quello di Serle, per le acque del Rudone, contesa che si rinnovò nel 1464 e in seguito sia per l'utilizzo delle stesse per l'irrigazione, sia perché necessarie a muovere un mulino e una segheria di legname utilizzato per le prime fornaci di calce. Epidemie, carestie non arrestarono il progresso economico della zona che vide uno sviluppo continuo dell'agricoltura, l'insediamento di nuove famiglie e il diffondersi della lavorazione del marmo.


Ma la coscienza di comunità si consolida e nel 1483 Virle non ristà nel citare il Comune di Brescia davanti ai Tribunali di Venezia. Del resto Gabriele Rosa sottolinea che fino al 1675 esistevano ancora beni in uso promiscuo dei comuni di Gavardo, Virle e Botticino risalenti, in origine, a occupazioni di genti, di pastori, succedute a «selvaggi errabondi», sopravvissuti alle suddivisioni amministrative. Dai documenti agli inizi del sec. XV emerge la famiglia degli Avoltori come feudatari vescovili. Diventano poi proprietari di terre, di una "rassica" di vasi d'acqua, brede, ecc. Le proprietà della famiglia passano poi nel 1855 a Scipione Provaglio. Già nel 1492 sono radicati a Virle i conti Lana che possiedono terre e case in contrada Betole, e costruiscono nel 1686 un palazzo, ampliato poi nel 1728. Altre famiglie che si distinguono: quella degli Ochi già nel 1291, dei Rosa, dei Confortini, degli Appiani, dei Caprioli, dei Roberti, dei Meli, dei Sala. Fra i proprietari di terra si distinguono i Montini, i Cannetti, i Tolotti, i Braga, i Capretti.


Quattro, nel 1571, sono i partecipanti alla guerra di Cipro e alla battaglia di Lepanto: Girolamo Portesi, Picino Ventura, Antonio Fioravante e Faustino Guarisco. Fra i comandanti il conte Mario Provaglio che aveva proprietà in Virle.


Nel 1694 si accenna per la prima volta ad una scuola tenuta da un cappellano. Nel frattempo si rafforza anche economicamente il Comune, il quale nel 1610 possiede un mulino di quattro ruote, alcuni boschi e due osterie per un totale di circa 1000 ducati di rendita. Si governava con sindaci, massari e andadori. Nonostante la crisi che subì la Repubblica Veneta, Virle visse durante il '700 una certa tranquillità, come dimostra lo sviluppo della lavorazione della pietra e la costruzione di dimore fra le quali la villa Provaglio.


Virle deve aver visto tutte le vicende che segnarono la fine della Repubblica veneta, l'affermazione del Governo Provvisorio del 1797 e del dominio napoleonico attraverso il passaggio di eserciti senza che ne rimangano segni particolari. Inserito nel cantone di Garza Orientale con la legge del maggio 1797, passò nel distretto dei Marmi per effetto della legge del 2 maggio 1798, venendo incluso nel distretto di Garza Orientale ai sensi della legge del 12 ottobre dello stesso anno; con la legge del 13 maggio 1801 venne incorporato nel distretto I, di Brescia, per fare poi parte del cantone IV di Brescia del distretto I di Brescia con la legge dell'8 giugno 1805. Fu concentrato in Mazzano a partire dal 1 gennaio 1810. Sul piano istituzionale, in osservanza della legge del 24 luglio 1802 ed in virtù dei 759 abitanti, venne classificato nella terza classe dalla citata legge 8 giugno 1805. Venne poi incluso nel distretto I di Brescia per effetto della legge del 12 febbraio 1816.


Più diretta la partecipazione agli avvenimenti del Risorgimento. I contadini di Virle, assieme a quelli di Rezzato e di S. Eufemia capitanati da don Boifava e da don Zanelli arciprete di Virle, il 24 giugno 1848 partecipano a diverse azioni fra le quali la cattura di un convoglio austriaco carico di munizioni e diretto in soccorso alle truppe nel Castello di Brescia. Il 15 giugno 1859, nella 2° guerra d'indipendenza, Virle Treponti è il campo di un combattimento che prende il nome dalla località ed è ricordato con lapidi e commemorazioni (v. Treponti, combattimento).


Con l'unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, il Comune viene incluso, con legge del 23 novembre 1859, nel Mandamento IV di Rezzato, circondario I di Brescia, con un Consiglio di 15 membri, una giunta di 2. Con R.D. 4 dicembre 1862 n. 1042, il comune assume la denominazione di Virle Treponti. In base poi all'ordinamento comunale 1865 viene amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Il clima patriottico favorisce sul piano amministrativo e politico una maggioranza liberale zanardelliana mentre si verifica un risveglio in campo sociale-economico interpretato da nuove categorie di artigiani e di operai delle cave, degli stabilimenti. Fra i primi ad organizzare artigiani ed operai sono i cattolici con la Società operaia di mutuo soccorso (1888), che raggruppa in breve una sessantina di aderenti. Per una qualificazione professionale dei giovani Luigi Massardi nel 1896 fonda la "Scuola di disegno industriale d'arti e mestieri" finanziata anche dallo Stato, Provincia, Comune e Camera di Commercio. Tale scuola durerà fino al 1928, quando confluirà nella Scuola Vantini di Rezzato.


Quelli della fine dell'800 sono anni di risveglio anche culturale. Nel 1898 si registra l'esistenza a Virle di un Teatro Sociale nel quale si esibiscono compagnie filodrammatiche della città, ma anche dilettanti virlesi e un coro locale. Nel gennaio 1901 Virle è tra i primi comuni, in Italia, ad erigere, su proposta del conte Terzi De Lana, un "ricordo" o monumento a re Umberto I. Eseguito dallo scultore A. Bassi su disegno del prof. L. Tombola, viene inaugurato con solennità il 20 ottobre 1901. Sempre nei primi anni del '900 viene costruito, con l'edificio del Comune, quello delle scuole elementari e nel 1912, grazie all'elargizione di una casa da parte di Carlo Bagatta, viene aperto l'asilo infantile a lui dedicato. Nel 1903 scende in campo la Camera del lavoro senza ottenere successi di rilievo mentre, nel febbraio 1906, viene inaugurato il Circolo operaio. Tra i problemi amministrativi vengono affrontati quello dell'illuminazione pubblica, dell'acqua potabile e del miglioramento stradale. Pochi anni dopo, nel 1911, in campo cattolico, per impulso dell'arciprete don Landi, viene costituito il Circolo Cattolico Silvio Pellico. La prima guerra mondiale costa giovani vite, ma tocca anche direttamente il paese il quale, dal 1917, ospita un distaccamento di mitraglieri mentre la chiesa di S. Martino viene convertita in prigione militare.


Il dopoguerra porta alla ribalta una maggioranza socialista tra vivaci polemiche di cattolici e liberali. Al contempo si rafforzano le organizzazioni sindacali e la Camera del lavoro. Nell'ottobre 1919 si inaugura la bandiera delle filatrici. Il 13 novembre 1921 viene eretto il Monumento ai Caduti, con basamento di Annibale Massardi e un fregio di bronzo dello scultore Cirillo Bagozzi; nel marzo 1923 viene inaugurato il Viale della Rimembranza. Nel frattempo, ai primi di novembre del 1922 si manifestano le prime azioni del fascismo. Il novembre una squadra d'azione devasta il circolo socialista. Una nuova spedizione fascista si verifica il 3 novembre nelle abitazioni dei socialisti Ettore Agosti, Pietro e Mario Venturi e Rico Portesi. Olio di ricino viene propinato a Vincenzo Cominotti e recati danni alla sua abitazione il 16 gennaio 1923. Il 28 febbraio seguente la Federazione provinciale fascista scioglie di autorità la sezione locale. Un ruolo importante nel fascismo locale assumono il geom. Enrico Scaroni, sindaco del paese, e il dott. Mario Braga i quali, nel settembre 1925, ricevono il plauso dell'on. Turati. Il fascismo colpisce duramente gli avversari e nel 1928 si scatena anche contro il circolo operai cattolici. Lo stesso arciprete don Landi viene obbligato a bere olio di ricino.


Un decreto del 22 marzo 1928 n. 821 entrato in vigore il 1° maggio sancisce l'unione del Comune di Virle e della frazione di Treponti al comune di Rezzato. Come scrive Giovanni Gregorini ("Rezzato. Storia di una Comunità", p. 337), «questa decisione fece riaffiorare antichi rancori e subito ebbero inizio le proteste dei virlesi nei confronti dell'amministrazione di Rezzato, accusata di trascurare le frazioni». Come scrive G. Sciola ("Rezzato: materiali per una storia", p. 275), «l'amministrazione comunale si dimostra latitante su numerosi problemi (sanità, igiene pubblica ed assistenza); la frazione di Virle è incontestabilmente trascurata; nonostante i suoi circa 1.700 abitanti non ha neppure un delegato in comune. Il podestà, originario di Rezzato, ha rapporti di grande tensione con gli esponenti del fascio di Virle, si dimostra altezzoso ed incurante di tutto ciò che riguarda la vita e le esigenze della frazione, per la soluzione dei cui problemi si rivolge al parroco e non "al rimanente della cittadinanza" che dimostra di snobbare e di disprezzare, così almeno sostengono i fascisti del luogo confermando in parte le relazioni degli inviati della Prefettura». Satellite ormai di Rezzato, contende con esso le opere pubbliche. Questa situazione portò ad un nuovo commissariamento prefettizio di Rezzato che durò sino al dicembre del 1930 quando fu nominato Podestà Enrico Scaroni, segretario della sezione fascista di Virle. Irregolarità e mosse antipatiche portano alla destituzione dello Scaroni e alla sua sostituzione con Aldo Rigagnoli che riesce a riunire in una sola le sezioni fasciste di Rezzato e di Virle.


Tra i pochi avvenimenti di un certo rilievo è l'inaugurazione, il I marzo 1931, della Bottega del vino, prima in Italia.


La guerra porta difficoltà e anche mitragliamenti con alcune vittime. Dall'ottobre 1943 all'aprile 1945, durante l'occupazione tedesca, il paese ospita gli uffici distaccati degli Affari Generali del Personale e l'Ufficio Economico del Ministero Interni della Repubblica Sociale Italiana. Nel dopoguerra si presenta urgente il problema viario. Nasce, fin dagli anni '50, un Consorzio per l'autostrada Virle Treponti-Lago di Garda che cederà poi il passo ad altre soluzioni, con problemi nel 1972 per il nuovo innesto delle strade comunali sulla 45 bis, mentre la costruzione della superstrada Virle-Tormini ha il via nel 1986. Particolarmente urgente dagli anni '60 il problema delle abitazioni. Nascono villaggi assieme a cooperative. Molti sono gli interventi edilizi: nel 1968 viene allargata la piazza principale e via via in seguito ristrutturate case del centro storico e costruite di nuove, tra cui il villaggio Aldo Moro. Negli anni '90 ancora sono restaurate case nel centro storico e realizzati due parchi. Sorgono la Residenza Anni Azzurri, il ciclo-piste, ecc.


Molte le iniziative del tempo libero e culturali. Dal 1955 sui monti Predelle e Giogo S. Martino si esercitano due Scuole Nazionali di alpinismo: quelle della Società Alpinistica e del CAI. Nel 1958 nasce il Coro S. Martino, nel 1969 il coro "El Tergnal" che, nel 1978, si fonde con il coro "La Mazzanella" dando vita al coro "Le Predelle". Nell'aprile 1966 viene organizzata una prima esposizione di opere di marmisti. Molte le manifestazioni: da "Canta Virle" al "Settembre Virlese" al "Palio delle Contrade", ecc.


Gli anni '70 vedono, nel settembre 1971, l'inaugurazione del monumento all'artigliere, nell'ottobre 1976 quello ai Caduti del lavoro, opera del ventunenne Giampietro Moretti. Seguiranno nell'ottobre 1982 il monumento all'alpino, opera di Giampietro Abeni (Gineba) e nel novembre 1987 un busto al bersagliere, opera dello scultore Angelo Confortini.


Lo sport, pur praticato da decenni, trova il suo inquadramento nel 1945 nell'"Audax Virle", la quale, sotto la guida, prima di Corrado Trotta, poi di Severino Rossi, Remo Maganotti, Remigio Apostoli, Bruno Portesi, ecc., abbraccia diverse discipline. Il ciclismo è tra le più praticate; si organizzano dal 1947 gare per allievi, il "Gran Premio Rezzato" e altre competizioni. Nel 1952 il ciclista Fiorenzo Magni è ospite del sodalizio e in suo onore è allestita la finale del "Trofeo papà Fiorenzo Magni". Segue il calcio che vede la squadra piazzata in posizioni eminenti e crea campioni come Bruno Scaroni nella Fiorentina, Piero Casali, Giovanni Zamboni ecc. in squadre nazionali. La squadra di pallavolo è campione provinciale nel 1954, 1955, 1956. Successi ottiene l'Audax nella pallacanestro ed anche nel tennis da tavolo e nelle bocce. Nel 2006 il campo sportivo dell'oratorio è stato arricchito del manto in erba sintetica e di nuovi e capienti spogliatoi.




ECCLESIASTICAMENTE. Dell'esistenza di una chiesa nel territorio c'è un accenno in un documento del 1151 per la vendita di «un pezzo di terra sita in Virle confinante a nord con i beni della chiesa del luogo di Virle». Documenti del sec. XIV fanno pensare che si tratterebbe di una chiesa di S. Pietro. Il titolo rimanda probabilmente ad una fondazione longobarda o monasteriale. Nel 1179 la chiesa di Virle è in mano ai preti Giovanni Zucchelli e Wastamilio e al diacono Bosone. I primi rettori che si conoscono sono solo dei titolari. Così il nob. don Giovanni Sala, il suo successore Benadusio di Vallio, un monaco di S. Pietro in monte Orsino che ottiene la parrocchia dal vicario generale nel 1370. Virlesi hanno a che fare, un secolo dopo, con Giovanni Giusto, nipote del vescovo Dominici, «indegno di portare la veste sacerdotale, violento, e intrigante e desideroso inoltre, con l'appoggio dello zio, di assumere le funzioni episcopali». Ottenuta la commenda nel 1474, con violenza, tenta di conservarla contro la volontà dei virlesi che vogliono un sacerdote residente e ricorrono alle autorità venete. Tra coloro che non ebbero la commenda è il nobile conte Giovanni Battista Coccaglio (1532 - ?).


Commendatario, invece, e piovuto da chissà dove, è un conte Schinelli di Collalto che nel 1557 rinuncia tramite procuratore, nelle mani del cardinale legato Antonio Trivulzio il quale il 31 luglio 1557 investe del benefici Tommaso Zannini. Il 27 settembre deve intervenire il doge perché lo Zannini entri in possesso del beneficio. Un nuovo commendatario, Pietro Gazario, rinuncia alla parrocchia nel 1561, sostituito da don Giampietro de Plebe, che viene costretto dalla S. Sede a pagare una pensione-vitalizio al chierico, il nobile Gian Pietro Rosa che, ancor piccolo di sette anni, già aveva il titolo di cavaliere lauretano con diritto a beneficio ecclesiastico. Non solo, ma il suo successore don Antonio Bazzoni deve lottare con i nobili Rosa per riavere parte almeno del beneficio da loro usurpato. Nonostante questo andazzo, la vita religiosa offre segni positivi. Già nel sec. XVI esistono una Disciplina con sede nella chiesa di S. Martino e la Confraternita del SS. Sacramento con altare proprio. Gli atti delle visite pastorali, ad iniziare da quella di mons. Nigusanti del 1556, riscontrano come gli altari siano, salvo rilievi, conservati discretamente, meno quello per l'Eucaristia, che è conservata in un tabernacolo indecente. Pochissimi i rilievi nelle visite che seguono, salvo l'ordine di rimuovere (nel 1566 e 1574) gli altari del SS. Sacramento e di S. Antonio, di restaurare i dipinti agli altari del S. Rosario e di S. Antonio, di arredare il battistero di un dipinto del Battesimo di Gesù, di rendere regolare il confessionale. Nessun rimarco di rilievo viene invece espresso sui paramenti e arredi. Visitando la parrocchia nel 1566 il vescovo Bollani trovava già ben organizzata la Confraternita del SS. Sacramento con 150 iscritti, contribuenti di 4 soldi l'anno, che raccoglieva le elemosine al tempo della mietitura. Aiutava gli infermi indigenti e organizzava un monte frumentario con 40 salme di frumento. La Confraternita si arricchì nel 1648 di un legato e nel 1702 era collegata con l'analoga Confraternita romana. Con il vescovo Bollani Virle fu soggetta alla vicaria di Caionvico; passata poi ai tempi della visita di S. Carlo Borromeo (1580) sotto quella di Botticino, ritornò sotto quella di Caionvico. La Confraternita di S. Nicola da Tolentino eretta con decreto del 12 dicembre 1580 da S. Carlo ha la sede nella chiesa di S. Martino. Pochissimi per decenni i confratelli (10 nel 1665), che saliranno poi a 37 agli inizi del '700. Ripetuti i richiami ai confratelli all'osservanza delle regole. In progresso la dottrina cristiana, come rilevava il visitatore nel 1601, assunta poi da una apposita Compagnia. È fondata nel 1603 la Confraternita del Rosario. Scarsa di mezzi e di entrate, tuttavia nel 1648 è in grado di mantenere a metà stipendio (l'altra metà viene erogata dal nob. Carlo Caprioli) un cappellano. Nel 1667 la Confraternita può contare su un reddito di 60 scudi, che aumentano nel '700 grazie ad altri legati. Don Giacomo Migliorati (1610-1630) riesce a ricomporre e sistemare il beneficio redigendo un inventario di beni mobili e immobili. Benefico fu mons. Paolo Boselli, parroco per solo un anno (1651-1652), ritiratosi poi a Botticino egli, con testamento del 25 maggio 1668, lascia un legato di 6-7 scudi da erogare a due "povere figliuole" che vogliano sposarsi o entrare in convento. Nel sec. XVII, per la donazione, da parte del canonico Lucio Avoltori, di alcune reliquie dei santi Claudio, Sinforiano, Nicostrato, Castorio e Simpliciano, leggendari santi della Pannonia, scultori in pietra, nasce viva devozione fra gli scalpellini virlesi che dedicano loro un altare. Le reliquie di S. Sofia e dei cinque santi scultori vengono ogni cinque anni portate in solenne processione.


È espressione di fede particolare la supplica degli abitanti di Virle, assieme a quella di altre parrocchie, al papa Innocenzo XI per essere assolti da eventuali e ignorate inadempienze o trasgressioni della legge di Dio da parte loro o anche dei loro antenati. Il papa risponde con un Breve del 24 marzo 1684 col quale incarica il Vescovo di Brescia o un suo Delegato che, a nome suo e previo un digiuno di tre giorni, la confessione e comunione, e qualche offerta ai poveri o a chi di diritto, assolva quegli abitanti da ogni censura ecclesiastica, benedica le loro terre, e conceda loro l'Indulgenza Plenaria. Forte stima riscuote don Pietro Aldotti (1684-1700), dottore in, Teologia e definito dal vicario foraneo «soggetto meritevolissimo la morte del quale, per le sue rare qualità, ha lasciato ogni uomo pieno di dispiacere e di cordoglio». Nel 1686 i reggenti del comune concedono la costruzione di una chiesa «in capo alle Brede, verso mattina, alla possessione di Rizzardello». Con il suo successore, don Giovanni Battista Locatelli (1700-1721), Virle diviene sede di vicaria.


Avvenimenti di grande importanza si susseguono sotto il parrocchiato di don Giuseppe Simoni di Carvanno (1721-1748). L'aumento della popolazione e lo stato fatiscente della chiesa parrocchiale sollecitano, fin dagli inizi del '700, la costruzione di una nuova. Se ne assume l'iniziativa il giovane parroco don Simoni. Convocati il 17 aprile 1724 i capifamiglia, vengono eletti due "deputati" all'opera: Marc'Antonio Capretti e Benedetto Ventura tre giorni dopo egli si presenta al Vicario generale e ottiene il consenso e il permesso di alienare dal beneficio 14 tavole di terra per la costruzione. Il progetto è attribuito all'arch. Antonio Corbellini. Posta la prima pietra il 19 novembre 1724, la nuova chiesa verrà consacrata dal card. Giovanni Molino il 1° giugno 1760 fissando la festa commemorativa alla I domenica di ottobre. Della fabbrica della chiesa è munifico benefattore, come ricorda un'iscrizione presso la porta d'ingresso, il conte Carlo Lana. Inoltre sostengono l'opera Giulia Armanni e Barbara Rosa Palazzi.


Durante il parrocchiato di don Simoni Ciliverghe si separa da Virle ed è eretta in parrocchia autonoma. A premio della chiesa costruita e ad affermazione di una superiorità su Ciliverghe un decreto vescovile del 30 aprile 1737 concede a don Simoni e ai suoi successori il titolo di arciprete. Grande stima gode don Francesco Correnti (1748-1787) che dedica cure particolari alla chiesa parrocchiale, la completa e, in morte, la benefica di un legato di 400 scudi per ragazze da marito. Ne emula la carità don Giovanni Pietro Bianchini (1787-1829), già "curato" alle carceri di Brescia. Egli dispone che i suoi beni siano dispensati ai poveri e particolarmente agli infermi. La soppressione del monastero di S. Giulia porta a Virle il dono, il 5 ottobre 1798, delle reliquie di S. Sofia madre di santa Pistis (Fede), Elpis (Speranza) e Agape (Carità) assieme a quelle dei santi vescovi bresciani Paolino e Gaudioso. L'urna dei santi viene traslata a Virle l'1 aprile 1799 e deposta, il giorno 2, dietro l'altare maggiore. La donazione delle reliquie offre l'occasione di solenni feste poi fissate a ogni quinquennio e celebrate in occasione della ricorrenza della Madonna del Rosario. Singolare è la sfilata di decine e decine di personaggi in costume e anche a cavallo, raffiguranti i più diversi santi e angeli. Aprono la processione alternativamente le statue della Madonna del Rosario e di S. Sofia e le seguono le reliquie dei cinque santi scultori. Nel 2000 reliquie di S. Sofia vennero cedute al Metropolita greco ortodosso Gemodios Zernos. Il clima politico giacobino e napoleonico che sopprime confraternite e legati non cancella l'intensa vita religiosa e caritativa della parrocchia. Durante l'800 vengono disposti nuovi legati: di Giacomo Portesi (11 gennaio 1826 e 28 ottobre 1830), di Anna Saiani (10 marzo 1848), di Maria Moladori (3 ottobre 1836), di Paolo Portesi (28 novembre 1848). Grande carità manifesta, specie durante il colera del 1836, don Giampietro Felice Porta (1829-1837).


Zelante è anche don Giacomo Zanelli (1837-1863), sotto il cui parrocchiato si registra una intensa partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose della Quaresima, delle Quarantore e del mese di maggio. «La dottrina in questa chiesa, scrive in una relazione, è frequentata assaissimo». Tuttavia don Zanelli, infiammato di spirito patriottico, entra in collisione con la curia di Brescia. Patriota irriducibile, è tra i preti "cantanti", cioè che solennizzano la festa dello Statuto con il canto del Tedeum nonostante le proibizioni del vescovo. Poiché egli persiste nel suo atteggiamento, il 13 giugno 1862 il vescovo mons. Verzeri lo destituisce dall'ufficio di vicario foraneo. Nonostante ciò, don Zanelli persiste nella sua disobbedienza e sottoscrive la Cassa di Emigrazione di Mazzini, firma l'indirizzo Passaglia auspicante la rinuncia papale a Roma. Venuto a morte, nell'agosto del 1863, viene salutato in una scritta posta sulla chiesa parrocchiale di Virle che così suona: «Al cavagliere Giacomo Zanelli, novello Arnaldo dell'evangelo e della libertà, i parrocchiani virlesi al rogo della curia romana sostituendo la venerazione, pregano pace dei veri apostoli». Il suo nome verrà inciso in una lapide a Treponti e nel titolo di una via. Per nulla politicizzato è il parrocchiato di don Faustino Savoldi (1863-1906), ma ricco di grande carità svolta eroicamente, oltretutto durante le epidemie di colera del 1867 e 1873. Il clima sociale, economico e politico che domina gli ultimi decenni del secolo trova in don Savoldi un deciso organizzatore del movimento cattolico. Infatti fonda il Comitato parrocchiale e nel 1888 la Società operaia di mutuo soccorso che, dal 1902, ha un sostenitore nel curato don Benedetto Moladori. Continua e accentua la linea pastorale di don Savoldi il suo successore, don Giuseppe Landi (1906-1944). Zelante, attivissimo, promuove devozione e opere. Nel 1912 fonda l'asilo infantile, nel 1913 promuove il Circolo Cattolico "Silvio Pellico" che, nel 1914, aderisce alla Gioventù Cattolica Italiana. Negli stessi anni edifica un teatrino con annesse tre stanze e dà vita alla filodrammatica. Promuove Azione Cattolica, il Gruppo missionario, il gruppo della Buona Stampa. Nel 1924 procura un nuovo concerto di campane. Fermo è il suo atteggiamento verso il fascismo, per cui nel 1928 affronta la chiusura dell'Oratorio ed è costretto a bere olio di ricino. Nel 1929 promuove il restauro della facciata della parrocchiale. Di fronte alle restrizioni imposte dal fascismo all'educazione cristiana della gioventù, nel 1937 promuove nuovi ampliamenti all'oratorio con l'aggiunta di un cinema teatro. La sua sollecitudine pastorale lo vede vicino a tutti e ai soldati nelle due guerre mondiali. I soldati rispondono alle sue sollecitudini offrendo nell'ottobre 1942 la soasa dell'altare di S. Teresa. Singolare testimonianza della religiosità di Virle durante il parrocchiato di don Landi è la presenza nella famiglia Donneschi, su otto fratelli maschi, di tre religiosi e di due sacerdoti secolari. Muore nell'ottobre 1944 in piena guerra, dopo pochi giorni che lo scoppio di una polveriera ha mandato in frantumi le vetrate istoriate e danneggiata la sua chiesa. Gli ultimi mesi di guerra vedono la nomina ad arciprete di mons. Pietro Perletti (1944-1966), professore in Seminario, convisitatore nelle visite pastorali. Il suo parrocchiato eminentemente "religioso" non manca tuttavia di iniziative quali l'erezione del nuovo Battistero (1950), il restauro alla chiesa parrocchiale (1955-1960) e una nuova scuola materna (1960). Soprattutto grazie al sostegno del curato don Franco Cantoni nel 1966 promuove la costruzione dell'oratorio femminile con annessa abitazione delle suore e sale di lavoro.


Gli succede don Giuseppe Cominotti (1966-1989) che affronta con coraggio gli impegni imposti da una rapida evoluzione sociale, senza trascurare quelli pastorali e della struttura parrocchiale. Dal 1968 provvede al restauro esterno della chiesa parrocchiale, della casa canonica, ad una nuova sistemazione dell'oratorio e del campo sportivo, della sala cinematografica. L'espansione edilizia con la costruzione di nuovi quartieri lo vede sollecito a provvedere una nuova chiesa, inaugurata e benedetta nel maggio 1986, dedicata a S. Giuseppe operaio. Nel gennaio 1997 il vescovo mons. Foresti inaugura i lavori di ampliamento (con la costruzione di una piramide di stile azteco che suscita forti contrasti perché ritenuta una stonatura rispetto alla parrocchia settecentesca) e ristrutturazione dell'oratorio iniziati nel 1995. Di soli sei anni il parrocchiato di don Damiano Moreschi (1998-2004), anni però carichi di entusiasmo. Nel 2001-2002 provvede al restauro della chiesa parrocchiale all'esterno. A succedergli nel gennaio 2005 viene chiamato don Sandro Gorni, che prosegue il restauro completo della parrocchiale nel suo interno.




CHIESE E SANTELLE.


PARROCCHIALE ANTICA. Come si è visto, di una chiesa si accenna in un documento del 1151 e probabilmente non ad essa, ma ad una posteriore, forse del sec. XV, si riferiscono i resti tuttora visibili nell'ambiente annesso al coro dell'attuale. Come scrive E. Spada, era orientata a ponente «poco più piccola dell'attuale, aveva facciata rustica (senza intonaco). La porta principale non aveva vestibolo né copertura antistante, ma sopra di essa era una finestra circolare. Aveva tre navate e finestre ai lati; nel XVI secolo aveva cinque altari: uno al centro dove ora è la sacrestia; nella navata settentrionale erano gli altari di S. Rocco, e poco più a ovest, vicino all'ingresso, quello della Scuola del SS. Sacramento. Nella navata meridionale era la cappella del Santo Rosario, tutta affrescata, e poco più a ponente l'altare di S. Antonio, pure esso decorato con varie pitture. Nell'ambiente di ripostigli del retro coro è rimasta una parte della navata settentrionale con colonna e capitello murato, certamente di età non diversa dal tardo Medioevo. Alcune decorazioni del soffitto ne danno la conferma. All'esterno, nell'orto dell'arciprete, è ancora ben visibile la vecchia abside poligonale, che in uno dei suoi lati, quello che prospetta a sud-est, porta il segno di chiusura della finestra che per molto tempo illuminò l'altare maggiore».




CHIESA PARROCCHIALE DEI SS. PIETRO E PAOLO. Costruita nel 1724, la chiesa conserva chiara l'impronta del tempo. La facciata è a due piani: il primo raccordato da balaustrine angolari, e il secondo da sguanci e l'architrave a triglifi. Con quattro statue, ognuna raffigurante S. Pietro, S. Carlo Borromeo, S. Rocco, S. Sofia. Solenne è il portale. L'interno ad una sola navata ha quattro cappelle laterali alzate fino al tetto e accoppiate da vele traverse. Entrando, sulla destra, si incontra l'altare dei SS. Antonio e Rocco. La pala è firmata da Angelo Paglia ("Angelus Palea f. anno 1743") e dovrebbe sostituire un'altra della quale rimane un'iscrizione che dice «Ex voto nobilium et populi Virlarum pro liberatione pestilentiae - anno 1577». Il secondo altare è dedicato alla Madonna del Rosario, eretto, come suggerisce un'iscrizione, «Hic est decor Rosarii Cura dominorum ac populi opus pietatis in Patronam». Una statua della Madonna del Rosario eseguita nel 1936 da uno scultore della Valgardena ne ha sostituita un'altra molto bella.


Il presbiterio è dominato da una pala contenuta in una semplice cornice, raffigurante il Martirio di S. Pietro, firmato «Angelus Palea f(ecit) anno 1742». È affiancata da due statue raffiguranti i SS. Pietro e Paolo. Elegante l'altare maggiore e il tabernacolo in marmo variegato. L'altare rivolto al popolo venne offerto dalla ditta Marmi Vicentini nel 1973. Affiancano il presbiterio la cantoria con l'organo e la controcantoria. Nell'elenco degli organi fabbricati da don Cesare Bolognini fino al 1744 è compreso uno strumento a 8 piedi e 18 registri per Virle (sedicesimo del catalogo Bolognini). Nel 1904 viene sostituito con l'attuale costruito dalla ditta Bianchetti e C. con tastiera, 58 note reali, pedaliere, 21 note reali. Venne inaugurato il 13 agosto 1905 dal maestro Isidoro Capitanio. Riaccordato nel 1924 da Giovanni Frigerio, probabilmente con alcune modifiche, doppio intervento di A. Maccarinelli nel 1949 e un ripasso nel 1952, viene fatto segno ad una manutenzione straordinaria di Luigi Gaia nel 1995. Scendendo lungo il lato di destra si incontra l'altare del SS. Sacramento o di S. Teresa. La soasa marmorea è un'offerta dei militari nel 1942. Racchiude una pala attribuita erroneamente da qualcuno ad Andrea Celesti raffigurante la Deposizione della Croce. L'ultimo altare sulla sinistra è dedicato ai cinque santi scultori con una pala del sec. XVIII particolarmente bella. Il Battistero è collocato sull'angolo sud-ovest, e fu benedetto dal vescovo mons. Tredici l'11 novembre 1950. Otto colonnette di marmo con capitelli in bronzo, comperate a Gussago e forse dell'inizio del XIX secolo, stanno intorno, in forma di ottagono, alla vasca finemente lavorata e portante la statuetta marmorea di S. Giovanni Battista. Altri decorosi pannelli stanno sopra le architravi del contorno: tutto quanto è opera dell'abile mano del concittadino Leonardo Bertoli (1896-1973). Le scene rappresentate si riferiscono ai temi propri dei battisteri: storia e caduta dei progenitori, il battesimo e l'opera di restaurazione operata da Gesù.


IL CAMPANILE. La costruzione, sollecitata dal vescovo Bollani nella visita del 16 settembre 1566 e da S. Carlo nella sua del 1580, ha luogo nel 1590 per iniziativa dell'arciprete don Antonio Bazzoni. Come ha sottolineato Emilio Spada, è una torre ben solida, tutta legata con ferri e formata di pietre ben riquadrate, ancora portanti nel lato ovest l'iscrizione di dedica. Questa si trova nel suo posto di origine nell'andito che sta tra il muro della chiesa e la torre, dove si legge: «VIRLEUS POPULUS / TURRIM HANC AERE PROPRIO / A FUNDAMENTIS EREXIT / BAPTISTA PORTESIO - IACOBO ET / ZOANNE IACOBO CAPRA DEPUTATIS / MDLXXXX» («Il popolo di Virle / con suo proprio denaro / eresse dalle fondamenta questa torre / nell'anno 1590 / essendo deputati Battista Portesi / Giacomo e Giov. Giacomo Capra»). Nell'anno 1924 questo campanile venne innalzato di circa m. 10, e vi venne collocato un nuovo concerto di campane in tonalità di re maggiore, del complessivo peso di circa q.li 40, benedette dal vescovo mons. Gaggia.




S. FRANCESCO DI PAOLA in contrada dei Santi (ora via Trieste). Come suggerisce Emilio Spada: «fatta costruire nell'anno 1723 dal nob. Gabriele Avoltori entro l'ambito del suo palazzo. A seguito di una Ducale di concessione del Principe di Venezia in data 10 ottobre 1722, il sig. Avoltori ne stabiliva la dote, e il 3 febbraio 1723 ne faceva richiesta al Vescovo per la costruzione. La dote annessa fu una pezza di terra chiamata "Breda del pozzo" di piò quattro, situata in contrada della Valle e confinante a mattina e mezzodì con lo stesso sig. Avoltori, a sera col torrente Rino e a monte con la strada. La chiesa è piccola, ma di graziosa architettura con qualche ornamento del XVIII secolo. All'esterno, nel muro settentrionale che prospetta al giardino, è infissa una pietra romana. Passata questa chiesa per eredità ai conti Provaglio nell'anno 1855, essi vi provvedono anche nel tempo presente la S. Messa festiva a mezzo di un padre francescano del Convento di Rezzato, e i fedeli vi convengono».




S. GIUSEPPE OPERAIO. Eretta su progetto dell'ing. Angelo Botti dal 19 dicembre 1982, fu inaugurata il maggio 1986 nella nuova zona urbanizzata a est del centro. A pianta esagonale, ha cuspide sorretta da strutture in ferro, il pavimento e la mensa in rosso di Verona. Sullo sfondo si nota un mosaico raffigurante Gesù Cristo, opera di Mino Trombini. Nella chiesa è stata collocata nel 1998 una grande tela raffigurante la Crocifissione, opera del virlese Natale Donneschi.




S. MARIA MADDALENA. Come suggerisce la dedicazione, fu forse un antico romitorio. Nel 1566 il vescovo Bollani la registra di proprietà dei "de Robertis" e ordina che venga imbiancata e si costruisca il pavimento. Con testamento del 15 gennaio 1583 Fabio Roberti dispone un lascito di 80 planet perché vi si celebri una messa. Annessa a un complesso edilizio di vasta superficie, segue le sorti della proprietà. È dei Roberti nel XVI secolo, dei Veneziani nel XVII, dei Carboni nel XVIII, e degli Squassina verso la fine del XIX secolo. Gli atti delle visite pastorali attestano che sin dal secolo XVI la chiesa serve per la celebrazione della messa nella contrada di Treponti. Forse appartenne a questa chiesa, come paliotto di altare o come fronte di sarcofago, un rilievo in pietra locale rappresentante la scena dell'Annunciazione, a lato di una figura centrale eretta e portante al collo una croce. Fu utilizzata come base di un pozzo situato nel giardino Squassina. Il pezzo è mancante della parte sinistra. L'interno è molto semplice: ambiente unico con soffitto a volta. Sotto gli intonaci vi potrebbero essere delle pitture, perché già nel XVI secolo le pareti interne furono imbiancate. «Il defunto Vincenzo Carboni, con testamento 13 marzo 1835 e codicillo firmato dal notaio Nulli, fa obbligo all'erede Angelo Carboni, sulla sostanza di Treponti o Ospitale, di far celebrare una Messa festiva. Il signor Francesco Viani con sua lettera dell'11 giugno 1880 dichiara che il signor Vincenzo Carboni è suo suocero. Nell'anno 1892 il signor Angelo Squassina restaura questa chiesa, e procura che venga adempito il legato Carboni». Recentemente è stata donata alla parrocchia dalla famiglia Sberna.




S. MARTINO IN COLLE. Eretta forse su un ospizio medievale da un qualche monastero, è ricordata negli atti della visita di S. Carlo Borromeo che vi istituisce una Disciplina sotto il titolo di S. Nicola. Con testamento del 7 agosto 1608 Pietro Botti la dota di un legato di messe. Soppressa in epoca napoleonica, la Disciplina viene abbandonata. Viene poi restaurata nel 1885 per iniziativa del conte Scipione Provaglio. Profanata, è adibita a prigione militare nella guerra 1915-1918. Viene di nuovo restaurata nel 1945 dagli alpini. Nuovi interventi di restauro vengono compiuti nel 1971 sempre dagli alpini e ancora nel 2003. La torre viene costruita sulla fine dell'800 dal Comune, per collocarvi l'orologio.




S. NOME DI MARIA. Eretta probabilmente nei primi anni del sec. XIX, è annessa alla cascina dell'Ospedale. I Carboni ottengono il 30 novembre 1804 da Pio VII il privilegio di farvi celebrare la messa. Col cambio di proprietà la cappella viene abbandonata fino a quando, con testamento del 4 ottobre 1866, don Giovanni Battista Carboni la passa in proprietà dell'Opera che porta il suo nome, legata al Seminario vescovile. Nel 1877 Francesco Viani ottiene di poterla ripristinare dotandola di un legato di 37 messe feriali. Viene ribenedetta il 4 ottobre 1888 dall'arciprete don Savoldi e dedicata ancora al S. Nome di Maria.




SANTELLA DI S. MARTINO. Eretta all'ingresso di casa Donneschi per desiderio di fra' Emanuele Donneschi, missionario in Terrasanta, viene benedetta nel marzo 2001. Ospita una copia della pala della chiesa di S. Martino.




EDICOLE. in un cortile di via Trieste con affresco riproducente la Madonna, datato 1874; nei pressi della farmacia, raffigurante la "Sacra Famiglia"; su casa Moretti con una scultura raffigurante l'Annunciazione.


Tra gli EDIFICI di Virle hanno un notevole rilievo i palazzi Lana (poi Sberna) con un singolare porticato; Avoltori, poi Confortini, e il palazzo Avoltori poi Provaglio, costruito in due riprese, nel '700 e nell'800. La prima casa a sorgere, scrive Fausto Lechi ("Dimore bresciane", VII, pp. 335-336), «fu quella verso sera col suo bel portico, un po' schiacciato dal peso del piano superiore, a cinque arcate con pilastri di pietra molto lavorati con tre grandi doppie fasce ad accento circonflesso. Novità assoluta fra noi. La facciata è semplice, nobile e il gran vuoto fra le finestre e il cornicione è abilmente riempito da piccoli ovali in stucco con fregi. Interessante il portalino in pietra, a fasce e rosoni alternati, con un mascherone in ghiera. Sul portico si affacciano dei grandi locali con volte a crocera; sul fondo del portico una torricella che, con due archi ed una cancellata, immette nel vigneto. All'esterno della torricella resti di decorazioni settecentesche e fra i due archi trifore a roccailles. L'altra casa, più recente, ha pure un portico con colonne a tre arcate larghe e cinque più strette che si protende verso mattina. Ma i due porticati sono uniti, a cannocchiale, da un piccolo androne verso il brolo, a sera. Al primo piano vi è un ampio salone verso monte con grandi stucchi secenteschi sulla volta: cornici, festoni e putti, che si ripetono sul camino attorno ad un grande stemma Avoltori. Una deliziosa piccola galleria si apre sul portico a sera, tutta decorata con molto gusto dall'aggraziato barocco del nostro Settecento. E così dicasi di tre sale vicine verso monte che, oltre alla buona decorazione, che investe anche le pareti, hanno ancora le originali porte in noce sagomate».


Per le vie del paese si notano altre abitazioni interessanti, fra cui una casa quattrocentesca con stalle e depositi a pian terreno e abitazione al piano superiore; un'altra degna di nota è in via Zanardelli con portale del '500. Di rilievo villa Baga, di stile liberty, progettata dall'arch. Tombola all'inizio del '900.




ECONOMIA. Nonostante quanto si ritiene da qualcuno, probabilmente la prima attività economica fu l'agricoltura, favorita dalla fertilità del suolo nella zona di pianura di quel triangolo Virle-Desenzano-Salò privilegiata per le condizioni naturali in confronto di altre zone montane e della stessa pianura. E ciò fino al sec. XV-XVI. Un'agricoltura, sottolinea E. Ferraglio ("Rezzato, storia di una comunità", p. 155) «non specializzata. Il terreno agricolo, che pure era abbondante, produceva essenzialmente legumi, erba e fieno, una discreta quantità di vino e soprattutto le "biade"; venivano chiamati in questo modo tutti i cereali indistintamente (frumento, orzo, avena, miglio, panico, segale). Di questi, la preponderanza era data dai cereali "minori", perché servivano per l'alimentazione contadina, mentre il frumento veniva quasi integralmente esportato verso i grandi mercati agricoli o verso le città. Lo stesso dicasi per il vino di qualità, generalmente riservato alle mense padronali, sostituito dal semplice vinello per bevanda dei contadini. Il mais, che era stato introdotto nelle campagne bresciane nei primi anni del Cinquecento, divenne oggetto di coltura estensiva solo verso la fine del secolo e gli inizi del successivo».


Il Da Lezze nel 1610 dichiara che «la campagna vien detta fertilissima, con campi che possono raggiungere persino il valore di 200 scudi», mentre i monti sono sterili «e non pascolivi». In questo tempo si sviluppa l'allevamento del baco da seta che porta la presenza di fornelli per la filatura e fino agli anni '30 del sec. XX di una filanda a vapore di Tommaso Scattorelli e Filippo Nava.


Dal sec. XV in poi l'agricoltura è accompagnata e anche superata dallo sfruttamento delle cave sia di marmo, ma più ancora di calcare di corna. Difatti, già alla fine del sec. XVII prevale la fabbrica di calcina, in apposite fornaci. A metà del sec. XVIII, data la minore raffinatezza del marmo estratto, Virle conta solo 9 tagliapietre a confronto di Rezzato che ne conta 31; più intensa invece l'attività di far calchere. Scavi di pietre vengono segnalate nel 1667 dal deputato alle miniere di Venezia. Tra le cave più antiche vengono indicate quelle delle "Parti"; relativamente antiche sono la "Medeghini" e la "Ventura". Nel 1899 nasce la ditta Giacomelli e Fovel che gestisce una fornace per la produzione di calce per uso di industrie chimiche, calce per costruzioni e calce per l'agricoltura. Alla fine dell'800 sono presenti altre fornaci di calce: "Annibale Sberna", Verzelletti, Bossini, Confortini. Di rilievo, nel 1906, l'Industria dei marmi Vicentini s.p.a. per la produzione di marmi e lavorati. L'anno appresso, 1907, viene fondata, in collegamento con la ditta Gaffuri-Massardi di Mazzano, la Lithos che in pochi anni diventa leader nella lavorazione della pietra. Più recente l'Industria Marmi Vicentini dei fratelli Marzotto (1920). Nel 1937 nasce la Società industriale mineraria di Virle. Sempre negli anni '30 sono attivi tagliapietre quali Guglielmo e Silvio Zani, Severo Trotta, ecc. Del 1953 è la Borgassi di Piacenza, del 1960 la Ideai Marmi e di seguito la "Rag. Sartori", le "Industrie Estrattive Granulati", la "Stradedile". Nel 1977 cessano la loro attività le cave di San Martino. All'industria mineraria nel 1938 se ne aggiunsero altre, quali quella meccanica, con la fondazione, per iniziativa di Ernesto Portesi, della autocarrozzeria col nome di Officine Meccaniche Utensili e, in seguito, "Officine Autocarrozzeria". Nel II dopoguerra sorgono, fra le ditte meccaniche, la Fratelli Scaroni SDF (1960) per la fabbrica di mobili di cucina, le ditte di pezzi meccanici Luigi Guarisco, Giovanni Goini, Silvio Goini e le officine Augusto Comelli. Nel 1967 nasce la Bosio Motori Avio s.r.l. Attivo negli anni '70 il calzificio Zizioli Piccinelli.




PERSONAGGI. Predicatore di grido fu, a metà del sec. XVIII, don Paolo Capretti. Si ricordano anche don Giovanni Battista Carboni (1783-1867) (v.), benefattore e patriota; il conte Scipione Provaglio (v.) (1829-1903), promotore del progresso agricolo; il dott. Giuseppe Cornacchia (1800 - ?), ingegnere minerario, emigrato in Bolivia, fondatore del periodico "La Bolivia agricola"; Italo Zaina (v.) (1892-1982), geologo e scrittore; don Vittore Antonelli (1903-1969), prevosto di Gussago; padre Pietro Turati, martire in Somalia (morto l'8 febbraio 1991). Fra gli scultori si segnalano Leonardo Bertoli (1896-1973) e Angelo Confortini. Fra i pittori Natale Donneschi.




PARROCI - ARCIPRETI: Giovanni Sala (-1370), Benadusio di Vallio (1370-), Giovanni Tornelli (1388-), Giovanni Giusto (1474-1475), Giovanni Battista Coccaglio (1532), conte Schinelli (rin. 1557), Tommaso Zannini (1557-), Pietro Gazario (1561-), Giampietro De Plebe (1561-1574), Antonio Bazzoni (1574-1610), Giacomo Migliorati (1610-1630), Giov. Battista Guarneri (1630-1641), Pietro Bernardino Cornali (1641-1651), mons. Paolo Boselli (1651-1652), Giuseppe Rossi (1652-1658), Andrea Veneziani (1659-1683), Pietro Aldotti (1684-1700), Giovanni Battista Locatelli (1700-1721), Giuseppe Simoni (1721-1748), Francesco Correnti (1748-1787), Giovanni Pietro Bianchini (1787-1829), Giampietro Felice Porta (1829-1837), Giacomo Zanelli (1837-1863), Faustino Savoldi (1863-1906), Giuseppe Landi (1906-1944), mons. Pietro Perletti (1944-1966), Giuseppe Cominotti (1966-1989), Faustino Prandelli (1989-1998), Damiano Moreschi (1998-2004), Sandro Gorni (dal 2005).