TEATRO Romano di Brescia

TEATRO Romano di Brescia

È a oriente del Capitolium, (v.), dal quale è separato mediante l'aula detta "dei pilastrini", una specie di "foyer", parte integrante del Teatro stesso che si può far risalire all'epoca augustea. Con i templi flavio e repubblicano, chiudeva a N l'antico nucleo politico-religioso di Brixia, limitato a S dalla basilica o "Curia". L'antico sconosciuto architetto lo edificò con la cavea adagiata sul declivo del Colle Cidneo, secondo l'uso greco, applicato anche nel mondo romano, quando le condizioni del terreno lo permettevano. La fronte, inoltre, divergendo lievemente dall'orientamento del decumanus maximus, faceva sì che il complesso si adattasse meglio alla configurazione del suolo.


L'AREA


Che occupasse una vasta area lo dimostrano gli imponenti muraglioni a semicerchio della cavea, e inoltre si nota la divisione della cavea in due sezioni da un praecinctio; mentre i parodos non furono forse a rampe, ed il proscaenium - ossia il logeio greco - fra le parascene aveva una lunghezza considerevole. Nel teatro greco l'area dell'orchestra era più vasta perché vi trovava posto anche il coro, mentre nel teatro romano il coro era abolito o poco usato, tanto che nell'orchestra si ponevano i sedili per i senatori: Vitruvio (16 a.C.) scrisse: " In orchestra senatorum sunt sedibus loca designata". I notabili bresciani tenevano qui i loro consigli, come attesta un documento dell'anno 1173 in cui si dice che anche i consoli della giustizia si radunavano in quel luogo: "In Theatro civitatis Brixiae super gradum in quo morantur consules". Poteva contenere 15 mila persone. Mirabella Roberti ha scritto, avvalendosi delle ultime scoperte archeologiche: "Il diametro massimo si aggira sugli 86 metri, mentre l'apertura della scena era di 48 metri, e l'altezza complessiva dell'edificio di metri 24. Non è ancora possibile dare il diametro dell'orchestra. Il piano della parodos occidentale, che dà anche accesso all'aula a pilastri - fra il teatro ed il Capitolium - è di tre metri più basso della platea capitolina e di cinque metri più in basso dell'attuale piano stradale". Sussistono alcuni dei muri semicircolari. Notevole quello che corrispondeva alla parte esterna della prima praecinctio, di cui resta anzi quasi un terzo della volta che vi insisteva per tutto il semicerchio dell'edificio e che copriva l'ambulacro semicircolare più prossimo alla càvea (per un tratto del settore orientale resta anzi tutta la volta e quindi parte dell'ambulacro). "Da questo ambulacro partono almeno 4 corridoi radiali di cui due sono superstiti a 45 gradi dell'asse del teatro, e che accoglievano probabilmente delle scale, poi demolite. Un terzo corridoio è prossimo alla parodos occidentale e ad esso portava una scala, che sale da questa parodos, in parte conservata almeno nel nucleo murario che reggeva i gradini di pietra. Dal pianerottolo in parte conservato (mt 5 per 3) col pavimento in lastroni di botticino, sale una bella scala fra due muri semicircolari (uno è l'esterno da questa parte del teatro). La scala di 30 gradini - larga mt. 1,80 - porta ad un ripiano superiore (alto dal piano dell'aula a pilastri mt. 12,50) dove sussistono resti delle costruzioni delle gradinate e un ambulacro semicircolare conservato con la sua vòlta per uno sviluppo di 23 metri. Questa vòlta reggeva evidentemente parte della summa càvea, a mt. 22,50 dal piano dell'aula a pilastri. Contro il muro di questo ambulacro con molte probabilità si disponevano due loggiati sovrapposti, come nel teatro di Tergeste. In tal modo doveva avvenire anche contro l'ambulacro più basso (quello di cui resta mezza volta): così il teatro di Brixia sembra si presentasse con una successione di logge, che dava all'edificio un aspetto particolare e sfruttava il teatro in piani sovrapposti senza richiedere un eccessivo sbancamento della roccia. La pianta della scena ricorda quella adrianea del teatro di Corinto con le nicchie che non hanno curve profonde, ma il fondo rettilineo a raccordi lievemente curvi ai lati. Altre nicchie anche a Brescia erano all'esterno per statue o fontane. Il pavimento della nicchia centrale in lastre di botticino ben conservato; della porta hospitalis occidentale restano alcuni gradini in due serie e sui plinti le basi delle colonne e un pezzo di colonna in marmo sbrecciato. Al piedi del piano della scena il piano dell'iposcenio, di mt. 1,60 più basso, come si è detto, in cocciopesto. Da esso sorgono coppie di pilastrini in botticino, che reggevano il palcoscenico, il quale costituiva così una cassa di risonanza al recitare degli attori. Avanti esso sono ancora nove pietre forate che servivano al complesso meccanismo per il movimento dell'aulaeum sollevato durante gli intervalli". I teatri romani furono i primi ad usare il sipario - aulaeum - che, invece di essere calato dall'alto in basso era innalzato dal basso all'alto per mezzo di corde e canne scorrenti l'una nell'altra (aulaeum tollitur).


L'EPOCA


Solo uno scavo completo ed uno studio accurato potranno convalidare quelli che per ora si rivelano puri indizi. Pare, ad ogni modo, che la sua prima costruzione possa risalire all'età tardo repubblicana od augustea, quando per la prima volta la nostra città si dette un piano urbanistico: collocato accanto al tempio, sembrerebbe così ricordare la sua arcaica utilizzazione per assemblee o cerimonie religiose. Agli inizi del primo secolo d.C. risalgono pure i teatri di Verona, di Milano e di molte altre città della Cisalpina. Abbellito successivamente in epoca flavia, come dice Gaetano Panazza (v.), e come dimostrano cornici, cassettoni, bassorilievi scoperti nel 1913 e conservati nei magazzini del palazzo Maggi-Gambara, fu ampliato per iniziativa di un qualche facoltoso committente locale alla fine del II secolo d.C., in epoca severiana, quando più massiccia si fece la presenza di Brixia nella vita politica dell'impero. Si invase allora l'ambiente orientale del Capitolium, da altri considerato come la IV cella, per poter aggiungere la summa cavea e la relativa scala di accesso. Pure in questa fase più alacre si fece l'opera dei bresciani, impegnati nella decorazione architettonica del monumento. A questo periodo risalgono difatti un gruppo di capitelli compositi di lesena dalla foglia mediana con costolatura acantizzata, alcuni frammenti di grandi capitelli con figure di guerrieri al centro dei lati e Vittorie agli angoli, resi con tipici tratti provinciali, nonché numerose cornici ed architravi il cui ricco ornamento, perso ogni aggancio reale, assume un valore puramente decorativo.


LA STORIA


Come si legge nel "Museo bresciano illustrato" del 1838 nei primi decenni dell'800 del teatro si conoscevano solo alcuni avanzi della cavea. Su iniziativa dell'Ateneo di Brescia e su istanza del pittore Luigi Basiletti (v.), grazie a sussidi del Comune vengono tra il 1823 e il 1826 avviati i primi scavi. Dalla terra vengono restituiti oggetti di bronzo assai pregevoli e il 20 luglio del 1826 Brescia e con lei il mondo, apprende della scoperta della celebre statua della "Vittoria", magnifico esemplare in bronzo. All'inizio del '900, scavi sono effettuati a più riprese. Nel 1913, è visibile solo la cavea, fra il 1932 e il 1935 vengono messi in luce la scena con i resti delle porte, i pilastri del proscenio, le colonne in botticino, porfido, caristio, rosso di Verona, ed alcuni bassorilievi di alto interesse artistico. Nel 1956 Ignazio Guarnieri, assistente agli scavi del Comune di Brescia, individua la seconda rampa occidentale posta tra due muraglioni ricurvi e concentrici del teatro. Nel 1962, a cura del Comune, nella zona occidentale della summa cavea si riportano alla luce il livello originario di un tratto dell'antico ambulacro e, sempre nello stesso settore, la scala discendente alla media cavea, mentre il personale della Soprintendenza alle Antichità della Lombardia, sotto la guida del prof. Mario Mirabella Roberti, mette in luce parte del settore orientale della gradinata della cavea. Nel 1963, sempre a cura del Comune, si scopre il collegamento ad E fra summa cavea e media cavea. Nel 1966 la Soprintendenza inizia a tagliare il terrapieno incombente sulla volta dell'ambulacro della summa cavea. Nel 1975, il personale della direzione dei Musei di Brescia, affiancato da quello dell'ufficio tecnico comunale, riapre l'ingresso occidentale al Teatro. Nel 1975-76 viene trovato anche il passaggio fra teatro e l'aula dei pilastrini. Nel 1976 emergono tutti i frammenti architettonici del frontescena. Impressionante un portale fatto di grossi blocchi di pietra sormontato da un solo architrave, un monolito da sei tonnellate che permette di ipotizzare un passaggio fra il tempio e il teatro. Nel 1977 abbiamo il rilevamento grafico e fotografico di tutti i pezzi architettonici, circa un migliaio, appartenenti alla decorazione scenica, ma forse anche all'ambulacro che decorava la cavea. Nel 1980 viene alla luce un tratto di scena, parte della versura e dello haditus. Nel 1997, scavando in via Musei 67, emerge un tratto di basamento visibile per oltre sei metri. Doveva fiancheggiare il lato settentrionale del decumano massimo e doveva essere relativo al prospetto su strada dell'edificio scenico del teatro romano. I disegni, eseguiti dagli architetti polacchi Kasprzysiak e Smòiski, contribuiscono non solo allo studio dettagliato delle varie fasi di vita del Teatro, ma anche alla ricostruzione vera e propria della frontescena. Si procede alla demolizione di alcune costruzioni sovrapposte, liberando in tal modo parti dell'emiciclo e della scena.


Sulla zona occidentale della cavea incombe tuttavia il palazzo Maggi-Gambara (v. Palazzo Gambara) (sec. XIV-XVIII), che cela parti essenziali di questo notevole monumento impedendone l'esatta conoscenza. Sebbene imponenti siano i resti finora recuperati, ugualmente essi non possono dare che una pallida idea di quello che doveva essere il Teatro Romano al tempo del suo splendore. Nel 1993, in vicolo Deserto, durante lavori di ristrutturazione viene messo in luce un basamento in pietra di Botticino riferibile all'ingresso orientale della scena. Dai ritrovamenti risulta che l'edificio, posto su un complesso sistema di costruzioni, venne costruito a piccole pietre squadrate di medolo e marmo di vario tipo e, solo nel punto più alto dell'ambulacro, a liste di doppi filari di mattoni ad intervalli non sempre regolari. Era di tali dimensioni (86 m. il diametro esterno, 48 m. quello interno e 24 m. l'altezza massima) da poter contenere circa 10-15.000 spettatori ed essere così considerato fra i maggiori della X Regio Augustea, Venetia et Histria, dopo Verona e Pola. In confronto alla grandiosità d'allora, ben poche sono le rovine che oggi si possono vedere in sito. Da una descrizione più particolareggiata risulta che della cavea resta solo lo scheletro con alcuni ordini di gradinate (praecinctiones) in prossimità della conistra (l'area riservata agli spettatori di riguardo fra le gradinate e la scena), i più importanti muri semicircolari, le volte di alcuni corridoi radiali (vomitoria), attraverso i quali il pubblico si distribuiva sulle gradinate, e parte della media e summa cavea, quest'ultima retta da una galleria anulare, parzialmente conservata e contro la quale si è supposto fossero disposti due loggiati. Degli ingressi (aditus) completamente in luce è quello occidentale con pareti e pavimento in pietra di Botticino e il passaggio all'orchestra sormontato da piattabanda, mentre per quel lo orientale sono visibili parte delle murature e l'accesso, ora chiuso, alla scala che portava alla prima gradinata. Benché parzialmente conosciuta, la scena offre motivi di particolare interesse: doveva difatti essere animata da una columnatio a tre ordini con colonne in granito, breccia e marmo. La frontescena, inoltre, paragonabile a quella del Teatro di Hierapolis (Turchia), presenta tre nicchie curvilinee, corrispondenti alle porte tradizionali, le valvae regiae al centro, le hospitalie ai lati, con protiri colonnati e pavimenti in lastre di botticino. A metri 1,60 dal livello della scena si nota il piano dell'iposcenio in cocciopesto con i pilastrini, che sostenevano il palcoscenico, e nove pietre forate, che servivano per il sollevamento del sipario (aulaeum) e che sono poste ad intervalli di 2 mt. l'una dall'altra. Al centro dello stesso iposcenio si nota un canale di scarico dell'acqua, che doveva essere congiunto con quello, detto euripus, che circondava la conistra (orchestra). Degne di menzione sono pure le vasche ed i condotti in cocciopesto, rinvenuti nella cantina dalla Direzione dei Civici Musei nel 1975: queste, secondo un'ipotesi del prof. Frova, potrebbero appartenere a un impianto tardo romano relativo a spettacoli d'acqua. Probabilmente venne dismesso nel IV o V sec. O forse , la scena e la frontescena crollarono in seguito, nei secoli V o VI, per terremoto, o vennero incendiate durante le invasioni barbariche.