SANTICOLO

SANTICOLO (in dial. Santicol o Santecol, in lat. Santiculi)

Frazione di Corteno Golgi e parrocchia autonoma. Sorge a 905 m. s.l.m., a 5 km. a SO di Edolo e a SE di Corteno, sul versante di destra della Val di Corteno e del fiume Ogliolo.


Il comune, prima di essere assorbito nel 1928 in quello di Corteno, aveva una superficie di 7 kmq. Sorge, come scrivono nella loro "Guida della Valcamonica" Pedersoli e Ricardi, sulle pendici settentrionali del Piz Tri (2308), solcate dalla Valle Moranda e dalla Valle di Trivigno confluenti nell'Ogliolo con i versanti ricchi di boschi cedui e di conifere. Il paese si sviluppa sulle sponde del ruscello Fontana del Mare che si avvia dalle alture emergenti tra le due valli suddette, dove sgorga la sorgente omonima.


Il territorio si trova su rocce semi-cristalline del periodo azoico e palezoico qua e là attraversate da filoni dioritici. Decantate ancora agli inizi del '900 le acque ferruginose di Santicolo e di Corteno.




ABITANTI (Santicolesi): 200 nel 1493; 400 nel 1562; 450 nel 1567; 330 nel 1603; 234 nel 1646; 300 nel 1652; 266 nel 1656; 268 nel 1658; 300 nel 1667; 250 nel 1672; 241 nel 1732; 250 nel 1760; 263 nel 1775; 245 nel 1791; 246 nel 1805; 267 nel 1819; 210 nel 1835; 210 nel 1848; 274 nel 1858; 300 nel 1868; 315 nel 1870; 335 nel 1875; 357 nel 1887; 357 nel 1898; 420 nel 1903; 420 nel 1913; 376 nel 1926; 400 nel 1939; 461 nel 1949; 491 nel 1963; 534 nel 1971; 500 nel 1981; 503 nel 1991; 501 nel 1997.


Scartata assolutamente e come ridicola l'etimologia che vuole che il nome significhi "sancti incolae" cioè santi abitanti o abitanti in luogo sacro, bisogna ricorrere al termine "Salticuli" dal latino "saltus" nel diminutivo "salticolus" cioè abitanti di un podere, di un pascolo, di un piccolo passo o valico o luogo aperto. In effetti la strada antica Valeriana o Regia che sale da Edolo, dopo Santicolo discende prima di risalire a Corteno. Per Santicolo in effetti un sentiero preistorico passò per secoli, era l'unica strada (Valeriana) che unì la Valcamonica alla Valtellina e poi i Grigioni attraverso il passo dell'Aprica.


A Santicolo esisteva ancora la Piazza dei pagani oltre alle buche pure dette dei pagani, specie di gallerie dove la tradizione vuole siano vissuti i primi abitanti e dove in seguito la popolazione si sarebbe rifugiata in tempo di guerra e di invasione.


Santicolo appartenne al pago e poi alla pieve di Edolo. Sulla antichissima via che da Edolo saliva verso l'Aprica e verso la Valtellina, i Grigioni, venne aperto un ospizio per pellegrini e viandanti dedicato a S. Giacomo apostolo che rimane titolare della chiesa e patrono del paese. "Riguardo all'ospizio di Santicolo, ha scritto Giacomo Bianchi, si può bene arguire che esso fosse situato nella località fra la canonica e la chiesa attuali. È solatia e la prateria sottostante poteva servire per l'allevamento del bestiame e per trarne i beni indispensabili al mantenimento dell'ente. Questo si trovava nel passo piccolo o Salticulo che si incontrava salendo da Edolo".


Tradizioni locali raccolte anche da storici valtellinesi vogliono che su questa via nel 1095 il papa Urbano II sia passato da Santicolo per Pisogneto di Corteno per superare l'Aprica e attraverso la Valtellina e la Chiavenna raggiungere Clermont Ferrant da dove lanciò l'appello alle Crociate. A Santicolo ebbe possedimenti il vescovo di Brescia, elencati in documenti della mensa vescovile del 29 marzo 1299. Di parti di decime nel 1399 venivano investiti Magnono del fu Nigro Magnoni di Malonno e Signorini e Fachino del fu Manfredo de Doxi pure di Malonno. Nel 1423 e nel 1425 ne veniva investito Albertino q. Giovanni Gaioni di Nadro e nel 1423 Mastaino Federici di Gorzone otteneva riconferma delle decime già concesse ai suoi predecessori; e ancora nel 1445 e 1460 ai nobili Federici. I Federici furono i principali feudatari, passando poi alla parte ghibellina.


A Santicolo fuori del borgo, sopra un piccolo colle roccioso in comunicazione visiva con la rocca di Edolo e la rocca di Corteno, unico luogo solatio durante l'inverno, eressero un castello o un complesso difensivo che era ancora in parte visibile agli inizi del '900 i cui ultimi ruderi vennero demoliti prima della guerra 1915-1918. Infatti il Canevali, nel 1910, rintracciava alcuni consistenti ruderi alti fino a 15 metri e una torre poi completamente smantellati. In località dell'antica rocca dei Federici venne di recente costruito uno pseudocastello.


Si ripetono anche per Santicolo tradizioni e leggende riferite a Corteno o ad alcuna delle sue frazioni. Nel 1853 nella sua "Storia di Valcamonica" Agostino Caggioli registra "vecchie cronache" secondo le quali nei "prischi tempi" i Federici "dando asilo ad una ciurma di Zingari, che non sapeva, vagando, ove collocarsi, vi eressero sotto i loro auspici la piccola terra di Santicolo. Ed è appunto per questa ragione che i Cortenesi hanno sempre ritenuto, che i Santicolesi non potessero aver diritto a compartecipazione alcuna sulle montagne che preventivamente dagli antichi abitanti di Corteno furono occupate. Di fatti tra questi due comuni si agitò per più di tre secoli una lite e processi avanti i tribunali per una montagna che da antico tempo incominciarono dietro certe mal fatte e trascurate locazioni di essa montagna i Santicolesi ad usurpare ai Cortenesi. Sotto il Governo Italico ottenne Corteno un decreto favorevole dal Ministro dell'Interno". Ciò scrive. Ma in verità i Santicolesi nel 1787 vinta la battaglia con i Cortenesi edificarono a ringraziamento la santella di Travalco. È certamente più attendibile la tradizione che ritiene come i primi abitanti di Santicolo fossero degli assoldati da parte dei signori Federici quali mandriani custodi delle proprietà e soprattutto difensori presso la torre. Le abitazioni furono costruite a monte per la presenza dell'acqua (torrente e pozzi ancora esistenti e funzionanti fino al secolo presente) e zona più mite durante il gelido inverno.


La presenza dei Federici continuò a lungo. Dal «Transunto delle pergamene dei Federici» esistente nell'Archivio di Stato di Brescia si ricava quanto segue: «Il 17 giugno 1438, Pietro fu Giovannino di Edolo vende a Goffredo nob. Federici di Erbanno, abitante nella rocca di Mu, fitti livelli dovutigli ogni anno a S. Martino da Bartolomeo Moreschi di Santicolo, sopra una pezza di terra con Ospizio esistente in territorio di Santicolo, contrada Mezulli».


A Santicolo mantenne beni anche la Pieve di Edolo per cui un designamento di beni fra la Pieve dì Edolo e il Comune di Santicolo siglato il 4 febbraio 1440 nel fienile di Martinazzo de Mogis (o Moiis cioè Moia) fra Bettino de Cornello, amministratore della Comunità di Edolo e Dalegno e Comino q. Gregorio Soneghini di Santicolo, console a nome del comune degli uomini di Santicolo risulta che la Pieve di Edolo ha nel Comune di Santicolo un bosco, un prato, la quarta parte di tutte le decime della comunità di Santicolo la quale deve versare alla Pieve ogni anno "sei some di biade, cioè segale, orzo e un capretto ben pasciuto".


Già nel sec. XV si va affermando sempre più il Comune che cogli uomini di Santicolo dal 1465 ottiene investiture feudali dal vescovo, ripetute nel 1478. E gli uomini di costì devono distinguersi in modo particolare se il 6 dicembre 1438 il vescovo incarica Giovanni Giacomo di Santicolo di fargli da procuratore in una lite in Valcamonica. In confronto con altre contrade che si aggregarono a Corteno, Santicolo rimase orgogliosamente autonomo conducendo vere battaglie con Corteno stesso per la propria autonomia e specialmente per la definizione dei confini che continuarono, a detta di Giacomo Bianchi, fino al 1912. A quanto ha appurato don Daniele Lazzarini su documenti d'archivio: "La lite fra Corteno e Santicolo per il possesso della Malga Campadei, iniziata nel 1553 sarà terminata legalmente con sentenza favorevole emessa dall'Eccellentissimo Tribunale della Serenissima in data 9 giugno 1787. A tale scopo la comunità di Santicolo stipendia un procuratore plenipotenziario a Venezia, sig. Bortolo fu Giacomo Pedrazzi, il quale si conquista la protezione di un membro del Gran Consiglio tra i nobili di Venezia: Bernardo Memmo. A perenne ricordo di tanto desiderato patrocinio (forse anche dominio) sulla casa del Comune di Santicolo ancor oggi esiste una lapide con lo stemma gentilizio della Famiglia Veneta e la scritta: 1793. S.E. N.H. Bernardo Memmo". Inutile però rilevare come Santicolo abbia visto in continuità truppe di passaggio nelle varie guerre tra Milano, l'Impero e Venezia, quelle per i Grigioni e nelle guerre di religione in Valtellina.


Tutto ciò contribuì, data la povertà del suolo, finite le guerre del sec. XV, a convincere i santicolesi a trovare, come scrisse Alessandro Sina: "in altro campo un mezzo per migliorare le proprie condizioni e fu quello di dedicarsi molti di essi al mestiere di muratore. Non sappiamo a quale epoca risalga tale attività, risulta però che nel secolo ora ricordato essa era in pieno sviluppo, tanto che si era sentita la necessità di una organizzazione che si concluse col formare la «Compagnia o Scola de li Murari di Santicolo», la quale ebbe vita fino al secolo XVIII e che divenne un vero vivaio di operai e maestri muratori, i cui nomi sono segnati nei registri di Fabbrica delle chiese valligiane dal secolo XV al secolo XVIII. Purtroppo però la mano d'opera dei muratori di Santicolo, anche per la concorrenza di quelli di Cortenedolo, Vico e Vezza non potè essere sempre assorbita dai lavori in Valle, per cui molte volte spinti dalla necessità furono costretti a cercare lavoro altrove". Tra questi, il Sina cita il caso della famiglia di mastro muratore Zentilotto che verso la fine del '400 lasciò Santicolo, sua patria, per portarsi ad Ossana in Val di Sole, dove doveva aver trovato da lavorare forse presso quella chiesa arcipresbiterale che si stava allora costruendo diventando poi una vera stirpe che diede personaggi importanti ed un ramo della quale ebbe il titolo baronale.


Nella seconda metà del 1700 intere famiglie di Santicolo (Salvadori - Togni - Pedrazzi), emigrano a Brescia dimorando nelle contrade S. Giovanni Evangelista e S. Agata chiamate alla costruzione di ville in periferia e case di abitazione in città. Si distinsero in modo particolare i discendenti della famiglia Togni (Fontaner) i quali alla fine del secolo scorso nel signor Giacomo (padre) e soprattutto Giulio (figlio) Togni ebbero rinomanza non solo italiana ma europea. Senza abbandonare definitivamente l'arte muraria (Albergo Vittoria) hanno iniziato a progettare e realizzare condotte idriche per acquedotti (acquedotto di Brescia città) con l'invenzione e applicazione di condotte forzate costituendo una vera industria: «Tubi Togni».


Parimenti altro congiunto di questa famiglia Togni (Fontaner) rimasto a Santicolo discese in città alla fine del secolo scorso ed ha saputo mostrare abilità e capacità tecnica ed imprenditoriale nell'arte muraria edilizia accasandosi in via Mantova: Cav. Giuseppe Togni deceduto nel 1972 (anni 85).


Opere realizzate: Villa Perlasca sui Ronchi; Chiesa Santa Maria della Vittoria; Convento Suore Clarisse Goletto, ecc.


Nel tempo si era rassodata la fedeltà a Venezia, particolarmente attenta alle terre di confine. Nonostante le ristrettezze economiche dovute alla crisi il 2 aprile 1797 la "pubblica e general Vicinia", riunita nella casa del Comune, deliberava a piena maggioranza di opporsi con le armi alla Rivoluzione giacobina che il 17 marzo aveva piantato in Brescia "l'arbore della libertà e distrutte le impronte e le statue di S. Marco" comminando la pena di 50 lire a chi non avesse aderito. L'8 aprile poi la pena veniva ribadita. Ma già il 17 aprile, a maggioranza, venivano nominati due rappresentanti che andassero a Breno per eleggere uno o due delegati che a loro volta si recassero a Brescia "per arrolarsi e ricevere quel piano che stimava più utile e vantaggioso al Corpo ed alla Comunità". Il 23 aprile poi "desiderosa la Comunità nazionale di Santicolo d'unirsi a fraternizzare con l'attuale Governo Provvisorio di Brescia, rappresentante la sovranità del popolo bresciano ha eletto le persone di Pietro Giacomo Rizzoni e Francesco Togni acciò si portino a Brescia a giurare a nome del Comune suddetto fratellanza ed a riconoscere gli attuali rappresentanti provvisoriamente costituiti autorizzando li suddetti due suoi deputati a ciò fare nel migliore dei modi che più parerà opportuno". Tuttavia dovette trattarsi di una sottomissione pro-forma. Quando nel 1801 il governo napoleonico ordina l'annessione del comune di Cortenedolo a quello di Santicolo che, trovandosi sulla strada Valeriana è più facilmente controllabile, i due comuni insorgono, incitati anche dai parroci che temono l'unificazione delle parrocchie.


Come scrive Giacomo Bianchi: "Nascono bisticci, beghe a non finire" giacché due popolazioni non si tollerano anche per motivi atavici. Anche se hanno messo insieme delle buone economie, ognuno non vede che il proprio benessere e perciò vorrebbe usarle, sebbene parcamente, a suo beneficio. Si tira avanti così, scrive il Bianchi, con danno economico del nuovo comune che non si dà pace: ricorsi a destra, ricorsi a sinistra, molto dispendiosi fino a quando finalmente, nel 1813, i due paesi ottengono ciascuno la propria autonomia, fra suoni di campane a festa e falò di gioia sui monti. Nell'aprile 1799 anche per la tensione ai confini con il Tirolo a E e a N e con i Grigioni a O che diventano teatro di scaramucce fra francesi e austriaci, Santicolo subisce una vera e propria occupazione di truppe francesi con conseguenti requisizioni di ogni ben di Dio.


Come ha rilevato Daniele Lazzarini: «La presenza di truppe francesi in Santicolo segna nella presente storia un grande vuoto, poiché tutti i registri della parrocchia mancano di annotazioni anche nei dati anagrafici canonicamente comandati, fatta eccezione del registro dei battezzati dal quale risulta: "1799: 15 aprile. La soprascritta Maria Giacomina Galli fu stata dilazionata nella iscrizione al libro parrocchiale per causa che in tale tempo era pieno di truppe francesi per tutte le case e maggiormente nella casa del parroco...". Una ciurma di accattoni si aggira nelle varie case in cerca di un tozzo di pane ma pure sempre pronta a ruberie o scassi. Nell'anno 1800 da parte del Nuovo Governo Francese viene richiesta una nuova talgia o tassa; imposta di denari 24 per ogni scudo di estimo. Inoltre una terribile epidemia del bestiame bovino ed ovino e per concludere: passaggio di altre truppe provenienti dalla Valtellina alle quali provvedere alloggio, cibarie e legna. Nel 1801 ci fu carestia così che non fu possibile fare colletta alcuna e nel 1803 avviene un terribile incendio».


Più tragici ancora sono gli anni che seguono con le calate dal Tonale di tirolesi e la presenza ovunque di sbandati e di disertori. L'8 maggio 1809 gli abitanti di Santicolo con quelli di Corteno, Cortenedolo, Sonico ecc. si uniscono a Edolo agli insorti tirolesi scesi dal Tonale su Ponte di Legno e Vezza, e partecipano all'insurrezione contro i francesi. Respinti il 9 dalle truppe francesi e italiane che occupano il Tonale pochi giorni dopo, il 12 maggio, sono gli insorti della Valtellina che all'Aprica e poi a Santicolo ingaggiano scaramucce e si scontrano con le truppe italo-francesi fino ad occupare Edolo il 14 maggio con 2000 insorti valtellinesi e 55 soldati austriaci comandati dal cap. Antonio Gritti, sconfitti poi dal gen. Polfranceschi. Nel 1814-1815 si fa sentire una terribile carestia che obbliga la popolazione a cibarsi quasi esclusivamente di erbaggi ai quali, sia pure con perplessità, si aggiunge la patata importata attraverso il Tirolo e la Valtellina. Per di più, abbondantissime e perduranti nevicate impediscono gli alpeggi mentre nel 1817 fa la sua comparsa il tifo petecchiale e il nuovo giovane parroco don Stefano Radici deve accompagnare, nei primi mesi di residenza, al cimitero ben 23 vittime dell'epidemia che si aggiungono alle 17 colpite dal morbo prima della sua venuta. In tutto in 5 mesi 40 morti sepolti per lo più in un lenzuolo per la mancanza di bare e portati al cimitero in gran segreto con una portantina letto acquistata in tutta fretta dal Comune. Gli stessi registri parrocchiali portano la singolare nota: «Osservazione: mancanti tutti gli atti di morte dal sopraddetto anno 1799 fino alla sottoscritta estesa; i quali atti saranno inseriti, se si potrà raccogliere le memorie autentiche, ossia per attestati. Adesso s'incomincia dall'anno infrascritto 1817».


Eppure è appena ripresa la vita normale che i santicolesi riprendono a costruire la loro nuova chiesa che viene finita nel luglio 1825. Nel 1828 Santicolo venne tassato per la costruzione della strada Pisogne-Marone di L. 1229,98. Con la costruzione della strada Edolo-Corteno-Aprica-Tirano realizzata negli anni 1849-1859, su progetto dell'ing. Porro, Santicolo rimase pressoché isolata, priva di commercio, per cui s'accrebbe l'emigrazione, mentre il comune viveva poveramente agendo attraverso la Congregazione di carità. Il 2 marzo 1876 un nuovo grave incendio distruggeva in men di un'ora tredici case, compresa la canonica e l'ufficio comunale. Nel mese di luglio 1933 un terribile incendio si sviluppa simultaneamente in due zone distinte della borgata (sembra incendio doloso) lasciando diverse famiglie nella miseria assoluta. Mons. Giacinto Tredici, nuovo Vescovo di Brescia, portandosi a Pontedilegno per la villeggiatura, visita la parrocchia, consola gli abitanti e consegna una somma da distribuire tra i sinistrati più bisognosi.


Nella I guerra mondiale Santicolo si trova nelle retrovie del fronte. Truppe e civili sono impegnati a costruire strade, trincee, postazioni di difesa sul monte Padrio e sul Piz Tri. Vige il coprifuoco e si circola solo con un particolare lasciapassare. Spesso si fa sentire il cannone. Nella guerra Santicolo sacrificava sei giovani vite alle quali dedicava una lapide in marmo ben lavorata e borchiata, collocata sulla facciata del nuovo fabbricato scolastico, negli anni 1930-1933, con la sopraelevazione del fabbricato asilo infantile (allora di proprietà più spettante alla parrocchia che al Comune). Con R. Decreto 5 agosto 1927 il Consiglio Provinciale dava parere favorevole all'aggregazione a Corteno del Comune di Santicolo aggregazione che diventava effettiva nel 1928. In seguito Santicolo condivise le vicende civili e amministrative di Corteno Golgi. Altri sei giovani vite venivano sacrificate nella II guerra mondiale mentre attiva fu la partecipazione dei santicolesi alla Resistenza che vide il sacrificio di Giovanni Marconi morto il 24 febbraio 1945 durante un rastrellamento nazifascista sul monte Padrio e l'olocausto nella casa di fronte alla chiesa di Santicolo della medaglia d'oro A. Schivardi, bruciato vivo per proteggere la fuga ai suoi compagni di lotta. A ricordo dei caduti della I e della II guerra mondiale nell'anno 1956 per iniziativa dei combattenti e reduci di Santicolo, sul terreno della Parrocchia di fianco al sagrato, in armonia con la facciata principale della chiesa parrocchiale, pochi metri lontano dal luogo ove la Medaglia d'oro Antonio Schivardi aveva immolato la sua vita, veniva eretto un bel monumento con basamento in granito, lastre di marmo per l'iscrizione dei nomi, quindi un monoblocco granitico (tonalite) a forma di piramide e sulla sommità una bella riproduzione in bronzo della Vittoria Alata di Brescia. Il tutto è recinto a sacrario. Questo monumento riporta i nomi di ambedue le guerre in modo simbolico con la scritta «SANTICOLO AI SUOI CADUTI IN GUERRA». Ad Antonio Schivardi venne il 30 settembre 1973 dedicata una lapide sulla casa in cui era perito con l'iscrizione: «Antonio Schivardi / Corteno Golgi 1910 1944 / Comandante di Brigata Fiamme Verdi / Medaglia d'Oro al Valor Militare / per salvare i suoi compagni / da soverchianti truppe nazi-fasciste / qui combattendo si sacrificò / solo contro l'ira nemica. / Il suo corpo / fu arso nel rogo di questa casa / ma non il suo spirito generoso. / L'Amministrazione Comunale 30-9-1973».


Negli ultimi decenni il paese ha cambiato fisionomia, aprendosi anche al turismo e allo sport specie di montagna. Nel 1910 nel centro dell'abitato con i materiali ricavati dai ruderi della Torre dei Federici venne costruito l'albergo della Torre. Nell'anno 1923 viene installata l'illuminazione pubblica: le vie del paesello, la chiesa parrocchiale, la canonica, la casa comunale, le scuole e la maggior parte delle abitazioni ne usufruiscono. Negli anni '50-'60 del Novecento i santicolesi da esperti muratori ricostruiscono le loro case, ne fabbricano di nuove moderne e così pure alcune ville per cui inizia un vero turismo estivo (milanesi-cremaschi ma pure toscani). Le varie feste paesane in modo speciale le ferie d'agosto richiamano anche gli emigranti stagionali oppure oriundi, perciò occorre una organizzazione efficiente. Da questa necessità nasce un'associazione: C.A.I. sottosezione di Santicolo. La parrocchia mette a disposizione il campo sportivo (il primo nella zona) ed affida la responsabilità delle varie manifestazioni agli intraprendenti soci di tale associazione. Nel luglio 1997 al passo Torsoleto (m. 2645) sulla cresta sovrastante il Lago Piccolo è stato inaugurato un bivacco dedicato a Davide Salvadori deceduto in un incidente stradale a 22 anni nel 1992. Sempre in ricordo di Davide Salvadori dal 1994 si tiene la "Skymarathon Trofeo Davide", gara di corsa in montagna. Dal 1994 il Monte Padrio e Santicolo sono sempre più teatro del volo libero.




L'ECONOMIA è sempre stata ed è ancora in parte agricola. Nel 1610 il Da Lezze nel Catastico annotava: «Qual è posta in sito molto selvatico, et li terreni producono un sol raccolto, eccetto che dopo il raccolto delle biave vi si seminano assai rape, de quali con le castagne che ancor ivi si raccolgono si mantengono gli habitanti la maggior parte dell'anno, venendovi poche biave. Quali habitanti sono tutti contadini, che attendono all'agricoltura, et puochi vanno fuori, et ivi sono due molini». Nel 1870 don Bortolo Rizzi scriveva «i terreni per la massima parte sono tenuti a prati, pascoli, boschi cedui ed in poca quantità resinosi; i campi producono segale, grano turco, patate ed in piccola quantità grano saraceno, orzo e frumento. La lana, tolta quella che serve ai bisogni del popolo, si smercia nell'agro bresciano e bergamasco. Una valle che passa nell'abitato e sbocca nell'Ogliolo, anima due molini del grano. Il comune è proprietario di una segheria sul torrente Val Moranda. I suoi 315 abitanti sono addetti alla coltura della terra ed alla cura del bestiame: 245 giovenche e 600 tra pecore e capre». Gabriele Rosa decantava, assieme a quelli di Edolo, «i piani fecondi di Santicolo fortemente concimati, al tramonto dell'estate sono lieti per distese verdissime e rigogliose di mais, che poi alla fine dell'ottobre non matura bene, perché troppo addensato ed avvinghiato da fagiuoli e da zucche. Se coltivassero il pignolino veronese e lo incalsassero rado, ne profitterebbero assai meglio». Soggiungeva ancora che tali terreni «sono acconci assai per suolo, per postura e per clima, alla produzione di frutta, come Merano e Bolzano. I tronchi di castani del diametro di sei metri a Santicolo posto ad 800 metri, sotto la torre dei Pagà, reliquia di rocca Federici, ed i magnifici alberi fruttiferi di quel seno, consiglianvi la frutticoltura, e la produzione de' vimini ricercatissimi anche dalla prossima Valtellina, vimini che ora pigliarsi ad innestare pure a Curten». Ancora oggi Santicolo è con Corteno e Monno una delle zone tipiche della coltivazione delle patate introdotte dalla Valtellina o dal Trentino durante le gravi carestie dei primi anni dell'800.


Pilota dello sviluppo agricolo è dal novembre 1978 la cooperativa "La Famiglia agricola" fondata da p. Marcolini per la valorizzazione della montagna e che organizzò subito una stalla cooperativa ed un piccolo caseificio sociale. Nel 1980 raggruppava 13 soci e amministrava alcune decine di ettari di prati e una cinquantina di bovini.


Anticamente in località di Lezzola esisteva un forno fusorio di rame ai piedi del Dosso Malga di Santicolo dove veniva fuso il metallo proveniente dalle cave del lago Rotondo e dalle pendici di val di Couzét (Campovecchio) e della val Brandet e che veniva portato alla fonderia Pruneri di Grosio in Valtellina. Trovandosi su una strada molto percorsa Santicolo fu anche, con Corteno, fino a metà dell'800 un piccolo centro commerciale, specie di granaglie.




ECCLESIASTICAMENTE dipendente dalla pieve di Edolo, sembra che Santicolo ne sia diventata indipendente nel sec. XV erigendo probabilmente in luogo della cappella annessa all'ospizio una chiesa da sempre dedicata a S. Giacomo apostolo o, come appare negli elenchi del Faino, ai S.S. Filippo e Giacomo. La parrocchia era già attiva nel 1465 quando il vescovo impose alla chiesa di S. Giacomo di Santicolo di dare un contributo al prete Pietro di Vione. Molto più sappiamo dagli atti delle visite pastorali del sec. XVI. Il 5 agosto 1562 mons. Giacomo Pandolfi trovava in ordine "tutte le cose". Nella sua visita del 20 settembre 1567 il vescovo Bollali trovava la chiesa consacrata, ordinava che venisse imbiancata dove non era affrescata, che venisse tolto l'altare fuori della chiesa e si riducesse l'altare di S. Caterina e rinnovasse la pala di S. Giacomo. Assieme ad altri minori provvedimenti riguardanti suppellettili o altro raccomandava che fosse istituita la Confraternita del SS. Sacramento e che si facesse il catechismo ai bambini. Il vescovo poi liberava il rettore dall'obbligo di dare la decima dei beni della chiesa al comune. Sei anni dopo nel 1573 certo per influenza francescana esiste la Disciplina con 30 confratelli. San Carlo Borromeo nel 1580 tra i vari provvedimenti di non grande rilievo ordina che venga eretto il battistero in una cappella apposita, si rifaccia il pavimento, si costruisca un altare, si sostituisca con uno più decente un Crocifisso "indecentissimo'", si aprano due finestre, ecc. Comanda che venga istituita la Confraternita del SS. Sacramento la quale, attesa la modestia del beneficio parrocchiale, provveda "cum omni pietate ac studio" a riparare di ogni cosa necessaria. Il rettore nei giorni festivi provveda alla dottrina cristiana. Ordina inoltre che dal cimitero venga sradicato il castagno che vi esiste, che il rettore sia più sollecito nei suoi doveri e non pernotti fuori paese se non dopo aver ottenuto la licenza dal Vicario Generale ma che non vada oltre i tre giorni. Ai Disciplini raccomanda che siano più larghi di carità verso i più poveri nei giorni di Natale e nel tempo di Pasqua. Il visitatore di S. Carlo Borromeo nel 1580 trovava in chiesa la cassa o meglio la cesta dei Disciplini per la raccolta di offerte in natura (biade e altre cose) per i poveri. Vi esisteva inoltre un palco in legno, collocato sotto l'arcosolio del presbiterio sul quale venivano posti i ceri votivi. Non manca chi giura che S. Carlo abbia lasciato il segno del suo passaggio nella sorgente detta "Fontanì di S. Carlo". Nella visita dell'11 maggio 1593, trovato che non viene conservato il SS. Sacramento, il vescovo G.F. Morosini convoca i maggiorenti del comune e intima loro che provvedano a tenere sempre accesa la lampada del SS. provvedendola di olio pena l'interdetto e l'abolizione della autonomia parrocchiale. Nel 1603 appare costituita la Confraternita del SS. Sacramento che si riunisce la prima domenica del mese e nelle feste dei S. Lodovico, S. Antonio di Padova, S. Bernardino, S. Francesco e in occasione dei funerali dei confratelli. Ogni anno si distribuiscono pane e vino ad ogni abitante e si provvede agli ornamenti della chiesa e degli altari. Nel 1691 don Pietro Marchesi, su domanda di don Marc'Antonio Salvadori, regalava a Santicolo due reliquie insigni dei S.S. Martiri Pio (mezzo cranio) e Giustino (osso ischiatico), il primo, papa, il secondo, celebre filosofo, riconosciute autentiche dal vicario gen. della Diocesi mons. Lodovico Bigoni. Con disappunto dei più provveduti intorno ai due santi nacque, si crede in occasione delle controversie fra Santicolo e Corteno per il possesso del monte Campadei, una leggenda riguardo ai due santi secondo la quale sui monti di Santicolo vivevano nella preghiera, nella penitenza e nel lavoro due santi carbonai per i quali, trovandosi essi in gravi necessità, i sassi si trasformavano in pane. I generosi abitanti di Santicolo salivano lassù ad acquistare il carbone e spesso portavano in regalo vestiti smessi, con cui i solitari si coprivano alla meglio nella caverna dove avevano trovato alloggio. Una sera di autunno i poveretti vollero attraversare un ciuffo di noccioli per raccogliere qualche frutto caduto spontaneamente, quando, con raccapriccio, ambedue provarono un acuto dolore alle gambe, come se chiodi fossero penetrati nelle loro carni. Spaventati, s'abbassarono e constatarono che essi erano stati presi in una tagliola, di quelle potenti, adatte per accalappiare camosci, cervi, orsi e caprioli. Il sangue usciva copioso dalle ferite; chiesero aiuto a Dio e alla gente, si misero anche a gridare, ma tutto inutile. Nessuno li udì. Tentarono di liberarsi, ma quanto più si sforzavano, tanto più i denti della tagliola penetravano. Si abbracciarono piangendo e raccomandandosi l'anima a Dio e a tutti i Santi, offrirono la loro vita per la cattiva gente di Santicolo. Dopo tre giorni, quasi contemporaneamente, resero la loro bella anima a Dio, la quale fu portata in paradiso da un volo di angeli. La settimana dopo, il proprietario della tagliola salì sul monte con la viva speranza di trovare in essa un camoscio se non un cervo, ma quale fu la sua terribile sorpresa nel trovare impigliati in essa i cadaveri dei due buoni carbonai. Provò una profonda afflizione e con gli occhi fuori del capo si precipitò a Santicolo a portare la ben triste novità. La gente accorse numerosa sul monte a piangere i due santi carbonai e processionalmente li portò nella chiesa del paese e li pianse come persone "pie e giuste".


Per la reposizione delle reliquie vennero fabbricate due urne poste nelle pareti del coro ai lati dell'altare maggiore, costituita una Confraternita per custodirle e curarne la devozione. Alla protezione dei santi venne attribuita nel giugno 1758 la liberazione da un'epidemia di bestiame ed istituita una solennissima festa il 16 agosto accomunando ai due santi "fedelissimi avvocati" di Santicolo anche S. Rocco, al quale santo si attribuiva devozione da antica data.


P. Gregorio nei "Curiosi Trattenimenti" (1695) definiva Santicolo "luogo picciolo ma honorevole" e la sua chiesa "con tre altari può competere con altre che passano per riguardevoli". Nel frattempo accanto alla Confraternita del SS. Sacramento nasce anche quella del Rosario. Nel 1732, all'atto della visita del card. Querini, il parroco don Giovanni Motti può scrivere nella sua relazione che nella chiesa esistono tre altari (il Maggiore, quello della Madonna del Rosario e dei S.S. Antonio di Padova ed abate), che vi sono legati S. Messe e altro, due sacerdoti non beneficiati e, soprattutto che la Dottrina Cristiana è "assiduamente frequentata, che i parrocchiani intervengono tutti diligentemente". Alla rinuncia del parroco don Giacomo Rizzoni (1776) dopo un quinquennio di economato tenuto dal cappellano don Giacomo Albertoni, il parrocchiato di don Giacomo Vaiarini di Santicolo (ritenuto di insigne pietà ed illibati costumi) segnò dal 1781 un nuovo rilancio anche sul piano amministrativo ed organizzativo della parrocchia con l'avvio di opere di notevole importanza. Dopo aver provveduto dal 1789 ai confessionali delle donne, ai banchi, alla cattedra, nel 1792, per adempiere a precisi ordini vescovili, avviava la costruzione di un nuovo altare maggiore posto in opera nel novembre 1798. Raccolte numerose offerte fin dal 1795 venne addirittura impostata la fabbrica di una nuova chiesa con nuovo orientamento da N a S affidandone il progetto al mastro Tommaso Spinedi di Bancate di Lugano. Il 13 aprile 1798 il parroco Vaiarini "moriva di febbre maligna con colpo di apoplessia" e venne sostituito nel febbraio 1799 dal fratello don Giovanni Alberto Vaiarini che continuò l'opera. Ben presto però tale opera fu interrotta dai gravi fatti di guerra, di occupazione di truppe, di carestia ed epidemie alle quali si è accennato. Toccò al successore di don Giovanni Alberto Vaiarini, morto come il fratello in giovane età nel 1817, don Stefano Radici, di riprendere il progetto della nuova chiesa affidato per una revisione al geniale intagliatore Tomaso Pietroboni di Vione; la costruzione venne avviata nel 1821 sotto la direzione di tre capomastri del luogo Filippo Togni, Giacomo Marconi e Giacomo Tonini e, grazie alla generosità della popolazione ed alla munificenza del vescovo mons. Nava, terminata il 12 luglio 1825, salvo opere di rifinitura condotte negli anni 1826 e 1827. Consacrata da mons. Nava il 7 agosto 1830 la chiesa fu arricchita di suppellettili (crocefissi, candelabri, cartegloria). La bottega di Tomaso Pietroboni di Vione fornì reliquiari, la tribuna, il Crocifisso del pulpito e l'apparato del Triduo. Attivo ma soprattutto esemplare fu il parrocchiato di don Bartolomeo Chiodi (1833-1865).


Superate le difficoltà amministrative egli diede il meglio di sè realizzando nuove opere fra le quali il portale maggiore della Chiesa. Nel 1844 don Bortolo Troncatti parroco di Sonico, amico e compaesano di don Bartolomeo Chiodi, introduceva la Congregazione del Terz'Ordine. Nel 1871 esistevano ancora a Santicolo Terziari isolati dell'Obbedienza dei Frati Minori. Nel 1841-1846 venivano compiute opere di completamento e restauro alla chiesa. Nel 1844 veniva fatto costruire in marmo di Vezza d'Oglio il portale maggiore della chiesa. La chiesa si avvantaggiò di legati, lasciti e donazioni fra i quali quelli dell'ex parroco don Stefano Radici (1841), di don Pietro Marconi (1846), di Andrea Marconi (1853), di Carolina Togni Savoldi (1862), della famiglia Vaiarini (1860).


I dieci anni di parrocchiato di don Bartolomeo Melotti (1880-1890) vedono la sistemazione della canonica e, soprattutto, la decorazione nel 1886 della chiesa parrocchiale ad opera del pittore Antonio Guadagnini di Esine.


I debiti per tali opere furono in gran parte cancellati nel 1883 da parte della Deputazione provinciale sotto la voce "spese per il culto" dal bilancio comunale. Rimarchi del vescovo in visita pastorale del 1886 circa la gestione della Dottrina cristiana, difficoltà economiche in cui si dibatteva la popolazione e non poche incomprensioni consigliarono don Melotti, ad appena 56 anni, a ritirarsi a Losine suo paese natio. Durò invece 34 anni, dopo 3 parroci rinunciatari, il parrocchiato di don Luigi Guizzardi (1890-1924). Egli incominciò con la pulitura generale della chiesa, dell'organo, proseguì con il restauro dell'antico ossario che purtroppo trasformò in ambiente di riunioni, nel 1897 realizzava il completo restauro della canonica, del campanile e della sagrestia, abbelliva l'altare della Madonna, completava, attraverso il lavoro dello stuccatore Luigi Maroni di Villa Dalegno, la decorazione della chiesa, procurava la statua di S. Luigi dello scultore Righetti e di S. Giacomo apostolo dello scultore Ferdinando Demetz di Ortisei (1920), provvedeva all'illuminazione elettrica della chiesa, ecc. Le sue cure furono volte soprattutto all'istruzione religiosa e alla formazione del popolo alla pietà. Particolarmente attivo il parrocchiato di don Giacomo De Marie (1938-1961). Oltre un'intensa animazione religiosa, attraverso missioni al popolo, settimane, ritiri spirituali egli promosse nel 1949 il restauro esterno della chiesa, delle pale d'altare, dell'affresco raffigurante S. Giacomo sulla facciata della chiesa, la costruzione della cupola del campanile, la sistemazione del sagrato, il restauro delle pale d'altare maggiore e di S. Antonio (1953). Nel 1954 restaurata da Oscar Di Prata fu la santella votiva della Madonna Miracolosa, nel 1956 fu rifuso dalla ditta Ottolina di Bergamo il concerto di campane, nel 1959 vengono eseguite nuove opere di miglioramento della chiesa parrocchiale (zoccolo della chiesa, battistero, bussola, ecc.). Viene rifatto lo stendardo della congregazione madri e spose cattoliche. Fin dal suo ingresso egli dedicò le migliori energie anche alla formazione della gioventù. Un tragico incidente stradale, al bivio Capodiponte-Nadro, troncava la sua intensa attività mentre nel 1961 veniva avviato il rifacimento completo della chiesa e della canonica. Toccava a don Daniele Lazzarini intervenire per un nuovo radicale restauro della chiesa con rimessa a nuovo, vetrate istoriate su cartoni del pittore Vittorio Trainini (Brescia), riscaldamento ad aria condizionata con impianto Ceisa (Verona), sistemazione confessionali e battistero secondo le moderne disposizioni, ripulitura dei 26 affreschi del pittore Antonio Guadagnini (1886), ora completamente rimessi a nuovo gli stucchi, le lesene, i cornicioni con grande sobrietà e decoro, il tutto poi arricchito da una illuminazione indovinata.


L'opera è stata eseguita dai pittori Mario ed Angelo Pescatori di Brescia, coadiuvati da due bravi decoratori e stuccatori. Don Cesare Mozzoni, succeduto a don Lazzarini nel 1986, ha provveduto alla sostituzione del nuovo altare rivolto al popolo. Il progetto è stato realizzato dagli arch. Rosanna Paneroni e Giov. B. Baroni che hanno creato nel 1989 con marmi: bianco del Brasile, nero d'Africa e rosso di Verona, un richiamo di quelli del bellissimo altare esistente, un'opera molto lineare eseguita dalla ditta Bettoni Marmi di Angone.


Commovente la vicenda che portò sui monti di Santicolo in località Plinas, nel cavo di un ciliegio, una statuetta della Madonna trovata nel 1942 a "Monastero quota 731" in Albania stretta nelle mani di un alpino morente, da due sottufficiali, Pietro Salvadori di Santicolo e Gigi Calderan di Aviano (Pordenone), che ebbero da lui l'implorazione di portarla in patria. Il 5 agosto 1973 accanto al ciliegio venne benedetta dal vescovo cortenese mons. Lorenzo Bianchi una chiesetta costruita con il concorso della popolazione. Da allora al Plinas si tiene ogni anno in agosto una frequentata sagra popolare.




CHIESA PARROCCHIALE di S. GIACOMO


La preesistente chiesa trasversale rispetto all'attuale era probabilmente quattrocentesca. Il coro è l'attuale sagrestia, mentre l'entrata era sull'attuale lato sinistro. Era a tre navate con tre altari. L'attuale, ricavata da parte della precedente ma in direzione S-N, ha conservato della precedente solo alcune strutture. Il portale è in marmo di Vezza d'Oglio; il Guadagnini nel catino del presbiterio dipinse la chiamata dei primi discepoli Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni; nel grande medaglione del presbiterio ha raffigurato la gloria di S. Giacomo apostolo. Nei due medaglioni della volta della navata ha dipinto la gloria della Vergine Assunta e la gloria di S. Giuseppe. Ai due lati del coro il pittore ha dipinto i S.S. Faustino e Giovita e al lato destro del presbiterio l'Adorazione dei Magi (apponendovi la firma e la data 1886). Nelle lunette del presbiterio ha raffigurato i quattro evangelisti; i quattro Dottori Maggiori della Chiesa (S. Girolamo, S. Gregorio Magno, S. Ambrogio e S. Agostino) unitamente a due Vescovi Orientali si ammirano nelle lunette della navata. Lungo la navata ha dipinto sulle pareti a destra S. Carlo con S. Luigi inginocchiato ai suoi piedi, S. Francesco d'Assisi in contemplazione in ginocchio sulla nuda pietra e S. Giovanni Battista sulle rive del Giordano. A sinistra, partendo dal presbiterio, sono raffigurati S. Filippo Neri con bambini in orazione e Santa Caterina della ruota, Vergine e Martire. Non manca nella lunetta sopra l'organo la Santa protettrice del canto: Santa Cecilia. Prezioso è l'altare maggiore ricco di marmi intarsiati con al centro la figura di S. Giacomo. La pala dell'altare raffigura la Trasfigurazione con i tre apostoli Pietro, Giacomo, Giovanni in adorazione ed abbagliati. Altrettanto ricco l'altare di sinistra, con una bella statua della Madonna col Bambino (Eugenio Obbletter - Ortisei 1936) entro una soasa dorata, e laccato con timpano curvo portante due meravigliosi angeli (Settecento).


Di notevole interesse il secondo altare pure in legno con pala secentesca raffigurante la Madonna col Bambino in gloria ed i Santi Antonio di Padova, Antonio Abate e Giovanni Battista firmata da Antonio Minozzi di Vicenza. Nel timpano una statua di S. Antonio di Padova con un libro nella mano destra ed il cestino del pane dei poveri nella sinistra. Di notevole valore artistico un grande quadro sopra la porta laterale raffigurante la Madonna in gloria tra angeli (Assunta) ed ai piedi S. Antonio di Padova e S. Bartolomeo (?): porta la data 1668 e la firma: G.F.M.R.T. Altro quadro di buon gusto sulla porta opposta raffigurante la Madonna del S. Rosario con i Santi Domenico e Caterina mentre con piccoli riquadri fanno cornice i 15 misteri del Rosario. Non sono da trascurare le quattordici stazioni della Via Crucis in tela (Settecento) dimenticate in un magazzino di una chiesetta della Valle ed acquistate dal parroco in loco in sostituzione delle preesistenti di certa efficacia ma popolaresche e di carta stampata su saio. La sagrestia mostra i dipinti del '500 e '600 dell'antica abside. La chiesa è singolarmente ricca di suppellettili fra le quali due calici del sec. XVI, croci, candelabri e cartegloria. Inoltre vi sono due begli stendardi e alcune statue. L'organo è stato costruito nel 1867-1868 da Giovanni Tonoli di Brescia. Sul campanile, eretto su una antica torre di difesa, già nel 1769 erano collocate tre grosse campane della ditta Crespi di Crema. Sostituite l'una e poi una seconda per fenditure sopravvenute e per requisizioni di guerra, il concerto di tre venne rifuso in cinque campane nel 1956 dalla ditta Ottolina di Bergamo e benedette il 18 ottobre 1956.


Suggestiva è la cancellata sei-settecentesca del cimitero in ferro battuto nella quale E. Dell'Orto e Pino Veclani hanno visto «sintetizzato con vivo realismo il concetto della uguaglianza e della inesorabilità della morte: sono presentati, in ferro battuto, i simboli della morte (la clessidra, la falce) e gli scheletri di personaggi, rappresentativi del potere spirituale e temporale, e di semplici cittadini. La decorazione di questa cancellata rappresenta un particolare aspetto della lavorazione artistica del ferro diffusa in tutta la Valcamonica, che in genere si esprime in motivi decorativi geometrici o floreali nelle chiese, o alle finestre e ai balconi delle case».




RETTORI E PARROCI: Giambattista (Baptistae) Prete di Bertolino de Pelipariis (? - 1556); Girolamo de Pelipariis (Pelissari) (? - 1573); Mariano de Crottis (1573 - ?); Zeferino de Bertonis (1600 - ?); Antonio Giumelli (1616 - ?); Francesco Pasino (1632 - 7); Quinto Ballardini da Temù (1644-1682); Pietro Antonio Quadrobio (Quadrubbi) da Vione (1682-1697); Antonio Filippini da Edolo, economo; Pietro de Caleci (1698-1720); Giovanni Giacomo Motti di Santicolo (1720-1729); Giovanni Moreschi, economo; Giovanni Motti di Santicolo (1730-1745); Bortolo Albertoni cappellano economo; Giovanni Carli di Incudine (1746-1760); Pietro Lafranchi di Santicolo, economo; Tommaso Tomasetti da Temù (1760-1770); Giacomo Rizzoni di Santicolo (1770-1776); Giacomo Albertoni cappellano economo (1776-1781); Giacomo Vaiarini di Santicolo (1781-1798); Alberto Vaiarini di Santicolo (1799-1817); Giacomo Pedrazzi cappellano economo; Stefano Radici da Corteno (Doverio ) (1817-1833); Bartolomeo Chiodi da Corteno (piazza) (1833-1865); Andrea Fanetti da Sonico (1866-1880); Bartolomeo Melotti da Losine (1880-1890); Luigi Guizzardi da Incudine (1890-1924); Battista Pietroboni da Monno (1925-1934); Pietro Federici da Edolo, economo; Brizio Boninchi da Edolo (1934-1937); Angelo Troncatti da Corteno già parroco a Vico di Cortenedolo funge da economo; Giacomo De Marie da Cimbergo (1938-1961); Daniele Lazzarini da Pontedilegno, economo quindi parroco (1961-1986); Cesare Mozzoni da Gardone Val Trompia (1986-1994); Ettore Truzzi da Moglia (Mantova) (dal 1995).