MARTINENGO di PADERNELLO o "della Fabbrica"

MARTINENGO di PADERNELLO o "della Fabbrica"

Ne fu capostipite Antonio I qd. Giovanni Francesco qd. Prevosto. Da lui discesero, Bernardino, Antonio II, Girolamo I, Antonio III, Girolamo II, Pietro Antonio, Silvio, Girolamo III, Francesco e Girolamo Silvio con la cui morte avvenuta il 21 luglio 1833 la casata si estinse. Nelle mani di Antonio I si concentrarono fin dal 1421 il feudo di Urago d'Oglio, proprietà a Chiari, Rudiano, Pontoglio, Farfengo e Roccafranca, tutto Padernello e Castelletto di Quinzano, parte dei fondi di Quinzano. A queste proprietà si aggiunsero per eredità quelle di Pavone Mella, di Gabbiano, di Collebeato, di Pievedizio, di Erbusco, di S. Paolo al Portazzolo (S. Polo), di S. Zeno Nav., di Montichiari, di Vallio, di Coniolo, del Canello di Bagnolo M. Alla morte di Girolamo Silvio (1833), considerato come una delle persone più ricche dell'ex stato veneto, la immensa proprietà fondiaria che comprendeva, oltre la tangente dell'ex feudo di Urago d'Oglio, il castello del Canello di Bagnolo Mella, il castello di Padernello, il latifondo della Motella, il doppio e grande palazzo di Brescia, il palazzo di Venezia, i fondi di Breda Gambara e del Vallio, il palazzo e i fondi di Collebeato, quelli feudali di Pavone e di Borgo S. Giacomo e molti altri, con atto del 6 luglio 1861, fu interamente divisa fra i conti Zoppola e i nob. Salvadego; ai primi furono assegnati Urago d'Oglio, il Canello, Breda Gambara, Collebeato e la Motella; ai secondi Padernello, Pavone, le Chiusure e il Palazzo di Brescia.


PALAZZO di Via Dante, 23-25 - È stato considerato il più grande fra i palazzi privati della città. L'attuale, in notevoli parti irrimediabilmente distrutto dal bombardamento del 2 marzo 1945, venne costruito su una precedente abitazione della quale le bombe hanno rimesso in luce un fregio decorativo sopra la galleria orientale e una bella finestra a sesto acuto. Si tratta dell'abitazione costruita o abitata di Prevosto III qd. Pietro o del figlio Giovanni, capostipite delle linee dei Padernello, dei della Pallata, dei dalle Palle e dei da Barco. Mentre Leonardo figlio di Giovanni (dal quale discesero i "da Barco" e i "dalle Palle") si trasferì in via Cossere, l'altro figlio Antonio, capostipite dei "da Padernello" e dei "della Pallata" rimase in questa abitazione. I "della Pallata" poi passarono nel non lontano palazzo Colleoni, mentre i "da Padernello" rimasero in questo, fino alla loro estinzione. Alla costruzione del palazzo, alla quale aveva già pensato Bernardino, si accinse il nipote Girolamo verso il 1540. Nel 1543 in occasione delle sue nozze con Eleonora Gonzaga di Sabbioneta, il palazzo con un piano solo era compiuto sopra una pianta a U con portici e logge, le due ali e un grande cortile. La saletta centrale era stata dipinta nello stesso anno dal Moretto con figure femminili appoggiate ai davanzali, con sullo sfondo vaghi paesaggi nei quali si profilano i palazzi della famiglia. Le quattro figure delle pareti grandi, sottolinea Fausto Lechi, bionde o quasi, hanno un carattere, un tipo nostro, bresciano o per lo meno dell'alta Italia. Fra queste vi era la seconda moglie di Antonio, ancora in vita, Lodovica Torelli di Guastalla (era nata nel 1500); vi erano poi tre sorelle di Gerolamo: Pellegrina, Zemira e Rizzarda, sposa questa di Camillo Avogadro. Le due, in formato leggermente ridotto, che fiancheggiavano la porta verso il giardino, dipinte da altra mano, anche se della stessa scuola e quindi potrebbero benissimo essere attribuite, rileva il Lechi, a G.B. Moroni, come scrive il Paglia. In una di esse, al Lechi, sembra si possa indicare Giulia Ganassoni, sposa ad Antonio II qd. Gerolamo. Da Silvio (1643-1689), secondo Paolo Guerrini, figlio di questo Gerolamo Silvio (1686-1766), venne dato il via all'ampliamento del palazzo su progetto dell'arch. G.B. Marchetti, con la costruzione di un nuovo atrio, (secondo il Lechi eretto dal figlio Antonio), di un grandioso scalone (dipinto nel 1739 dallo Zanardi e dal Carlone) di un giardino pensile, di un secondo piano e con l'aggiunta di una nuova ala meridionale scandita da semicolonne abbinate abbraccianti i due piani che qualcuno ha avvicinato alle Logge di Raffaello in Vaticano. L'ab. Antonio figlio di Giovanni Battista costruì su incarico di Girolamo Silvio II (1733-1823) intorno ad un nuovo cortile, la parte orientale e progettò inoltre una facciata che non venne mai realizzata. La facciata a N venne costruita non priva di una certa grandiosità ma dozzinalmente dall'ing. Ferrari nell'800. Data la sua vastità e splendore il palazzo venne utilizzato per solenni ricevimenti cittadini fra quali quello al vicerè Eugenio Beauharnais e alla consorte Amalia Augusta nel 1806. Morto Girolamo Silvio senza figli, nel 1833, il palazzo e i possedimenti passarono ad un suo cugino, Gerolamo Molin dal quale (essendo anch'egli senza prole) passarono alle sorelle sue, Alba sposa al nob. Piero Salvadego e Maria sposa al conte Giuseppe Panciera di Zoppola. Nelle divisioni fra le sorelle il palazzo e il castello di Padernello restarono al ramo di Alba in Salvadego e precisamente a suo figlio Francesco (1795-1847) e poi ai tre figli di questo: Pietro, Alessandro e Bernardo. Morto Pietro (1827-1886) senza figli, al fratello Alessandro (1832-1899), passò la parte orientale del palazzo coi due cortili, a Bernardo (1834-1887) la parte centrale con il cortile grande. Per successivi passaggi e vendite una parte del grande immobile passò a Franco Gnutti, l'altra rimase ai Salvadego. L'accennato bombardamento del 2 marzo 1945 distrusse la facciata su via Dante, il superbo atrio d'ingresso, lo scalone monumentale, due lati del cortile cinquecentesco ed altre parti pure di notevole interesse. Con le strutture architettoniche marchettiane andarono perduti i grandiosi affreschi di Carlo Carloni (per le figure) e di Giovanni Zanardi (per la decorazione dello scalone) che narravano le vittorie di Antonio Martinengo, scene mitologiche (Minerva trionfante, Marte che detta a Clio le glorie del vincitore). Andarono pure distrutti dipinti del Carloni e di altri pittori tutti nei lati settentrionale ed occidentale della palazzina cinquecentesca. Si salvarono invece, come rileva Livia Vannini, gli altri due con il porticato tuscanico ed il corpo superiore a colonne ioniche ed a paraste, dove era la saletta cinquecentesca con gli affreschi del Moretto (al primo piano dell'ala meridionale) e quella affrescata da Francesco Fontebasso (XVIII secolo, al secondo) e l'elegante fronte settecentesca che prospetta il giardino pensile. In compenso, rileva ancora la Vannini, se mai di compenso si può parlare, la demolizione ha messo in evidenza l'interessante nucleo su cui era stato costruito il palazzo interno e che si può far risalire al XIV secolo. Nel palazzo esisteva anche una grande pinacoteca (nella quale qualcuno pensa che vi fosse una delle tre "Danae" di Tiziano) e che pure è andata dispersa.