LIMONE sul Garda
LIMONE sul Garda (in dial. Limù, in lat. Limoni)
Borgata del lago di Garda, al confine NE della provincia a m. 65 s.l.m. L'abitato si dispone in anfiteatro allo sbocco della valle del Singol tra il monte Bestone (m. 917) il monte Carone (m. 1621) e il Dosso dei Larici (m. 903) una breve insenatura dominata dal Dosso dei Doveri (m. 827) e, più in alto, dal monte Mughera (m. 1161 s.l.m.). La bellezza del sito è universalmente ammessa. Sotto la Mughera che rotonda e scabra lo sovrasta, il paese s'affaccia improvviso tra ulivi, oleandri, agavi e aloe ed ancora sembra soffocato e rinserrato dalle limonaie. Angusto lo spazio, conteso alla montagna, con le case aggrappate alla roccia, ma amenissima l'insenatura. Anche le rocce che sembrano scabre e grigie non mancano di sorprendere. Ai limiti del suo territorio passò per secoli il confine tra il Veronese, il Bresciano e la giurisdizione del vescovo di Trento, e, ora, il confine fra le provincie di Brescia, Verona e Trento, per cui molti ritengono che il nome derivi da "limen" = confine, soglia. Non tutti hanno accettato tale etimologia. Il Pasquali ha pensato al limone, frutto (ipotesi senza dubbio da scartare); altri come l'Olivieri alla voce "lima" nel significato di fiume; altri ancora alla voce celtica lim cui corrispondono l'irlandese "lem" e il latino limos o lemos cioè olmo, nel senso di "olmeto" . Fino al 1863 venne chiamato Limone S. Giovanni ma il 15 novembre 1904 il Consiglio Provinciale approvava il cambio del nome in quello di Limone sul Garda. Con la bellezza della natura vanno a gara le leggende fra le quali vi è quella di un dio Benaco che innamoratosi di una ninfa Fillide ebbe da lei due figli, Limone e Grineo. Il primo fu un giorno aggredito e ucciso sul Monte Baldo da un cinghiale mentre si trovava a caccia col fratello ma era stato richiamato in vita per mezzo di un filtro magico di miosotidi. Egli si dedicò da allora in poi all'agricoltura proprio dove oggi sorge il paese, a lui intitolato e specialmente alla coltivazione della pianta che da lui porta il nome.
Nel gennaio 1982 venne divulgata la scoperta (fatta nel 1975) negli abitanti limonesi della apoproteina, una variante genetica della classe «A 1 » delle apolipoproteine, siglata dagli esperti «Al M. », che darebbe particolari benefici all'organismo, in quanto faciliterebbe un maggior catabolismo (eliminazione) del colesterolo, che è uno dei maggiori fattori di rischio dell'insorgenza di ateromi a livello arteriale, allungando di molto la vita, scongiurando soprattutto malattie cardiache e l'arteriosclerosi; apoproteina instauratasi a Limone due secoli fa. La scoperta ha messo a rumore tutto il mondo scientifico che dal 31 marzo al 3 aprile 1985 con il sostegno ARW.NATO indiceva un convegno seguito da nuove ricerche sul fenomeno.
Iscrizioni romane indicano che Limone fu aggregato a Brescia come ultimo contrafforte con il monte Castello del dominio romano. Fece parte del pago, con Tremosine, di Gargnano. Il Cristianesimo vi venne propagato secondo la tradizione ad opera di S. Vigilio, vescovo di Trento, evangelizzatore della Riviera e di parte del Bresciano. Determinante in seguito la presenza del monastero di S. Salvatore. I nomi di S. Pietro dato ad una chiesetta che si trova a monte della strada per Tremosine, e quello di S. Benedetto dato alla chiesa parrocchiale sono chiaramente di origine monastica. Molto prima che Enrico VI con il suo privilegio del 26-27 luglio 1192 estendesse il confine orientale del territorio bresciano fino a Limone concedendo al Comune di Brescia "omnia regalia" già concesse da Costanza al vescovo, questo faceva già parte del Bresciano. Nell'epoca delle lotte fra Guelfi e Ghibellini dovette avere un ruolo importante il forte di S. Martino. Nel 1277, atterriti dalle rappresaglie di Brescia contro Manerba ed altri castelli che si erano dati a Verona, i limonesi con gli abitanti di Tignale e Tremosine si diedero al vescovo di Trento, che occupò il paese con il duca di Carinzia. Nacquero contrasti tra Brescia (per la quale operò Corrado da Palazzo) e Trento ai quali si riferirebbe la discussa iscrizione di Campione che accenna alla pace fra Brescia e Trento fra il vescovo trentino e Gherardo Gambara e Ildebrando da Concesio. Nel 1283 una nuova occupazione avvenne da parte dei conti d'Arco, Enrico e Adelberto Panzera, su istigazione del conte di Dovara. Ma poco più tardi Brescia riprendeva le sue posizioni su Limone. Il 10 aprile 1331 vennero investiti di Limone i conti di Castelbarco. Nonostante questi fatti Limone rimase sostanzialmente legato a Brescia pur subendo occupazioni da parte dei Visconti e degli Scaligeri. Nel frattempo acquistava sempre più importanza, e nel 1405 il suo porto era considerato uno dei più importanti del lago. Nel 1426 con l'occupazione veneta, entrava nell'ambito della «Magnifica Patria», nella Quadra di Gargnano. Il vescovo di Brescia vi ebbe, per secoli, diritti feudali. Investiture venivano registrate ancora nel 1446. Il 24 aprile 1458 il vescovo di Brescia investiva il Comune e gli uomini di Limone di tre delle quattro parti di tutte le decime della terra e del territorio. L'antica comunità cercò di difendersi dai forestieri e nel 1698 chiese ed ottenne da Venezia che le entrate comunali venissero suddivise solo fra gli "originari". Un solo limonese, Girardo Agnolini, partecipò alla battaglia di Lepanto. Gravi danni per il passaggio di truppe tedesche registrò nel 1705-1706. La povertà e le disgrazie vennero attenuate da un Istituto Elemosiniero funzionante dal sec. XVII, cui si aggiunse, per iniziativa del parroco Pietro Milesi verso la metà dell'800 una singolare Società di Mutuo Soccorso per gli artisti. Il paese andò crescendo nel '700 e abbellendosi di case nuove fra cui il palazzo Gerardi di rara eleganza con loggia e bel portale e casa Bettoni, chiamata «Garbera». Nel 1728 fu costruito il ponte, a cui fu posta a guardia, secondo una tradizione trentina, la statua di S. Giovanni Nepomuceno, il santo ucciso per non rivelare un segreto di confessione. La statua è opera, non certo delle migliori, di Alessandro Calegari. Il ponte crollato nel 1765, fu ricostruito poi nel 1771. La tranquillità del paese venne rotta solo nel 1796-1797 dal passaggio di truppe austriache e francesi. Gravi crisi sopravvennero nei primi decenni dell'800 che ridussero il paese in grande povertà. Poche fra una popolazione composta quasi tutta di giornalieri, le famiglie agiate fra, le quali si facevano largo quelle dei Gerardi e dei Comboni. Alquanto isolato ma soprattutto perchè sul confine del Regno Lombardo-Veneto con il Tirolo o Trentino, Limone visse alcune drammatiche vicende di guerra. Nel 1848, ritiratisi gli austriaci e passato sotto il Governo Provvisorio bresciano, continuarono da parte dell'esercito austriaco pressioni ai confini per rioccupare il territorio bresciano. Il paese gardesano venne difeso da un pugno di uomini, guidati dai capitani Tedesco e Brambilla, che il 16 giugno 1848 respinsero gli austriaci al monte Nota. Il 19 giugno toccò al capitano Carlo Pisacane, notissima figura del Risorgimento italiano, e comandante del distaccamento di Vesio, stroncare un attacco in forze contro Limone; il 25 giugno, ancora, cinquanta uomini del capitano Tedesco e trenta del Pisacane, respinsero un nuovo attacco in forze contro le posizioni del monte Nota, chiave della difesa di Limone, Tremosine, Tignale e Gargnano. Il Pisacane rimase ferito, mentre gravissime perdite vennero inflitte al nemico. Passarono pochi giorni e Limone tornò in mano austriaca. Vi rimase anche dopo l'armistizio di Villafranca e dopo la liberazione di tutta la Lombardia nel 1859; solo il 25 ottobre dello stesso anno, in seguito alla pace di Zurigo, la guarnigione austriaca si reimbarcò e lasciò libero Limone. Nel frattempo, tra l'armistizio e la pace, gli austriaci, sbarcati a centinaia avevano compiuto pesanti requisizioni, particolarmente di legna, spingendo alcuni a rivolgere direttamente una supplica a Vittorio Emanuele II, perchè ne facesse cessare l'occupazione. Ad animare a sentimenti patriottici, il 30 settembre 1860 Mons. Pietro Emilio Tiboni, in chiesa, rivolgeva un'allocuzione in commemorazione dei morti delle battaglie per l'indipendenza, raccolta poi in opuscolo, ma l'autorità governativa, negli anni seguenti, riteneva sindaco e giunta come "reazionari". L'8 ottobre 1860 Limone assistette ad una tremenda tragedia. Una pirocannoniera italiana, il Sesia, che trasportava sessanta persone da Limone a Salò, saltò in aria per lo scoppio di una caldaia causando la morte di quarantadue viaggiatori. A ricordo venne eretto un monumento a forma di piramide sul quale vennero incisi i nomi delle vittime e, sul basamento le parole: «Questi infelici / morirono naufraghi / per improvviso scoppio della vaporiera Sesia / tragittando da Limone a Salò / il dì VIII ottobre MDCCCLX». Un'altra iscrizione si trova sotto i nomi dei morti e suona: «Infelici / addì VIII di ottobre MDCCCLX / qui presso / il legno la Sesia / per impeto di vapore scoppiato / a lutti di morte / di subito trabalzava». Doveva vivere un'altra giornata difficile e tragica l'8 ottobre 1860 quando la cannoniera "Sesia" durante una gita patriottica, scoppiò proprio poco oltre il paese, di fronte a Bine, dopo che i passeggeri, visitato il paese, la chiesa, le limonaie si erano reimbarcati per il ritorno a Desenzano. Per pura combinazione o per un miracolo della Provvidenza si salvò mons. Comboni che, trovandosi a Limone per un periodo di riposo, aveva disposto di approfittare del "Sesia" per raggiungere Desenzano e di là Verona. Già al porto per imbarcarsi, come colto da un presentimento, rinunciò a salire, limitandosi a salutare con la mano i partenti. Si disse che "la Provvidenza aveva voluto conservare quell'uomo ad altre importanti e sacre missioni in Africa". Tra il 1860 e il 1866 venne costituito un piccolo centro del Partito d'Azione nel quale furono particolarmente attivi Carlo Venturi e Massimiliano Bazzanella. Il governo italiano continuò invece a considerare sindaco e giunta reazionari. Nel 1866, il 12 luglio Limone registrò il passaggio di Garibaldi con un contingente di volontari diretti in Val di Ledro e qui posero i loro avamposti.
Tra i più attivi nel periodo che seguì l'unificazione nazionale furono l'avv. Bonaventura Gerardi, poi deputato al Parlamento, l'ing. Eugenio Comboni, l'on. Luigi Lucchini ed altri. Il Gerardi sulla "Sentinella Bresciana" scrisse vari articoli per sottolineare la crisi economica che pesava sul paese. Fra i problemi più gravi che gravavano sulla vita economica-sociale si imponevano quelli del porto e della viabilità. Di una rivalutazione del porto trattò in Consiglio Provinciale l'ing. Giovanni Luscia fin dal 1867; della sua ricostruzione e ampliamento si parlò ancora nel novembre 1888, e solo nel 1894 si costruì un pontile di approdo. Ad una strada che congiungesse il Bresciano con il Trentino si incominciò a pensare dopo l'unificazione nazionale. Nel settembre 1871 l'ing. Bresciani presentava al Consiglio Provinciale studi tecnici e nel 1881 veniva dato il via ai progetti, dei quali, uno, riguardante l'arteria Gargnano-Limone veniva presentato nel 1883. Della strada si parlò più volte: nel 1902 vi insisteva l'on. Luigi Lucchini, nel 1903 l'ing. Giuseppe Feltrinelli con un suo opuscolo. Nel novembre 1904 vennero decisi i primi stanziamenti e nel marzo 1906 si ebbe il nulla osta del Governo; solo esigenze militari in vista del conflitto portarono qualche miglioramento. Nel frattempo la vita limonese registrava progressi lenti ma sicuri. Fin dal 1875 veniva organizzata una scuola serale. Il 6 dicembre 1899 era inaugurato, promosso dall'ing. Eugenio Comboni, l'acquedotto municipale collegato con la sorgente della valle del Singol, intitolato ad Erminia Carattoni Comboni. Nel 1913 in casa Ferrari veniva aperto il primo teatro. Paese di confine, Limone fu sede di un comando di Guardie di finanza, per il controllo del confine di terra e di lago, compiuto questo con torpedinere munite di grandi riflettori per la vigilanza notturna. Durante la I Guerra mondiale, Limone fu sgombrato il 9 settembre 1916 di tutti i suoi abitanti che furono trasferiti a Gardone, Tremosine, Maderno dove rimasero fino al 17 dicembre 1918. Nel frattempo il 25 luglio 1918 il paese veniva duramente bombardato dagli austriaci con proiettili da 260 mm. senz'altro risultato che rovinare un angolo della casa del dott. Attilio Carattoni e l'oleificio. La guerra portò anche alcuni vantaggi fra cui alcune mulattiere verso la montagna e l'impianto di linee telefoniche militari. Nel 1921 le linee telefoniche fra Limone e Riva, vennero utilizzate anche per la popolazione. Oltre che rassodare e allargare le strade già esistenti, ne veniva tracciata una tra Gargnano, Tignale, Tremosine e Limone che, ripresa e completata nel 1921, nel giugno 1924 veniva assunta dalla Provincia di Brescia. Nel 1929 era dato il via alla Gardesana che allaccia Limone a Riva e a Gargnano, aperta fra strapiombanti dirupi, in ardite gallerie. Il 18 settembre 1921 veniva inaugurato il monumento ai caduti e il 29 novembre 1925 il Fascio locale. Nel 1932-1933 era realizzata una nuova banchina lunga 70 m. e larga 6 m. per l'attracco dei piroscafi; nel contempo veniva ampliato il porto. Contemporaneamente si realizzavano opere di imbrigliamento del torrente S. Giovanni. Sul finire della II Guerra mondiale fu installato a Limone un Comando tedesco dell'aviazione e le gallerie della strada Gardesana vennero adibite a deposito dei macchinari della FIAT di Torino, sbarrando metà della carreggiata. Terribile giornata fu quella del 6 novembre 1944 in cui avvenne il mitragliamento, davanti ai prati delle «Fasse» di Limone, del piroscafo Zanardelli, carico di viaggiatori, da parte di aerei alleati provocando la morte di tredici persone e il ferimento di altre quaranta.
Duri furono i primi anni del II dopoguerra anche se si riuscì ad ampliare il cimitero, a costruire per le elementari, l'edificio scolastico, a realizzare la fognatura e ampliare l'acquedotto. Finalmente negli anni '50 si profilò quel rilancio turistico che in pochi anni trasformò completamente il paese. Tra gli altri, va ricordato come promotore dello sviluppo turistico Aurelio Minghetti.
LA VITA ECCLESIASTICA. Caposaldo della primitiva vita religiosa deve essere stata la chiesa di San Pietro. Di essa, con la consueta competenza ed alta dottrina, il prof. Gaetano Panazza ha scritto che «non presenta elementi di particolare interesse architettonico, eccetto il piccolo presbiterio rettangolare con voltina a costoloni a sezione semicircolare, del sec. XIII inoltrato a sud-est del sacello vi è un locale già affrescato e coperto da volta (forse un portico) oggi in rovina». «A formare la parte alta del muricciolo di una delle arcate di quel locale, e poste orizzontalmente, sono due lastre marmoree, in origine due plutei con uguale motivo decorativo a intrecci viminei; uno è meglio conservato dell'altro». «I due plutei secondo il Panazza possono essere datati al sec. IX-X, ma non è improbabile che siano da spostare fino al secolo XI, avendo un motivo decorativo comunissimo che continuò con ottima fortuna anche in epoca romanica». «Per il confronto con i frammenti pre-romanici ricorderò quelli della cattedrale di Luni e della cattedrale di Ventimiglia». «Di età sicuramente romanica (sec. XI-XII) è la piccola acquasantiera a calotta emisferica in marmo rosso di Verona, adorna esternamente del motivo dei cerchi intrecciati, costituiti da tre cordonature tondeggianti; motivo anche questo pre-romanico, ma poi assai caro ai successivi maestri romanici». Se dobbiamo credere ad un documento che, si dice, era conservato nell'archivio parrocchiale, anche la chiesa dedicata a S. Benedetto e che fu la prima parrocchiale, doveva essere molto antica. Tale documento, infatti, (al quale in verità non sappiamo quale autorità attribuire), attesta l'esistenza di «una iscrittione sopra il Confessionario ed una Madonna dipinta, qualmente le donne di Limone havevano fatto pinger quella Imagine per sua devotione l'anno 1075 dico mille e settantacinque». L'emancipazione ecclesiastica di Limone e la sua costituzione in parrocchia, si ebbe solo con il 18 settembre 1532, quando il cardinale Francesco Cornelio, vescovo di Brescia, con propria bolla, riconobbe d'autorità l'autonomia di Limone dalla parrocchia di S. Giovanni Battista della Pieve di Tremosine, cui fino ad allora era stata fortemente soggetta. La erezione vera e propria della parrocchia avvenne il 15 gennaio 1579. La dipendenza dalla pieve di Tremosine venne riconfermata più volte e per anni lo stesso comune era obbligato a dare all'arciprete di Tremosine, ogni anno, tre soldi «pro honorantia». A non lungo andare di anni nacquero contrasti con l'arciprete di Tremosine, per cui il vescovo Giustiniani nella sua visita pastorale del 21 ottobre 1633, intervenne per cancellare ogni precedente rapporto, disponendo che ogni anno la parrocchia di Limone gli corrispondesse «una libra turis sive incensi».
L'ANTICA PARROCCHIALE. Della antica chiesa parrocchiale non sappiamo molto. Se accettiamo la citata notizia dell'affresco datato al 1075, la dovremmo ritenere molto antica, ma oggi non si è in grado di valutare una notizia così singolare. Tuttavia, l'antichità della chiesa è sicura. Nel 1566, all'atto della visita del vescovo Domenico Bollani, la chiesa era già consacrata. Dagli atti della visita di mons. Pilati (7 novembre 1572) apprendiamo che aveva due altari (uno dedicato a S. Lorenzo, che il visitatore ordinava venisse distrutto entro 15 giorni, e un altro alla Madonna legato alla Scuola o Disciplina di S. Maria). Più tardi (nel 1656) gli altari saranno dedicati al SS. Sacramento e alla Madonna del Rosario. Le visite pastorali non segnalano necessità e deficienze particolari nel mantenimento della chiesa. Modifiche di un certo rilievo impose S. Carlo, nella sua visita apostolica del 1580. Ordinò, infatti, che venisse costruito subito dopo l'ingresso della porta maggiore, a sinistra, un nuovo battistero, fissandone anche le dimensioni di 5 cubiti per due. Inoltre dispose che gli altari della Madonna e di Sant'Antonio venissero spostati verso la parete delle singole cappelle, in modo che i gradini non sporgessero nella navata, che venissero chiusi con cancelli di ferro e si facesse il posto per custodire le suppellettili. Ma dopo la visita di S. Carlo si torna alla solita routine di disposizioni di non gran rilievo come di vetri alle finestre, di vasi per gli oli santi, di borse, ecc. (visita pastorale del vescovo Giustiniani del 21 ottobre 1633). Gli atti della visita pastorale del vescovo Morosini del 14 aprile 1646 ricordano la «pittura dell'icona preziosa» rappresentante la Deposizione dalla Croce e santi, che faceva da pala all'altare maggiore. I visitatori che seguirono dovettero limitarsi ancora a ordini di limitato rilievo.
LA NUOVA PARROCCHIALE. Il problema della ricostruzione della chiesa parrocchiale si pose nel 1685 quando il vescovo M.G. Giorgi, in occasione della sua visita pastorale del 17 settembre di tale anno, emanò alcuni interessanti decreti. Preso atto del desiderio di "edificare in più ampia forma" la chiesa parrocchiale, e constatarne la "evidente necessità" il vescovo obbligava le Confraternite a contribuire quanto fosse loro possibile a supplire là dove la Comunità non fosse in grado. La stessa cosa doveva essere fatta per le suppellettili sacre. Il vescovo però avvertiva che ciò non dovesse autorizzare la Comunità a derogare dal proprio obbligo. Il vescovo concedeva poi che l'abbattimento della chiesa vecchia e l'edificazione della nuova, venissero fatti alternativamente affinchè non si dovesse omettere la celebrazione dei "divini offici". Una iscrizione sulla facciata indica che la chiesa venne costruita da un capomastro comasco Andrea Pernis (Pernici). Essa dice: MASTRO ANDREA / PERNIS MURATOR / COMASCHO FECIT / 1691. Ciò è poi confermato da una breve annotazione contenuta in un documento dell'archivio parrocchiale che suona: «1685. Si cominciò la fabrica della Chiesa nova da m° Andrea Pernici Cornasco...». La chiesa è stata gradatamente arricchita di opere artistiche. All'altare maggiore, costruito nel 1724 da Cristoforo Benedetti da Brentonico, si trovano la pala centrale che rappresenta la Deposizione con la data del 1547 e la firma A. Moro V.P. che corrisponde alla italianizzazione del nome del pittore olandese Antonio Mor, e, lateralmente, altre due grandi tele, la "Cena di Levi" e la "Adorazione dei Magi" opere di Andrea Celesti (1637-1712). Al Celesti si attribuisce anche "l'Ultima Cena"; sull'altare del SS. Sacramento, a sinistra per chi entra dalla porta centrale, costruito nel 1699-1700 da Silvestro Ogna di Rezzato e dai suoi fratelli; appartiene alla sua scuola, la "Trasfigurazione di Gesù" (sopra una porta laterale). Il tabernacolo dell'altare maggiore venne eseguito nel 1668 dall'intagliatore Francesco Castelleri di Rendena. L'altare del Crocefisso, di stile barocco, è in marmo giallo veronese, con quattro colonne attorcigliate e un tabernacolo di squisita fattura artistica; venne costruito a spese del Girardi. Il Crocefisso di grandezza naturale, è in legno di bosso e tutto di un solo pezzo. Nel 1704 Cristoforo e Sebastiano Benedetti di Brentonico costruirono l'altare del S. Rosario. Pregevole è anche l'altare di S. Antonio, in stucco e marmo intarsiato, costruito nel 1709 su iniziativa di Bartolomeo Girardi Parentini, con una grande pala recante la data del 1847 e l'annotazione "Primo lavoro di Antonio Moro" pittore e ritrattista di Limone (1820-1899). Altre tele di A. Moro, "Sacra Famiglia con Santi" (1896) e "Gli apostoli Pietro e Paolo" si possono ammirare nella sala T. Patuzzi, attigua alla chiesa. Opera pregevole è la statua in legno della Beata Vergine delle Grazie, che risale al sec. XV e per la quale i Limonesi hanno grande venerazione. In Sacrestia si trovano alcuni mobili molto antichi e preziosi: capolavoro d'intaglio è l'armadio (1718), opera di Giacomo Lucchini di Castello di Condino; l'ornato della fronte dei cassetti e dei pannelli degli sportelli è costituito da rami, fiori e frutti scolpiti con molta grazia. Ricche le suppellettili fra cui un ostensorio in argento lavorato nel 1673 dal veneziano Lodovico Foscatini su commissione degli "huomini di Limon e specialmente delli Pescadori". Nel 1689 le donne limonesi donavano due ghirlande per la Madonna del Rosario. Nel 1756 il parroco elencava due ostensori, due calici, due turiboli e navicella, 3 lampade tutti d'argento e arredi ben tenuti. Tale tesoro andò poi aumentando. Nel 1688 Gerolamo Girardi regalò il baldacchino rosso e nel 1757 la nobile signora Anna Maria Amadei quello bianco. Delle campane, la piccola, poi sostituita, venne benedetta nel 1673, quella maggiore venne fusa nel 1739 da certo Olmo. Le altre vennero fuse nel 1938 dalla fonderia Luigi Cavadini di Verona.
La chiesa di S. Pietro è già ricordata in una pergamena del 1031. Appartenne dapprima alla pieve di Tremosine. Porta i segni di affreschi antichi e di scritte. È stata restaurata nel 1986 dal gruppo Alpini del paese. La chiesa di S. Rocco venne edificata probabilmente nel 1536 per voto di peste. Ha affreschi datati 1539 che il Panazza attribuisce a Martino da Gavardo. È stata recentemente restaurata. Una cappella del Rosario citata nel 1691 è ora scomparsa. Una statua a S. Giovanni Nepomuceno scolpita da Alessandro Calegari in marmo di Rezzato venne eretta nel 1728 a protezione del ponte sul torrente S. Giovanni. Il cimitero nuovo fu inaugurato il 6 agosto 1826. Nella casa natale di mons. Daniele Comboni è stato sistemato un Centro Missionario Comboniano per incontri spirituali con una chiesetta, museo ecc.
L' ECONOMIA. L'economia di Limone si basò per secoli sui prodotti della terra e sulla pesca. Prati molto frequentati erano in tempi antichi a Dalco, e lungo i fianchi del paese sulla montagna dove si sviluppò l'allevamento del bestiame. Sempre assente, fu nei secoli la produzione di cereali, importati dal mercato di Desenzano e che alimentarono antichi molini. Squisito nei tempi andati il miele, delicatissimi i fichi, abbondanti le piante medicinali quali la daphne alpina, la corteccia vescicatoria (con foglie e frutti purgativi), il nerium oleander (la cui polvere delle foglie è starnutatoria), la funaria capreolata (con virtù depurative), l'agave americana, l'aloe (usata come purgante). Allietato il paese da una straordinaria ricchezza di fiori fra cui soprattutto splendidi i gerani, le rose, gli oleandri, margherite ecc. Da qualche anno viene coltivata la bouganville che orna le facciate delle case allietandole di grappoli rosaviolacei. Numerosissimi i balconi e le finestre fiorite. Olivo e vite furono le più antiche colture limonesi. Uve da tavola erano apprezzate fin dal '500 e citate da A. Gallo, ma alla seconda metà dell'800 la vite andò decadendo e il vino divenne scipito e di poca durata.
L'olivo ha tenuto da sempre il primo posto favorito particolarmente dal clima come dimostrano le alte e secolari piante, contorte ma anche rigogliose, che si distendono dal Tamas fino alla linea del lago. Dell'olivo di Limone parlarono con ammirazione Silvan Cattaneo e Giovanni Grattarolo. L'olio di Limone fu sempre fra i più pregiati del Garda. Numerosi erano i torchi per l'olio; uno era tenuto dai fratelli Comboni nella seconda metà dell'800. Le olive vennero poi spremute negli Oleifici sociali di Toscolano costituiti nel 1902 dalla Cattedra ambulante di agricoltura e dal Consorzio Cooperativo agrario e di Gargnano. Il 29-11-1919 veniva costituita a Limone la Cooperativa Possidenti Oliveti, comprendente anche gente di Tremosine, che conta oggi più di 300 soci, possiede un suo oleificio con molazza, due presse e tre filtri lavorando fino a 1500 quintali l'anno di olive. Una crisi nella coltivazione sopravvenne nel 1923 quando la pianta venne infestata dall'insetto fleotribo detto punteruolo della vite. A Limone la coltivazione degli agrumi arrivò in ritardo sul resto della Riviera ma vi ebbe straordinario sviluppo. Nessuno accenna ad una coltivazione del genere fino agli ultimi decenni del sec. XVII, quando dal 1674 Carlo Bettoni iniziò a comperare da Parentino Ghirardi Parentini terreni in località Garbéra, ai quali in seguito incorporò il Belvedere ed altri giardini per coltivarvi agrumi. I suoi figli nel 1696 allargarono i possedimenti alla Garbéra, dando il via ad una sempre più ampia produzione che andò estendendosi nel 1712 con altri fondi in località Reamòl. Chiamando da Gargnano e dalla Riviera famiglie, aumentando in tal modo la popolazione del paese (da 550 abitanti a 722 nel 1741) i Bettoni svilupparono la produzione di limoni così da meritare "honori, privileggi, immunità, prerogative, benefici e preminenze" da parte della comunità di Limone e dare il via a fiorenti affari. Le limonaie, dalla Garbéra e da Reamòl si andarono estendendo anche alla Nua, al Castèl, al Tesl, a Sopino, al Moli, e alle Fasse diventando la principale fonte economica del paese. E ciò nonostante annate sfavorevoli che però richiamarono le provvidenze della Repubblica Veneta e grazie al duro lavoro dei cavatori di pietre e dei giardinieri costituirono un paesaggio che Goethe decantò passando il 13 settembre 1786 davanti a Limone in una sua pagina del "Viaggio in Italia" e che secondo alcuni ispirò i celebri versi del Mignon: "Conosci tu il paese dove fiorisce il limone". Del resto gli agrumi di Limone vennero sempre più conosciuti non solo in Italia ma anche in Europa e specialmente in Germania, Svizzera e Russia. Dopo la caduta della Serenissima sopravvennero difficoltà gravi, non evitate dai promemoria e dagli appelli al governo napoleonico e poi austriaco. Tuttavia agli inizi dell'800 Limone registrò l'introduzione ed il boom del cedro decantato da Giuseppe Nicolini in un suo poemetto. La produzione e la commercializzazione degli agrumi prodotti nelle limonaie della famiglia Bettoni trovò sostegno nella ditta commerciale "G. Francesco Bentotti", in mano ai Bettoni, che ricercò e trovò nuovi mercati. Colpita dalla malattia della gommosi nel 1855 la produzione andò crollando fino a quando non si trovarono rimedi che riportarono la produzione ad alti valori dando lavoro nel 1889 ancora a 23 famiglie e 131 persone, cui si aggiungevano giornalieri, contadini, donne e ragazzi. Un nuovo declino venne avvertito fin dai primi anni del '900, quando i Bettoni si ritirarono dall'attività produttiva vendendo nel 1903 la Garbéra e nel 1914 Reamòl. Tuttavia nel 1905 la superficie agraria degli agrumeti era a Limone ancora di ha. 5.2460 con una produzione non trascurabile. Un colpo gravissimo venne inferto dalla I guerra mondiale quando le coperture in legno delle serre vennero requisite per costruire baracche e trincee ai Fortini, sul Monte Carone, al Passo Nota, a Guil. Il colpo definitivo venne inferto dal gelo invernale del 1928-29 che spense la maggior parte delle piante di limone fino a inaridire l'ultima pianta. La prospettiva d'oggi è una sola: quella di creare un orto botanico o parco o giardino pubblico o un Museo della Limonaia. Dai cedri nella seconda metà dell'800 la ditta Patuzzi ricavava l'acqua di cedro per uso medicinale. Verso la metà del sec. XVIII alle tradizionali colture si aggiunse quella del gelso e l'allevamento del baco da seta che dava ogni anno 300 pesi di bozzoli, lavorati da 17 fornelli della filanda dei fratelli Comboni che forniva ottima seta, premiata con medaglia all'Esposizione di Parigi nel 1856. Fonte primaria dell'economia limonese fu però per secoli la pesca, particolarmente abbondante nei dintorni del paese. Le specie più apprezzate erano il carpione, la trota, il luccio, il cavedano, il coregone, l'anguilla, il pesce persico, il barbo e la grossa famiglia delle alborelle. Alla pesca si dedicarono numerose famiglie del paese fra cui quelle dei Tosi e dei Martinelli e, in epoca più recente, dei Risatti e dei Fava. Rinomatissimo il carpione di Limone pescato soprattutto ad Anzello, ricercato per le mense di principi italiani e stranieri. La pesca del carpione veniva praticata in due diversi periodi: luglio-agosto, dicembre-gennaio. Ne scrissero il Bembo, Silvan Cattaneo e altri. Alla pesca del carpione vollero assistere Federico IV e il 24 luglio 1765 l'imperatore Giuseppe II, accompagnato da un numero incredibile di barche e da gran moltitudine di personalità e di popolo. Altra pesca interessante era quella delle "aole" o alborelle per le quali si attendeva il momento della "frega" o fregala, cioè la primavera, quando i piccoli pesci si avvicinavano alla spiaggia per deporre le uova e venivano imprigionati da tele e da reti chiamate "arconi". Venivano esportati freschi o fatti essiccare al sole, stesi su graticci che davano a Limone un aspetto caratteristico. Non mancarono a Limone anche attività industriali. Avvantaggiate dall'acqua del torrente S. Giovanni funzionarono anticamente tre cartiere, di una delle quali, detta la Milanese, il Tiboni scrive che, secondo una tradizione, sia stata la prima in ordine di tempo del lago. Di un'altra cartiera rimane il ricordo nel toponimo "Fol". A NO del paese furono utilizzate cave di dolomite che contiene circa il 40 per cento di carbonato di magnesio, sfruttato per l'industria e la medicina dai fratelli Comboni che, adottando il metodo di lavorazione in uso nella fabbrica della vicina Val di Ledro, allora austriaca, diedero vita nel 1862 alla prima fabbrica italiana del genere per la quale ottennero dal governo un temporaneo privilegio di privativa. Il turismo e l'ospitalità in Limone furono sempre in stima fra la popolazione, tanto da far scrivere a Silvan Cattaneo nel sec. XVI: «Tutti sono uomini di traffico, pronti e valenti ad ogni prova; sono cortesissimi e più verso i forestieri, che amano e accarezzano a tutto loro potere, quando a caso vi capitano». Rimase un'attività marginale fino a pochi decenni fa anche se ebbe turisti illustri quali Enrico Ibsen, nel 1883, che secondo la tradizione lavorò intorno a "Gli Spettri" in una casa isolata posta alle «Fasse». Più tardi vi capitarono H.B. Lawrence e Ezra Pound. Un certo ri sveglio si ebbe con l'apertura della "Gardesana". In effetti intorno agli Anni Trenta venne costruita dai Dalò l'osteria albergo "All'azzurro" e nel 1932 Felice Fava apriva "La Pergola". Dalla fine dell'800 era sorto l'albergo Bella Vista che negli anni trenta ospitò il re Alberto del Belgio. Ancora negli anni del dopoguerra (1946-1947) Limone poteva contare su tre modesti alberghi con solo quaranta posti letto. Il boom turistico si profilò negli Anni Cinquanta e si accentuò decisamente negli Anni Sessanta grazie soprattutto al turismo straniero che si aggirò sempre oltre il 90 per cento specie di tedeschi, danesi, scandinavi, austriaci. Nel 1963 le presenze annuali erano già 227 mila, con più o meno varie oscillazioni intermedie, nel 1973 erano salite a 350 mila, 428 mila nel 1978, 650 mila nel 1984, 673 mila nel 1985. Nel 1963 i posti letto erano già 3.604, nel 1985, 5.344. Dal 1964 Limone è sede di un'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo. La stagione turistica ha inizio a marzo e raggiunge il pieno a Pentecoste per durare intensa fino all'ottobre. Molte le occasioni di divertimento. La festa di Mezza Quaresima che segna la fine dell'inverno e l'inizio della stagione turistica, vede la distribuzione gratuita di vino, polenta ed aole e giochi vari; seguono molte altre manifestazioni e concerti, regate, mostre ecc. Nel 1975 venne istituito il "Limone d'oro" premio di pittura estemporanea, ripetuto poi solo nel 1983. Numerose le gare sportive fra cui il Torneo internazionale di tennis "Città di Limone s/G", istituito nel 1977. La "Dieci Miglia dieci" gara di surf su 20 km., iniziata nel 1980, gare di bisse ecc. L'economia di Limone ebbe uno dei suoi supporti più consistenti nel porto che serviva anche alle imbarcazioni tremosinesi che con quelle di Limone venivano mandate ogni settimana al mercato di Desenzano per l'acquisto di grano e di sale. Un porto nuovo è stato costruito recentemente con un buon molo e fondali di m. 2,5 e 3 e costituisce un ottimo rifugio. Il porto vecchio racchiuso tra le case è sempre infoltito di barche minori, da noleggio e da quelle degli ultimi pescatori locali. Per favorire il turismo il Gruppo dell'Associazione Nazionale Alpini ha provveduto a riattare nel 1981-1982 i sentieri dell'entroterra montano, un tempo solo frequentati da soldati o da spalloni. Fin dagli Anni Settanta lo stesso Gruppo aveva costruito un rifugio ai piedi della vetta del monte Carone dedicato a Bonaventura Segala. Nei primi giorni di settembre si tiene qui la «Festa alpina» e la gara di marcia di regolarità a pattuglie «Daniele Martinazzi». Le montagne limonesi offrono ancora scorci selvatici. Nel 1907 nasceva una Cassa Rurale poi spentasi. Dal luglio 1957 è attiva una agenzia della Banca S. Paolo. Nel maggio 1984 veniva aperto uno sportello della cassa Rurale ed Artigiana di Vesio Tremosine. Tra le usanze caratteristiche di Limone era l'elezione, a Mezza Quaresima, di un sindaco fasullo che con un discorso pubblico passava in rassegna tutte le deficienze della amministrazione pubblica locale. Frequentatissima fu nel passato la fiera del 30 giugno che richiamava gente da tutto il lago, ma oggi scomparsa.
Limone espresse anche uomini di valore. Fra questi si possono nominare il medico Michele Girardi (v.), il vescovo missionario mons. Daniele Comboni (v.), apostolo dell'Africa nera, i pittori Giovanni Battista Piantoni (v.), e Antonio Moro (v.) i politici senatore Bonaventura Gerardi (v.) e sen. Luigi Lucchini (v.), l'ing. Eugenio Comboni (v.), il chimico prof. Enrico Comboni (v.), l'inventore Francesco Segala (v.) ecc.
I Curati: Giorgio Pace (1566), Claudio Ugolini di Pozzolengo, degli eremiti di S. Agostino, (citato negli atti dal 1571 al 1574), Rocco Pellicano di Bogliaco (citato in documenti dal 1574 al 1575), Giovanni Antonio (citato dal 1576 al 1577).
Parroci: Giuseppe Colosini curato dal 1576 al 1579, parroco dal 1579, Giovanni Luij (1600-1612), Girolamo Pilati (1613-1652), Giuseppe Panzoldi (nominato il 24 gennaio 1653), Luigi Geunari o Zenari di Bagolino (6 aprile 1655), Pietro Comincioli (6 marzo 1668), Francesco Crescini di Montemaderno (29 dicembre 1706), Lucio Crescini di Montemaderno (11 marzo 1728), Lorenzo Levrangi (20 febbraio 1742), Giovanni Battista Baruffaldi (7 ottobre 1748), Carlo Antonio Gazzetti (4 gennaio 1775), Ferdinando Podavini di Muscoline (12 settembre 1775), Fausto Marmaglio (22 dicembre 1828), Pietro Roncetti (8 febbraio 1830), Giuseppe Colosio (22 maggio 1839), Filippo Rovetta (3 gennaio 1841), Pietro Grana (2 marzo 1852), Pietro Milesi (14 settembre 1858), Giovanni Maria Cescotti (18 dicembre 1881), Giovanni Marinelli (24 febbraio 1897), Giovanni Battista Morandi (19 agosto 1903), Luigi Poli (30 dicembre 1922), Prospero Pedersoli (28 ottobre 1924), Franco Della Torre (1 luglio 1971), Mario Trebeschi (1985).