GOTTOLENGO

GOTTOLENGO (in dial. Otàlengh)

In latino Gottolingi, al genitivo, perché sta a indicare che era proprietà terriera di qualcuno; probabilmente di un personaggio germanico, Gottolo.


Borgata della "bassa bresciana" tra Leno e Gambara, sulla destra del vaso Redona (Tredù), compreso tra questo canale, le seriole Rovertorta e Gambara, limitata a S dal fiumicello Galbuggine che la separa dalle terre di Pralboino. È a m. 53 s.l.m. ed a Km. 29 da Brescia. Ha una superficie di Kmq. 28,56. Comprende numerosi cascinali fra cui il maggiore è Solaro, a N del territorio. L'origine del nome ha impegnato molti studiosi che spesso si sono adagiati su supposizioni ed illazioni non sicure. Nel sec. XI era chiamato Gotaringo, Gotenengo e Guttulengum; nel secolo XV Othalengum; nel sec. XVI Gotalengo. Il nome potrebbe derivare dall'aggettivale in "ing" e dal nome personale germanico "Gottolo", oppure il suffisso "engo" potrebbe indicare una derivazione germanico-gotica e significherebbe la proprietà di un qualche personaggio germanico di nome Gottol-Gottolo e ne sarebbe l'aggettivo. Improbabile è la denominazione riferita alla venuta dei Goti che attendatisi qui avrebbero fatto coniare un "Vicus Gotorum". Tanto più che il nome Gottolo, Godolo non è infrequente fra radici longobarde. Porta tale nome, ad esempio, un suddiacono della Chiesa bresciana proprietario di un appezzamento di terra che nel 761 è interessato in una questione riguardante il monastero di S. Salvatore in Brescia. Altri riferiscono il nome alla radice "Got" uguale a Dio, col significato largo di "Villaggio di Dio". Abitanti ("Gottolenghesi", nomignolo "beghi"): 1500 nel 1572, 1700 nel 1597, 1650 nel 1610, 1150 nel 1634 (dopo la peste manzoniana), 1200 nel 1647, 1150 nel 1657, 1343 nel 1668, 1436 nel 1678, 1472 nel 1686, 1516 nel 1689, 1628 nel 1704, 1711 nel 1711, 1928 nel 1728, 2000 nel 1742, 2097 nel 1754, 2500 nel 1775, 2259 nel 1784, 2438 nel 1812, 2750 nel 1838, 2452 nel 1850, 2712 nel 1871, 2750 nel 1881, 3343 nel 1901, 3965 nel 1911, 4494 nel 1921, 4486 nel 1931, 5023 nel 1936, 5225 nel 1951, 4236 nel 1961, 4250 nel 1977.


Il territorio è di carattere alluvionale. Poco lontano dai terreni di Pavone Mella, nel 1962, vennero rinvenute ossa di "Cervus Elaphus", animale tipico delle epoche preistoriche. La zona chiamata Castellaro fu una stazione preistorica di grande rilievo e rinomata da quando nel 1872 Giambattista Ferrari di Seniga e nel 1875 il Prof. Pigorini scoprirono qui i primi reperti dell'età del bronzo. Il nome ricorre ancor più dal 1909 e dal 1925-1926 in poi, quando, durante i lavori agricoli ed i livellamenti si rinvennero: oggetti di pietra (lame di pugnale, coltelli e coltellini, punte di frecce, raschietti, giavellotti, accette di giadeite); oggetti di osso di cervo e di altri animali (punteruoli quadrangolari ed appuntiti, cuspidi di frecce tondeggianti, aghi, crinali, lesine, spatole per brunire le ceramiche, una rotella); oggetti vari triangolari, scalpelli di bronzo, lesine quadrangolari appuntite alle due estremità, spilloni vari, alcuni con la capocchia incisa, aghi lunghi e sottili, una fibula etrusca "tipo Certosa". Vi è perfino una forma di fusione in minuta arenaria, con modello di punte di falcetto, rotella e pendaglio. Soprattutto abbondantissima è la ceramica purtroppo molta della quale in cocci eccetto una olea, un vasetto ed una scodella. Qualcuno sostiene che il Castellaro fu una Terramare dell'età del bronzo cioé un villaggio preistorico costruito su palafitte terrestri, circondate da un argine e fornite di un sistema di canali e sostenenti capanne di legno o graticci, comunicanti con l'acqua dei canali. Qualche altro, fra cui il Barocelli con maggiore verità, pensa invece ad un nucleo abitato insediatosi sulla fine del periodo eneolitico (fase finale del periodo neolitico durante il quale, pur continuando l'uso della pietra, inizia quello del bronzo) in cui compare l'uso dei metalli e sviluppa una vera e propria civiltà agricola, persistendo lungo tutta l'età del bronzo. Sorgeva sopraelevato di sette metri dalla campagna circostante e misurava 225 metri di lunghezza per 150 di larghezza. Anziché essere costruito sull'acqua con palafitte, era su terraferma e fitto di capanne ben disposte, costruite con paglia ed argilla e difeso all'intorno con serie di palizzate protettive e difensive. Oltre le palizzate, era completamente circondato da un canale d'acqua derivato da un fiumicello che scorreva su un lato della terramare, assumendo le caratteristiche di un villaggio protetto. In principio gli abitanti avranno vissuto di caccia e pesca, ma, col tempo, sviluppatasi l'agricoltura, avranno avuto un notevole apporto con la razionale coltivazione di piccoli campi strappati ai boschi, liberi dalla palude. L'organizzazione sociale legata a più villaggi, era fondata sulla tribù e più tribù costituivano una confederazione. In questa specie di "stazione preistorica" è pensabile che molti fossero i fonditori del bronzo (come dai reperti scoperti) e che quindi si determinassero rapporti... commerciali con altre terramare e con la stessa Brescia. Questo villaggio o Castellaro però venne abbandonato ancora durante l'età del bronzo, anche se vi rimasero, come attestano alcuni sporadici ritrovamenti, alcune rade abitazioni. Tra il nuovo villaggio e il Castellaro la leggenda vuole che esistesse una galleria sotterranea che li avrebbe collegati. Il piccolo e nuovo villaggio sorse poi dove oggi esiste il paese (come testificano anche qui dei ritrovamenti archeologici) ed in esso venne eretta probabilmente, nei tempi successivi, una torre romana, di cui vi è ricordo, nonché un tempio pagano la cui esistenza è registrata dalla nota nobildonna inglese Lady Mary Wortley Montagù che soggiornò parecchi anni in Gottolengo verso la metà del '700 e dalla tradizione locale, sulle rovine del quale tempio sorse poi la prima parrocchiale, quale momento religioso di emancipazione e di indipendenza dalla pieve di Corvione. Di grande interesse, per chiudere il periodo pre-romano, è il graffito di un vaso di quest'epoca facente parte di tomba gallica, rinvenuto di recente in una cava nei pressi della cascina Riccio, ritenuto specificatamente venetico, cioé coevo alla dominazione degli antichi Veneti, risalente al sec. II a. C.; vi è tracciato il gentilizio romano "Nantios". Che dire, infine, del corno di terracotta trovato al Castellaro, il più antico del mondo di 4 mila anni fa, ora la Museo Pigorini di Roma? Comunque la maggioranza dei reperti sono raccolti ed esposti in un interessante museo locale ordinato da Pierino Lucini, appassionato ricercatore e studioso di reperti antichi. Così con il dominio romano si sviluppò, nei pressi del fiume Rhandione (oggi Redona) un villaggio più vicino a noi, situato su una vasta spianata, leggermente sopraelevata, con la possibilità di scavarvi attorno una fossa, utilizzando le acque del fiume stesso. La vita romana è comprovata anche da una lapide che fino a duecento anni fa era inserita nel pavimento dell'antica chiesa parrocchiale (la primitiva) dinnanzi all'altare maggiore e che nel 1746 venne murata nella parete esterna dell'abside dell'attuale parrocchiale. Questo è il suo testo: "C. MUTIUS . SEX . F - P . POPILLIUS . M . - F - Q. MUCIUS . P. F. - M. CORNELIUS - P. F - IIII . VIR . TURREM . EX . D. D - AD . AUGENDAS . LOCAVER- IDEMQUE .PROBAVERE". Che tradotto liberamente dice: "Caio Muzio figlio di Sesto, Publio Popillio figlio di Marco, Quinto Mucio figlio di Publio, Manio Cornelio figlio di Publio, quattuorviri con decurionale decreto per incremento collocarono questa torre. I medesimi la collaudarono". Per cui i "quattuorviri" Muzio, Popillio, Mucio e Cornelio, appartenenti, secondo il Beloch ed il Degrassi, al Municipio bresciano che precedette la Colonia Augustea, furono autorizzati con decreto dei decurioni ad erigere in Gottolengo una torre, certo a scopo difensivo. Di questo avviso è pure il Mommsen pur facendo una distinzione fra i quattro della lapide, ritenendone due con facoltà "de jure dicundo" e due "aediles", i costruttori o capimastri, come diremmo oggi. Da scartarsi è l'ipotesi che la lapide (risultante una porzione di un'altra più grande da cui fu staccato il pezzo gottolenghese con i nomi in questione) sia pervenuta da Brescia o da altre località. Certo che il fatto è stimolante nell'indurre a fare altre ricerche. Una nota gentile porta la lapide in cui certa Ticilla ricorda una sua amica; ma più importante ancora l'altra lapide, trovata nell'area della piccola chiesetta di S. Nazaro, che indica un certo Vinnio che con gioia scioglie un voto ad Apollo. Fornisce notizie di Gottolengo un'altra lapide, un tempo murata nella chiesetta di S. Michele e poi finita a Gambara, che ricorda un Publio Stazio Paullo Postumio, cavaliere, tribuno della Legione Gemina Felice, prefetto, pro-pretore del Ponto e della Bitinia, pro-console della provincia Betica. Chi fa questa dedica è Cominio Aufilleno Minuciano all'amico "optimo et rarissimae fidei". Segni della presenza romana sono anche i toponimi, pur non accettando l'opinione del Ferrari di Seniga (denominato Prét de le ciape 1823-1885) secondo cui il fiume Redona deriva da "rhaudii", cioé terreni incolti, giacché la sua derivazione è da "rivus". Un nome chiaramente romano è quello di Solaro, grande cascinale e frazione di Gottolengo. Esso deriva da "solarium" che significa più precisamente "terrazzo soleggiato" o anche, per qualche studioso "fondo, suolo". L'illazione del Ferrari che qui ebbe origine il primo nucleo abitato di Gottolengo sembra da scartarsi a priori. L'importanza di Gottolengo è giustificata soprattutto dalla sua funzione di difesa, data la vicinanza dei confini mantovani e cremonesi. Tale funzione dovette durare per alcuni secoli oltreché al tempo delle invasioni barbariche degli Ostrogoti e dei Goti (secondo qualche tesi quest'ultimi avrebbero dato il nome al paese) e durante il periodo bizantino fino allo stanziarsi dei Longobardi, intorno al 569 d.C. I segni di tali dominazioni sono sparsi in tutto il comprensorio circostante a Gottolengo e cioé nelle terre di Milzanello, Calvisano, Remedello ecc. Sotto i Longobardi, anzi, l'importanza di Gottolengo andò sempre più prendendo rilievo. Secondo il Malvezzi (nel suo "Cronicon") Gottolengo fu tra i beni liberi da vincoli (allodiali) di Desiderio ancora prima che divenisse il re del suo. L'importanza dell'ipotesi verrebbe a chiarire la evoluzione sempre più marcata di Gottolengo da luogo di difesa in pacifico centro agricolo con fisionomia di "possesso agrario", in tedesco "Ut-aleng", con l'illazione di aver dato ciò il nome al paese, su cui tra poco si stanzieranno i Benedettini e per un vastissimo comprensorio. Pare che Desiderio, nella zona ove sorge ora la chiesetta dell' Incidella, tenesse un nutrito allevamento di cavalli per uso agricolo e bellico con scuderie. È possibile infatti fare derivare Incidella sia da scutella, scodella, per la forma del terreno, sia da scuderia. Più probabile è invece l'ipotesi che quel terreno in possesso della famiglia "de Scutellariis" tra il 500 e il 600 (epoca in cui sorse il tempietto) abbia fatto nascere la denominazione di "scutella". Dalle visite del Bollani risulta che nel 1566 reggeva la cappellania di S. Giacomo in Gambara un certo Don Filippo de Scutellariis. Ciò potrebbe essere un avallo dell'ipotesi suddetta. Nell'ambito della Pieve di Corvione, nel territorio di Gottolengo, si formarono tre diaconie: quella di S. Nazaro ai confini con Isorella, al centro quella di S. Lorenzo e al Massago la terza. La vita religiosa ed economico-sociale si sviluppò ancor più con la probabile donazione da parte di Desiderio della corte di Guthulengum. Nei diplomi seguenti, fra cui quello di Berengario II del 958, compare sempre la Chiesa di S. Pietro di Gottolengo con i beni annessi. Siccome manca il "diploma" di donazione di Desiderio vi è motivo di dubitare della donazione longobarda. È certo il fatto che poco dopo Gottolengo cadde sotto l'influenza economica e religiosa del monastero leonense. Ma è anche probabile che gran parte del territorio sia ancora appartenuto al fondo pubblico e passato dai Longobardi ai Franchi, a Canossa e che forse solo il 22 aprile del 967 tutti i beni di Gottolengo vennero ceduti dal Marchese Adalberto di Canossa al Monastero di Leno in cambio della corte dei Gonzaga. Adalberto Azzo di Canossa, figlio di Sigfrido conte di Reggio, Modena e Mantova fece molti donativi alla chiesa bresciana. Ancora nel 1045 si registra una donazione fatta dal marchese Bonifacio, padre della contessa Matilde, al capitolo della cattedrale di Mantova e datata in Gottolengo. Già nel 970 in un documento vi è segnata l'infeudazione di Gottolengo da parte dell'abate di Leno alla famiglia dei Lavellonghi, feudo, le cui decime verranno poi divise, nel secolo seguente, fra i Lavellonghi stessi, i Milanesi ed i Da Concesio. Del resto circa l'appartenenza di Gottolengo al Monastero di Leno fanno poi menzione molti documenti posteriori come le Bolle di Urbano II del 1092, di Callisto II del 1123, di Innocenzo II del 1132, di Eugenio III del 1146, il Diploma dell'imperatore Federico I del 1177, una descrizione di feudi del 1192 e così via. Gli atti poi di una lite fra il vescovo di Brescia Giovanni e l'abate di Leno Guntero dell'anno 1195 sono in proposito molto espliciti. Vi è infatti testificato che a scegliere i candidati per gli ordini maggiori fra i chierici della chiesa di Gottolengo era l'abate del monastero di Leno, il quale conferiva direttamente gli ordini minori. La Chiesa di Gottolengo riceveva dal monastero gli olii santi e l'indicazione delle penitenze pubbliche. In più i parroci di Gottolengo vennero, fino al XIV secolo, nominati dall'abate del monastero. Qui si stabilì un "monachus praepositus", cioè un monaco delegato (donde il titolo di prevosto al parroco di Gottolengo) ad amministrare i beni della badia, a dirigere i lavori agricoli, a presiedere la vita religiosa della zona e la direzione della casa monastica, cui facevano capo gli interessi spirituali e materiali della località. Uno dei suoi compiti più specifici rimase quello di amministrare i beni in favore dei bisognosi come prescrivevano i Diplomi emessi da Ludovico II Imperatore a favore dell'abate Remigio nell'862 e gli altri di Berenganio II, di Adalberto re d'Italia nel 959, di Ottone I nel 962, di Ottone II nel 981. Inoltre il monastero diede il via ad un'ampia opera di bonifica ed assieme di organizzazione religiosa, ma anche civile. L'ultima invasione degli Ungari infatti, trovò Gottolengo riorganizzato con una rocca fortificata pronta a resistere. Negli anni 933-934 Gottolengo riprende il suo ruolo strategico. Gli abati di Leno, Uberto e Donnino, lo cingono di fosse, di alte palizzate, di mura e torri. Ma soltanto l'alleanza coi capi ungari risparmia alla terra gottolenghese dure battaglie e tragiche devastazioni. Anche l'abate Richerio contribuì a ridare prestigio a Gottolengo, rinnovandone le fortificazioni che servirono a far fronte a nuove invasioni e fu tale il prestigio del castello chiamato il "Falcone" che nacquero intorno ad esso leggende come quella di Odosino, monaco del monastero di Gremignane contro il quale, essendosi messo a capo di diecimila facinorosi, anche i gottolenghesi avrebbero combattuto in difesa del monastero di Leno. La decadenza, specie dalla seconda metà del sec. XII , del monastero leonense, coinvolse anche Gottolengo, per cui nel 1152 venne occupato dai cremonesi; ne seguì un clima di disordine e Gottolengo fu sempre più coinvolto in lotte di fazioni e di eserciti. I più vivaci scontri sul territorio gottolenghese e dei paesi circonvicini avvennero fra Alberto di Casalto, i Confalonieri, i Poncarale con il Podestà di Brescia, il bolognese Alberto Musso e i conti di Palazzo. Leno, dove Alberto Casalto e tutti i suoi seguaci si erano rifugiati con la protezione dell'abate Onesto, diventò con Gottolengo ed altri paesi, l'epicentro di una lotta a volte sorda a volte aperta ed accanita fra le fazioni; ancora una volta il castello di Gottolengo fu rinforzato da nuove difese e sopportò lunghi ed estenuanti assedi. Di più i gottolenghesi dovettero aiutare Leno assediato nel 1207 da Oberto di Savallo e da Longino di Bovegno, costringendo all'esilio gli assediati. Però nel 1209 l'abate Onesto e Alberto di Casalto, aiutati dai cremonesi, ritornarono all'assalto, ritornando vittoriosi in Leno con i fuoriusciti. Ci fu chi si interpose per una tregua in attesa della venuta dell'imperatore Ottone IV, perché componesse di persona le discordie; ma la tregua durò poco e Gottolengo, purtroppo, divenne ancora il centro di un episodio di lotte fratricide lunghe e rabbiose. Oberto di Savallo, dando ascolto a voci maligne che gli presentavano Onesto come colui che lo voleva togliere di mezzo, volle sorprendere questi mentre trovavasi con pochi suoi uomini fidati a Gottolengo. L'abate, prevenuto, riunì in fretta il maggior numero di seguaci e tese un agguato ad Oberto che si riteneva sicuro di sorprendere il suo nemico. L'agguato riuscì e Oberto poté a stento salvarsi con pochi dei suoi, favorito dalle tenebre, mentre molti altri rimasero uccisi. La notizia dell'ecatombe giunse a Brescia e spinse valtrumplini e valsabbini a marciare su Gottolengo, per vendicare i loro compagni uccisi ed il paese fu salvato dalla notizia che erano in marcia le truppe imperiali, per bocca di un dignitario dell'Imperatore, facendo desistere i vendicatori. A questo punto le guerre fra i nobili, quelle feudali, stancarono le popolazioni bresciane che alzata la testa reclamarono più libertà e nuove forme di autogoverno, preconizzando il libero Comune che imponendo propri statuti con spirito democratico andavano riscattando le popolazioni dalla schiavitù feudale, liberando i servi della gleba, dandosi statuti propri voluti direttamente dai cittadini. L'esempio del Comune di Brescia fu imitato anche da Gottolengo che, riscattandosi dalla signoria dei signorotti locali, trovò modo di rendersi indipendente sotto la protezione della città, eleggendo un consiglio, due consoli, sindaci, cancellieri, massari, campari, custodi ecc. Ciò dovette avvenire nei primi decenni del sec. XIII. Nel 1234 infatti il Consiglio del Comune di Gottolengo nomina il console Zacuzio Groppa ed il massaro Benedetto Busio a contrarre un mutuo in favore della comunità. Nel 1280 e 1286 la Comunità stessa estingue un debito contratto con Guitino da Palazzo. Nel 1237 l'esercito germanico, agli ordini di Federico II metteva a sacco Gottolengo ed i paesi circostanti seminandovi rovine e morte. Legato a Leno nel 1247 conobbe il sopravvento dei Malesardi o Ghibellini sulle truppe del comune di Brescia, che uscirono vittoriose nel 1248. Nelle rinnovate lotte di fazioni e di eserciti accorsi in loro aiuto, nel 1308 Gottolengo venne conquistato da Gherardo Gambara per conto dei Maggi contro Tebaldo Brusato e nel 1315 il vescovo Federico Maggi investiva il comune di Brescia delle decime del territorio di Gottolengo, investitura rinnovata nel 1339. Il paese nell'ottobre del 1319 fu assediato dal piccolo esercito del Cavalcabò forte di sessanta cavalieri e di duecento fanti. Il Castello resistette per qualche giorno, ma ben presto tutto l'esercito guelfo si accampò nei dintorni e gli assediati si convinsero che non sarebbe stata possibile difesa alcuna. Scesero perciò a patti con il Vicario del re di Sicilia e con Gilberto da Correggio, sborsando due mila fiorini d'oro per aver salva la vita e perché il paese non fosse distrutto. Purtroppo le temute devastazioni furono soltanto rimandate, poiché nel 1320 l'esercito Guelfo, comandato dal Correggio, metteva a ferro e fuoco Gottolengo e Gambara, ovunque depredando ed incendiando. Alle lotte fra le fazioni politiche si devono aggiungere quelle fra le famiglie più potenti che erano andate arricchendosi a spese della Badia e della povera gente del luogo, delle quali si distinsero le famiglie dei Lavellongo, de' Milanesi e de Concesio, che poi, suddividendosi in diversi rami e sovente cambiando nome, si contendevano le più vaste proprietà del territorio, contrapponendosi allo stesso Libero Comune. Tali contese continuavano ormai da secoli favorite dalle fazioni e dall'anarchia provocata dalle lotte intestine. Contro la loro prepotenza reagivano le libere istituzioni comunali (corporazioni ed associazioni varie) specie le "vicinie" che si basavano su propri statuti e su consuetudini locali e che regolavano la vita civica ed economica nello spirito del mutuo soccorso. Gottolengo si trovò coinvolto agli inizi del XV secolo nella lotta tra Pandolfo Malatesta, signore di Brescia, ed i Visconti di Milano, nonché i signorotti favorevoli ai primi od ai secondi per scroccare i "diritti di proprietà". Gottolengo per la fedeltà a quest'ultimi patì così numerosi e gravi contrasti, nonché afflizioni e si ridusse a tale miseria che il 2 aprile del 1406 il duca Gian Maria Visconti, con suo Diploma, si sentiva in dovere di condonare tutti i debiti contratti dal Comune con la Camera Ducale. Dal 1426 al 1484, data del definitivo possesso di Venezia, il territorio bresciano si trovò coinvolto da almeno dieci nuove guerre fra la Serenissima e il Ducato di Milano, che si svolsero quasi del tutto nella pianura bresciana ed in cui il Castello di Gottolengo fu tra i più interessati e tra i più colpiti per la vicinanza a Mantova e Cremona, punti di riferimento delle guerre stesse. Occupata Brescia nel 1426, per consolidare il proprio dominio, l'anno seguente, pure nel mese di marzo, il Carmagnola, generale dei Veneziani, con un suo esercito di 15 mila cavalli e 6 mila fanti incominciava l'assedio ai castelli della pianura tenuti ancora dal duca Filippo Maria Visconti. Dopo diversi tentativi, il Carmagnola espugnava il Castello di Montichiari, portandosi poi sotto Gottolengo sicuro di espugnarlo con facilità; ma tale sicurezza andò delusa; il paese era infatti difeso dalla palude da una parte e dall'altra da buone mura di recente costruzione e con fortificazioni nuove per intervento diretto del Duca Filippo Maria Visconti il quale, con lettera del 21 maggio 1421, riconfermata da altra del 16 novembre 1422, aveva ribadito la esenzione da tutti i dazi ordinari e straordinari per i gottolenghesi, perché potessero più comodamente e con maggior facilità fortificare il paese e circondarlo con un buon muro nel termine appunto di sei anni, tanti quanti sarebbe durata tale esecuzione. Con la sua solita abilità il duca Filippo Maria aveva poi, in vista appunto dell'offensiva del Carmagnola, in data 14 marzo 1427 concesso un privilegio con il quale ai Reggitori del Comune concedeva il potere di giudicare anche "in criminalibus", di tenere il mercato con privilegi annessi, e allargava l'esenzione delle tasse sia sulle persone che sulle cose per altri dodici anni. Si può immaginare con quanto impegno i gottolenghesi si accinsero a difendere con il loro paese il Ducato di Milano. Fu così efficace la loro difesa che il Carmagnola dovette per il momento desistere dall'assedio, portandosi sul Mantovano per combattere a Casalmaggiore ed a Bresullo. Nel maggio, tuttavia, ritornava all'assalto, ma fu bellamente giocato dalle truppe milanesi di Francesco Sforza, che giunto infatti il giorno dell'Ascensione nei pressi di Gottolengo con 14 mila cavalli e 12 mila fanti, riuscì a sorprendere le truppe venete che avevano tolto le sentinelle e lasciati liberi i cavalli per la campagna. Fu invece sorpreso dalle truppe duchesche, che avvertite dell'arrivo, avevano teso un'imboscata. Piombati addosso ai soldati inermi, i soldati del duca riuscirono a farne prigionieri ben 1500, uccidendone altri fra cui Nani Strozzi. Soltanto il 3 ottobre dello stesso anno, dopo che ormai quasi tutti i paesi circostanti e la stessa fortezza di Montichiari erano capitolati, Gottolengo scendeva a patti con i Veneziani e si arrendeva. Nel maggio 1428 fu tra i paesi che giurarono per primi fedeltà a Brescia. Riaccesasi nel 1437 la guerra fra Milano e Venezia, a Gottolengo ebbe la prevalenza il partito Ghibellino e visconteo e venne organizzata una congiura antiveneta, scoperta poi per la delazione di Antonio Lana, che ebbe ampia ricompensa. In effetti nel luglio del 1438 il castello di Gottolengo fu tra i primi ad arrendersi senza combattere al Piccinino nel luglio dello stesso anno, ma fu anche tra i primi centri ad essere occupato l'11 giugno del 1444 dalle truppe venete dello Sforza. Passato sotto l'influenza viscontea ed il controllo dell'esercito del Piccinino, Gottolengo tornava a Venezia nel 1441 per intervento di Antonio Martinengo su Marsilio e Brunoro Gambara, sottomettendosi a Francesco Sforza che comandava le truppe venete. Gottolengo cercò subito di accampare l'autonomia nei riguardi dell'egemonia dei Gambara e quella di Venezia, cercando rapporti diretti con Brescia dove inviò il proprio sindaco Bertolino Meni nel 1444, ma vi doveva sempre serpeggiare uno spirito di ribellione, perché durante la campagna del 1452 Gottolengo fu uno dei castelli della bassa che aprì le porte allo Sforza, questa volta milanese. Nel 1452 riaccesosi un ottavo conflitto tra Venezia e Milano, mese di giugno, Gottolengo si ribellava a Venezia, aprendo le porte ai viscontei. Nell'agosto del 1483 Federico Gonzaga, alleato del Duca di Calabria, si impadronì di questo castello, ma poi lo dovette cedere con i patti della pace di Bagnolo un anno dopo. Durante il periodo invece dell'occupazione francese nel 1512 vi fu il tentativo dei Gambara di impadronirsi di Gottolengo, oltreché di Manerbio e Quinzano, scoprendo così la secolare loro ambizione di formarsi uno staterello nella pianura. Sembra che Gastone di Foix avesse confermata l'investitura di Gottolengo, ma la notizia rimane sempre supposta. Quando nel 1521 il nostro territorio ebbe a soffrire non per la guerra in sè, ma per il passaggio dei Lanzichenecchi di Carlo V e delle truppe del conestabile Colonna (comandante delle milizie) il castello che ne soffri più di tutti fu Gottolengo sottoposto ad ogni genere di violenza ed al più duro saccheggio del 20 e 25 ottobre, terribile ed ultima prova. A determinare lo sviluppo che Gottolengo ebbe, specie dal sec. XV in poi, fu la presenza di una piccola colonia ebraica, che esso accettò nel gennaio del 1462 a condizione che Brescia provvedesse a pagare i debiti contratti dai suoi abitanti con gli ebrei stessi, pena la loro espulsione. Nel 1475 però Gottolengo fu tra i primi centri bresciani che accolse gli ebrei nel suo territorio, finchè nel 1495 venne fondato il Monte di Pietà per liberarsi dalla loro usura. Più travagliati furono gli avvenimenti del 1509 e 1512; approfittando della guerra scoppiata tra Venezia, Francia, Spagna ed Impero, sembra che i Gambara si siano impadroniti di Gottolengo, ottenendo poi, a quanto sembra, la concessione dai francesi con atti del 27 febbraio 1512 e di Gastone di Foix del 12 marzo 1513; ma sulla autenticità di tali atti esistono dubbi, come dell'ultimo del Cardona (generale spagnolo, vicerè di Napoli, che, avendo combattuto a fianco del Papa e dei Veneziani contro i Francesi, nel 1512 fu sconfitto da Gastone di Foix); la conferma di tale infondatezza appare in diversi storici. Saccheggi e violenze di ogni genere subì Gottolengo il 23 ottobre 1521 da parte di un contingente di truppe spagnole penetrate dal cremonese nel bresciano a fare bottino. L'azione provocò, il 28 ottobre, la protesta di Venezia presso il Papa ed il Re d'Inghilterra e l'aiuto fattivo del Marchese di Pescara, Ferrante d'Avalos. Con l'ordinamento veneto fu dapprima "Vicariato" minore e poi maggiore; Brescia da parte sua lo favorì cercando di contrastare in ogni modo l'egemonia dei Gambara. Il 16 gennaio 1511 re Luigi XII investiva di Gottolengo i Gambara. Nel 1521 conobbe il saccheggio degli Svizzeri e dei Pontifici; nel 1577 venne colpito dalla peste che si ripetè ancora più distruggitrice nel 1630 e per i secoli che seguirono dovette corrispondere a Venezia forti dazi ed assieme mandare all'esercito cavalli, soldati e cavalieri; nel frattempo non mancano serie carestie, per scarso raccolto, data la costituzione sabbiosa del terreno, come lo è ancora oggi, adatto più alla coltivazione di patate, cucurbitacee che ad altro. Nel 1662 nacque una controversia con il comune di Gambara, per l'utilizzo di acque di irrigazione. Fin dal 5 agosto 1544 veniva concesso dalla Serenissima a Gottolengo il privilegio del mercato settimanale.


Intanto il "borgo murato" ed il "borgo forte" fino al sopravvento della Repubblica Veneta, andavano decadendo, così che nel 1609 il Da Lezze (Podestà di Brescia, incaricato da Venezia di catastare il territorio bresciano, compilatore del famoso "Catasto Bresciano o Catastico Queriniano", perché depositato alla Queriniana) che di Gottolengo fa una dettagliata relazione sulla natura del terreno ed il governo della comunità, alle pagg. 509-511, vol.III, lo trovava, per mezzo miglio "con la fossa paludosa, senza mura vere e proprie e ponti levatoi". Tuttavia ricerche diligenti di Pierino Lucini hanno individuato un nucleo fortificato, fra cui una torre al centro del paese di m. 8 x 8 demolita quasi interamente nel 1882, che doveva essere il perno di un vasto sistema fortificato, limitato da un muro di 1200 m. di lunghezza con molte torri, recingenti tutto il paese. Al centro del paese, poco discosta dal Municipio, nella parte storica, a cento metri dalla parrocchiale, rimane una costruzione tradizionalmente chiamata "torre", non un campanile, per la sua fisionomia che si intuisce, forse di tipo medioevale che racchiude a pianterreno e sopra la vecchia ghiacciaia, un vasto stanzone con volta a crociera. Al primo piano esisteva il "cammino di ronda" per le sentinelle, con il vano d'accesso alla porticciola; all'esterno si rilevano le lesene, l'arco dell'antico ingresso e le tracce dei cardini del ponte levatoio. Il piano terreno non è quindi che la base della torre del castello, decapitata sul finire del secolo scorso, pressappoco all'altezza del primo piano e solo parzialmente ricostruita. Sebbene rare volte nei registri locali, a Gottolengo, si trovino dei nomi di famiglie patrizie, vi abitarono, sia pure non stabilmente, o ebbero rapporti con le famiglie nobili come i Gambara, i Poncarali (Ponte Caralis), i Palazzi, i Luzzago, i Rodengo ecc. Fu un Ugolino Palazzi che condusse a Gottolengo la già citata Lady Montagu, una delle donne più intraprendenti ed intelligenti del '700, (di cui parliamo più dettagliatamente sotto il suo nome) che però vi venne trattenuta per anni, quasi prigioniera, probabilmente in una delle tre case possedute dai Palazzi a Gottolengo, una delle quali fu poi degli Ziliani (che tenevano in Brescia una fabbrica dei primi giocattoli, imparentata con i Gramatica) e dal 1952 di Pierino Lucini. Nel 1517 i Rodengo costruirono su antichi ruderi il castello di Solaro che passò poi ai Luzzago, indi a Cristoforo Tempini ed infine alla famiglia Barbizzoli-Migliavacca. Durante il colera del 1836 veniva costruito il Lazzaretto, di cui si conservano sicure vestigia in una modesta e devota "santella" sita nella fossa del Castellaro. Nel 1882 veniva malauguratamente capitozzato il Torrione Romano-Medioevale, che portava tre campane della comunità, di cui la odierna Chiesa della Disciplina, sorta in località diversa dall'antica, ne conserva superstite una.


Fin dal 1880 in Gottolengo venne istituito un corso popolare a complemento della scuola elementare. La casa o il palazzo dei Poncarali, passò nell'800 al nobile Bernardo Belotti e da questi al nobile avv. Zini e fu, infine, presa in affitto con l'azienda agricola, da Ottorino Villa prima che iniziasse la vasta bonifica nei territori di Gottolengo, Isorella, Remedello e Visano. Il 9 settembre 1906 veniva inaugurata l'illuminazione pubblica. Nel 1907 il paese venne raggiunto dalla tranvia (tram elettrico della T.E.B. che partiva dalla città) Pavone, Gottolengo, Gambara, derivata da quella che proveniva da Brescia, passando per Bagnolo, Leno, Pavone, Pralboino con il capolinea ad Ostiano. Nel 1921 furono costruite le prime case popolari e la "Fossa", spianata, fu convertita in Parco della Rimembranza, in mezzo al quale fu elevato il monumento ai Caduti e nel frattempo avvenne la creazione di pozzi artesiani che liberarono il suolo acquitrinoso dalla malaria. Politicamente dominato dapprima dal liberalismo zanardelliano, nei primi anni del secolo il paese vide prevalere il socialismo, impersonato soprattutto nel dott. Adriano Belli e nel figlio Camillo. Nel maggio 1919 vi fece la prima comparsa una squadra di fascisti vicentini e agli inizi del 1921 vi venne costituito per iniziativa di Genevini, Tenchini e qualche altro il fascio. Incidenti e scontri a volte violenti fra socialisti e fascisti avvennero il 12 ottobre 1921, il 12 dicembre 1921, l'1 gennaio, il 19 febbraio e nel giugno 1922 durante lo sciopero agrario. Assieme a Gambara, Pavone M., Pralboino, Fiesse, il fascismo locale ebbe, nel 1941, un suo bollettino mensile intitolato: "Squadrismo". Nel 1949 il locale Asilo Infantile (oggi Scuola Materna) venne ristrutturato per mezzo di aiuti vari fra i quali quelli di Carlo, Giuseppe e Luigi Pezzi di Framighan Mass (U.S.A) e l'esempio fu seguito da altri. Seguì nel 1977 la ristrutturazione della sede municipale, comprensiva dei locali della Biblioteca Comunale e del museo che raccoglie il materiale preistorico e gallico-romano rinvenuto nella zona, mentre prima fu costruito, poi ampliato, l'edifico scolastico che ospita le scuole elementari e la scuola media autonoma: i due tipi di scuola dell'obbligo. Nel 1863, partiti i Carmelitani dal Convento di S. Girolamo, sorge l'idea da parte del l'Amministrazione Comunale, allora retta dal Sindaco dott. Pietro Gramatica (padre di mons. Luigi Gramatica, canonico e bibliotecario Vaticano, scrittore e teologo (1865-1935) di fondare un ospedale civile con specializzazione in maternità, che negli anni successivi, per l'evolversi di nuovi metodi ed esigenze assistenziali e mediche, e poi secondo i principi della "riforma sanitaria" dovette trasformarsi prima in "Pensionato per lungodegenti" poi, dopo la recente ristrutturazione, in "Casa di riposo". A questo ente oltre ad essere legato il nome del sindaco Gramatica, sono pure legati i nomi dell'ing. Giambattista Secchi (Tita Secchi), il nonno dell'eroe delle Fiamme Verdi, figlio del prof. Rizzardo Secchi ed Elisa Villa, progettista nel 1905, quello di Celso Cammi cui porta il titolo l'Opera, e quello della benefattrice Rosa Aurora Chiesa.


Ecclesiasticamente la Comunità religiosa di Gottolengo all'inizio faceva parte della Pieve di Visano, successivamente di quella del Corvione di Gambara per passare poi nell'ambito dell'influenza del Monastero benedettino di Leno. L'autonomia pare inizi quando sorge una prima chiesa sul luogo ove esisteva un tempio pagano; la tesi è suffragata dalla tradizione locale e da ricerche della citata Lady Montagu. La dedicazione della Parrocchiale a S. Pietro sembra indicare l'esistenza "in loco" di una cappella di fondazione benedettina, dove la Badia di Leno inviò un sacerdote "praepositus" cioè soprintendente alle cerimonie religiose. Ad essa chiesa facevano corona cappelle o "celle" isolate (Solarium, S. Nazaro, S. Michele, S. Lorenzo) che più tardi fecero capo al centro di S. Pietro, fatto questo che probabilmente indusse i gottolenghesi a rifare la prima cappella di S. Pietro stesso in parte distrutta dalle guerre di cui il Borgo fu teatro ripetutamente. Un ricordo importante della chiesa di S. Pietro di Gottolengo l'abbiamo nel catalogo Capitolare delle Chiese e dei benefici compilato nel 1410 dove elencandosi le chiese soggette alla Badia, scrivesi: "Ecclesia S.ti Petri de Gotolengo, valoris libr. XX. In colatione Domini Abbatis de Leno". Il catalogo Queriniano del 1532 conferma il patronato monastico di questa Chiesa e ne assegna il valore in ducati sessanta. La sua forma dev'essere stata molto modesta: e presto ebbe attigua la "Disciplina" il cui fondo misurava in larghezza braccia 13 ed in lunghezza braccia 39, come da una descrizione sul luogo. Aveva un piccolo campanile con una sola campana per la Messa ed intorno vi era il cimitero, convertito in sagrato nel 1809 (Leggi napoleoniche). Il titolo di prevosto fu conferito al parroco "pro tempore" dal sec. XVI. Nel 1746 rivelatasi insufficiente l'antica chiesa, il prevosto don Battista Alberini (1724-1754) poneva la prima pietra di una nuova chiesa parrocchiale il cui progetto venne affidato a Domenico Praldini, allievo di Antonio Corbellini, di cui accettò in pieno il disegno dell'interno con varianti in alcuni dettagli della facciata. Fu benedetta il 10 febbraio 1765 dal Vicario Foraneo di Gambara nob. Lodovico Emili (1755-1768). Gli altari di marmo finissimo policromi e gli artistici acquasantini vennero disegnati da Domenico Carboni di Brescia. Sull'altar maggiore vi è la pala raffigurante l'Immacolata e S. Pietro di G. Cignaroli (1770), che fu l'ultima opera del pittore, come si legge nel cartiglio ai piedi del dipinto: "In hac tabula perficienda Johannes Betinus Cignarolus immortuus est-Kal. xbris MDCCLXX." Seguono due tele di Palma il Giovane raffiguranti S. Eurosia e l'ultima Cena. Di Santo Cattaneo sono Gesù davanti a Caifa, un gruppo di Sante, la Madonna del Carmine con Santi e la Via Crucis. L'altare di S. Carlo e quello di S. Antonio di Padova, come gli altari del SS. Crocifisso e del Rosario non presentano tele di pregio; buona la decorazione della grande navata compiuta dal gottolenghese Franzoni, mentre l'abside che porge allo sguardo il martirio di S. Pietro, e la cupola, ove si descrive la conversione degli infedeli nelle varie parti del mondo, hanno un valore discutibile. Migliori le due medaglie riproducenti la scena della consegna del primato a S. Pietro e la sua liberazione dal carcere, la prima delle quali è uno splendido scorcio degno di studio, Queste furono disegnate ed eseguite dal pittore Galizzi di Bergamo, auspice il prevosto Francesco Zeli da Pontevico (1882-1913). Ammirabili per intarsi i quattro confessionali e ricca la gradinata esterna. Una lapide ricorda la consacrazione del tempio impartita dal vescovo Giovanni Nani il 10 novembre 1778 che ne trasferì l'anniversaria memoria alla terza domenica di novembre. L'organo della metà dell'800 è della ditta Serassi. La sagrestia, anch'essa settecentesca, è adornata di due chiaroscuri del Teosa, raffiguranti la Mansuetudine e la Fortezza, e di un medaglione di Pietro Scalvini (1784) rappresentante Simon Mago. Domina la chiesa una statua del Redentore, colpita e danneggiata nel 1933 e il 2 settembre 1983 da fulmini. Della prima metà del sec. XV è una croce astile con un bel Cristo benedicente che ne ricalca altre del museo cristiano di Brescia. Nel 1478 un certo Lodovico da Fontanella, orefice, aveva lasciato una casa in Gottolengo perché fosse destinata a convento di Carmelitani. Il 14 maggio 1479 il comune di Gottolengo donava 16.000 mattoni per costruire il nuovo convento dedicato a S. Girolamo nel "Borgo Redone" o Tredone, trans Rhedonem, in dialetto Tridù" e prendeva accordi con p. Cristoforo Martinoni per agevolare la fabbrica e il sollecito arrivo dei frati. La fondazione di questo monastero si può di certo fissare all'anno 1479 e probabilmente per iniziativa del p. Andrea Targhetta di Gottolengo, carmelitano dotto ed autorevole di quel tempo. Non sappiamo quando il convento dai Carmelitani, diciamo regolari, venne passato a quelli Scalzi o riformati con il cappello nero "pileum nigrum gestantium"; probabilmente intorno al 1650. Questi appena giunti hanno detronizzato S. Gerolamo nella pala dell'altar maggiore per mettere al suo posto i loro due grandi riformatori S. Teresa di Gesù e S. Giovanni della Croce. Soppresso nel 1797 dalla Repubblica Bresciana. Appena dopo la caduta della Serenissima, fu convertito in Ospedale civile, mentre la chiesa rimase aperta al culto quale sussidiaria della parrocchiale e cappella dell'Ospedale. Ampia e decorosa ha, oltre all'altar maggiore, sontuoso in legno intagliato e di stile bizantino, otto cappelle laterali con altari decorati di pale del '500 e del '600. Sul fianco sinistro del presbiterio sono stati conservati alcuni affreschi cinquecenteschi con episodi della vita di S. Elia e S. Eliseo forse di Girolamo Romanino, che secondo Pandolfo Nassino sappiamo aver dipinto in questa chiesa nel 1534. Di quest'epoca dovrebbe essere la copia della Cena Leonardesca dipinta nella vasta cantina del monastero da frate Jacobus Carmelitano, purtroppo guastata da un passaggio che abbattè la parete un decennio fa. Sul lato destro appesa alla parete, una pala di scuola morettiana deve essere stata sull'altar maggiore e rappresenta la Madonna in trono con S. Cristoforo e S. Girolamo che, vestito da cardinale, tiene in mano il modello di una chiesa. Le otto cappelle suddette dovevano avere altrettanti altari con le relative cappellanie: queste sparirono e quelli sono stati in parte rimossi e cambiati, anche di recente. Da destra la prima cappellania è senza altare, ma vi è una statua dell'Addolorata; la seconda è dedicata a S. Antonio abate e di Padova e a un santo carmelitano, forse S. Alberto, rappresentati in una discreta pala secentesca, sulla quale si vede in alto lo stemma di un ecclesiastico o prelato (forse un nobile o un graduato dell'ordine?). La terza cappella è quella della Madonna del Carmine e vi si venera una statua in legno del '400 attribuita da S. Guerrini a Stefano Lamberti. La quarta cappella a destra è dedicata al Precursore S. Giovanni Battista, con pala secentesca che porta lo stemma ed il nome del committente (bipartito palato di nero a destra con tre gigli di Francia a sinistra, sopra l'aquila imperiale) con la scritta: "Marcus Antonius Vincentius causidicus". I De Vincenzi erano i patroni della cappella ed avevano qui la tomba del 1515, con quella degli Avanzini del 1739, dei Confratelli del Terz'Ordine Carmelitano del 1531 detta "Scola S. Mariae - MD31", del conte Mario Lama e del pittore Gerolamo Bertoni con lapide curiosa. Riferiamo i testi delle lapidi: "Rarissimo viro d. - Andreae Vincentio- q.obiit d. mense iuli MDXV ac d. luc - retie cossine eius castiss. con. io. fran. - f.d."; "Excel. mid. Caroli Avancini - et d. dominice eius uxoris - sepulcrum - obiit die 5 februarii - anno MDCCXXXIX". Anche la prima cappella di sinistra, come quella di fronte è senza altare. La seconda è dedicata a S. Maria Maddalena de Pazzi con sante Carmelitane, un Vescovo ed il Redentore, rappresentati nella pala del pittore Girolamo Bertoni come dalla scritta: "Sub tuum praesidium - confugit d. Hieronimus Bertonus - S. Maria Maddalena - de Pazzi - pinci - 1680". Il pittore locale è sepolto nel mezzo della chiesa e sulla pietra tombale sta la scritta: "BERTONUS - NON BERTA SED OLOR - CECINIT IN TERRIS DIVINA URBIS ET ORBIS - INC INTER GEMMAS - QUAE IPSIUS - ILLUSTRAVERE MANUS HOC MEMORABILI LAPIDE - PICTUS - HIERONIMI DECORAVIT - MDCLXXX". Nella terza cappella vi è l'entrata al Convento. La quarta cappella, sempre a sinistra, è dedicata alla S. Famiglia, rappresentata in una pala del '500, forse del Marone o del Bagnadore; davanti le sta la tomba di Bartolomeo Pezzi di Milano. Infine la chiesa ha una bella statua della Madonna (ritoccata e ridipinta) e per uno schema tradizionale che presenta la Vergine seduta con mani giunte e Bambino disteso in grembo, il Vezzoli l'avvicina alla statua di Magno di Inzino. L'ospedale che subentrò al convento nel 1863 ebbe donativi delle sorelle Rosa ed Elisabetta Rodella e nel 1895 il dott. Camillo Alberini donava la sua cascina Bellavere con fondi relativi. Ricordo perenne e solenne dei Carmelitani resta a Gottolengo la grande sagra della Madonna del Carmine, in luglio, detta "la indulgenza" alla domenica e "l'indulgenzino" al lunedì successivo.


In frazione Solaro esisteva una chiesetta dedicata a S. Antonio abate, già ricordata in documenti del 1566 ed in grave decadenza ai primi del 1900, ma restaurata poi. Nel sec. XVI era di patronato dei nob. Rodengo e passata recentemente in proprietà dei Tempini. È probabile, secondo l'opinione del geom. Mino Superfluo, che la prima chiesetta fosse l'attuale sagrestia accanto alla quale venne costruita quella d'oggi. La cappella del cimitero venne eretta nel 1896. Sulla strada per Leno esisteva il santuarietto della Madonna del Massago o del Massacro a ricordo, sembra, dello scontro avvenuto nel 1209 tra le truppe assoldate dall'abate di Leno, Onesto II, ed i Valsabbini guidati da Oberto di Savallo e di altri fatti d'arme fra cui quelli del 1521 e 1523. Venne eretto il 24 luglio 1538. Il santuario detto di S. Maria in Scutella, o dell'Incidella o Scodella, per la forma caratteristica del terreno, venne costruito su terreno di proprietà degli de' Scutellis poi donato da Girolamo Gozio e sul luogo di una santella che esisteva sulla via di Solaro dedicata alla Madonna, verso la quale la popolazione aveva una particolare devozione. Questa si ridestò dopo che nel 1653 un povero cieco, passando davanti alla santella e toccandola con le sue mani brancicanti ebbe l'ispirazione di pregare la Madre di Dio e chiedere il miracolo di vedere. La preghiera non era ancora terminata che egli apriva gli occhi allo splendore della natura e all'abbaglio del sole. Con immensa gioia l'ex cieco corse in paese ad annunciare il miracolo e si fece poi apostolo del bene e della devozione alla Beata Vergine, suscitando commozione e buoni propositi, tanto che il 26 luglio 1653 il prevosto di Gottolengo don Carlo Zanardini dava il via all'ampliamento della vecchia santella e alla costruzione di una piccola chiesa su un terreno donato. La devozione divenne talmente viva che nel 1682 don Giuseppe Alberini, prevosto, si fece promotore delle elemosine per un nuovo e più vasto santuario trasportando all'interno l'immagine, prima situata all'esterno. La devozione alla Madonna d'Incidella andò di pari passo con quella della Madonna del Massago fino quando il disalveamento del fiume Redone cambiò i confini comunali e quest'ultimo santuario passò sotto la giurisdizione di Castelletto di Leno. Confermano la viva devozione le numerose donazioni di beni immobili ripetutesi dal secolo XVIII al XIX finchè nel 1862 tutto il patrimonio fu indemaniato. L'Incidella dalle semplici linee secentesche aveva un elegante pronao a tre arcate che un camion rovinò in gran parte, per cui venne completamente tolto. Accanto sorge un bel campaniletto e l'interno è armonioso; l'altar maggiore ha un'immagine della Madonna incoronata, angioletti le fanno corona; bello il paliotto, adorno di fregi e di statuette fra cui quelle di S. Pietro e S. Giovanni Battista; un bel quadro con ai piedi il prevosto don Celso Boni gottolenghese, ex benedettino (1803-1815), è conservato in sagrestia. Alla fine dell'800 intensa è la vita religiosa a Gottolengo ed agli inizi del '900 attestata dalle esistenti congregazioni degli oratori maschili e femminili, quella delle Madri Cattoliche e dell'Addolorata. Sull'iniziativa poi del parroco don Francesco Zeli e con la collaborazione dei curati don Ernesto Cominelli e don Andrea Benvenuti, fu costruito l'Oratorio maschile ed il teatro; a don Benvenuti si devono invece i locali dell'Oratorio femminile. Nello sport Gottolengo si distinse per il gioco del pallone sulla piazza e la "coppa Musa" per il ciclismo. Da Gottolengo venne il celebre portiere Giuseppe Trivellini.


Per quanto riguarda l'economia, Gottolengo pur non avendo terreno tutto di prima qualità, con i mezzi moderni ed i criteri più razionali di coltivazione e concimazione, con la rotazione agraria, ricava tutti i prodotti agricoli della "bassa" dai cereali ai foraggi in una superficie di circa 3 mila ettari; è favorito da acqua d'irrigazione abbondante, offerta da molti vasi, gore, canali irrigatori: il Redona, la Rovertorta, il Gambara, il Vedetti provenienti o da Ghedi o da Leno; il fiume Galbuggine poi segna il confine a S; intenso l'allevamento del bestiame anche in forma razionale con il metodo moderno. Non mancano vigneti, specie di "clinton" della "bassa". Il Cocchetti nel 1857 scriveva che "per la bontà del suo vino (Gottolengo) si potrebbe chiamare la Riviera delle basse". Nel 1500 Gottolengo era celebre per i meloni che Ottavio Rossi decantava di "esquisita bontà". "Ancor oggi, scriveva un anonimo nel 1905, "sono ricercate le frutta di queste plaghe, e di meloni e cocomeri vi si fa ampio commercio". Rinomata era pure la gustosissima mostarda di mele cotogne, di cui la fabbrica di Gottolengo faceva grande smercio perfino all'estero. Nel 1905 un anonimo scriveva che nella buona stagione, e specialmente durante il tempo di caccia, "è meta per allegre brigate, molte delle quali convergono ai Due Mori a onore e gloria della classica polenta e uccelli". L'estimo del 1850 era di scudi 99,938. Fin dal 1877 Ercole Strada avviò ampie opere di bonifica continuate poi da Ottorino e Pietro Villa e da Cristoforo Tempini. Fin dai primi anni del sec. XX esisteva una vecchia industria per l'imbiancamento naturale dei tessuti di lino, effettuata da alcune famiglie come i Cammi e i Bonazzoli denominati "scandisì" appunto perché candeggiatori del lino. Tra il 1950 e 1960 vi furono a Gottolengo le maggiori punte d'esodo della popolazione e nel 1962 Gottolengo entrò a far parte delle "zone depresse" dando inizio contemporaneamente allo sviluppo dei primi insediamenti industriali, fra cui un calzificio, delle fabbriche di posate. Fra le principali ditte sono la fabbrica di posaterie Gottinghen, fondata nel 1960 dai fratelli Brognoli e la Silver Style, fondata nel 1969. Il 15 novembre 1891 per iniziativa dell'avv. Donadoni e del sindaco Tommaso Battaleni venne fondata una Cooperativa di prestiti diventata poi Cassa Rurale, molto attiva, diretta a lungo dal sindaco Battaleni assorbita più tardi dal Credito Agrario Bresciano. Una sede della Cassa Rurale della Bassa Bresciana venne inaugurata il 27 marzo 1983. La fiera del paese si tiene nel giorno della "sagra" della Beata Vergine del Carmine, il 16 luglio, mentre il sabato si svolge il mercato in piazza XX Settembre.


I Parroci della parrocchia furono: Alberto di Alghisio da Gambara (1154); Giovanni Poncarale (1306); Beltramo di Seniga (1389); Tommaso nob. Chizzola (1461); Basilio Arcivescovo di Trebisonda, commendatario (1462); Antonio Barbera di Seniga (1530); Giovanni Battista nob. Rodengo (1577-1581); Andrea Perini (1581-1591); Girolamo Merici di Brescia (1591-1598); Francesco Marenzio (15981601); Girolamo Frassine di Salò (1602-1620); Giuseppe Guarignoni di Bienno (1620-1622); Francesco Fiorentini (1622-1633); Paolo Zanardini (1633-1651); Carlo Zanardini (1652-1661); Camillo Alberini di Gottolengo (1662-1677); Giuseppe Alberini di Gottolengo (1679-1724); Giambattista Alberini di Gottolengo (1724-1754); Omobono Breda (1755-1766); Giambattista Carleschi di Bassano (ancora oggi molto venerato nelle reliquie esposte nella parrocchiale (1767-1803); Celso Boni di Gottolengo (1803-1815); Bartolomeo Sansoni di Seniga (1816-1833); G. Gattista Treccani Chinelli di Montichiari (1834-1856); Pietro Sterli di Siviano (1856-1866); Giacomo Veneziani (1870) dopo 4 anni di vacanza della parrocchia; Francesco Volpi di Montirone (1870-1882); Francesco Zeli di Pontevico (1882-1913); Andrea Benvenuti di Gambara (1913-1949); Pietro Merigo di Leno (1949-1963); Francesco Vergine di Seniga (1963).


Sindaci e podestà: Bertolino Aleni (1444); dott. Pietro Gramatica (1863); Donelli Ettore (1910); Passirani Nestore (1919); Mainardi Gualtiero - Podestà (1920); Rodella Isidoro (1929); Boni Ariberto (1934); Faita dott. Giuseppe (1939); Antonini Battista (1945); Benvenuti Oreste (1951); Andrini Amedeo (1958); Gibellini Cesare (1965); Mattarozzi dott. Giorgio (1975); Zacco Pezzi Giuliana (1979).