VILLA di Valtrompia

VILLA di Valtrompia (in dial. Vila, Ila; in latino Villa Vallis Trompiae, Villae Triumplinae o Villae de Valle Triumplina)

Parrocchia e frazione del comune di Villa Carcina. È a 12 Km. da Brescia; il territorio di Villa è compreso fra le frazioni di Cogozzo (v. Villa Cogozzo), Carcina (v. Villa Carcina), Cailina (v.) e Pregno (v.).




ABITANTI (Villesi o Villani, nomignoli: "Vilanc - Scanacc de ile"): 860 nel 1493; 800 nel 1567; 800 nel 1573; 800 c. nel 1610; 700 nel 1658; 696 nel 1727; 669 nel 1729; 658 nel 1764; 669 nel 1775; 701 nel 1791; 701 nel 1805; 795 nel 1819; 887 nel 1835; 900 nel 1848; 914 nel 1858; 1040 nel 1868; 1300 nel 1875; 1340 nel 1887; 2340 nel 1898; 2340 nel 1908; 2547 nel 1913; 2800 nel 1926; 2826 nel 1935; 2900 nel 1939; 3400 nel 1945; 3960 nel 1949; 1950 nel 1963; 2100 nel 1971; 3350 nel 1981; 3223 nel 1991; 3359 nel 1997.




Il nome, che ricorre in molte località, indica una casa in luogo aperto, senza difesa di mura e di fosse, e quindi usato in opposizione a castello o rocca, che sono invece case o luoghi chiusi e muniti di difesa. Come ha rilevato Paolo Guerrini, a differenza di altre località (Villachiara, Villanuova, Villagana, ecc) il nome non ha una specificazione geografica, ma è rimasto isolato, quasi esclusivo, come ad indicare la villa per eccellenza, per antonomasia, sebbene più tardi per ragioni di differenziazione sia stata chiamata talvolta Villa di Valtrompia o Villa Triumplina. Contrariamente a quanto ha affermato Paolo Guerrini, che ha insistito sull'esistenza nel tempo di un piccolo aggregato di case rustiche, nell'aperta campagna, indifeso, ecc, recenti scoperte archeologiche hanno individuato nel territorio numerosi resti di villa romana. Sono nomi latini Cailina, contrazione di Casilina, cioè piccola casa rustica, e Carcina, da "carectina o caricetum", cioè luogo paludoso.


Il territorio di Villa e delle altre frazioni nel tratto montuoso che si distende alla destra del Mella fra Gardone ed Urago è costituito principalmente da medolo, un calcare grigio marnoso del periodo liassico, sul quale si sono poi depositati strati successivi di calcari rossi, selciferi e calcare bianco detto maiolica del periodo giurassico e, ancora, calcari bianchi, marne rossastre ed arenarie grigie del periodo cretaceo. Nel territorio si trovano inoltre argille che servirono per preparare gli impasti per le forme nelle fonderie. Alluvionale è invece per lo più il territorio del fondovalle. Da due sinclinali, la prima, che si estende fra Gardone Val Trompia e lo sbocco della Valle a Pregno nel Mella, e la seconda, compresa fra questa località e lo sbocco a Villa, derivano le sorgenti la cui acqua alimentava l'acquedotto romano di Brescia.


Nel 1902 Giov. B. Cacciamali, in una relazione alla Giunta Municipale di Brescia sulle sorgenti di Villa Cogozzo, ha dimostrato che «le due sorgenti denominate "Prato del Pozzo" e "Subiane o Siviane" sgorgano con direzione ovest-est dal piede montuoso tra Cogozzo e Villa; ambedue giacciono nella conca sinclinale degli strati, benché lontane tra loro 300 metri; hanno portate e temperature quasi identiche, rispettivamente la prima 45 litri e 11,7°, la seconda 46 litri e 11,8°. Queste sorgenti sarebbero precisamente alimentate dalle pluviali, che cadono sulle alture ad est di Brione, fra Monte Colmetta e Monte Magnoli. Questa regione è affatto priva di abitazioni e, siccome è tutta occupata dal calcare maiolica, le acque di pioggia, dopo essersi fatta strada attraverso i piccoli meati di questa roccia, vengono filtrate attraverso i sottostanti strati di selcifero, per giungere infine ai letti impermeabili che si trovano fra gli strati del medolo ed uscirne dove questi letti affiorano».


Nel 1885 la Società di Igiene Bresciana, preoccupata della qualità delle acque della Fonte di Mompiano, fece eseguire un esame delle acque di Villa da parte del prof. Pullacci di Pavia, uno dei più reputati chimici del tempo, che le trovò ottime e promosse una Società anonima per la loro condotta a Brescia. Dopo complicate traversie, il Consiglio Comunale di Brescia del 30 novembre 1903 deliberava l'acquisto dei terreni adiacenti alle fonti per assicurare il rifornimento delle acque all'acquedotto di Brescia.


Reperti litici e ceramici relativi ad insediamenti preistorici di datazione incerta sono venuti alla luce in località Pregno sotto il monte Palosso. È opinione condivisa dagli studiosi che gli insediamenti primitivi nel territorio siano da ricercare sulle alture ed in aree vicino alle sorgenti, lontano dalle insidie acquitrinose del fondovalle, opinione confermata dai fortuiti rinvenimenti sull'altipiano di Zignone sulle pendici del monte Palosso. Agli inizi degli anni '80 del secolo XX vennero alla luce una punta di selce (amigdala) dell'età neolitica (4500-2000 a.C.) e frammenti ceramici dell'età del bronzo (1000 a.C.). Un utensile in pietra, forse un falcetto, dell'età neolitica venne rinvenuto nel 1984 sull'altopiano dirimpetto Villa, in zona "Campo Lupo"; inoltre esistono la confinante stazione preistorica di Noboli a N e le fonti di Subiane o Siviane a sud, presso le quali è sorta poi una villa romana. Gli stessi autori hanno inoltre rilevato come anche la, toponomastica montana più antica rimandi a presenze paleovenete e ibero-liguri, così pure quella legata alle acque (fiume, torrenti, fonti, ecc.) mentre quella collinare legata alla caccia, al lavoro agricolo o al culto delle fonti è fondamentalmente celtica e germanica (longobarda). È probabile in epoca preistorica l'esistenza di un Castelliere in località Villa. Dopo gli insediamenti montani e gli accampamenti sorgivi, la civiltà locale, con l'invasione celtica, occupa le rientranze delle vallate laterali, dando avvio al processo di fondazione e di crescita dei nuclei originali di colonizzazione di Villa Carcina, mantenendo tuttavia saldi collegamenti con vecchi sentieri di montagna. Il territorio di Carcina, unitamente a Costorio, per la sua posizione strategica di caposaldo vallivo dovrebbe costituire il nucleo più interessante della presenza di questi pastori guerrieri, forse il loro centro militare, anche se mancano finora le testimonianze archeologiche per suffragare questa ipotesi.


Occupata la Valtrompia dai Romani nel 16-14 a.C., il territorio di Villa, trovandosi all'ingresso della Valle, acquista sempre più importanza. Vi si insediarono famiglie importanti, come indica la grande villa scoperta nel 1883. Dopo indizi emersi già agli inizi dell'800, alla fine di novembre 1883, in lavori di livellamento di terreno di proprietà Luigi Calini, tra Villa e Cogozzo vennero alla luce gli avanzi (muraglie, pietre, frammenti di mattoni, marmi, stucchi, pezzi di intonaco dipinto) di una «cospicua» villa romana di vasta estensione dotata di pavimenti a mosaico, di impianti idrici, di terme, ecc. Fu subito ritenuto «un sontuoso soggiorno a' bei mesi d'alcuna grande e ricca famiglia. Basta, per andarne convinti, guardare all'estensione che l'edifizio teneva, alle incrostazioni di marmo, alle balinee separate per uomini e donne, ai pavimenti di tre stanze a mosaico bene conservati, scomposti di altre sei, sorretti sui pilastrini per difendersi dall'umidità del terreno». Rilevante il vantaggio della vicinanza di sorgenti che alimentavano le terme, documentate a "suspensurae" per il passaggio di calore e mattoni vuoti per riscaldare le pareti del "calidarium". Ulteriori scavi hanno messo ancora più in evidenza l'importanza dell'edificio.


A metà degli anni '70 del secolo XX venne ritrovata un'epigrafe latina votiva con la quale Hermes Publio Postumio scioglie un voto ad una divinità, dalla quale è stato beneficiato, a «ricordo della moglie e di se stesso grato del beneficio ricevuto». Quella dei Postumi fu una famiglia molto in auge nel bresciano; il personaggio della lapide di Villa è ricordato in un'altra iscrizione di Concesio, ritrovata dove sorgeva il castello medievale (ubicato sopra un dosso a lato di via Trieste) durante i lavori del rustico, probabile avanzo della torre principale del Castello stesso, ma forse resto di un'altra abitazione o villa. Tra il giugno ed il luglio del 1965, nella zona del villaggio "la Famiglia II" durante lavori edilizi si distrussero strutture romane composte di muri in laterizio e pietrame, pavimenti musivi, frammenti di soglie, di "crustae" marmoree, appartenenti ad un'altra grande villa con impianto termale, forse del III secolo d.C. La villa sorgeva tra le attuali vie Fontane e Giovanni XXIII nel villaggio citato. A protezione di queste strutture è sembrato poter individuare nella cosiddetta Valle di Villa la presenza di un "castrum", dove poi sorse il castello medievale che, assieme alla strada romana che attraversava tutto il territorio, alla villa o alle ville e all'acquedotto, denoterebbe un rilevante centro di urbanizzazione con abitazioni, oltre che di agricoltori, anche di muratori e artigiani al servizio di ricchi romani e ancora di militari di presidio. Grande è inoltre la rilevanza attribuita all'acquedotto romano di età augustea che attingeva acqua nella valle di Lumezzane e scendeva a valle lungo la strada di Pendeza. Già disegnato dal Basiletti, venne studiato da Guido Ruffini nel 1924 che individuò nuovi resti in pezzi rotolati nel Mella a Pregno. In alcuni tratti il Ruffini ha rilevato una galleria con dimensioni interne di cm. 50 x 100, con copertura a volta, e spessore delle pareti di circa 30 cm. costituite da pietre ben cementate con calce e ghiaietto. Internamente il cunicolo è rivestito di malta impermeabile rossiccia dello spessore di 10 cm. circa sul fondo e di 2 cm sulle pareti. Tratti dell'acquedotto sono emersi in via Bernocchi 1/b, in via Repubblica e, a Pregno, in via Pendeza. Sempre ad epoca romana è attribuito un ramo secondario dell'acquedotto che, captate le sorgenti di Siviane, si dirigeva verso il Mella in direzione sud-est congiungendosi, probabilmente, con il tronco principale.


Si ritiene che il territorio sia appartenuto al pago romano e poi al "territorium civitati" e infine alla pieve di Concesio nella quale si organizzò, probabilmente a partire dal secolo IV-VI d.C., la vita religiosa già presente inglobando i primi "loca sanctorum" e le prime cappelle e gli ospizi o xenodochi dislocati lungo le vie più importanti, in un apparato territoriale che si sviluppò e consolidò in epoca longobarda e franca. Singolare la leggenda o tradizione che vuole Zignone come il luogo di origine dei SS. Faustino e Giovita. Singolare anche il fatto che i due santi siano raffigurati con S. Antonio di Padova nella pala della chiesetta di Pregno.


Della conferma della persistenza di insediamenti umani è la scoperta in una tomba, distrutta nel 1912 durante i lavori di ingrandimento della fontana comunale, di una "franziska", ascia usata da guerrieri franchi (un'ascia di ferro con taglio a ventaglio lunga cm. 8,5 tallone e gorbia 14 attribuita da K. Bohner al tipo "Treviri A" a causa del suo bordo superiore a forma di S e il bordo inferiore a semicerchio e perciò considerata del periodo tra la metà del V e del primo quarto del VI sec., mentre secondo altri sarebbe ascrivibile ai sec. VII-VIII), ascia che viene conservata nei Civici Musei. Di rilievo sono anche i ritrovamenti di vere necropoli che confermano la persistenza di insediamenti lungo i secoli. A partire dal gennaio 1981 nelle opere di sterro per costruire il Centro polivalente e la scuola media sono venute alla luce 15 tombe dei sec. IX-X. Tombe ritenute via via di guerrieri, di monaci, di pellegrini, ma che con tutta probabilità sono di una popolazione stanziale, come prova anche la tomba di un bambino. Gli scavi poi, continuati dagli archeologi Peter Hudson e La Rocca, hanno condotto alla scoperta di complessive quarantadue tombe, delle quali trentadue di adulti e dieci di bambini. In nove di esse si rinvenne del materiale relativo al corredo funebre, in sette solo un pettine ed in una un pettine e due bracciali di bronzo assegnabili al VII sec. d.C. Nuove tombe sono poi venute alla luce nel 1986; una tomba alto-medievale, probabilmente longobarda, è affiorata nel parco di Villa dei Pini, in seguito ad un violento nubifragio che il 16 settembre 2000 abbatté due maestosi cedri del Libano, assimilata quanto a tipologia alle necropoli scoperte nel 1981 e 1986, il che fa pensare ad altri possibili ritrovamenti.


Per la sua posizione Villa acquisì nell'alto Medioevo un ruolo centrale nella zona, un centro militare e amministrativo di una Castellania per la difesa all'imboccatura della Valle Trompia, e nei documenti valtrumplini e bresciani dei secoli XIII-XV si fa cenno della "Castellantia de Villa", che comprendeva nella sua giurisdizione S. Vigilio, Carcina, Sarezzo e Zanano, concentrandovi l'organizzazione militare di questi piccoli castelli della bassa Val Trompia, affidata fino dal Medio Evo alla potente famiglia feudale degli Avogadro. Come ha rilevato Paolo Guerrini, «l'ultima frazione del comune è Cogozzo, nome dialettale che deriva dalla contrazione di due parole latine ed ha una origine storica e geografica. Il territorio dell'antico pago romano di Concesio, e quindi della succedanea pieve cristiana, terminava a Cogozzo in una specie di punta, che costituisce il confine, a Noboli, col pago e la pieve di Inzino; questa punta di testa verso la Valle Trompia ebbe il nome popolare latino "caput acutum", che tradotto in dialetto bresciano divenne "co gòss", e quindi in italiano Cogozzo».


La potenza economica delle famiglie del ceppo Avogadro è venuta dalle infeudazioni monastiche dei fondi di S. Giulia, di S. Faustino e di S. Eufemia fatte agli Avogadro nei secoli IX, X, XI. Lo stesso culto di S. Emiliano in questa regione (a Sarezzo, a Villa, a Urago Mella) è indice sicuro dell'influsso del monastero di S. Giulia, dove il culto di quel martire era in fiore, e dal celebre monastero bresciano è stato diffuso nei suoi possedimenti fondiari. Gli Avogadro acquisirono quindi vaste proprietà nella bassa e media Valtrompia diffondendosi in ramificazioni numerose e prolifiche, le quali perdettero il primitivo cognome di Avogadro per assumere invece quelli di Redolfi, Ottolini, Emilioli o Miglioli, Nassini e altri, come si può documentare ricostruendo le genealogie di queste famiglie fino al secolo XIV.


Il culto stesso di S. Michele e di S. Mauro, discepolo di S. Benedetto, che si riscontra in Cailina indicano sicuramente, secondo Paolo Guerrini, che questo territorio venne assegnato dai Longobardi a un monastero, e probabilmente allo stesso monastero bresciano di S. Eufemia, che teneva anche il territorio di Carcina sull'opposta sponda del fiume, e che il culto longobardo dell'arcangelo Michele - che simboleggia la forza e la protezione divina - venne introdotto per avere una celeste protezione contro le insidie del Mella e le sue piene, che qui possono diventare fatali per l'affluenza e l'impeto del Gobbia di Lumezzane.


Terra "Fiscale" ai tempi di Roma, il territorio continua ad esserlo probabilmente in epoche longobarda e franca; passò poi come "territorio civitatis" al vescovo di Brescia, al quale veniva confermato nella persona di Olderico nel 1037 dall'imperatore Corrado II il "salico" assieme a tutte le terre contermini al fiume Mella come all'Oglio. L'anno dopo, nel maggio 1038, il vescovo Olderico stipulava un atto di permuta con l'abate Giselberto del monastero di S. Eufemia di Brescia con il quale il vescovo cede boschi, terre arative, prati, un molino e anche vigne in cambio di beni situati in Gardone e in Inzino. Un documento del 26 luglio 1193 attesta l'investitura di tre pezze di terra da parte del prete Drubert "praepositus et offitiales" di Villa. Il I dicembre 1248 il monastero addiviene ad un'altra permuta di beni «in territorio Roncasij, Carsij, Cogotij et de Villa» con quelli di un privato ("cum Bonis Sacelli de Cartio" o "Carsio"), il quale ottiene il diritto di esigere il maggior numero di livelli (canoni d'affitto) relativi a detti beni, al posto di altri beni in quei territori da lui assegnati al monastero. Il I gennaio 1279 il notaio Giovanni di Codolazza redige lo stato dei beni. È comunque certo che il monastero di S. Eufemia in questi luoghi ha esteso sempre più la sua influenza, ha operato una profonda bonifica, ha introdotto il culto ai santi Emiliano, Tirso e Mauro e ha avuto rapporti almeno fino al sec. XV con queste località. In questa zona edificabile e protetta, chiamata ancor oggi dialettalmente "Himò-Vilò", su cui poi ebbe ad evolversi il borgo medievale, va individuato il primitivo "nucleo di antica formazione" di Villa. L'area è attualmente compresa tra via Trento e via Trieste, un tempo rispettivamente denominate via "Caricatore Corto" e via "Caricatore Lungo", in quanto adibite ancora fino agli anni '60 al caricamento dei pali e della legna ricavata dai boschi cedui soprastanti, fino all'800 notevole fonte di ricchezza per il Comune, poi privatizzati ad alcune facoltose famiglie di agricoltori. Le numerose tombe tardo-romaniche o altomedievali rinvenute ad est di questo borgo ed altrove, segnalate sia da privati che documentate dagli scavi che identificano complessivamente uno dei più grandi cimiteri altomedievali della Lombardia, testimoniano la forte espansione civile verso questa località, ricca di acque, di pascoli, di allevamenti, di redditizia agricoltura, di bravi artigiani. Sorreggono l'ipotesi la già citata necropoli tardo-romana venuta alla luce parzialmente nel 1980 e datata al VII sec. d.C. e quella del febbraio 1981.


Il primitivo "castellum" riprese probabilmente la sua funzione difensiva locale durante le invasioni barbariche del X-XI sec. d.C. per assurgere ampliato e ristrutturato come "Castellanza" a speciale funzione amministrativa e di controllo militare dell'accesso della Valtrompia fino al sec. XVI. I documenti scritti parlano di una "castelanza de Villa" nel 1385, 1389, 1418 e di "Castelantia de Villa" in un atto del 16 giugno 1422, dove il citato comune è tenuto a sostenere le spese per la strada della Valtrompia insieme ai comuni da Collio a S. Vigilio; e poi in atti del 1429, del 1454, del 1576.


Nel sec. XI sono già sviluppate vere comunità i cui rappresentanti sono nominati nel Liber Potheris. Nel 1110 vi è nominato un Emanuele, console di Brescia oriundo della terra di Villa. Sul territorio viene affermando la propria autorità il Comune di Brescia preoccupato da motivi di sicurezza nei confronti dei signori rurali, quasi sempre ghibellini, e anche da motivi economici. Villa con Pregno, Cogozzo, Carcina ecc. ricorre nella Designationes Potheris de Pallozio, cioè nella determinazione dei beni sul monte Palos o Palosso, proprietà del comune di Brescia, contenute nel "Liber Potheris" sotto gli anni 1225, 1232 ecc. Nel 1295 nel "Registrum Vetus" della Curia è registrato un "fichtum" dovuto al vescovo dalla chiesa di S. Michele di Cailina «dedicata de novo in terra de Villa de Valtrumpia».


Nelle lotte tra i Comuni e Impero Villa finisce col diventare, nel 1312, uno dei caposaldi di difesa guelfi contro i ghibellini e contro l'imperatore Arrigo VII ed i suoi sostenitori, facendo perno ad un ridotto edificato a Carcina chiamato Castelguelfo. È in questi tempi che, secondo gli studiosi di Arc' Angels, si delineava la conformazione in schema del "villaggio circolare", caratterizzato da un gruppo di case disposte in cerchio che delimitano uno spazio centrale, con una piccola apertura verso il declivio e sentieri di lavoro ("caricatori") sul retro, cioè verso le colline, che vengono ovunque terrazzate, e verso le montagne. A custodia, dall'alto, è sempre il castello di Villa, a ovest, e sulla strada della Valle, a est, quello di Pregno. Importanza particolare conservarono a lungo gli Avogadro, feudatari ed "avvocati" del vescovo e poi del monastero vescovile di S. Eufemia, mentre gli studiosi di Arc' Angels attribuiscono maggiore importanza ai Nassini che del resto il Guerrini ritiene, assieme ad altre famiglie (quali i Miglioli, i Redolfi, ecc), epigoni della stirpe degli Avogadro. Ad essi si aggiunsero poi famiglie provenienti da fuori quali, da Palazzolo, gli Zamara che vi possedettero molti fondi e la bella casa, poi Calini, che porta lo stemma degli Zamara. Per qualche decennio ebbero quasi infeudato attraverso due rettori, Giulio e Stefano, il beneficio parrocchiale. Importanza vi ebbero anche i Bonetti, da Castiglione delle Stiviere, che diedero a Villa una serie di arcipreti, e poi i Regis, ecc.


Gli studiosi della Cooperativa Arc' Angels individuano la "piccola reggia" dei Nassini nella struttura ancora visibile all'angolo sud-ovest della villa Sedaboni (oggi Villa dei Pini) parzialmente in essa inglobata, ed una successiva abitazione in altra struttura nobiliare lungo l'asse ovest-est della stessa villa con una cappella nella quale sono emersi resti d'affreschi e in altri luoghi. Sempre secondo gli stessi studiosi «la proprietà nobiliare primigenia, sicuramente più antica, potrebbe individuarsi nella grande casa fortificata con stemma poco leggibile, forse lo stemma della mitica Castellana di Villa ubicata in via Trento n. 6 alla confluenza delle due vie Caricatore Corto e Caricatore Lungo che scendevano dai monti e dalle colline circostanti il castello. È qui al "Carebe" infatti, in apposite strutture di servizio, che si svolgeva il controllo amministrativo delle attività montane (legna e carbone), pastorizie, agricole e commerciali da e verso la città e con gli altri paesi della valle».


Molte proprietà dei Nassini sono ancora registrate nel Catasto bresciano del 1641 ed elencate da R. Prestini (in "Villa Carcina - Dimore nel tempo") e altre vengono abbellite, come si riscontra ancora nei resti di affreschi in una casa di via Tito Speri che Gaetano Panazza giudica «assai notevole di qualità e stilisticamente vicini al Gambara». Vengono inoltre realizzate sul Mella opere idrauliche sia per l'irrigazione dei campi che per la produzione di energia meccanica per le fucine, i mulini, le segherie e per un follo di carta che è registrato nel 1585. Come sottolineano gli studiosi dell'Arc' Angels, Villa prende forma di un «villaggio di strada allungato cioè su due lati della più importante via di comunicazione. Così per la "via vecchia" a Villa (attuale via Tito Speri); all'interno delle due vie "Carrebbiole" a Cogozzo, lungo "Via di Cailina" a Cailina; "Via Borghetto"(via Borgo) e poi lungo "Via di Carcina" (via Italia) a Carcina, attorno alla "Strada comunale della Pendezza" a Pregno».


Il Comune di Villa nel 1415 è tenuto a pagare a Pandolfo Malatesta, signore di Brescia, 19 lire, 4 soldi e 8 danari. Il "comune de Castellanzia de Villa" è pure citato nel 1418 nella Quadra di Valletrompia. Entrata a far parte del dominio veneto nel 1429, Villa è presente negli Statuta Comunis Brixiae. Dopo alcuni decenni di guerre, di assestamento politico, dalla fine del secolo XV lo sviluppo economico-sociale si fa sempre più rapido. Carcina compare negli statuti della Comunità di Valtrompia come comune autonomo, mentre sorgono nuove abitazioni e chiese. Villa ricompare il 10 giugno 1443 in un atto di vendita di un appezzamento di terra tra Comino de Zenone de Sperino e Luigi di Giovanni de Nassinus di S. Vigilio, il quale figura in altri atti di compravendita di S. Vigilio, Carcina ecc. In una statistica del 1493 Villa compare come "capo territorio" di Cailina, Carsina, Cogozzo e Pregno. Questa certa quale preminenza risulta anche in un atto del 4 marzo 1495 con il quale Bono di Pregno e Simone Cancarini intervengono a nome del Comune e degli uomini della "terra di Villa della Valtrompia" contro i rappresentanti di Concesio riguardo ad un ospizio in località Codolazza che quelli di Concesio gestiscono da «moltissimi anni» e che quelli di Villa e di Pregno contestano come abusivo, ottenendo ragione del loro diritto e la soppressione dell'ospizio.


È di questo tempo la decadenza del Castello, più che demolito abbandonato progressivamente nel tempo come fa pensare l'imponente struttura che compare nel 1700 ancora imponente nella pala di S. Rocco della pittrice Eleonora Monti e in un disegno ottocentesco del gardonese Cominazzi. Il castello sorgeva sopra un dosso a lato di via Trieste. Restano ora solamente ruderi di mura e di una torre, studiati nel 1983 da un gruppo del luogo. La posizione strategica di Villa come di Carcina continua a lungo ad assumere particolare rilievo nelle vicende di Brescia. Non per nulla nel gennaio 1512 dopo la caduta della città in mano francese, nel castello, probabilmente, o altrove si danno appuntamento il conte Luigi Avogadro e il nobile Ventura Fenaroli per mettere a punto i piani della riconquista di Brescia. Dopo il sacco di Brescia e la scoperta della congiura di Luigi Avogadro si riuniscono, probabilmente nel castello di Villa parte dei cospiratori per ritentare l'attacco alla città che riuscì ma che dopo solo 17 giorni venne annullato dal sopraggiungere di Gastone de Foix.


Nel 1521 Carcina e Pregno, portando con sé una «pezzola di terra», si separarono da Villa impegnandosi a corrispondere (e lo faranno fino al 1792) un agnello di libre 30. La vitalità della comunità di Villa, assieme a Cailina, è significata anche dal reclutamento di quattro uomini per la guerra contro i turchi, culminata nella battaglia di Lepanto del 1570. L'importanza di Villa risulta anche dalla presenza nel 1609 di un "ragionato", ossia un funzionario alle finanze eletto dai comuni di Sarezzo, Carcina e Villa. Una fotografia di Villa e di Cogozzo è offerta dal catastico (1609-1610) di Giovanni da Lezze che registra: «Villa, Commune con Cogozzo et Cailina, terre picciole, come di sopra: fuoghi 200, anime utili circa 250, il resto 800 in circa. Ha dui fuoghi grossi da fùsina, che lavorano ferro, come di sopra, et mandano le legne dei loro monti alla Città. Hanno le maggiori et migliori possessioni di tutta la Valle, ma sono di raggione e proprie delli eredi del Sig. Conte Rizzardo Avogadro et dei Signori Nassini. Li Signori eredi del Sig. Conte Roberto Avogadro et Signori Nassini sono patroni della maggior parte dei beni de ducati circa tre mille cinquecento di entrada. Carsina, comune ultimo et primo alla Città, come è già stato detto, de fuoghi 90, anime utili circa 100, il resto circa 300. Ha un follo solo da carta et certa poca possessione nel Comune, nella quale possessione et boschi travagliano et si sostentano, conducendo le legne alla Città. La famiglia di Pelizzari più numerosi, et comodi degli altri».


Anche su Villa si abbatte la peste del 1630, mietendo molte vittime. Sembra a Paolo Guerrini che a lazzaretto sia stata usata la chiesa di S. Rocco, che verrà fatta segno di donazioni e testamenti. Come ricordo della peste sembra essere la santella dei "Morcc della Canonèga" a ovest di Cogozzo, a circa 400 m. dalla chiesa di S. Lorenzo. Nei pressi della santella vennero sepolti gli appestati dal '400 al '600.


Nonostante le difficoltà ricorrenti, i tempi di pace favoriscono la sistemazione della vita amministrativa. Dalle "Osservationi et Regolationi de Salarii" delle terre della Valtrompia del 1645 sappiamo che il comune di Villa contempla salari per due "vicari o giusdicenti", un notaio, un "ministrale", un "campanaro", dodici consoli. Dieci anni dopo, il 1° maggio 1655, l'intera vicinia decide l'elenco delle feste obbligatorie per tutti nelle ricorrenze di S. Antonio ab. (17 gennaio), S. Alessio (17 luglio), S. Rocco (16 agosto), venerati in chiese locali, oltre a quelle di S. Bernardino (20 maggio), S. Barnaba (11 giugno), S. Carlo (4 novembre) e dell'Immacolata (8 dicembre). Vengono inoltre stabilite multe per i contravventori. Anche per Villa più avanza il sec. XVII, più segna l'aggravarsi della crisi economica e sociale, legata al declino di Venezia, e vengono tempi di carestia e di disordini. Una annata più «tempestosa e carestiosa» delle altre è quella del 1648. La vicinia interviene comperando frumento, segala e miglio da dispensare alla popolazione. Epidemie di bestiame si aggiungono alle carestie per cui, come nel 1738, vengono predisposti sbarramenti per evitare il contagio. Tuttavia il 1700 segna un nuovo notevole salto in avanti nello sviluppo edilizio con la costruzione delle due chiese di Villa (iniziata nel 1737 e dedicata a S. Emiliano e Tirso) e di Carcina (nel 1739, dedicata a S. Giacomo) e di case e di officine.


Se non si conoscono particolari episodi di banditismo, generalmente diffuso nei sec. XVII-XVIII, sono tuttavia numerose le calamità dovute a ripetute alluvioni, straripamenti del Mella e degli affluenti e continue carestie dovute alle bizzarrie del tempo. Nel 1709 è l'eccessivo gelo a distruggere le colture, nel 1725 il Mella provoca danni; il fenomeno si ripete nel 1738, quando la furia delle acque sconvolge una seriola a tal punto che è impedita la macina dei grani da parte del mulino, e il disalveamento del Mella all'altezza di Cailina «fa suo vaso dove era la strada antica di Valle». Il maltempo imperversa anche nel 1740. Le ricorrenti alluvioni impongono il problema viario e soprattutto quello dei ponti. Nel 1720 il Consiglio Generale della Valtrompia assegna alla Comunità di Villa, in dono gratuito, 150 scudi quale contributo alla ricostruzione di un ponte di pietra «vicino a Pregno», distrutto dalla piena del Mella del 1630 circa. Altri 400 scudi la Comunità di Valle aggiunge nel 1725. Mentre si avanzano proposte e si incomincia a stendere progetti, si scontrano le forze della natura quasi a renderli inutili. Nel 1757 si verifica una nuova disastrosa alluvione; l'anno dopo la strada antica di valle si trasforma ancora una volta in un fiume. È da pochi anni consacrata la chiesa, che su Villa si abbatte, il 31 agosto 1757, una disastrosa alluvione che distrugge una fucina «con due fuochi grossi, battidore e accessori, officina per le opere minute». Nel 1764 e anni seguenti si ripresenta la carestia, ma una nuova alluvione si scatena nell'estate 1772 e distrugge a Villa e Carcina «due longhi acquedotti inservienti al lavoro di sei edifici, cioè di un folo di carta, quattro mulini, ed un edificio da Fero, e di aver nell'irruzione sud.ta devastati, e di aver resi sassosi, et sterili cento cinquanta sette campi de migliori Beni arativi, vidati, e prativi esistenti in quella ristretta pianura, il danno de quali giudicano ascendere a Scudi sedici milla». Nel 1775 e nel 1776 una nuova carestia sollecita l'istituzione in questi anni di un "monte biade" permanente.


Seguono decenni di proposte, interventi, contrasti, ricorsi tra chi vuole il ponte a Pregno e chi lo vuole a Cailina. Nelle stime e progetti vengono coinvolti i migliori architetti e ingegneri del tempo quali Giovanni Battista Marchetti, Domenico Corbellini, Michele Colosio, ecc. Si rinnovano impegni di finanziamento al Comune di privati, fino a quando, nel 1790, prevale la tesi di chi vuole il ponte a Pregno. L'anno dopo viene decisa la costruzione di un ponte «in legno e ferro» sul Mella anche a Cailina.


Nonostante le interminabili beghe locali, non viene mai a mancare l'orgoglio dell'autonomia valligiana. Nel 1776 a Carcina, all'ingresso del paese, viene eretto un arco per segnare il confine fra la giurisdizione della Valle e quella della città di Brescia che esisteva ancora nel 1794.


Lo spirito di autonomia esplode con la rivoluzione bresciana del 18 marzo 1797. Inserito nel cantone del Mella con la legge del I maggio 1797, il comune di Villa passa nel distretto delle Armi per effetto della legge del 2 maggio 1798, venendo incluso nello stesso distretto ai sensi della legge del 12 ottobre dello stesso anno; con la legge del 13 maggio 1801 viene incorporato nel distretto I, di Brescia, per fare poi parte del cantone V di Gardone del distretto I di Brescia con la legge dell'8 giugno 1805; unito a Cogozzo, nelle leggi viene citato sempre come comune di Villa. Sul piano istituzionale, in osservanza della legge del 24 luglio 1802 ed in virtù degli 800 abitanti viene classificato nella terza classe dalla citata legge 8 giugno 1805. In alcune leggi è denominato Villa e Cailina (o Villa Cailina e Cogozzo).


Nel 1810 nel comune denominato Villa viene concentrato il comune di Carcina (che riacquisterà l'autonomia amministrativa nel 1816); rimane inserito nel cantone VII di Gardone del distretto I di Brescia fino al 1816, quando viene incluso nel distretto VI di Gardone, per effetto della legge del 12 febbraio 1816, fino al 1859. Con l'unità d'Italia gli sforzi amministrativi si orientarono verso i più svariati problemi, dalle scuole elementari alle elezioni sia politiche che amministrative, alle congregazioni di carità con i lunghi e vari elenchi dei poveri. A Carcina, nel 1860, si determinò di istituire un "Corriere a piedi", il quale doveva andare due volte al giorno a Sarezzo dove era stato attivato un primo ufficio postale. Durò ben otto anni, fino al 1868, quando fu aperto anche a Carcina un ufficio postale.


Il "cosiddetto benessere" incominciò con l'avvento della grande industria che nel Comune ebbe uno sviluppo assai notevole. Francesco Glisenti, nel 1859 a Carcina, con l'aiuto dei fratelli Isidoro e Costanzo, dette l'avvio ad una fabbrica di meccanica armiera, trasformata successivamente in fonderia, che arrivò anche ad avere ottocento dipendenti. A Cogozzo, la famiglia Mylius, nel 1890, fondò un imponente cotonificio, che in seguito divenne Bernocchi, che al massimo del suo splendore ebbe mille e duecento dipendenti. Per ultima, a Villa, nel 1911, nacque la TLM, Trafilerie - Laminatoi - Metalli, divenuta in seguito LMI del gruppo Orlando, la quale superò i mille dipendenti. Questi tre colossi industriali, che nell'insieme davano lavoro a circa tremila persone, favorirono l'arrivo nella zona di numerosi operai provenienti dalla Valle, dalla provincia e da tutta la regione. Alcuni di questi si stabilirono definitivamente nel Comune con le loro famiglie. Ebbe così inizio quel benessere economico sociale che portò i due Comuni e la popolazione ad uno sviluppo generale e soprattutto edilizio.


Un freno a questo crescere venne dalla prima guerra mondiale, dalla terribile epidemia della "spagnola" che seguì il conflitto e dalla nascita del Fascismo. Venivano eliminate le votazioni popolari e veniva nominato direttamente un sostituto del sindaco: il Podestà. Con decreto del 13 maggio 1926 si ebbe, quale podestà di Carcina, Guido Glisenti, industriale (già sindaco di Carcina dal 1905 al 1926), assistito da Luigi Guarinoni, segretario comunale. Il giorno successivo fu nominato podestà di Villa Cogozzo Giovanni Maria Cavadini, notaio, assistito da Enzo Seneci, segretario comunale. I podestà Cavadini e Glisenti rimasero in carica poco tempo poiché, con Regio Decreto del 17 marzo 1927, anno V dell'era Fascista, si unificarono molti comuni su tutto il territorio nazionale. I singoli comuni di Villa Cogozzo e di Carcina furono fusi col nome di "Comune di Villa Carcina" (v.) e, con decreto 9 febbraio 1928, fu nominato podestà del nuovo comune Guido Glisenti, che durò fino al 1937.


Curioso il fatto che nel 1905 Alfredo Glisenti era Sindaco di Carcina (lo fu dal 1895 al 1905) e consigliere comunale di Villa Cogozzo. Interessante e quasi storico è ricordare due delibere emanate durante i sessantasette anni di amministrazione dei due comuni ancora divisi: a Villa Cogozzo il consiglio comunale decise, nel 1903, di intestare la via principale del paese all'ancor vivente statista Giuseppe Zanardelli; nel 1924 l'amministrazione comunale di Carcina stabilì di dare la "Cittadinanza onoraria" a Benito Mussolini.