VILLACHIARA

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VILLACHIARA (in dial. Ilaciara o Iliciara, in lat. Villae Clarae)

Centro prevalentemente agricolo (75 m. s.l.m.) nella bassa pianura occidentale bresciana, alla sinistra del fiume Oglio. L'abitato sorge sulle rive della roggia Villachiara ed è lambito a O dalla roggia Gambalone. Presenta scorci paesaggistici di grande suggestione e balconate bellissime sulla valle dell'Oglio. È a 34 km. da Brescia, ha una superficie comunale di 16,78 kmq. Frazioni importanti sono a O del capoluogo: Bompensiero (a km. 2,60), Villabuona (km. 0,95), a NO Martinenghe (km. 4,30), Vittorie (km. 4); a S Villagana (km. 2). Confina con Orzinuovi, Borgo S. Giacomo, Azzanello (CR), Genivolta (CR), Soncino (CR). È comune autonomo e parrocchia nella zona IX Bassa Occidentale.




ABITANTI (villaclarensi, nomignolo Prede): 760 nel 1493; 900 nel 1540; 1000 nel 1565; 800 c. nel 1572; 700 nel 1580; 700 nel 1600; 850 nel 1610; 850 nel 1647; 800 nel 1657; 830 nel 1658; 922 nel 1677; 828 nel 1684; 1002 nel 1707; 995 nel 1727; 931 nel 1774; 1004 nel 1790; 1135 nel 1791; 1135 nel 1805; 935 nel 1815; 987 nel 1819; 1186 ne11835; 1100 nel 1840; 1030 nel 1848; 1030 nel 1858; 1200 nel 1862; 1271 nel 1871; 1250 nel 1875; 1300 nel 1887; 1300 nel 1891; 1500 nel 1898; 1444 nel 1901; 1500 nel 1913; 1900 nel 1926; 2303 nel 1938; 2298 nel 1936; 2395 nel 1951; 1560 nel 1961; 1256 nel 1971; 1177 nel 1981; 1215 nel 1991; 1248 nel 1997; 1238 nel 2001; 1283 nel 2005; 1300 al 30 aprile 2006.




Stemma: «Spaccato d'oro e di rosso, con aquila rossa spiegante coronata, portante sul petto uno scudo, inquadrato: al I e IV aquila d'argento ad ali raccolte in campo azzurro; al II e III, d'azzurro ai tre gigli d'oro di Francia, posti 2 ed 1, nel primo. Nel secondo: al castello d'argento, torricellato di tre, aperto e finestrato di verde. Sormontato dalla corona turrita, senza porte, simbolo dei Comuni inferiori ai 3.000 abitanti».


Il toponimo del paese non ha nessun riferimento a S. Chiara patrona del paese, ma si riferisce a Villa probabilmente nel senso di villaggio e all'aggettivo "clara" nel senso di "spoglia di alberi" o di "visibile anche da lontano", accezione medievale cui fa riferimento P. Guerrini. Assai meno probabile una derivazione dal personale "Clarus".


Resti di bisonte delle steppe furono rinvenuti nel 2002 da Cinzio De Carli a Bompensiero, tra l'Antes e la cascina Carla. I laboratori Beta Analytic Inc. di Miami, in Florida, hanno accertato che si tratta di un Bisonte Priscus, vivente tra i 15.500 e i 13.400 anni fa.


Tracce di insediamenti umani risalgono a tempi preistorici. Presso la cascina Antes (in bergamasco = narciso nome forse dato dai pastori che vi svernavano), rovinata nell'Oglio negli anni Cinquanta, situata sul ciglio del terrazzo fluviale ad O di Bompensiero, vennero alla luce materiali ceramici databili, probabilmente, alla seconda età del Ferro e lungo un'ansa delle "Coste" a SE di Villagana nel 1967 emersero altri materiali ceramici datati all'età del Bronzo. A parere di Luigi Zerbi ("Acqualunga romana"), il gomito dell'Oglio avrebbe costituito l'ultima frontiera tra i Cenomani alleati dei Romani e gli Insubri. Particolarmente ricco il territorio di reperti romani rinvenuti alla cascina Beleó (materiali ceramici, metallici e vitrei, 1964); al campo Longure (frammenti ceramici), al Fosso (materiali ceramici e metallici). La presenza romana sul territorio di Villachiara è abbondantemente illustrata dal ritrovamento, avvenuto nel 1978, di una necropoli sui terreni denominati "Le Piane, Resalet, Marsenta e Campitì", adiacenti la cascina Pateletto. Esiste anche una necropoli romana nel campo Vignette del Beleó (area vincolata dal Comune fin dal 1995) con una tomba intatta scavata dalla Soprintendenza nel settembre 2002. In località "Vignotto", alla destra della roggia Oriolo, verso Villagana, furono invece rinvenute due tombe celtiche risalenti all'ultimo cinquantennio prima di Cristo, con un corredo costituito, tra l'altro, da un lungo coltello da guerra e da un arco di fibula in bronzo. Le tombe catalogate della necropoli romana di Villachiara sono circa 40, inserite, con buona approssimazione, in un periodo storico che va dal I secolo a.C. al IV secolo d.C. Il loro corredo funerario è costituito dagli oggetti più disparati; dalle suppellettili domestiche, agli arnesi usati per i lavori agricoli ed artigianali, alle monete, ai piccoli utensili e monili che servivano alla cura e al decoro della persona. Fa eccezione la tazza biansata Aco-Acastus, una ceramica di lusso decorata con grappoli d'uva e pampini che si ripetono. Il vaso, databile con una certa precisione al tempo dell'imperatore Claudio (41-54 d.C.), trae la sua importanza dalla firma e dal ridotto numero di pezzi finora ritrovati. In Aco è stato identificato il titolare della bottega e in Acastus il liberto da lui affrancato meritevole di firmare con il suo padrone. Firme di Aco-Acastus sono state rinvenute ad Aquileia, Angera ed in altre località dell'Italia Settentrionale.


Il toponimo Castellaro, che dura nei secoli ed è ancora presente nel sec. XIX, può riferirsi alla presenza di un castelliere preistorico a protezione di abitati sparsi nel territorio chiamati ville, assorbiti poi nel pago romano di Mulzano al quale seguirà poi la pieve (plebs Mulciani) che muterà il suo nome in quello di Ovanengo, che significa tratto di terreno occupato da un nucleo germanico, essendosi lì insediate, durante il periodo longobardo, famiglie di agricoltori di stirpe germanica. L'agglomerato rurale (o Villa), sorto in un territorio spoglio di alberi e perciò "clarus", prenderà il nome di Villachiara; un altro, poco distante, sorto, prima di Villachiara, su un terreno ghiaioso ("ganea"), o, secondo altri, attorno ad una taverna ("gana"), si chiamerà Villagana.


Sembra che la zona sia sfuggita ad una vera e propria centuriazione, data la presenza di vasti boschi che finirono di esistere solo pochi decenni di anni fa; pare pure che il territorio sia appartenuto, dato l'incerto scorrere dell'alveo dell'Oglio, dapprima al Municipium di Cremona e, solo più tardi, sia passato a quello di Brescia. Appartenne poi alla pieve di Mulzano (Ovanengo). Tombe tardoromane e alto medioevali sono venute alla luce nel 1957 in località Bompensiero, e presso la cappella dei Morti di S. Pietro. Al ricco patrimonio archeologico furono dedicate tesi di laurea della dott. Giuseppina Rognoni e di Lucilla Zampori ed una mostra a Villachiara nel gennaio 1985.


Divenuta demanio pubblico, la zona superiore del territorio che combacia con Ovanengo venne donata al Monastero di S. Salvatore che poi vi pose una sua cellula. Forse non è da scartare l'ipotesi che nel toponimo di Ripalta genericamente assegnato dagli studiosi alla Franciacorta o ad una zona a Sud del lago d'Iseo sia da individuare la località che si trova nel territorio di Villachiara che fu una corte della famiglia della regina Ansa, da lei poi donata al medesimo monastero di S. Salvatore.


Alla pieve di Mulzano appartennero due cappelle: S. Andrea di Ossignola, che nel territorio di Villagana potrebbe essere stata un ospizio per pellegrini, e quella di S. Maria Campagnola, nel territorio di Villachiara. La parte inferiore del territorio rimane nell'ambito del demanio. Passata sotto il controllo del vescovo di Brescia, veniva ad esso confermata nella persona del vescovo Olderico nel 1076 dall'imperatore Corrado con l'assegnazione, fra le altre concessioni, delle rive dell'Oglio e del Mella.


Nel 1192 compare la località Campagnola, i cui pascoli e "terreni vuoti" assieme a quelli di Barco, Ripalta vengono destinati alla costruzione dell'"Oppidum S. Georgi" che verrà chiamato Urceas Novas, cioè Orzinuovi. Già nel 1193 si chiama Villachiara una via che dal castello si dirama verso la pianura meridionale dove forse già esiste un "fortilicium", cioè un luogo posto al centro dell'abitato murato, uno dei caposaldi della linea difensiva sull'Oglio e del quale, come sottolinea Fausto Lechi ("Le dimore bresciane", I, p. 374), forse rimane la parte adiacente all'ingresso dell'attuale castello. Contro questo nel 1259 si avventa Ezzelino da Romano.


Ma è solo dal sec. XIV, con l'affermarsi nella zona dei Martinengo, che Villachiara prende un posto centrale nella plaga, in luogo di Villagana, divenendo il punto di riferimento di fondi e fabbricati quali Villabuona, Bompensiero, Fontana Billió (è il nome originario dell'attuale cascina-palazzo del Beleó), Mazzano, S. Vittore e poi le Martinenghe, ecc. L'influenza dei Martinengo, già presenti con proprietà, si concretizza con Pietro, considerato il capostipite di un casato che avrà poi le più diverse diramazioni. Pietro q. Prevosto, che aveva militato sotto Roberto d'Angiò re di Napoli riportando molte ricchezze, già investito nel 1336 di rilevanti decime vescovili, il 9 settembre 1351 viene nominato dal vescovo Bernardo Tricardo intendente o fattore generale della mensa vescovile. Egli approfitta di tale incarico per acquistare fondi specialmente nell'ambito dell'area di Orzivecchi acquistando tutto Zurlengo e accumulando un vistosissimo patrimonio sviluppato poi dai figli Prevosto, Antonio e Gerardo. Costoro, con nuovi estesissimi acquisti in tutta la Bassa bresciana occidentale, diventarono incontrastati padroni sulla riva sinistra dell'Oglio, da Urago a Quinzano, compresa perciò la plaga di Villachiara, per un numero di piò dai venti ai venticinquemila, messi a coltura su una fascia valutata approssimativamente di trenta chilometri di lunghezza e di dieci di profondità.


Tuttavia fin al sec. XIV i Martinengo, con gli Ugoni assieme ai tre comuni di Villachiara, Ovanengo e Gabbiano, furono impegnati a risolvere questioni di decime contro Giorgio della Corte di Ripa cremonese.


Con l'erezione del castello (secondo Oreste Foffa verso il 1370) il paese si va ingrandendo anche con abitazioni contadine superando Villagana, anche se non viene ancora citato come comune nell'estimo visconteo del 1385. Nel 1493 la "Descrizione della città e terre bresciane" di A. Medin registrerà 560 anime a Villachiara, 150 a Villagana e 250 a Barco «con li fenili de Martinenghi». Dei tre fratelli, Antonio aveva quasi sempre abitato a Orzinuovi e nel territorio inferiore della pieve di Ovanengo, dove possedeva un vastissimo latifondo che aveva il suo centro nel fortilizio di Villachiara. Quando, in un atto del 1421 confermato poi nel 1429, vennero divisi i beni, ad Antonio e ai suoi figli Bartolomeo I, Taddeo e Carlo toccarono i possedimenti di Villachiara, con Villagana, Motella, Quinzano e Castelletto di Quinzano, oltre a case in Brescia e agli edifici e boschi degli Orzinuovi. Di Carlo non si conoscono notizie, Taddeo è il capostipite dei Martinengo di Motella mentre Bartolomeo è il capostipite dei Martinengo di Villachiara e Villagana. L'atto di divisione fu siglato «in castro fortilicii de Villa Clara», il che indica anche l'importanza che aveva già allora la località. Già in precedenza, però, egli era signore di Villachiara, dato che il 21 settembre 1425, essendo egli in «castro de Villaclara», luogo di sua ordinaria residenza famigliare (si chiama "habitator terrae de Villaclara"), alla vigilia di riprendere le armi in conflitto col conte di Carmagnola, condottiero generale dell'esercito veneto, volle stendere il suo testamento che si trova in una lunga pergamena originale della Biblioteca Queriniana. Dopo un legato alla pieve di S. Maria di Orzinuovi, sua chiesa parrocchiale, e vari altri generosi legati in danaro e frumento ai poveri per dieci anni, egli ordinò ai suoi eredi di fabbricare e dotare una chiesa in Villachiara («quod fiat una ecclesia suis expensis in Villaclara»), quella che, dedicata a S. Chiara d'Assisi, una cinquantina d'anni dopo sarà eretta a parrocchiale dell'accresciuta borgata, con diritto di giuspatronato per i suoi discendenti. Dei suoi fondi di Villachiara e Villagana costituì un fedecommesso perpetuo per i Martinengo, discendenti legittimamente dall'unico figlio maschio, Bartolomeo II, usufruttuaria di tutto il patrimonio la moglie Paola (forse una Avogadro di Gerola), con legati generosi alle numerose figliuole.


Dopo la battaglia di Maclodio (12 ottobre 1427) Villachiara, a differenza di altri centri vicini (Orzivecchi, Pompiano, ecc.), si diede spontaneamente al Carmagnola risparmiando danni e sofferenze. Tuttavia Bartolomeo, che militava sotto i Visconti, rimase loro fedele ottenendo subito dopo il 27 novembre 1427 esenzioni della durata di cinque anni. Morirà nel 1430 circa, lasciando un nascituro che erediterà il suo nome (Bartolomeo II) mentre Villachiara verrà retta dal nonno Antonio che si schiererà decisamente per Venezia, la quale il 16 dicembre 1437 risarcirà, con quattro anni di esenzione da aggravi, imbottiture e dazi, i danni provocati dai Visconti nel tentativo di riprendere il Bresciano. Nel 1445 Antonio Martinengo otteneva dalla Repubblica Veneta di passare dal vicariato di Pompiano a quello di Gabbiano. Morto il nonno Antonio, Bartolomeo II, schieratosi definitivamente con Venezia, otteneva la cittadinanza bresciana per cui Villachiara diventava un feudo comitale con diritto di successione che estendeva a Villagana comprando nel 1449 fondi da Ventura de Oldradis de Soldo e altri nel 1459 dai Gritti di Venezia. Fece altri acquisti anche "ultra Olium" a Genivolta. Di nuovo, il 25 settembre 1452, il Doge concedeva a Bartolomeo II Martinengo, per i beni di Villachiara, Villagana e Barco «le stesse esenzioni da esso godute per i beni di Urago, Oriano, Mottella e Padernello».


Nell'ottobre del 1453 Villachiara si consegnava a Francesco Sforza, ritornando sotto il dominio veneto dopo la pace di Lodi del 1454. Incominciano così per Villachiara i tempi di maggior splendore: i castelli di Villachiara, Villagana, Beleó si trasformano in vere dimore signorili. Nel 1479 viene eretta la parrocchia per cui Villachiara diventa anche centro religioso di tutto il territorio circostante e Sisto IV (1471-1484) la pone sotto il patronato dei Martinengo e ne assicura la vita con la donazione del beneficio. Al contempo prende una sua fisionomia anche il comune il quale, durante il dominio veneto, farà parte della quadra di Orzinuovi dal 1429, poi di quella di Pompiano, dal 1493 indicato come "Villachiara di Martinengi", essendo Villachiara tutta proprietà dei Martinengo. Il comune era però amministrato da consoli e deputati nominati dai contadini. Nel 1641 e nel 1679 sarà uno dei comuni della quadra di Orzinuovi e nel 1764 apparterrà alla quadra di Pompiano.


Sulla fine del '400 e specialmente agli inizi del '500, quando il conte Vittore si ritira trentenne a Villachiara dopo aver servito in armi la Repubblica Veneta, tutto il territorio viene coinvolto in grandi opere di bonifica, di disboscamento, di irrigazione, specialmente con la costruzione del ramo della roggia Villachiara. Tali opere vengono poi continuate dal figlio Bartolomeo III. Secondo la polizza d'estimo del 1534 circa 100 piò sono «de gere» dreto del fiume Oglio, 450 piò «de campagna inculti e pascolo», 200 piò di bosco e ben 2750 «aradori et vidati» in parte e in parte prativi, dai quali si cavano annualmente 800 «some di formento», 50 «de formentada», 350 di segala, 400 «de minuti», 11 di legname, 800 «pesi di lino», 250 carri di fieno e 150 carri di vino; in complesso «valeno a lire 50 al piò», mentre «i casamenti» sono valutati in lire 137.000. È inoltre menzionato un molino. Alla fine del '400 vennero erette le cascine Martinenghe e Vittorie (da Vittore, conte). Secondo Fausto Lechi «deve essere stato Bartolomeo III a costruire la parte più importante del complesso di fabbricati che poi non vennero portati a compimento». Mentre continuavano i lavori edilizi, come ricorda un contratto del 1513 tra Vittore Martinengo e alcuni muratori di Quinzano, si indicano anche la costruzione di case contadine a Villagana e alle Martinenghe e quella di una colombaia. Con Vittore irrompe nel castello una ventata di umanesimo.


Nel 1517 fu presente nel castello addirittura uno stampatore, forse itinerante, che ha voluto conservare l'anonimato. Di lui conosciamo oggi soltanto un foglietto volante in 4°, impresso in caratteri gotici, dal titolo "Copia delle Stupende e horribile cose che ne boschi di Bergamo sono a questi giorni apparse", con l'indicazione "Villachiara 23 dicembre 1517", chiaramente «ad istantiam et impensis» dei conti Martinengo, editori, quindi, dell'opera. Il titolo presenta una bellissima iniziale maiuscola a fondo nero, mentre sotto l'intestazione vi è una vignetta xilografica rappresentante una zuffa tra cavalieri che, dal punto di vista stilistico, sembra di gusto lombardo-bresciano anche se di mediocre fattura. Oltre a godere del mecenatismo culturale dei proprietari, il castello vive di grande fasto: nel 1517 vi risultano presenti 55 persone al servizio di solo sette o otto Signori. Molto alte anche le amicizie. Il "Magnifico Cavaliere" Vittore è amico del duca di Urbino e del duca d'Este al punto che questi concedette in sposa la figlia Rizzarda a Bartolomeo III, primogenito di Vittore. Bartolomeo III nel 1533 chiama a Villachiara i Campi che lavorano non solo nel castello, ma anche al Beleó. Non manca la presenza di letterati: Bartolomeo III affida all'anziano poeta Francesco Conti, detto lo Stoa, poeta laureato a Parigi, l'educazione dei suoi figli; il suo primogenito, Enea, vi ospita il letterato bagnolese Vincenzo Zini che canta in latino Villa «chiara d'oro, di gemme, di costumi e d'ingegno».


Ma il fasto non è disgiunto da depravazioni e delitti. Come ha scritto Paolo Guerrini ("I conti di Martinengo", p. 481), «violente bufere di torbide e misteriose passioni si scatenarono sulla famiglia, e il castello di Villachiara fu testimonio di orribili delitti, di odii fraterni, e forse anche di amori anormali che determinarono tragedie di sangue». Uno dei figli di Vittore, Troiano, dopo aver affogato nel Po la sorella Camilla, uccide con ferocia il fratello Ulisse e, a sua volta, muore avvelenato. Un altro fratello, Camillo, è accusato di tradimento da Venezia ed è reo del rapimento di una giovanissima contessa, Luigia Caprioli. Altrettanto crudele, se pur abilissimo condottiero, avido di ricchezze è Bartolomeo III presente in tutti gli avvenimenti di Brescia negli anni arruffati della guerra tra Spagna, Francia e Impero del 1509-1516. È accusato, tra l'altro, di essere il mandante dell'uccisione di Valerio Paitone. Dopo complicate vicende ebbe dalla Repubblica di Venezia privilegi ed esenzioni feudali e, alla fine, con ducale del 16 novembre 1536, la conferma del feudo comitale di Villachiara, al quale aggiunse la nomina di cittadino di Cremona e, dall'imperatore Carlo V, per lui e per i suoi discendenti, quella onoraria di Milano e di tutto quel ducato (1552), per cui i Martinengo di Villachiara e di Villagana risultarono iscritti contemporaneamente ai patriziati di Milano, Cremona e Brescia.


Bisogna poi dire che, attraverso i matrimoni dei figli, si era imparentato con le corti di Ferrara, Parma, Piacenza e con la più alta aristocrazia di Roma. Morto anch'egli assassinato, nel 1559 la discendenza toccò ad Enea che visse ritirato a Villachiara dedito agli studi umanistici; i suoi figli divisero la proprietà. A Marcantonio toccò Villachiara e il suo castello; a Paolo Emilio i possedimenti di Villabuona, Bompensiero, Antes e Beleó. Il matrimonio di Paolo Emilio con una Gonzaga, e di Marcantonio con una Martinengo Colleoni e in seconde nozze con una Bentivoglio di Bologna diedero nuovo lustro al casato e al castello di Villachiara. Dalle polizze d'estimo per l'anno 1568, nel numero dei servitori, degli staffieri, dei fattori di campagna, delle fantesche ecc. e nel numero delle pariglie di cavalli si evidenzia l'alto rango dei Martinengo, che tuttavia andarono sempre più declinando, pure continuando ad esprimere guerrieri, letterati, amministratori di città.


Due documenti offrono un quadro abbastanza preciso di quella che era Villachiara durante quegli anni. Nella polizza d'estimo del 1580 si registra: «Uno Castello cum un Razetto murato ... cum fossa intorno, al quale è coerente a monte et a sera l'ampio zardino, a mattina strada, et a mezzogiorno la piazza de Villa Chiara ... Un casamento dell'affittuale situato in detta Terra e coerente a sera strada, a monte ingresso, et a mezzodì seriola, cum cortivo et orto, cum casa da malghese, et fenili ... Case da bracenti numero cinquanta duoi, in tutto murate, capate, et parte solerate, parte murate de calcina, parte de terra. Le quali sono attigue l'una all'altra et alle quali tutte case è coerente a doman strada, et a sera e mezzodì strada, et a monte piazza, et strade cum cortivo et orti ...». Completano questi dati quelli forniti dal Catastico del Da Lezze del 1609: «Villa Chiara. 1. Terra sotto la quadra di Pompiano discosta dal fiume Oglio pocco spazio, et lontana dalla Città miglia 24 de fuoghi circa 90. Anime 850 de quali utili 356. 2. Con un castello fatto a guisa di Palazzo di circonferenza con li casamenti, de quasi mezzo miglio, et dentro di esso vi sono bellissime stanze di raggione del Signor Conte M. Antonio Martinengo. 3. essendo suoi tutti li beni di detta terra, et Villagana delli Signori Conti Alfonso suo zio, et figli del Conte Paolo Emilio suo Nepote, essi Signori Conti hanno il Porto per passar il fiume Oglio. 4. Governo del Commun fanno Consuli, Deputati, et altri, che governano la terra, non ha però entrada di alcuna sorte fà diese soldati delle cernide. 5. chiesa di S. Chiara officiata da un prete con buona entrada. 6. la terra è di circuito circa un miglio, et il territorio per longo, et per traverso si estende miglia quattro, confina con gli Orzi nuovi, Gabiano, et con Acqua longa. 7. la campagna è in parte buona, et in altra parte sterile sono di valuta li Piò migliori di cento scudi. 8. Piò di terra nel territorio n. 1250; Animali Bovini pera n. 30; Cavalli n. 35; Carri n. 28».


Il 1600 e il 1700 segnano per il paese anni interminabili di povertà e anche di vera miseria e di violenza. Con il 1630 si chiude una serie di epidemie di peste, ma rimane altissima negli stessi tempi la mortalità infantile, mentre serpeggiano a lungo il vaiolo e altre malattie endemiche come la malaria, ecc. Dai registri della parrocchia risultano 22 delitti nella seconda metà del '600, 27 nel '700, mentre nell'800 si registra un solo omicidio. In un anno solo (aprile 1658 - aprile 1659) si contano ben quattro morti «d'archibugiata», delitti favoriti dalla protezione dei conti e dalla via di fuga fuori i confini veneti rappresentata dall'Oglio. Non poche volte il castello diventa un covo di banditi. Nel 1642 vi viene arrestata una famosa banda, quella dei Ferraglio di Gardone Val Trompia, i cui componenti vengono impiccati. Con la morte della contessa Virginia Bargnani, sposa in seconde nozze al conte Alfonso Martinengo Villagana, avvenuta il 29 settembre 1689, la signoria su Villachiara (650 piò, palazzo e case) passa al di lei fratello Nicola e ai Bargnani Villachiara apparterrà fino al 1750 circa. Nicola Bargnani vi si insediò per gran parte dell'anno e, morto nel 1702, lasciò eredi i figli Bartolomeo e Galeazzo. A Villachiara rimase il primo, che pagò l'affitto al fratello per la sua parte. Per i suoi efferati delitti, prepotenze e temerarietà Bartolomeo Bargnani (1657-1743) fu particolarmente noto, tanto da fare di Villachiara un paese malfamato e da far scrivere ad un contemporaneo, Alfonso Cazzago, che «non vi è alcuno in Brescia che possa uguagliarsi al nome tremendo e di tanto grido, com'è quello del signor Bargnani, qual'è tenore di terrore di tutti».


Nuovi e gravi disagi e danni portò dal 1701 al 1705 la guerra di successione spagnola. Numerose le requisizioni di fieno e di ogni genere di roba, e gravi i danni alle case e alle campagne, specialmente dall'agosto al dicembre del 1701 e nell'agosto 1705. Come scrive Paolo Guerrini, «Villachiara rimane un covile di bravi per sue indisturbate imprese» (del Bargnani). A Villachiara, nel dicembre 1725 vennero addirittura scoperti, murati in una stanza, 390 fucili e molte «granate cariche». Il Bargnani morì a Villachiara il 29 settembre 1743 riconciliato con Dio e sepolto nella chiesa parrocchiale. Ma il suo ricordo rimase nel leggendario locale come quello del "Mat Bergnà", dal quale le giovani donne del paese dovevano difendersi. Per sfuggire alle sue sfrenate voglie, non trovavano di meglio, nell'uscire di casa, che farsi brutte con la fuliggine delle pentole.


Anche quando i delitti diradavano rimaneva la miseria, a sollievo della quale e dei poveri infermi due legati nel 1775 (il legato Albini e un altro, Parisenti, in favore dell'Ospedale di Orzinuovi) permisero di estendere l'assistenza a 215 bocche di Villachiara.


A metà del sec. XVIII Venceslao I q. Carlo III Martinengo Palatino, sposando la contessa Marianna q. Giovanni Martinengo di Villachiara e Villagana, porta alla sua discendenza i possedimenti e i titoli per cui i Martinengo si chiamarono Palatino Villachiara e Villagana, comunemente indicati con il nome Martinengo Villagana. Verso la fine del secolo, per la prima volta, Villachiara ebbe un medico-condotto. A metà del sec. XVIII, sgretolatasi la proprietà dei Bargnani, tornarono a prevalere i Martinengo che già nel 1733 vi possedevano 2.270 piò contro i 490 rimasti ai Bargnani.


La rivoluzione giacobina e l'epoca napoleonica (17971815) passarono senza avvenimenti di rilievo per un paese troppo povero e marginale per essere coinvolto. Anzi il paese nel maggio 1796 divenne rifugio di Cremonesi di S. Bassano «rifuggiati per l'invasione de' francesi in quello stato». Come dovunque, vi venne innalzato l'albero della liberà, ma senza clamori. Non ebbe tempo di mettere radici, perché il 26 febbraio 1799 venne atterrato per il sopraggiungere degli Austro-Russi che però l'anno dopo cederanno il posto ai Francesi. Inserito nel cantone delle Pianure con la legge del I maggio 1797, il paese passò nel distretto delle Pianure per effetto della legge del 2 maggio 1798 e rimase incluso nello stesso distretto ai sensi della legge del 12 ottobre dello stesso anno; con la legge del 13 maggio 1801 fu incorporato nel distretto III, di Verola Alghisi, per fare poi parte del cantone IV di Orzinuovi del distretto II di Chiari con la legge dell'8 giugno 1805. Sul piano istituzionale, in osservanza della legge del 24 luglio 1802 ed in virtù degli 857 abitanti, venne classificato nella terza classe dalla citata legge 8 giugno 1805. Poche le novità: fra esse il cimitero, costruito sulla strada per Villagana a spese del Comune, mentre la Cappella venne eretta con le elemosine raccolte in chiesa. Venne benedetta il 23 dicembre 1810. Disattesa, o quasi, ancora l'istruzione pubblica. Nel 1810 si accenna, in una relazione del parroco, ad una specie di scuola a «pochi figlioli» tenuta dal farmacista, mentre non esiste del tutto quella per le fanciulle. In una parentesi, durata dal 1814 al 1816, il Comune di Villachiara venne soppresso per essere aggregato ad Orzinuovi. Gli anni di passaggio dal dominio napoleonico a quello austriaco sono segnati, dal 1815 al 1818, da una dura carestia e dal diffondersi micidiale di un'epidemia di tifo petecchiale che semina molte vittime. La situazione è tale da spingere, il 9 luglio 1817, la contessa Caterina Martinengo a consegnare nelle mani del parroco 248,99 lire, 200 delle quali da distribuire a «braccianti infermi e vedove», ai poveri di Villachiara e Vittorie e pagando, «per quanto è possibile, li debiti dei più poveri in contratti per medicamenti» e destinando il resto ad uffici funebri. E non vengono certo tempi migliori se il 26 gennaio 1826 la stessa contessa, assieme alla sorella Bianca, dispone che «siano versate al parroco di Villachiara 120 lire milanesi da impiegare in soccorso dei poveri infermi di Villachiara, Villagana e Vittorie; il resto che sopravanza deve servire a dispensare sale ai poveri e a vedove povere non viziosi né ostiarianti» (cioè bestemmiatori). Altre 100 lire la contessa Caterina lascia con testamento del 9 maggio 1833 da dispensare in elemosina ai poveri infermi bisognosi della parrocchia. I tre lasciti costituiscono il Legato Martinengo amministrato dal parroco fino al 1878 e dal 1878 dal Municipio per essere poi assorbito, nel 1893, dalla locale Congregazione di carità. Questa, che al suo nascere nel 1803 aveva assorbito i legati Rovati e Bargnani e che, abolita poi dall'Austria, era risorta nel 1859, continuerà ad amministrare, oltre al legato Martinengo, altri legati di Ambrogio Vertua di Quinzano (1881) e di Francesco Gualla (1883) proprietario delle Martinenghe. I legati servono, assieme alla carità del parroco e privata, ad affrontare altri momenti difficili come quelli del colera del 1835 che provoca la morte di 35 persone.


Dal I gennaio 1810 al 1816 venne unito a quello di Villachiara il comune soppresso di Acqualunga, suscitando con ciò forti reazioni che portarono ad una nuova separazione. Nel 1820, con decreto del 7 giugno, veniva ristabilito il ponte sull'Oglio con pedaggi minuziosi che dettero un respiro economico sia pure limitato. Ma la situazione generale non migliorava. Nonostante l'organizzazione scolastica austriaca, Villachiara non aveva ancora una vera scuola. In compenso, tuttavia, vi veniva stabilita una farmacia. L'istruzione elementare risulta introdotta con due classi elementari sia per i fanciulli che per le fanciulle nel 1840. Nessuna eco ebbero i moti patriottici e nessun riflesso in luogo ebbero i sospetti di cospirazione caduti nel 1821 sul massone conte Carlo Martinengo Villagana e nel 1834 sul conte Giovanni Martinengo Villagana, mentre, lontano dal paese ma oriundo di Villachiara, si distinse a Orzinuovi come patriota e poi come filantropo il dott. Secondo Martinelli (1814-1871), al quale il Comune ha recentemente dedicato una via. Nessuna notizia di partecipazione del paese ad eventi del Risorgimento se non quella del conte Giovanni Martinengo Villagana nel governo provvisorio di Brescia.


In seguito all'unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di Villachiara con 1.130 abitanti, retto da un consiglio di quindici membri e da una giunta di due membri, fu incluso nel mandamento III di Orzinuovi, circondario II di Chiari, provincia di Brescia.


Alla costituzione nel 1861 del Regno d'Italia, il comune aveva una popolazione residente di 1.152 abitanti (Censimento 1861). In base alla legge sull'ordinamento comunale del 1865 il comune veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Fu scongiurata in tale anno la soppressione del Comune, non raggiungendo il numero di 2.500 abitanti prescritti della legge, per intervento dei conti Martinengo che ne assunsero la direzione. Senza avvenimenti di rilievo anche i primi anni di unità nazionale se non quelli, nell'aprile 1862, attinenti alla caccia nei boschi lungo l'Oglio di 29 cavalleggeri napoletani disertori dall'esercito e, nell'agosto 1869, per un fatto analogo. Piccole cerimonie patriottiche si tenevano nel palazzo Martinengo di Villagana, nelle diverse ricorrenze, mentre solo il 5 settembre 1895 si ha notizia di una riunione straordinaria del Consiglio Comunale per deliberare i festeggiamenti del venticinquesimo della liberazione di Roma con una distribuzione ai poveri, per tre anni, di 50 lire. Ai momenti salienti facevano eco quasi solo i conti Leonardo e Angelo Martinengo. La partecipazione più attiva, più subita che volontaria, era quella alla Guardia Nazionale e quella, solo subita, alla leva militare. Fiacca la vita amministrativa per lunghi decenni in mano ai conti padroni, come il conte Angelo Martinengo che fu sindaco per 27 anni, dal 1867 al 1894, o il fratello conte Luigi ecc. o affidata ai grossi proprietari (a volta nemmeno residenti), come i Provezza, i Bonfiglio, i Tiraboschi, i Pezzola, i Tironi, ecc.


Alla povertà nel secolo XIX si aggiunsero le epidemie quali il colera che nel 1836 mieté 30 vittime, nel 1849 quattro, nel 1855 sei, nel 1867 trentotto (19 morti in giugno, 18 in luglio e uno solo nell'ottobre e quell'unico fu il conte Giovanni Martinengo Villagana, che fu sindaco dal 23 marzo 1860 alla morte, avvenuta appunto il 7 ottobre 1867). Minacciosa si presentò fra i bambini, specialmente dai 2 ai 7 anni, la difterite o "mal del grop" che nel solo 1875 fece 10 vittime, 5 nel 1878, 4 nel 1883. Il vaiolo a sua volta seminò 9 vittime nel 1839, serpeggiando poi minaccioso negli anni che seguirono; la tosse canina o pertosse nel 1875 fece 7 vittime, 3 nel 1887, 4 nel 1888. L'introduzione della vaccinazione, ma soprattutto l'installazione dal 1884 nel centro e via via nelle varie frazioni di pozzi tubolari "all'americana" con pompe idrauliche servì a scongiurare più gravi epidemie. Pochi coloro che avevano diritto di voto, per le note limitazioni riguardanti reddito e alfabetizzazione, ridotti per lunghi anni al 5 per cento della popolazione e al 33-40 per cento la partecipazione. Scontate le preferenze date per lunghi anni al conte Angelo Martinengo nelle elezioni politiche e indirettamente alla politica zanardelliana della quale fu tenace sostenitore, o a candidati da lui indicati. Nelle elezioni politiche del 1870 gli elettori furono 7, per raggiungere i 26 nel 1877; dopo la riforma elettorale del 1882 furono 88, per salire a 124 nel 1892. L'aggravarsi della situazione economico-sociale provocò nella primavera del 1882 le prime proteste contadine, nelle quali fece da paciere il sindaco conte Angelo Martinengo che il 27 giugno riuscì a far accettare un compromesso in un patto agricolo che fu tra i primi ad essere siglato nel Bresciano. Cure particolari, perché fonte anche di entrate, vennero riservate al "ponte sull'Oglio" distrutto più volte da alluvioni fra le quali devastanti quelle del giugno 1875, del settembre 1878, giugno 1879 ecc. e che cessò ogni attività solo nel 1938. Lento lo sviluppo dell'istruzione primaria. Nel 1862 esisteva ancora una misera scuoletta con due classi elementari miste, dalla quale erano assenti quasi del tutto i bambini delle frazioni e delle cascine più lontane. Tuttavia, per iniziativa del maestro Antonio Piscioli, negli anni '80 del sec. XIX fu aperta una scuola serale per adulti analfabeti mentre, per iniziativa del sindaco conte Angelo Martinengo, venivano aperte due scuole promiscue a Villagana e a Bompensiero e, dal 1894, veniva richiesta una terza classe maschile, alla quale, nel 1901, si aggiunse una terza classe a Bompensiero. C'era pure necessità di un medico condotto, la cui serie fu aperta da un dottor Cassa, cui seguirono il dott. Giuseppe Lazzaroni, il dott. Giuseppe Franzini, il dott. Pietro Rossi e infine, dal 1887, il dott. Luigi Mantova di Quinzano d'Oglio che a Villachiara rimase fino alla morte nel 1933 dopo 44 anni di servizio, altamente encomiato per dedizione, professionalità, ascendente sulla popolazione. Al di fuori della costruzione di pozzi, poche furono, per decenni, le opere pubbliche realizzate, fra le quali la pesa pubblica (1882), l'orologio sul campanile e poco altro. Ciò che né pozzi né medici poterono dominare e vincere fu la pellagra dovuta al vitto. Essa, però, a Villachiara non seminò stragi di vite umane come altrove perché combattuta con il miglioramento del vitto, gli essiccatoi per il grano ed altre iniziative che andarono riducendone i casi fino alla totale scomparsa nel 1920. Un R.D. 22 febbraio 1903, n. 162 dichiarava parte del territorio zona malarica. Ma vennero opere di bonifica e di prosciugamento di stagni e il 22 febbraio 1918 veniva proposta al Ministero la revoca del decreto.


Le cure del conte Luigi Martinengo Villagana (1833-1914), ritiratosi negli anni '60 a Villagana, trasformarono, come ha scritto Paolo Zanoni, la grande terra in una grande azienda agricola moderna e di avanguardia. Egli creò un parco dove piantò alberi esotici, creò una serra. Nel 1867 lo stabile di Villagana contava 1482 piò, di cui 711 lavorati in proprio, 205 affittati e 451 occupati da «boschi, zerbi e paludi». Su di essi il conte Martinengo compì i più diversi esperimenti, promosse le colture più avanzate. Fu il conte Luigi a introdurre nel 1863 la prima trebbiatrice a vapore inglese (Marshall), creando la "Società del Trebbiatoio a vapore Martinengo e Comp."; istituì una moderna vaccheria, lottò contro la pebrina che devastava gli allevamenti di bachi creando la Società Bacologica Martinengo Vedovelli e Cicogna per importare dalla Cina e dal Giappone seme da bachi sano. Un giornale, il 19 gennaio 1901, commentando il conferimento del cavalierato al conte Luigi, scriveva: «A lui infatti devesi se la ridente Villagana, un dì tutta boschi e paludi, oggi figura fra le plaghe più produttive della provincia nostra; a lui devesi se, come conseguenza delle migliorate condizioni igieniche ed economiche di essa, una popolazione sana e gagliarda prospera oggi in questi luoghi, ove in altri tempi desolava la pellagra e la malaria». Anche di questi spiragli di progresso erano protagonisti i Martinengo che dagli inizi del sec. XIX conservavano una forte egemonia. Il catasto napoleonico assegnava 4586 pertiche ai Martinengo, ma 5164 ai Gambara, 2594 ai Borgondio e 1834 ai Corniani. Si fecero avanti anche dei proprietari non nobili tra i quali i Frigerio con poco più di mille pertiche, i Viviani e via via i Lovisetti e i Bramini. Il catasto austriaco vide ancora dominante la proprietà nobiliare e in essa quella dei Martinengo. Solo nella prima metà del '900 accanto ai Martinengo si fecero strada agricoltori di diversa estrazione sociale, ma non meno intraprendenti, come i Provezza che finiranno con l'affermarsi anche sul piano amministrativo e politico. Alla stragrande maggioranza di contadini e particolarmente di salariati, che vedevano peggiorare le loro condizioni economico-sociali, incominciarono a pensare i parroci. Grazie all'attività dei parroci, come si nota dalla fine dell'800, si andò profilando un articolato movimento cattolico che nel 1890 vide nascere la Società Operaia Cattolica con 63 iscritti; nel 1902 a Villagana sorse una Cooperativa cattolica di consumo; nel 1903 si formò una sezione giovani dell'Opera dei Congressi, con 40 aderenti, e una propria fanfara. Fin dal 1901 i contadini di Villachiara parteciparono all'agitazione per il miglioramento del patto colonico partita da Quinzano d'Oglio e poi costituirono una Lega bianca. Sotto la sua egida nel maggio 1907 cento contadini scendevano in campo per chiedere il miglioramento del patto colonico. L'attivismo del parroco don Stefani e un'organizzazione cattolica più curata portarono nel 1909, anche a Villachiara, ad un rovesciamento di posizioni alle politiche contribuendo alla vittoria del dott. G. Maria Longinotti sullo zanardelliano Carlo Gorio; vittoria che divenne più solida nelle elezioni del 1913 con 155 voti del cattolico Longinotti sui 53 del candidato della sinistra Paroli. Nel frattempo, specialmente dal 1912, a contrastare l'attività del movimento sindacale cattolico scendevano in campo i socialisti che il 18 aprile 1912 fondavano una Lega rossa. Qualcosa si smuoveva nella situazione della borgata. Nel 1902 veniva migliorato di molto il servizio postale con un servizio stabile e giornaliero. Nel 1906 il Consiglio Comunale concedeva alla ditta Spinoni Angelo il «nulla osta per l'occupazione delle aree pubbliche interne ed esterne, per la distribuzione della rete elettrica». Come ha scritto Paolo Zanoni ("Villachiara terra di confine", pp. 228 e segg.): «L'impianto di produzione di energia venne costruito al mulino, da poco acquisito da Angelo e Giacomo Provezza, dove venne collocata una turbina che, tramite una condotta forzata, sfruttava la forza motrice del salto d'acqua prodotto in quel sito dal Gambalone. L'erogazione della corrente ebbe inizio nel 1907 e venne assicurata dall'"Impresa distribuzione Energia Elettrica Villachiara e Circonvicini" degli stessi fratelli Provezza». Nel 1924 i punti luce nelle pubbliche vie erano diventati dodici. Dal censimento dell'industria del 1927 risulta ancora in funzione l"officina elettrica" al mulino. Auspicato da parecchi anni, nel 1910 venne redatto dall'ing. Emilio Marconi di Soncino il progetto di un palazzo comunale e scolastico i cui lavori vennero conclusi nel 1914.


La prima guerra mondiale costò la morte di 42 combattenti su 117 chiamati alle armi. Si distinsero Fausto Moroni (1895-1979), pilota di aeroplani, "cacciatore" ed osservatore di artiglieria, che si guadagnò segnalazioni ed onorificenze; inoltre il generale conte Angelo Martinengo Villagana, cavaliere ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia, medaglia d'argento e medaglia di bronzo. Vennero, inoltre, decorati di medaglia d'argento: Angelo Nodari, sottotenente pilota, e il caporale Stefano Roncali. Duro fu il dopoguerra: la "spagnola" fece, in pochi mesi del 1918-1919, diciannove vittime. Fin dai primi mesi del dopoguerra una ventata di socialismo investi Villachiara, mettendo in minoranza le forze contadine cattoliche che pure avevano condotto le antecedenti battaglie del lavoro. Alle elezioni del 16 novembre 1919 infatti, nelle quali votarono meno della metà degli aventi diritto, i socialisti ottennero 108 voti, i popolari 82, i liberali democratici 37. L'amministrazione formò perciò una giunta a maggioranza, presieduta dal conte Angelo Medolago, che cercò di arginare con lavori pubblici la disoccupazione, perseguendo un calmiere dei prezzi e provvedendo alla distribuzione di generi alimentari. Dal canto suo il parroco don Stefani dava vita, il 24 dicembre 1919, ad una Cooperativa cattolica di consumo. I socialisti riuscirono a prevalere in campo sindacale e sopravanzarono con la lega rossa quella bianca. Venne compiuto un tentativo non riuscito di contrapporre alla Lega socialista di Villagana una Sezione combattenti, mentre nelle elezioni amministrative del 17 ottobre 1920 prevalse su quella socialista una lista di concentrazione di popolari e liberali capitanata da Angelo Provezza. Nelle elezioni del maggio 1921, la vittoria socialista fu netta: 183 voti (55,4 per cento) contro 88 (26,7) del blocco liberale e 59 (17,9) dei popolari.


Il successo rinfocolò, specie nella primavera 1922, l'azione sindacale che tuttavia si trovò ostacolata per la discesa in campo, accanto ai datori di lavoro, delle squadre fasciste che portarono, nel maggio, ad incidenti sia pure lievi, mentre provocarono, sotto minaccia, le dimissioni di tre consiglieri socialisti. Come scriverà il conte Angelo Medolago Martinengo, il palazzo di Villagana fu, durante i grandi scioperi agricoli, il punto d'appoggio delle squadre fasciste specialmente provenienti da Azzanello e, come attestava il segretario federale di Brescia Gino Zuccarelli, «il rifugio affettuoso e fraterno di tutti quei fascisti che, perseguitati dalla Questura di allora, avevano bisogno di un ricovero». Il 25 giugno 1922 avvennero scontri tra fascisti giunti dal Cremonese e da Acqualunga e socialisti del luogo; il fascisti spararono e bastonarono, devastando un'osteria; il 19 agosto altri fascisti risposero ad insulti di socialisti con nuove bastonature. Un vero conflitto fra socialisti e fascisti si scatenò in un'osteria il 17 ottobre 1922. Capovolta è la situazione dopo la Marcia su Roma. Nelle elezioni del marzo 1924, su 252 votanti (55,6%) degli aventi diritto la lista fascista liberale raccoglie 198 (78,6%) voti, i popolari 44 (17,4%), i socialisti addirittura 3 voti, sopravanzati dai comunisti con 7 voti (2,8%). Sotto il velo del conformismo imposto dal regime vennero ricordati a lungo episodi di aggressioni, pestaggi, di vera persecuzione verso ex sindacalisti e socialisti. Ancora nel 1927 anche il parroco don Stefani viene denunciato perché «continua a vedere di malocchio il movimento fascista». Elenchi «di elementi da ritenersi sospetti» o «di elementi sovversivi residenti in Comune» partono in diverse date dal Comune. Del resto anche a Villachiara non mancano episodi di insofferenze del regime da parte di oppositori, messi, di solito, a tacere. Uno di questi episodi riguarda, nel 1940, il curato don Bertuzzi che aveva aperto gli ambienti dell'oratorio anche a uomini "attempati", sfuggendo con ciò al controllo delle autorità.


Tra tante e accese lotte sindacali e politiche si faceva largo qualche miglioramento. Nel 1922-1923 veniva ampliato il cimitero su progetto dell'ing. Emilio Marconi, nel 1930 installato il telegrafo e nel 1935 allacciata la rete Stipel, ma solo nel 1942 veniva istituito il posto telefonico pubblico nella Trattoria Italia delle sorelle Gherardi. Il Consiglio Comunale, il I novembre 1921, «a ricordo dei Caduti in guerra» decideva la costruzione dell'asilo infantile, programmato fin dal 1919 in seguito ad un lascito di Elisa Cavallari Provezza. Eretto su progetto dell'ing. Andrea Cassa, venne inaugurato il 15 settembre 1930 e affidato alle Missionarie Zelatrici del S. Cuore. Contemporaneamente vi venne collocata la lapide ai caduti progettata dall'ing. Giovanni Damiani. L'asilo venne poi largamente beneficiato in morte dal dott. Mantova. Nel 1931 fu approntato un campo da gioco e, nel 1933, da una legnaia veniva ricavata una specie di palestra per le organizzazioni giovanili fasciste. Per il tempo libero, nel 1934, veniva aperto, con 100 soci, il Dopolavoro comunale con biblioteca, attività ricreative, giochi di bocce. Nel 1936 veniva aperta una sottosezione con altri 100 soci a Bompensiero.


Lento fu lo sviluppo della scuola. A quattro classi miste in Villachiara e a tre classi stipate in una stanza a Bompensiero, abolita quella di Villagana, se ne aggiunse una "provvisoria" alle Martinenghe che nel 1932 venne sacrificata per ricostituirne una a Villagana. Solo nel 1935 a Villachiara venne istituita una quinta classe alla quale si aggiunse una quarta a Bompensiero. Le nuove classi possono trovare sede in questi anni nel nuovo edificio scolastico costruito su progetto dell'ing. Andrea Cassa. Sempre nel 1935 viene organizzata la colonia elioterapica. Nel 1937, dopo 10 anni dalla sua istituzione, il patronato dell'Opera Nazionale Maternità e Infanzia apre l'ambulatorio comunale. Il 10 novembre 1940 viene aperta, per iniziativa dell'OMNI, la Casa della Maternità per accogliere le partorienti che «non abbiano in casa le necessarie comodità e la cura indispensabile». In un solo anno vi vengono ricoverate 23 partorienti. Verrà chiusa solo nel 1957. Sempre sul piano dell'assistenza nel 1937 si costituisce l'Ente Comunale di assistenza (ECA), che assorbe ogni iniziativa pubblica, e la stessa Congregazione di carità. Nel 1937, grazie al dono di Angelo Provezza e nipoti, si può usare un terreno per la costruzione di un campo sportivo e di un complesso detto della Gioventù Italiana del Littorio che ospiterà due filodrammatiche: quella della G.I.L. e quella dell'oratorio. Nel 1938 il Comune affitta in via Roma una casa per installarvi la sede del Dopolavoro assieme alla scuola di musica e alla banda.


La seconda guerra mondiale comporta il richiamo alle armi di numerosi giovani. Per l'assistenza ai combattenti vengono organizzate iniziative quali la raccolta di lana per i combattenti e di uova per i feriti. Il paese poi, a mano a mano che nelle città si moltiplicano i bombardamenti, prima a Milano, poi a Brescia, diviene un rifugio di sfollati senza che venga toccato da bombardamenti e mitragliamenti.


Dopo l'8 settembre 1943 nel paese sostano alcuni prigionieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento e trovano aiuto nella popolazione. Molti sono inseguiti renitenti alle leve indette dalla RSI, mentre si organizzano nuclei di resistenza, protetti anche dalle autorità fasciste del luogo quale il podestà Leonardo Provezza. Un gruppo di sbandati e resistenti si raccoglie intorno ad Angelo Zani e a Domenico Giovanni Bertoletti in rapporto a Brescia con Luigi Savoldi e con i cremonesi Bardelli e Cavalli. Ben presto il movimento di resistenza locale può contare su trenta o quaranta effettivi, fra cui Giuseppe Chiodi, Giulio Micheli, Andrea Bassini, Cesare Monfredini, Attilio Baronchelli, Antonio Giulietti, Pietro Moroni, Giovanni Simonini e, più tardi, Riccardo Roncali. Un altro gruppo si riunisce intorno a don Angelo Questa, che viene poi nel 1944 trasferito a Offlaga. Per la presenza di sfollati fascisti, personaggi importanti quali Arturo Messori (padre dello scrittore Vittorio), sfollato al Beleó, Gino Rinaldi e il prefetto Pino Romualdi (che sarà uno dei più importanti esponenti del M.S.I.) ospiti a palazzo Martinengo a Villagana, si scende ad un compromesso instaurando un rapporto di non belligeranza e facendo di Villagana e Villachiara una specie di zona franca nella quale convivono resistenti e fascisti repubblicani. Nella lotta della Resistenza cadono a Certaldo (Firenze), il 26 agosto 1944, Cornelio Biatta, e in Montenegro, il 6 aprile 1944, Battista Rizzini. Durante i giorni della liberazione un gruppo di patrioti di Villachiara opera a Quinzano d'Oglio, mentre a Villachiara si arrende un contingente di 700-800 tedeschi.


Il dopoguerra registra come sindaco Angelo Zani, figura di spicco dell'antifascismo che porta la sinistra socialcomunista alla vittoria nelle elezioni amministrative del 1946. Quello che era stato il complesso della G.I.L. diventa Casa del popolo (e anche sala da ballo e cinematografica) e punto di riferimento di lotte sindacali intense. Fin dal luglio 1945 i salariati scendono in sciopero, il primo che si verifica nelle campagne bresciane nel dopoguerra, al quale altri seguirono culminati nel novembre 1949 con l'occupazione delle cascine; avvenimento clamoroso, questo, che continuerà fino al marzo 1950 con episodi di notevole rilievo. Non mancano forti tensioni anche sul piano amministrativo nel quale si alternano maggioranze a volte precarie. Nel 1947-1949 viene raddoppiato il cimitero, grazie al terreno offerto dalla famiglia Medolago Albani, e viene eretta una nuova cappella. Nel 1950 il paese viene collegato con Brescia con corriera dell'impresa Brognoli di Borgo S. Giacomo. Via via, negli anni 1952-1953 viene allargata piazza S. Chiara nel capoluogo; nel 1952 sono realizzati i lavatoi di via Roma. Nel 1953 arriva il telefono negli uffici comunali e nel 1954 nelle frazioni. Tra il 1954-1955 vengono costruite le scuole a Bompensiero, dedicate ai Fratelli Cervi. Già in crisi nel 1956 l'amministrazione di sinistra, in seguito a contestazioni e ricorsi, cede il 10 febbraio 1959 il posto al commissario prefettizio il quale realizza nel 1960 le opere di fognatura e di asfaltatura auspicate da tempo. Le elezioni del 6 novembre 1960 portano alla vittoria la D.C. con il 58 per cento.


Nel frattempo, a partire dalla metà degli anni '50, si verifica un sempre più intenso esodo dalle campagne che vede la diminuzione della popolazione da 2429 abitanti nel 1950 a 1284 nel 1970, con un minimo di 1160 nel 1980.


L'amministrazione comunale provvede alla costruzione dell'acquedotto comunale (delibera 30 dicembre 1960) e di alloggi popolari INA-Casa per lavoratori, all'acquisto di una nuova pesa (1962) e all'asfaltatura delle strade comunali per le frazioni Villabuona, Bompensiero, Martinenghe. Un nuovo programma amministrativo vede, nel 1967, la sistemazione dell'ingresso alla piazza, l'inizio del servizio per la raccolta di rifiuti. Altra novità di rilievo è la scuola media, istituita nell'ottobre 1974 e durata poi fino al 1994. Nel 1968 fa, per la prima volta, la comparsa l'industria, con la costruzione dello stabilimento OSLV dei fratelli Ferroni. Negli stessi tempi viene portato a compimento il nuovo acquedotto e messo in cantiere un lotto di case per salariati agricoli.


Avvantaggiate da una sempre più forte organizzazione, appoggiate anche da un periodico dal titolo "Alternativa" (uscito dall'ottobre 1974 fino alla fine del 1977) e dalla crisi della D.C., le sinistre riconquistano il Comune nel 1975 eleggendo a sindaco, come indipendente, un giovane venticinquenne di estrazione cattolica, Attilio Bulla. Gli anni che seguono vedono completata l'asfaltatura delle strade e la rete fognaria. In più viene avanzato un nuovo piano di fabbricazione affidato all'arch. Giuseppe Cantarelli. Purtroppo, proprio nel 1975, viene denunciato un disboscamento selvaggio che continuerà fino all'anno seguente. Una minacciata cava, in località Buco della Cagna presso Bompensiero, veniva bloccata nel 1999. Nel 1985-1986 viene rifatta la piazza S. Chiara. Nel 1993 viene restaurato l'immobile del Razzetto destinato ad ospitare l'ufficio postale e la nuova farmacia. Nel 1997 nella Cascina Grande vengono ricavati 24 alloggi con garage, ecc. dell'I.A.C.P. curati dall'Aler con i fondi ex Gescal. Una nuova maggioranza dell'Ulivo esce dal novembre 1988 al marzo 1999 con la pubblicazione dal titolo "Oltre il Portone: Idee e proposte della sinistra per un dibattito aperto sul futuro di Villachiara". Dal 2001 viene pubblicato dall'Amministrazione comunale un "Notiziario Comunale", tuttora distribuito alle famiglie. Una grande festa del ritorno viene celebrata nel giugno 2000 con il motto "Ritrovarsi a Villachiara nel 2000" alla quale partecipano alcune centinaia di emigrati, e la riapertura, dopo il restauro, del "Portone" che immette dalla campagna nel paese, avvenuta nell'aprile 2004, segnano una svolta significativa della situazione di Villachiara. Nel secondo dopoguerra hanno sviluppo anche rilevanti iniziative sportive: il 15 agosto 1948 si disputa la Coppa ciclistica conte Medolago Martinengo per la categoria allievi; nel 1953, per iniziativa del conte Lanfranco Medolago Martinengo, nasce la squadra calcio "Villaclarense" che, sciolta dopo due anni di attività, risorge nel 1981. Nel 1988 nasce la Società pesca sportiva Villaclarense e nel 1992 la Good Bike Villachiara, associazione ciclistica sportiva che nel 1994 viene affiliata alla F.C.I. (Federazione Ciclistica Italiana).




CASTELLO. La costruzione, forse conglobando parte di un antico fortilizio che sembra visibile sul lato est con torre mozzata, viene fatta risalire, secondo il Foffa, al 1370 c. per iniziativa del conte Antonio Martinengo. Sorse sopra due soli lati non del tutto completati, con abitazioni signorili a pian terreno mentre il primo piano, con rare aperture tra le caditoie, doveva servire per depositi di grano o d'altro. Nella prima metà del XVI secolo venne trasformato in residenza signorile con annesso giardino cintato (dove oggi ci sono il Comune e l'asilo). Per tutta la lunghezza della facciata corre un pregevolissimo affresco di putti in parte quasi cancellato e in parte ben conservato, probabilmente dei Campi. Come scrive Fausto Lechi ("Le dimore bresciane", I, p. 374), «alle estremità della facciata due torricelle tozze e basse, anch'esse con la medesima decorazione, servivano di volta testa al fabbricato che avrebbe dovuto continuare in ugual modo, sino a raggiungere l'ingresso formato da una casa torre che portava il ponte levatoio». Dopo un basso edificio, che fa da raccordo, s'innalza il palazzo «che occupa parte del lato a mattina e il lato di monte ed ha un bello aspetto severo di casa signorile dal muro in cotto a vista. Sull'angolo verso mattina vi sono due belle mensole (che sostengono ora il balcone della canonica) in pietra lavorata che portavano un balcone. In faccia all'ingresso si distende su due lati, più breve quello a monte più lungo quello a mattina, un bel porticato (è i cosiddetto "Razzetto"), oggi adibito ad usi agricoli, ad archi a tutto sesto ben tracciati, ornati da una cordonatura in cotto. Le colonne in pietra di Sarnico hanno ancora i capitelli fogliati alla guisa del secolo XV, ma con una elegante stilizzazione». Oltre agli affreschi dei Campi e di altri esponenti di scuola cremonese, Francesco Paglia, nel "Giardino delle Pitture", registra anche affreschi del Romanino e del Gambara.


Nel cortile sul lato est sorge il fabbricato più antico e cioè la parte più bassa di una torre mozzata di due piani, e poi stanze a volta di intonazione rinascimentale. Nel corpo centrale sono state preservate belle sale a volta, delle quali quella delle quattro stagioni decorata dai Campi con una foresta di rami dai quali emergono figure e i cui affreschi furono staccati e smembrati. Scomparsa un'ala a Ovest, di vero interesse è il lato a mezzogiorno, che doveva essere stato affrescato a metà del sec. XVI con grandi colonne, paesaggi tra colonna e colonna, nicchie, con finte statue a chiaroscuro dipinte, scrive il Lechi, «con tale abilità e movimento da far pensare ad un buon pittore allievo del Romanino (Gambara, Campi ?)». Nell'unica sala centrale conservata, le pareti e la volta sono tutte decorate con fregi cinquecenteschi assai pregevoli: grotteschi, festoni ecc.; al centro della volta un ampio riquadro rettangolare nel quale è raffigurato il mito di Fetonte. Buona pittura anche questa, come le precedenti.




ECCLESIASTICAMENTE si può pensare che il territorio sia stato, almeno fino al sec. XIV, diviso fra la diocesi di Cremona nella parte inferiore in riva all'Oglio e la pieve di Mulzano (Ovanengo) nella parte più settentrionale. Ancora il 17 novembre 1187, infatti, una bolla di Papa Gregorio VIII, data in Ferrara, confermava a Sicardo, vescovo di Cremona, Urago «et ecclesias de Viligana cum populo et pertinentiis suis». Villagana appartenne comunque sicuramente alla diocesi di Cremona, sotto la pieve di Genivolta, fino al 1385, anno in cui era ancora citata nel "Liber sinodalium episcopi cremonensis". È probabile che Villagana sia passata alla diocesi bresciana durante il XV secolo, con il consolidamento del ramo locale dei Martinengo. Tra le chiese accennate si può supporre esistessero già quella dei Santi Pietro e Andrea, di Santa Maria Pomposa e quella di S. Pietro o i Morti di S. Pietro (un cartiglio all'interno reca la data MCXII-1112). Come ha rilevato Calimero Cristoni, la cura d'anime del territorio venne esercitata dalla chiesa di S. Vittore il cui culto di provenienza milanese rimane poi vivo sia a Villachiara che a Villagana. La cura d'anime passò poi a Villachiara.


In Ripalta presso la chiesa di S. Vittore esisteva già o stava per sorgere un piccolo monastero di religiose agostiniane che giunse a rapida decadenza nel sec. XIV. Il 9 ottobre 1375 l'ultima priora, Dona Agnesunde Pasturellis, rinuncia a goderne le rendite che passeranno nel 1377 al monastero agostiniano di Coniolo. Fra le più antiche chiese è nominata quella di S. Andrea de Ossignola alla quale il Catalogo Capitolare del 1410 assegna due benefici clericali del valore di libri 12 per ciascuno. Come osserva Paolo Zanoni ("Villachiara e le sue cinque contrade", p. 56), «si doveva trattare di una diaconia dove venivano praticate opere di carità a favore dei poveri e dei pellegrini. Il Catalogo Queriniano del 1532, assieme alla nuova chiesa parrocchiale di Santa Chiara, evidenzia ancora la presenza dell'oratorio di Sant'Andrea di Ossignola, i cui due benefici, per complessivi ducati 60, sono goduti rispettivamente dai reverendi Ludovico Lombardo e Gerardo Zanchi e dei quali conserva il patronato il conte Teofilo Martinengo Palatino (1497-1565). Ma già nella visita pastorale del vescovo Domenico Bollani del 20 settembre 1565, a proposito dell'antica chiesa si annota che "diruta est et nihil habet", rilevandone il crollo per vetustà. Così al canonico Girolamo Arabia, inviato dal cardinale Carlo Borromeo a visitare la parrocchia di Villachiara il 20 aprile 1580, non restò che decretarne la completa demolizione, aggregandone i benefici e l'altare alla parrocchiale, con la raccomandazione di impiegarne i materiali di spoglio per l'erigenda casa canonica». Per ricordarne l'esistenza (si trovava di fronte al palazzo Martinengo di Villagana) vi venne piantata una croce.


Soppiantata per importanza Villagana da Villachiara, la chiesa di S. Maria di Campagnola ricompare nel catalogo dei benefici ecclesiastici del 1410, con tre benefici del valore ognuno «di libri III» nell'Estimo delle chiese e benefici del 1470 e, ancora, come «S. Maria de Campagnola, chiesa di Villachiara» con beneficio stimato di lire 30. Già probabilmente cadente la chiesa di S. Maria, il 21 ottobre 1421 Bartolomeo I Martinengo, trovandosi nel castello di Villachiara, sua dimora abituale, alla vigilia di riprendere il servizio d'armi al seguito del Carmagnola, ordinava ai suoi eredi di erigere a loro spese in Villachiara una chiesa. Costruita, non sappiamo l'anno esatto, la chiesa dedicata a S. Chiara, nel 1479 una bolla di Papa Paolo II la erigeva in parrocchia concedendo «ex fundatione et dotatione» alla famiglia Martinengo il giuspatronato, confermato in seguito con decreto del 13 agosto 1528, e che verrà esercitato fino al 1930.


Primo parroco fu Marco Antonio Bagnadore di Orzinuovi, ritenuto, come si leggeva in un epitaffio scolpito sul monumento funebre nella scomparsa chiesa di S. Francesco di Orzinuovi, «erudito, specialmente nelle leggi e nella musica». Nel 1534 Bartolomeo III Martinengo lascia nel testamento la disposizione di erigere nella chiesa parrocchiale «in lodevole forma» una cappella dedicata a S. Antonio che però verrà abolita nel 1580 per ordine di S. Carlo. Il 29 settembre 1539 la chiesa veniva consacrata da mons. Girolamo Vascherio, il quale il giovedì seguente consacrava l'altare di S. Vittore.


Della chiesa di S. Maria de Campagnola non rimane, nel 1532, che un beneficio o chiericato del valore di 10 ducati, goduto dall'arciprete di Orzinuovi e, nel 1648, un canonicato consistente in 3 piò e 21 tavole di terra. Notizie sulla vita ecclesiale vengono fornite dalle visite pastorali. In quella di mons. Annibale Grisonio del 1540 la situazione appare soddisfacente: il SS. Sacramento è ben custodito, le suppellettili e i paramenti sono puliti. Il parroco, che per l'addietro ritirava gli oli santi da Orzinuovi, ora li prende da Brescia. L'inventario dei beni è presso i Martinengo. Oltre il parroco, sono presenti altri quattro sacerdoti che il console e altri testimoni dichiarano di buona moralità e condotta. Esiste a Villagana un oratorio che non ha redditi e nel quale si celebra saltuariamente. Fin dall'origine la chiesa godette di due benefici: quello di S. Chiara a favore del parroco e quello di S. Vittore goduto dal cappellano celebrante all'altare del santo. Una sistemazione dei benefici avvenne con atto del notaio Baldassare Longhena il 22 maggio 1542, per il quale il conte Bartolomeo si impegnava, in cambio dell'enfiteusi sui fondi agricoli della parrocchia, a dare, in perpetuo, il giorno di S. Martino, 70 scudi d'oro da camera per la chiesa di S. Chiara e 50 scudi d'oro per la cappella di S. Vittore. Documenti successivi confermano l'andamento del beneficio che nel 1542 era valutato sui 140 piò. Fin dal 1545 viene costituita la Confraternita del SS. Sacramento, fra le prime a nascere nel Bresciano.


Buona è la situazione all'epoca della visita del vescovo Bollani del 20 settembre 1565 nonostante che il rettore, don Vincenzo Insignini, dimori poco in parrocchia, non conosca nemmeno il numero degli abitanti, non predichi e risulti «ignorante». In compenso egli si fa sostituire da un curato, don Bartolomeo de Boni o Zenari, il quale celebra ogni giorno, confessa, tiene l'omelia domenicale, conserva in ordine i registri ed, esaminato, viene giudicato «competente». Senza dire dei parrocchiani che tutti si confessano, sono buoni «credenti», sufficientemente istruiti nella dottrina cristiana. Inoltre non vi sono adulteri, concubini e pubblici bestemmiatori. Sono invece giudicati insufficienti gli altri due sacerdoti che risiedono in parrocchia. I testimoni, però, chiamati dal vescovo, ne parlano tutti bene.


Regolare trova la chiesa parrocchiale e la Confraternita del SS. Sacramento il visitatore del 1572, mons. Cristoforo Pilati, che, invece, denuncia «non riparata» la chiesetta di S. Pietro, in rovina quella di S. Vittore, mentre pienamente funzionante è quella di S. Maria del Rino. In ordine trova la situazione, il 20 aprile 1580, il canonico Girolamo Arabia mandato da S. Carlo, il quale riscontra anche l'istituzione della dottrina cristiana mentre è non canonicamente costituita e non funzionante la Scuola del SS. Sacramento. Quanto alle chiese compaiono, per la prima volta, la cappella interna al palazzo di Villagana dedicata allo Spirito Santo, quella di S. Girolamo alla Fontana Billió, mentre della chiesa di S. Andrea a Villagana non rimangono che i muri perimetrali. Il visitatore ha invece da ridire circa il battistero non in regola, gli altari di S. Rocco e di S. Antonio, quello di S. Vittore che deve essere ristrutturato, mentre devono essere «acconciate» le figure degli angeli dipinti nel presbiterio, giudicate licenziose nella loro nudità. Il visitatore ordina, inoltre, di provvedere alla casa canonica, da ricostruirsi possibilmente vicino alla chiesa, sollecita la costruzione del campanile, ancora mancante, la pavimentazione del sagrato, al restauro entro sei mesi dell'oratorio dei Morti di S. Pietro, all'abbattimento dei ruderi della chiesa di S. Andrea, alla regolarizzazione della situazione di sacerdoti e di eremiti, ecc. Di routine invece gli ordini impartiti nella sua visita del 17 settembre 1583 dal vescovo Giovanni Dolfin.


All'epoca della visita del vescovo Marino Giorgi del 24 novembre 1600 esiste già la Scuola del Rosario, mentre la Confraternita del SS. Sacramento, che ha entrate per 70 lire, ha eretto un Monte di pietà. Il vescovo registra carenze nella pratica della dottrina cristiana, dispone che le messe festive vengano distanziate negli orari, dispone provvedimenti per le suppellettili e per le chiese sparse nel territorio. Di ordinaria amministrazione gli ordini della visita del vescovo Giorgi il 7 maggio 1610.


Decadente è la vita parrocchiale verso la metà del '600: negli atti della visita del 7 ottobre 1647 del vescovo Marco Morosini si registrano parecchi inconfessi e la dottrina cristiana impartita con discontinuità. Nel 1658 Bernardino Faino nel "Coelum Brixanae Ecclesiae" registra, oltre la chiesa parrocchiale di S. Chiara di patronato dei conti Martinengo, l'oratorio di S. Pietro (denominato in precedenza S. Spirito) in Villagana.


Fruttuosi sono invece i trent'anni di parrocchiato di don Gabriele Martinelli (1656-1689): gli atti della visita del canonico Girolamo Chinelli il 25 febbraio 1657 registrano ancora l'alto numero degli inconfessi, mentre registrano il buon procedimento della Dottrina Cristiana e la costruzione della chiesa di S. Vincenzo a Bompensiero. La visita pastorale del card. Ottoboni del 12 ottobre 1663 constata il buono stato della chiesa di S. Pietro, richiama ai sacerdoti il dovere del pieno appoggio al parroco, ordina l'insegnamento della Dottrina Cristiana nella chiesa di S. Vincenzo a Bompensiero. Nel 1669 all'atto della visita del vescovo Marino Giovanni Giorgi sono presenti quattro sacerdoti. Vi sono 16 inconfessi, ma non vi è che una sola separazione matrimoniale e non vi sono usurai «essendo tutti poveri contadini che lavorano la campagna». Le confessioni, tuttavia, «si fanno rarissime volte» perché «la povera gente, la festa, bisogna che vada a comperarsi il vitto». La vita parrocchiale ritorna scadente verso il 1671, all'epoca della nuova visita pastorale del vescovo Marino Giovanni Giorgi, il quale è costretto a constatare che i quattro sacerdoti che vivono in parrocchia celebrano «senza regole né riguardo della Messa parrocchiale» e che gli eremiti rendono conto soltanto ai nobili, loro protettori, del loro operato. «Non vi sono maestri» e il parroco insegna «per carità» a sette-otto fanciulli. L'unico dato positivo è che tutti i fedeli si sono confessati in occasione del Giubileo; ma gli abitanti, specialmente delle frazioni più lontane, Bompensiero e Martinenghe, sono in pratica religiosamente assenti o quasi, specialmente dalla Dottrina Cristiana e dalla predicazione, salvo che a Pasqua e a Natale. Specialmente nelle contrade Bompensiero e Villagana la pratica religiosa è scarsa, mentre le osterie sono più frequentate della chiesa specie durante la dottrina.


Una scossa religiosa viene data nella primavera 1676 dalla straordinaria predicazione dei gesuiti Paolo Segneri e Giovanni Pietro Pinamonti che ottiene un successo enorme, raccogliendo folle numerose e atti di penitenza e di devozione straordinari, ma non porta alla pacificazione fra le popolazioni di Villachiara e Barco. Nel 1684, nella visita del vescovo Bartolomeo Gradenigo tutto è abbastanza in ordine, mentre la chiesa si va arricchendo di alcuni legati da parte di don Pietro Milani (morto nel 1693), della contessa Virginia Bargnani (morta nel 1687) per cinque messe la settimana all'altare di S. Andrea e cinque altre messe all'altare di S. Lodovico in S. Francesco, a Brescia, ecc. oltre che di altre disposizioni per i poveri. Più frequentata è la Dottrina Cristiana agli inizi del '700, tanto che viene tenuta anche a Villagana e Bompensiero, mentre il 17 maggio 1713 viene istituita, per iniziativa dei Padri Teatini, l'adorazione perpetua dell'Eucarestia. Dal 1689 il giuspatronato passa a casa Bargnani, alla quale rimane fino al 1715 dopo di che passa a Francesco e a Giuseppe Martinengo.


Di grande rilievo pastorale è il parrocchiato di don Giuseppe Bocelli (1725-1762). Per richiamare la popolazione ad una pratica religiosa più vissuta egli organizza Missioni al popolo (1744 e 1752), cura meticolosamente gli arredi sacri, ma soprattutto, grazie al sostegno determinante del conte Giovanni Giuseppe Martinengo Villagana, rientrato nel 1751 in possesso del Castello, promuove la costruzione della nuova chiesa parrocchiale. I lavori si fermarono al presbiterio per la sopravvenuta morte, nel 1762, di don Bocelli. Con il parroco don Bartolomeo Frigerio (1763-1786) viene continuata la costruzione della chiesa parrocchiale e vengono gettate le fondamenta della navata, poi i lavori si interrompono per mancanza di fondi e verranno ripresi solo cento anni più tardi. Don Frigerio introduce nel 1776 le Quarantore con suo solenne apparato e provvede, nel 1780, all'erezione della Via Crucis. Nel suo lungo parrocchiato, durato 48 anni, dal 1786 al 1834, don Giovanni Battista Stocchetti traghetta con paziente azione pastorale la parrocchia attraverso tempi difficili, dalla dominazione veneta al governo giacobino, a quello napoleonico e infine a quello austriaco, senza grandi scosse anche per l'amorfa situazione sociale della parrocchia composta quasi in totalità di poveri sui quali gli avvenimenti scorrono senza suscitare scosse e reazioni. Tranquilla, infatti, risulta la vita parrocchiale all'atto della visita del vescovo mons. Nani, del 1790, mentre viene registrata, nel giugno 1797, la proibizione del culto esterno e la requisizione di calici per finanziare la rivoluzione e l'armata francese occupante. Inoltre il beneficio parrocchiale si è impoverito: dei 140 piò valutati nel 1524 e dei cento contati nel 1723, nel 1834 ne restano solo quaranta con la scusa di migliorie compiute dai Martinengo durante il lungo periodo in cui li hanno avuti in enfiteusi. Il vescovo Gabrio Maria Nava nella visita pastorale del 18-19 aprile 1815 trova tutto in ordine, salvo qualche osservazione sulle suppellettili. La vita parrocchiale si ravviva anzi di nuove feste. Nel 1816 si verifica la "renovazione" delle tre feste solenni della S. Croce (a Villachiara si conserva una reliquia del legno della Croce) con processione, musica, vie pavesate, spari di mortaretti; l'8 giugno 1844 Papa Gregorio XVI concede l'indulgenza plenaria nella festa patronale di S. Chiara celebrata il 12 agosto e poi anticipata di un giorno. I Tridui e le Quarant'ore diventano occasioni di concorso straordinario, mentre rivive la Confraternita del SS. Sacramento e si aggiungono, durante il secolo, le Compagnie di S. Luigi, delle Figlie di Maria, delle Madri cristiane.


Per assicurare una migliore assistenza religiosa, con atto notarile del 15 marzo 1824 le sorelle contesse Bianca e Caterina Martinengo Villagana acquistano dal fratello Carlo una casa attigua alla chiesa che destinano ad abitazione di un curato. Il dono viene avvalorato da un legato di 1000 lire milanesi con l'obbligo di 350 messe, assegnato con testamento della contessa Caterina, il 9 maggio 1833. L'immobile subirà una trasformazione nel 1845 per far posto alla sede della fabbriceria.


Di notevole rilievo è il parrocchiato di don Giovanni Mateotti (1835-1878). Sacerdote zelante, sospetto di intransigentismo da parte delle autorità governative, ma di notevole intelligenza e di buona cultura, fin dal primo anno di parrocchiato si adopera a sistemare vecchie questioni di elemosina e di amministrazione della parrocchia, insorte per la chiesa di Villagana in polemica con il conte Martinengo. Affronta l'epidemia del colera vivendo la tragedia in mezzo al suo popolo, mentre i "signori" abbandonano il paese. Pur nella povertà imperante, nel 1840 riesce a provvedere la parrocchia di un nuovo concerto di campane fuso da G.B. Monzini di Bergamo, e soprattutto, del completamento, dopo circa cent'anni, della chiesa parrocchiale.


Grazie alle disposizioni testamentarie della contessa Caterina Martinengo Villagana, in data 9 maggio 1833, vengono affidate al vescovo di Brescia 40 mila lire da impiegare nell'ultimazione della chiesa di Villachiara, con la clausola «che se per compierla mancasse qualche migliaio di lire, si debba in tal caso lasciare a frutto il legato delle 40.000 lire onde coi frutti si giunga alla somma necessaria per terminarla». Passati trent'anni, maturato altro capitale, nel 1866, rivisto dall'ing. Luigi Grassi di Milano il primitivo progetto, approvato il nuovo dalle competenti autorità, costituita un'apposita commissione, il vescovo, in data 14 aprile 1866, sollecita la ripresa dei lavori di completamento. Come sottolinea il sen. G. Martinengo in una lettera ai giornali del 28 giugno 1886, la spesa è di circa 80 mila lire. La chiesa ancora dedicata a S. Chiara viene completata, benedetta ed inaugurata il 25 ottobre 1868. L'epigrafe, posta sopra l'ingresso, riassume gli ulteriori passi e i protagonisti dell'impresa: «IL CONTE GIOV. MARTINENGO VILLAGANA CHIZZOLA SENATORE DEL REGNO NIPOTE DELLA CONTESSA CATERINA A TUTTO POTERE ADOPEROSSI ONDE I DESIDERI DEI SUOI ANTENATI SI REALIZZASSERO. OTTENNE LO SCOPO E FU PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DELLA FABBRICA. MA RAPITO AI VIVI IL 7 OTTOBRE 1867 GLI SUCCEDETTE IL FIGLIO CONTE ANGELO DEPUTATO AL PARLAMENTO CHE COADIUVATO DAI COMMISSARI PRETE GIOV. MATEOTTI PARROCO, PRETE ANDREA BASSINI, PRETE LUIGI ZAPPATINI, CARLO FAINI E TOBIA MILANESI, POTÉ DAR TERMINE NEL 1868 ALLE OPERE IDEATE E DIRETTE DALL'ING. LUIGI GRASSI DI MILANO».


Diligente, caritatevole don Luigi Zappatini (1879-1896) deve affrontare rapporti precari con le autorità civili del tempo. Per suo zelo riprende nuovo vigore la Confraternita del SS. Sacramento, nasce la Compagnia del S. Cuore, e per suo impulso ha vita nel 1890 il Circolo Operaio Cattolico, anche se con non molto successo, dato che gli aderenti, da 63 alla fondazione, si riducono nel 1894 a 24 soci.


Più intraprendente ancora è don Stefano Stefani (1898-1930). Sensibile ai problemi sociali del tempo e alle condizioni della popolazione contadina, promuove coraggiose iniziative sociali quali la cascina Partitori detta anche "el Finil del pret" e abitazioni per contadini. Tenta, senza successo, iniziative commerciali, offre l'area per l'asilo, anticipato però da Angelo Provezza. Ma offre la somma per dotarlo di cucina. Contro ogni disuguaglianza sociale, abolisce i posti privilegiati in chiesa riservati a famiglie facoltose; si schiera decisamente contro la I guerra mondiale, viene denunciato come austriacante e corre il pericolo di essere internato. Con uguale decisione avversa il fascismo subendo nuove minacce. In ambito parrocchiale provvede all'ampliamento della sagrestia, ad un nuovo organo, agli altari laterali, e nel 1901 alla "Macchina dei Triduo". Nello stesso anno colloca il baldacchino sopra l'altar maggiore, opera dei fratelli Beneduci, dorato da Ernesto Bettoni, offerto da Tommaso Tironi in memoria del figlio ing. Giuseppe, annegato in Basilicata. Nel 1927 edifica una nuova chiesa al Bompensiero e promuove la costruzione della cappella a Maria Bambina, demolita alla fine degli anni Novanta. Sotto il parrocchiato di don Stefani e per lo zelo del curato Bartesaghi agli inizi del '900 viene fondata la Sezione giovani S. Luigi che promuove, tra l'altro, esercizi spirituali per i giovani e grandi manifestazioni religiose. Particolarmente sensibile ai problemi economici e sociali del tempo e alle condizioni della popolazione, il parroco don Stefani, agli inizi degli anni Venti, dà vita ad alcune iniziative per combattere la povertà e la disoccupazione. Costituisce infatti una cooperativa di consumo ospitata nei locali della canonica, per il cui accesso fa costruire una passerella in legno sulla roggia Molina-Villachiara. In seguito, acquista delle macchine per fabbricare il sapone di Marsiglia, quello comunemente usato dalle massaie per fare il bucato: anch'esse sono sistemate all'interno della sua casa. Il prodotto, regolarmente confezionato e controllato dalle autorità finanziarie, viene in parte venduto nell'adiacente bottega; il resto a commercianti forestieri. Riesce infine ad organizzare una cooperativa fra produttori agricoli con lo scopo di lavorare in proprio il latte. A tal fine viene allestito un caseificio. L'improvviso ritiro degli agricoltori più importanti, che avevano dato vita ad un altro casello, fa tramontare rapidamente anche questa iniziativa. Il 1925 vede attuarsi una delle imprese più singolari di don Stefani. Saputo che ad Acqualunga viene messo in vendita dalla ditta Meccanurgica un vecchio stabilimento di concimi da tempo dismesso, egli lo acquista nel luglio di quell'anno per la somma di 42.000 lire. L'intraprendente sacerdote organizza immediatamente l'abbattimento degli edifici per recuperare i materiali edili. Un tragico incidente sul lavoro che travolge un operaio rallenta l'operazione se non per indennizzare la famiglia. I materiali di spoglio vengono man mano venduti e prendono le strade più diverse. Alcune case del paese e di Borgo San Giacomo sono costruite utilizzando le travi e i laterizi provenienti da Acqualunga. Lo stesso Comune di Villachiara acquista parecchio legname per la costruzione dell'asilo allora in corso. Don Stefani tiene per sé i materiali edili necessari all'erezione della nuova chiesa di Bompensiero che sta sorgendo accanto a quella antica da lui acquistata qualche anno prima.


Con la stessa determinazione, sia pure più pastorale, opera don Angelo Spinoni (1931-1966). Fin dal primo anno di parrocchiato egli dà inizio ad un vero e proprio oratorio sistemando i locali adiacenti alla casa del curato, oratorio che viene sempre più migliorato e attrezzato e al quale si aggiungerà nel 1946 un teatro. Sempre nel 1931 nei locali dell'asilo gestito dalle Apostole del S. Cuore di Gesù apre l'oratorio femminile che vede la frequenza del 95 per cento delle ragazze. Negli anni '30 ha vita anche l'Azione Cattolica giovanile; nel 1936 nasce la Filodrammatica. La partecipazione alla messa domenicale e festiva viene addirittura valutata sul 99 per cento, la dottrina cristiana sull'80 per cento delle donne e dal 50 per cento degli uomini. Fanno Pasqua il 95% dei fedeli. Don Spinoni provvede all'arredamento della chiesa di Bompensiero costruita nel 1927, completandola nel 1935 e nel 1937, poi si dedica all'abbellimento della chiesa parrocchiale incominciando dalle finestre eseguite dalla ditta Angelo Conter di Brescia su cartoni di Vittorio Trainini. Nel 1940 realizza il pavimento in marmo bianco e bardiglio delle Apuane affidato alla ditta ing. Irmo Beretta di Avenza (Carrara). Nel 1947 promuove la costruzione del teatro dell'oratorio. Il 16 agosto 1947 si fa la consacrazione della chiesa parrocchiale (S. Chiara). Dal novembre 1945 all'agosto 1946 Eliodoro Coccoli e il figlio Aldo eseguono gli affreschi nella cupola e nelle cappelle. Visitandola, il vescovo mons. Tredici la dice «la chiesa più bella della plaga e la più ordinata». Nel 1947 viene innalzato un nuovo concerto di campane, benedetto il 16 marzo da mons. Paolo Guerrini. La visita pastorale del 16 agosto 1947 di mons. Tredici registra una situazione pastorale in fermento per le dure lotte contadine che tuttavia non impediscono un buon successo alla Peregrinatio Mariae del 21-24 febbraio 1949. Solenne è anche nell'agosto 1953 la celebrazione del VII centenario della morte di S. Chiara, titolare della parrocchia. Nel 1958 don Spinoni provvede a far rivestire le pareti della chiesa in marmo di Botticino; nel 1959 acquista dallo scultore Giuseppe Stuflesser di Ortisei la statua lignea del Cristo morto e nel 1962 fa eseguire dal pittore Giacomo Olini i quadri dell'Ultima Cena e della vita di S. Chiara.


Appassionato apostolato svolge dal 1966 al 1984 don Umberto De Poli con incalzanti iniziative e provvedendo la chiesa parrocchiale degli impianti di riscaldamento e dell'amplificazione e l'elettrificazione delle campane. «Incessante» ha definito Paolo Zanoni l'«opera di restauro, recupero e conservazione dell'edificio e degli arredi sacri» esplicata da don Giuseppe Toninelli (1985-1995), riferendosi in particolare «all'impianto di illuminazione, restauro ed ampliamento dell'organo, rifacimento del tetto, restauro e tinteggiatura delle pareti esterne e del campanile, completo restauro dell'interno della chiesa, compresi i quadri e tutti i sacri arredi». A lui si deve anche la costituzione, nel 1989, del coro musicale S. Chiara che ottiene notevole successo. Nel 1992 la parrocchia si ingrandisce con l'aggregazione della cascina Pateletto già appartenente alla parrocchia di Acqualunga.




CHIESA PARROCCHIALE DI S. CHIARA. La prima chiesa parrocchiale di S. Chiara viene fondata, come si è ricordato, nel 1425 per volontà di Bartolomeo I e diventa parrocchiale nel 1479. Ma non sappiamo più di quanto ci dicono le visite pastorali che non rilevano particolari rimarchi, il che significherebbe che fosse ben solida e anche ben tenuta. Tra le poche notizie sappiamo che vi avevano lavorato i Campi, come scrive il Paglia nel suo "Giardino delle Pitture": «Nella Chiesa di S. Chiara vedesi dipinto a fresco un S. Giorgio in atto di uccidere il Dragone, ed in coro altre mezze figure di nicchie tonde, che son li quatro Evangelisti, opere fatte p. mano delli Campi». Ma si assicura che vi avesse lavorato nella navata anche Lattanzio Gambara. Doveva essere anche ben ampia, anche se più piccola di quella attuale. Nel 1565 la chiesa ha cinque altari (maggiore, della Madonna, del SS. Sacramento, di S. Vittore m. e dei SS. Pietro e Andrea). Ne ha sette nel 1580, falcidiati per ordine di S. Carlo. Tornano cinque in seguito. Non si conosce finora il progettista. Ivo Panteghini richiama uno dei due valenti architetti del '700 o Antonio Marchetti o Gaspare Turbini, con preferenza per quest'ultimo.


La prima pietra fu posta il 6 maggio 1754, mentre i lavori di scavo delle fondamenta della navata commissionati dal conte Giovanni Martinengo Villagana iniziarono nel 1765. L'area interessata comprendeva il vecchio edifici e parte del cimitero circostante. Negli anni appena precedenti venne ultimata l'erezione del presbiterio, che si presenta molto ampio, arricchito da colonne in pietra con capitelli corinzi, cornici finemente lavorate e una cupola maestosa. Sospesi i lavori per mancanza di fondi, la chiesa continuò ad avere cinque altari e precisamente oltre il maggiore quelli della Madonna del Rosario, S. Vittore M., S. Andrea ap., Immacolata Concezione, SS. Rocco e Sebastiano. Il 25 giugno 1780 venivano erette, da fra' Giusto da Crema, le stazioni della Via Crucis. I lavori ripresero (1866-68) con l'erezione della navata e della facciata grazie ad un ricco legato dalla contessa Caterina Martinengo Villagana (1833). Non essendo questo sufficiente, tuttavia, a realizzare il primitivo disegno, si decise di sfruttare le fondamenta già poste e di fare su queste un nuovo disegno più modesto, ma decoroso in armonia col presbiterio già costruito. Così fu fatto per opera dell'ing. Luigi Grassi di Milano il cui lavoro, tanto per la parte artistica, quanto per la spesa richiesta, riuscì così soddisfacente che si meritò la piena approvazione del Genio Civile cui fu sottoposto. Interessante l'uso di basamenti, colonne e capitelli già pronti fin dal sec. XVIII. Finita nel 1868, la nuova chiesa ebbe tre altari: il maggiore e quelli del S. Rosario e di S. Vittore.


Nella facciata di ispirazione neoclassica, come scrive Ivo Panteghini ("Inventario diocesi"), «gli elementi architettonici sono resi in arenaria di Sarnico che ben contrasta con le pareti lisce e bianche. Essa risulta dalla fusione di due ordini coronati da frontone ottuso. L'ordine inferiore è segnato da paraste corinzie lisce ed è centrato da un portalino con timpano ricurvo e ribassato. L'ordine superiore, che chiude il corpo centrale della nave, e risulta lievemente aggettante, è segnato da paraste corinzie scanalate, da un finestrone a lunotto con ghiere e voluta in chiave d'arco». All'interno si presenta, sottolinea ancora il Panteghini, «un'unica navata che si dilata nella parte mediana in ampi spazi che racchiudono gli altari laterali e conferiscono all'edificio una pianta quasi a croce greca. Le pareti sono segnate anche da quattro cappelle minori, prive di altari, che contribuiscono a dare eleganza e leggerezza alla massiccia mole della struttura. Colonne marmoree, d'ordine corinzio, scandiscono e ritmano gli spazi, sapientemente distribuiti. Sopra le colonne corre una trabeazione a forte aggetto, con cornice dentellata. Essa segna il punto di innesto dell'alta copertura con fasce a semibotte separate da una volta a crociera in corrispondenza delle cappelle maggiori. Membrature delimitano gli spazi delle volte accentuandone l'imponenza. Il presbiterio, a pianta quadra, coperto da cupola, è ancora una volta abbellito dalle colonne monolitiche in botticino, poggianti su alti plinti. In corrispondenza del presbiterio la trabeazione si spezza e si chiude con un cornicione aggettante retto da mensoloni. L'abside è rettangolare con terminazione piana». Fra le doppie colonne che limitano la navata e il presbiterio ci sono sei statue in gesso: i SS. Lucia, Francesco d'Assisi, Pietro, Paolo, Giovanni Battista e Antonio abate, pagate a saldo nel 1928 ad un Franzini.


Entrando, si incontra sulla destra la cappella del Sepolcro creata nel 1899. Vi esisteva un altare, poi rimosso. La tela cinquecentesca raffigurante la Pietà raccolta in bella soasa è attribuita alla scuola del Moretto, molto simile a quella della parrocchia di Villa Carcina e della chiesa di S. Nicolò a Lazise (VR). La statua del Cristo Morto è opera di Giuseppe Stuflesser di Ortisei (1959). Segue la cappella della Madonna del Rosario eretta nel 1923. La statua è di Giuseppe Obletter di Ortisei nella Val Gardena. Sulle pareti, affreschi di E. Coccoli (1946) raffiguranti Giuditta che mostra la testa di Oloferne ad Ester e Assuero.


Il presbiterio accoglie una pala ottocentesca raffigurante le SS. Chiara e Agnese che adorano l'Eucaristia. Le cantorie, opera della bottega di Oreste Roccatagliata di Soncino, sono state poste nel 1893. Sul lato di sinistra della navata sorge l'altare (prima metà del sec. XVIII) del S. Cuore eretto nel 1927 proveniente dalla chiesa del convento soppresso di S. Antonino in Brescia e adattato da Francesco Peduzzi. Ai lati, affreschi di Eliodoro Coccoli (1946) raffiguranti il Buon Samaritano e il Figliol Prodigo. Segue il Battistero affrescato da Giuseppe Mozzoni con fonte secentesca in marmo di Botticino. Presenta un semplice zoccolo quadrato ed un massiccio fusto a bulbo. La grande vasca emisferica è ornata e chiusa da un cupolino con tiglie settecentesche a base poligonale e struttura costolata.


Non si hanno notizie del primo organo. Si sa che venne ricollocato nel 1780 quello esistente prima dell'erezione del presbiterio, mentre nuove cantorie vennero costruite nel 1893 dalla bottega Roccatagliata. Lo strumento venne poi sostituito con uno nuovo della ditta Giovanni Tamburini di Crema con un progetto sottoposto al consiglio del maestro Luigi Baronchelli, nativo di Villachiara e organista del duomo di Monza. Stipulato il contratto il 14 maggio 1914, l'organo venne inaugurato il 12 agosto 1915 con un concerto dello stesso maestro Baronchelli. Più volte revisionato, nel 1986 fu sottoposto a completo restauro dalla ditta Tamburini e inaugurato il 13 settembre 1987 con un concerto del maestro Costantino Ferrari del Conservatorio Verdi di Milano.


Il campanile era in costruzione nel 1580. Ne sollecitava ancora il completamento il vescovo Marino Giorgi nel 1610. È una torre a pianta quadra, chiusa da una guglia piramidale, con sezione ad ottagono. Attorno ad esso lavorò nel 1844 Rodolfo Vantini. Nel 1732 venne sostituita la campana piccola con altra uscita dalla fonderia Filiberti di Brescia. Un intervento sul campanile venne registrato nel 1739. Nel 1840 si provvide ad un nuovo concerto realizzato dalla fonderia di G.B. Monzini di Bergamo e benedetto dal vescovo Ferrari nella sua visita pastorale del settembre 1840. Alla fine dell'800 il fabbro Giuseppe Filippi sostituiva il "castello" di legno con uno in ferro. Requisite nel 1943 due campane, nel 1947 venne rinnovato il concerto con cinque campane, benedetto il 12 marzo da mons. Paolo Guerrini.




Altre chiese. MADONNA DEL RINO (o Rio o Ri). Sorge nella conca del Gambalone, ad O di Villagana, circondata da una lussureggiante vegetazione. Ha preso il nome dal rivo che vi scorre vicino. Costruita quasi certamente nella prima metà del Cinquecento, è nominata ed è dedicata alla Natività di Maria, festeggiata l'8 settembre. Gli atti della visita pastorale del vescovo Bollani (1565) la dicono «chiusa e ben custodita», annotano che vi si celebra nelle feste, su un altare portatile, a turno, dai sacerdoti della parrocchia. Il visitatore ordina che sia ridipinta l'immagine della Beata Vergine, che si provveda all'acquisto di un calice.


Il Pilati nella sua visita del 1572 annota: «Ecclesia S. Maria del Rio campestris de Villagana nihil habet in bonis», se non una piccola casetta per l'abitazione dell'eremita. Ordinava che l'altare maggiore fosse fabbricato in forma migliore e che si facesse una finestra più ampia per illuminarvi l'interno. Alla messa festiva che vi si celebrava provvedeva il conte Alfonso Martinengo. Nella visita pastorale del 1600 si ordinava una risistemazione della mensa dell'altare e che la cappella venisse chiusa con un cancello. Non mancarono alcuni abusi, come quelli denunciati dal vescovo Marino Giorgi nel 1669 che sottolineava come il santuarietto fosse «sotto l'Ill.mo Francesco Martinengo che vi mantiene un romito, quale non rende obbedienza ne conto d'elemosine al Rettore [Parroco], facendo anche benedire pubblicamente con stola».


Nel 1711 il vescovo Barbarigo trovava la chiesetta ben conservata ma ordinava che l'immagine della Madonna posta sopra l'altare fosse ridipinta. Allusioni a contrasti e forse ad abusi dei Martinengo si trovano anche nella relazione del parroco di Villachiara del 1838 che scrive: «Vi ha ancora un santuario detto della Madonna del Rivo sostenuto dalla pietà de' fedeli. A questo santuario in passato si manteneva sempre un eremita coll'elemosine de' parrocchiani, ma ora si è cangiato sentimento da chi vuol avere Padronanza su quel santuario». In una nuova relazione del parroco Mateotti del 18 luglio 1838 si legge: «Esiste pure nella foresta della suddetta contrada (Villagana) un altro oratorio detto della Madonna del Rino dove dal custode ossia Eremita si fa celebrare messa la festa e per grande parte dell'anno con elemosine de' devoti, a comodo de vicinati e con le questue ché con quella chiesa non esiste alcun Legato». Comunque la devozione delle popolazioni non era venuta meno, come attesta la processione votiva compiuta il 23 giugno 1836 durante l'imperversare del colera quando i villaganesi si recarono al Santuario della Madonna del Rino dove fu celebrata la messa e cantate le Litanie della Madonna. Nuove devozioni furono compiute durante il colera del 1849.


Dalla fine del sec. XVIII fino al 1874 vi venne celebrata la messa festiva poi sostituita, per mancanza di sacerdoti, in 150 messe feriali per un'elemosina complessiva di 300. Inoltre vi venivano celebrati matrimoni per coppie di Villagana. La Madonna del Rino era considerata dai Martinengo come loro particolare patrona. A Lei, tra l'altro, nel 1876 venne attribuita la guarigione da una grave malattia della piccola Luigia, figlia del conte Angelo Martinengo. Molto frequentata la festa dell'8 settembre, Natività della Madonna, che divenne, in effetti, la sagra di Villagana. Particolarmente solenne la ricorrenza di S. Fermo il 9 agosto, considerata dai contadini festa del ringraziamento, e frequentata la messa settimanale nel mese di maggio. All'interno fa da pala un affresco cinquecentesco della Natività particolarmente bello, riemerso recentemente dalla caduta dell'intonaco che vi era stato sovrapposto, raffigurante una cinquecentesca bella Natività di Nostro Signore. Risale invece al '600 l'altare in pietra serena con inciso sul bordo "Co. Francesco Martinengo Villagana". Il 15 febbraio 1867 vi vennero trasferite le reliquie di S. Vittore.


Singolare la leggenda molto diffusa che vuole che in una notte di Natale dei ladri, staccata la campana e adagiatala al suolo, la trovassero divenuta talmente pesante da doverla abbandonare a terra. C'è chi assicura che, passando presso il santuario la notte di Natale, si sentano dolci rintocchi che annunciano la nascita del Salvatore.




I MORTI DI S. PIETRO o S. PIETRO "IN GERRA". Sorge a 2,5 km. a SO di Villachiara su una balconata che guarda sulla valle dell'Oglio, una fra le più belle posizioni della Bassa ai limiti del podere Boschine. Ha preso il nome dall'esistenza di un cimitero di appestati o, secondo una tradizione del luogo, di caduti in battaglie. Qui però non si è mai combattuta una battaglia. Si può facilmente individuare la cappella primitiva nell'absidiola, che porta la data MCXII e lo stemma dei Martinengo. Era già diroccata all'epoca della visita del vescovo Bollani (1565) e venne ricostruita per ordine di S. Carlo Borromeo (1580). È appena nominata negli atti della visita pastorale del 1600, ma nel 1647, confermando che la chiesetta sorge sui fondi dei fratelli conti Francesco e Alfonso Martinengo, è detta di «honorificentissima» forma e dotata di preziose suppellettili tra cui un'«arcula optime elaborata» contenente sacre reliquie. In più tempi è registrata la presenza di un eremita, che è spesso in contrasto col parroco a causa delle offerte che si trattiene come a lui dovute. Nell'absidiola vi è un affresco della Madonna col Bambino con ai piedi ossa e teschi. Sulle pareti della navatella sono dipinti i S.S. Pietro e Paolo. La cappella venne restaurata nel 1916, per intervento della contessa Luisa Martinengo Villagana che, in disaccordo con il parroco, trattenne a lungo presso di sé le chiavi restituendole solo dopo vivaci proteste. La quarta domenica di Quaresima era mèta di una frequentatissima processione che richiamava devoti anche da altre parrocchie e che terminava con una messa in suffragio ai defunti.




S. VINCENZO MARTIRE A BOMPENSIERO. Ha avuto origine dalla peste del 1630, forse per voto del conte Vincenzo Martinengo del Beleó, il quale, con testamento del 2 marzo 1636, disponeva la celebrazione di messe nei giorni festivi e di tenervi la dottrina e di mantenervi un cappellano. Viene ricordata la prima volta negli atti della visita pastorale del 1663. Nella visita del 1669 il vescovo Marino Giovanni Giorgi ordinava che fosse fornita della pala dell'altare, ordine ripetuto nel 1677. Dato l'argomento della pala, che venne poi posta sull'altare, sorge il dubbio che, anziché provvedere ad una nuova, sia stata recuperata quella esistente nella Cappella del Beleó dato che di fatto raffigura la Madonna col Bambino e i SS. Girolamo, Francesco d'Assisi e Chiara con scritte che richiamano i tre santi e cioè: «Alla destra (come ha scritto P. Zanoni: "Villachiara terra di confine", p. 72) in abito cardinalizio, San Girolamo, dottore della Chiesa, titolare dell'antico oratorio del Beleó, da poco soppresso, che mostra un libro aperto sul quale si può leggere questo motto: "MEMENTO DIEM MORTIS TUAE ET NON PECCABIS" (Ricordati il giorno della tua morte e non peccherai). Alla sinistra della Madre Celeste vi è invece Santa Chiara, patrona della parrocchia. Nel quadro compaiono altre due scritte: a sinistra, "BEATI PAUPERES SPIRITU QUONIAM IPSORUM EST REGNUM COELORUM" (Beati i poveri di spirito poiché di essi è il Regno dei Cieli); a destra, "BEATI MUNDAE CORDE QUONIAM IPSI DEUM VIDEBUNT" (Beati i puri di cuore poiché essi vedranno Dio). La presenza di San Francesco si intona perfettamente con il carattere agreste di Bompensiero, qui ricordato dagli antichi santi protettori. Non era questo, in realtà, l'unico dipinto in dotazione all'oratorio della frazione».


La chiesetta, passata di proprietà in proprietà ai Ponzoni, ai Borgondio, al col. De Tonduti, a Giuditta Vertua Nember, divenne nel 1919 proprietà della contessa Luigia Martinengo Villagana la quale, a sua volta, con atto notarile del 7 dicembre 1922, la cedette al parroco di Villachiara don Stefani. Nel 1926 questi diede il via alla costruzione di una nuova chiesa mentre l'antica venne trasformata in sagrestia. In occasione della benedizione della nuova chiesa (1927) venne posta sull'altare una statua di S. Vincenzo martire, recentemente restaurata (2005). Il 28 ottobre 1968 venne benedetto il nuovo campanile. Una vera folla la sera della vigilia del giorno di S. Vincenzo (22 gennaio) si porta a Bompensiero per accendere nella notte grandi falò per esorcizzare l'inverno e propiziare l'arrivo della primavera.




S. VITTORE. Oratorio privato dei Martinengo dedicato dapprima a S. Pietro ed allo Spirito Santo e, dagli anni Venti dell'Ottocento, ai SS. Pietro e Vittore. Costruito nella seconda metà del sec. XVI presenta una facciata di notevole eleganza. Venne ampliata nei primi decenni del sec. XIX e rimaneggiata nel 1909, con modifiche che alterarono il semplice ed armonioso disegno rinascimentale con una nuova intonazione neobarocca. Sul vecchio campanile a pianta quadrata venne aggiunta una cuspide eclettica che ne ha alterato la purezza stilistica. Sulla porta venne in tale occasione posto un affresco della Mater amabilis. Nubi color oro coprono la navata mentre nel soffitto del presbiterio è raffigurata la SS. Trinità e l'incoronazione della Beata Vergine che il Paglia attribuisce a "Gandin Vecchio", cioè Antonio Gandino (sec. XVI). La pala secentesca raffigura la Beata Vergine con al centro S. Vittore, sulla destra S. Giovanni Battista e sulla sinistra alcuni frati francescani. S. Pietro è raffigurato sul paliotto dell'altare. Le pareti erano abbellite da cinque grandi quadri che, a quanto riferisce un inventario del 1867, raffiguravano la cacciata dei profanatori dal Tempio, S. Sebastiano medicato da S. Irene, S. Girolamo, il Redentore e in una tribunetta una Madonna col Bambino. In una nicchia della parete di sinistra erano conservate le reliquie dei SS. Clemente e Abondio tratte nel 1640 dal cimitero di S. Callisto in Roma. Il 4 ottobre 1915 vennero benedette tre nuove campane fuse da Cavadini di Verona. Nella chiesa celebrava il cappellano mantenuto dai conti. Dal 1937 fino a metà degli anni '60 venne celebrata la sola messa festiva.




S. VITTORE DI RIPALTA, MONASTERO E CHIESA. Sorto nel sec. XII nella campagna presso le Martinenghe in prossimità del confine con Barco, nell'attuale comune di Villachiara, nell'ambito della pieve di Mulzano (Ovanengo), ospitò monache o canonichesse agostiniane. Rovinato da guerre e pestilenze, venne abbandonato già nel sec. XIV e passò in commenda a Manfredo abate di S. Ambrogio di Milano e ai nobili Gritti di Venezia e finalmente ai Martinengo di Villachiara, che nei pressi avevano eretto il cascinale delle Martinenghe. Il piccolo monastero andò decadendo rapidamente nel sec. XIV, per cui l'ultima priora D. Agnesunde de Pasturellis, rimasta sola, ne faceva rinuncia nelle mani del vicario generale il 9 ottobre 1375 perché fosse unito, come difatti avvenne nel 1377, al monastero agostiniano di Coniolo. Andato presto in rovina, rimase per qualche tempo la sola chiesa con un suo beneficio ricordata nel Catalogo Capitolare del 1410, nel Catalogo Queriniano del 1478 (per un valore di lire 2000) e in quello del 1532 (per un valore di ducati 70). In completa decadenza, nel sec. XV vi pose gli occhi una certa Oliva, monaca del Terz'Ordine Carmelitano, che si offrì di venirvi ad abitare e tenervi vita monacale purché il sacerdote Andreoli di S. Vito, che era investito del beneficio, vi rinunciasse. Con atto del 22 maggio 1542 il beneficio di S. Vittore passò alla chiesa parrocchiale di Villachiara, che ne usufruì fino al 1879, mentre la chiesa veniva spogliata delle reliquie e affidata alla Confraternita di S. Benedetto di Orzinuovi, costituita nel 1537, che provvide, nel 1587, a farla restaurare in qualche modo da Pier Maria Bagnadore, ma scomparve presto assieme alla Confraternita. S. Vittore viene nominato per l'ultima volta negli atti della visita pastorale di mons. Marino Giorgi nell'anno 1600. In luogo della chiesa venne eretta una santella.




SANTELLE. S. VITTORE sorge a Ripalta, sul luogo dove esistette il monastero omonimo. Nell'interno è raffigurata la Madonna con a sinistra S. Vittore, a destra S. Gregorio Magno; sui lati S. Rocco e S. Chiara e ai piedi le anime purganti. Sotto l'altare sono conservate ossa umane. La cappella fu, per lungo tempo, mèta delle processioni delle Rogazioni. Vi si celebra la messa l'8 maggio.


MATER SALVATORIS, tra Villagana e il santuario della Madonna del Rino, la tradizione la vuole eretta in seguito ad una apparizione della Beata Vergine ad un Martinengo.


DI BOMPENSIERO, in gran considerazione da parte della popolazione del luogo. La santella sorge ai margini del "campo de' morti". Potrebbe quindi ricordare il luogo di sepoltura delle vittime di un'epidemia.




EDICOLE: dedicate a S. CHIARA, sono su casa Minelli in via Roma con affresco di Vittorio Trainini del 1938, e su casa Bulla in piazza con affresco di G. Olini, degli anni Ottanta, raffigurante la santa che protegge il paese. Al culmine della salita di Villagana vi è l'edicola dell'IMMACOLATA CONCEZIONE.




CHIESE SCOMPARSE. S. MARIA BAMBINA AI MORTI DEL BROLO. Fu eretta presso la fossa comune nella quale erano state risepolte le ossa trovate nel 1765 quando si scavarono le fondamenta della nuova chiesa parrocchiale. Al trasporto lavorarono ininterrottamente per giorni proprietari e mezzadri di Villachiara, Villabuona, Bompensiero, Villagana e Martinenghe che, per scavare le fondamenta, trasportarono ben settecento carri di terra e di ossa. Sulla fossa fu, per il momento, innalzata una grande croce di rovere e nel 1800 circa si costruì una santella o cappella nella quale vi erano raffigurate le anime purganti circondate dalle fiamme, che divenne mèta di visite devote anche in seguito alle moltissime grazie attribuite alla Madonna e alle anime dei morti. Poi, per ragioni diverse e specialmente per l'opera di livellamento e di utilizzo dei terreni che impedirono il libero accesso alla cappella, questa rimase sempre più abbandonata. Nel 1922 tuttavia il parroco don Stefani acquistava parte del campo del Brolo e la cappella con l'intenzione di restaurarla e di costruirvi accanto l'asilo. Svanito quest'ultimo progetto, il parroco provvide egualmente a costruire nel 1925, su progetto formulato da Angelo Paleni di Bergamo, accanto alla preesistente cappella un nuovo santuarietto che ricordasse, oltre ai morti del Brolo, anche i caduti della prima guerra mondiale. Ne risultò una elegante costruzione, su una scalinata con un pronao, con l'interno raccolto e riccamente decorato. Ad essa conduceva un viale con cipressi e piante sempre verdi. Il santuarietto fu dedicato alla "Divina infante", cioè a Maria Bambina raccolta in una nicchia dietro il piccolo altare. Di guardia, nel semicerchio, le statue di S. Chiara e S. Rocco. Le pareti tappezzate e abbellite da vetrate a colori, e due angeli dipinti sul frontale formavano la cornice del quadro. La facciata esterna, con ai fianchi due logge con balaustra, portava le seguenti epigrafi: «Per ricordare i morti del Brolo e i caduti della guerra»; sul fianco sinistro «Le venerande spoglie degli avi ravvivano la fede nell'eterno Amplesso» e sul fianco destro «Onorate coi suffragi la memoria degli eroi». Data la ristrettezza dello spazio, nel 1938 venne proibita la celebrazione della Messa. Donata, dopo la seconda guerra mondiale, dalla famiglia Stefani alla parrocchia, venne poi abbandonata e quindi demolita.


S. GIROLAMO AL BELEÓ. Cappella privata dei conti Martinengo. È ricordata negli atti della visita del vescovo Marino Giorgi del 1600 e citata per l'ultima volta nel 1663 dal card. Pietro Ottoboni.




ECONOMIA. Inutile rilevare come la pesca sul fiume e negli stagni e la caccia negli immensi boschi siano state le prime forme di economia. Ad esse si accompagnò poi la coltivazione della terra. Descritta come «piana, argillosa, cretacea con terreni di natura fredda» è la natura del suolo di Villachiara; la coltivazione viene in continuità dichiarata genericamente ricca di frumento, granoturco, foraggi e bestiame. In effetti ciò è quanto è risultato nell'ultimo secolo. In realtà, per lunghi secoli, è durata la lotta per rendere fertile una terra coperta da boschi, stagni, in parte ghiaiosa, a partire specialmente dal sec. XIV con una costante accentuazione nel sec. XV e con risultati vittoriosi nel sec. XVI quando vengono realizzate, dopo un'imponente opera di disboscamento e di bonifica, le rogge Conta di Barco, Gambalone e, soprattutto, dal 1520, dallo scavo, sul terreno di Villachiara, del tratto della Molina-Rovata che prende il nome di Villachiara. Ha luogo in questi secoli la divisione della "larga" attraverso strade, viottoli, scalini che permettono la coltura di grano e di prato, e l'introduzione della "piantata" con la sistemazione di opere idrauliche e la messa a dimora di filari di alberi. Nascono alla fine del Quattrocento le grandi cascine Martinenghe, Vittorie ecc.; si afferma specie nel '600 la messa a dimora dei gelsi, che permettono l'allevamento del baco da seta. «Frumento, trifoglio e poi lino, formentone, quarantino, ravizzone, lupino e anche riso» nelle zone paludose sono i raccolti che Giovanni Battista Corniani elenca alla fine del sec. XVIII.


Scarso l'allevamento bovino, con preferenza per quello "da giogo". Inesistente fino al sec. XIX la stabulazione e, di conseguenza, arretrato il comparto foraggiero. Specie dal sec. XVII prende piede il gelso con l'allevamento di bachi da seta che a Villachiara e a Villagana ha uno sviluppo specialmente nell'800 quando, come produzione in pesi, surclassa tutti gli altri centri della bassa pianura occidentale bresciana. Diffusa fin da tempi molto lontani e fino all'inizio del sec. XX la coltura della vite. A metà del sec. XIX le vigne coprivano 43 piò di terre. Più diffuse sono le uve di "belzamino" e "spagnola".


Boschi e stagni contrassegnarono però buona parte del paesaggio fino alla seconda metà del sec. XIX, favorendo la caccia ed anche la pesca. Lo sviluppo della stabulazione permanente dal 1880 in poi spinse prima i Martinengo e poi altri imprenditori a dare il via ad un'opera di disboscamento e di bonifica che portò alla creazione di nuove aziende e cascine. Nuovo impulso a tale operazione si ebbe dopo la prima guerra mondiale, quando una cooperativa di ex combattenti di Borgo S. Giacomo prese in affitto una plaga boscosa e acquitrinosa ai piedi dei Morti di S. Pietro creando canali di drenaggio e due nuove cascine: i Bellopera (1920) e i "Combattenti" (1922). Due cascine, "Bosco" (nel 1912) e "Seita" intorno al 1930, sorgevano a sud delle Martinenghe. Altre opere del genere vennero compiute alle Vittorie (1936). Nel chiedere la revisione del catasto nel 1935, il podestà sottolineava che, attraverso questi interventi, la superficie coltivabile era passata in un trentennio da 2000 a 4800 piò. Paolo Zanoni ("Villachiara terra di confine", p. 360) fra «le aziende che avevano allargato con le bonifiche il loro patrimonio agricolo ricorda le seguenti: Faccioli Erminia (530 piò), Ferrari Enrico (520 piò), Lodigiani Federico (200 piò), Martinengo contessa Luigia (800 piò), Magnani Giovanni (150 piò)» ed altre minori. Ma rileva anche come negli anni '70 per «una dissennata opera di escavazione della ghiaia che ha provocato l'abbassamento del letto del fiume Oglio, si causò il conseguente inaridimento dell'habitat naturale favorevole al ciclo vegetativo. A nulla valse la petizione popolare presentata il 28 maggio 1975 al presidente della Giunta Regionale Lombarda per far cessare il prelievo della ghiaia ed il taglio indiscriminato delle piante, portato avanti con fredda determinazione. Da Milano non giunse neppure il cenno di una risposta. La legge regionale 16 aprile 1988 n. 18, che istituisce il Parco dell'Oglio Nord, non ha fatto che sancire lo stato di fatto riscontrato al momento della sua approvazione. I boschi della Marisca e dell'Isola Uccellanda da essa tutelati, non sono che un pallido simulacro delle verdi vestigia che un tempo circondavano il territorio di Villachiara».


Prodotto, fino agli inizi del sec. XX, fu il lino, specialmente quello primaverile o "marzuolo", particolarmente apprezzato per la fibra morbida e fine. Dalla "linosa" (seme del lino) veniva ricavato olio per lampade. Nei terreni umidi e marginali veniva coltivato, ancora nella prima metà dell'800, il riso. Alcuni campi a riso furono coltivati nell'immediato secondo dopoguerra a Villagana e alle Martinenghe. Limitato fu l'allevamento in luogo del bestiame fino al sec. XIX quasi solo a quello da tiro, mentre le stalle venivano affittate a mandriani stagionali provenienti dalla Bergamasca e dalle valli bresciane.


La nuova agricoltura, l'intensificarsi della rotazione agraria e l'introduzione di concimi chimici hanno spinto ad una stabulazione permanente integrante l'economia dell'azienda, aumentando l'allevamento di bestiame specialmente bovino da carne e da latte. Sorgono anche, nel giro di pochi decenni, quattro caseifici, dei quali due intorno agli anni '20 ai quali si aggiunse quello Sociale inaugurato il 2 dicembre 1922 con la cooperazione di cinquanta famiglie. Alla metà degli anni Trenta a Villachiara vi erano sette caseifici. Dopo anni di crisi dovuti alla guerra, l'allevamento dei bovini ebbe notevole sviluppo: dalle 1533 unità nel 1949 saliva a 2703 nel 1960, e quello dei suini da 574 nel 1949 a 1355 nel 1960, comportando, con ciò, la riduzione di aree coltivate a cereali a favore delle foraggiere. La trasformazione dell'economia agraria e l'esodo delle campagne ha poi cambiato completamente il volto di Villachiara. All'abbandono delle cascine è corrisposto l'affermarsi di aziende a monocoltura e ad alta specializzazione come quella di Alceste Brusaferri a Villagana Mattino, di Sangiacomo e Franchi, sempre a Villagana, e Le Martinenghe s.a.s. degli industriali Becchetti di Lumezzane.


L'industria, salvo qualche timida comparsa di dimensione artigianale, ha fatto la sua comparsa nel 1968 per iniziativa dei fratelli Ferroni con la creazione della O.S.L.V., produttrice di accessori per automobili, ceduta poi nel 1990 ad un gruppo finanziario. Dopo anni di abbandono, lo stabilimento fu acquisito e ristrutturato da Angelo Baronchelli di Orzinuovi che con la A.B. Impianti produce impianti all'avanguardia per la cogenerazione di energia dai rifiuti e dal biogas.


Il commercio, sia pure limitato, ha avuto il suo punto di forza nel trasporto sull'Oglio per il fatto che da Villagana principia la navigazione in tempo d'acqua fonda. Il porto di Villagana ha difatti ricoperto particolare importanza per lo scambio di merci con il Cremonese (fino al 1938).




PERSONAGGI: il benedettino p. Prospero Martinengo (al secolo Tito) le cui opere, scrive Paolo Guerrini, «onorano le lettere classiche del '500»; fra' Paolo Cornali, predicatore e scrittore; Secondo Martinelli, patriota e benefattore; Luigi Baronchelli, organista del duomo di Monza. Alla storia di Villachiara ha dedicato lunghe ricerche e solidi volumi Paolo Zanoni. Molto conosciuti i giornalisti Giorgio Sbaraini e don Giuseppe Mensi. È di Villachiara Ilario Bertoletti, direttore della Editrice Morcelliana.




PARROCI: Marcantonio Bagnadore di Orzinuovi (fine '400); Pietro Bartolomeo Paglia di Gabbiano (inizi '500); Martino Vertua (1529-1531); Nicola Insignini di Villachiara (1531-1552); Vincenzo Insignini di Villachiara (1552-...); Bartolomeo Caligi (...-1571); Michele Locatelli di Orzinuovi (1571-1572); Francesco Insignini di Villachiara (1573-1603); Pompilio Pizzamiglio di Quinzano d'Oglio (1604 - rinuncia nel 1607); Ettore Fiada d'Armati di Quinzano d'Oglio (1607 - rinuncia nel 1623); Cristoforo Mercandoni di Gabbiano (1624 - rinuncia nel 1629?); Giuseppe Insignini di Villachiara (1630?-1638); Carlo Roncali di Soresina (CR) (1639 rinuncia nel 1639); Riccardo Caldana di Villanova (AL) (1639-1655); Gabriele Martinelli di Acqualunga (1658 rinuncia nel 1689); Pietro Antonio Gozino di Pontoglio (1690-1725); Giuseppe Bocelli di Verolanuova (1725-1762); Bartolomeo Frigerio di Gabbiano (1763 - rinuncia nel 1786); G. Battista Stocchetti di Oriano (1786-1834); Giovanni Mateotti di Prabione di Tignale (1835-1878); Luigi Zappatini di Fiesse (1879-1896); Stefano Stefani di Treviso Bresciano (1898-1930); Angelo Spinoni di Borgo S. Giacomo (1931 - rinuncia nel 1966); Umberto De Poli di Cignone (CR) (1966 - rinuncia nel 1984); Giuseppe Toninelli di Cremezzano (1985 - trasferito a Bornato nel 1995); Francesco Bertoli di Borgo S. Giacomo (dal 1995).




SINDACI: senatore conte Giovanni Martinengo (1860 - 7 ottobre 1867); senatore conte Angelo Martinengo Palatino Villagana (1867 -17 aprile 1894); conte Luigi Martinengo Palatino Villagana (aprile 1894 - 15 febbraio 1912); conte Angelo Medolago Martinengo Villagana (15 febbraio 1912 - 28 ottobre 1920); Angelo Provezza (28 ottobre 1920 - 6 maggio 1926).




PODESTÀ: Angelo Provezza (6 maggio 1926 - 27 giugno 1935); dr. Ezzelino Stanghellini (27 giugno 1935-29 settembre 1944); Leonardo Provezza (Commissario prefettizio) (29 settembre 1944 - 25 maggio 1945); Amministrazione alleata (25 aprile 1945 - 30 giugno 1945).




SINDACI: Angelo Zani (Sindaco della Liberazione) (30 giugno 1945 - 15 maggio 1946); Giuseppe Lechi (14 maggio 1946 - 1 agosto 1946); Alessandro Magli (1 agosto 1946 - 19 luglio 1950); dr. Publio Petroccia (Commissario prefettizio) (19 luglio 1950 - 2 giugno 1951); Alessandro Magli (2 giugno 1951 - 28 agosto 1957); Giovanni Simonini (27 agosto 1957 - 14 luglio 1958); Vincenzo Chiodi (Assessore anziano facente funzioni di sindaco) (14 luglio 1958 - 16 febbraio 1959); dr. Salvatore Palmieri (Commissario prefettizio) (16 febbraio 1959 - 20 novembre 1960); Lorenzo Sbaraini (20 novembre 1960 - 17 giugno 1965); rag. Antonio Bonfiglio (3 luglio 1965 - 27 giugno 1975); arch. Attilio Bulla (27 giugno 1975 - 24 maggio 1985); Arcangelo Riccardi (25 maggio 1985 - 13 giugno 2004); Elvio Bertoletti (dal 14 giugno 2004).