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VALTROMPIA (anche Valle Trompia, Val Trompia)

È una delle tre maggiori valli della provincia. Si trova tra la Valcamonica e la Valsabbia e gravita direttamente su Brescia. Si estende, in via approssimativa, tra i 45° 51' e 45° 36' di latitudine N e tra i 2° 20' e 2° 2' di longitudine O dal meridiano di Roma. Confina ad O col lago d'Iseo e la Franciacorta, a NO e N con la Valcamonica e a E con la Valsabbia, a S si apre verso la città. La Valle si sviluppa secondo tre principali direzioni: 1) E-NE - O-SO nell'alto bacino da San Colombano a Bovegno; 2) N-NE - S-SO da Bovegno a Inzino; 3) N-S da Inzino allo sbocco presso Campagnola di Concesio.


È percorsa dal fiume Mella (in dialetto "La Mèla"), che nasce dal monte Dasdana, sul giogo del Maniva e, dopo un percorso di km. 96, sfocia nell'Oglio di fronte a Gabbioneta in provincia di Cremona cadendo dai m. 2191 del Dasdana-Maniva ai m. 220 al vecchio ponte di S. Vigilio. Vi confluiscono molti torrenti: i bacini del Bondegno, Bavorgo, Mella di Sarle, Mella di Zerlo, Mella di Irma, Avano, Val Cavallina, Marmentino, Lembrio, Vandeno, Ré di Inzino, Tronto. Ad essi vanno aggiunte le convalli di Lodrino col torrente Biogno, di Polaveno-Brione col torrente Gombiera, di Lumezzane con il torrente Gobbia e infine i comuni di Bovezzo-Nave-Caino disposti lungo il corso del Garza.


Le principali convalli sono: la Valle di Graticelle, la Valle delle Selle e la Valle di Gombio, percorse rispettivamente dai torrenti Graticelle, Molinorso e Gombiera, che affluiscono sulla destra del Mella; la Valle di Irma, la Valle di Marmentino, la Valle di Lodrino e la Valle di Lumezzane, percorse rispettivamente dai torrenti Masére, Marmentina, Biogno e Gobbia, che affluiscono sulla sinistra del fiume. Il perimetro della valle è individuabile da un ipotetico percorso che, partendo dal Comune di Brescia, passa: ad E per il monte Salena (m. 862), il monte Uccia (m. 1168), il monte Pino (m. 802), il monte Prealba (m. 1270), il Corno Sondino (m. 1352), il monte Palo (m. 1462), il monte Abbio (m. 1223), il Dosso Falcone (m. 1701), la Corna Blacca (m. 2005) e il Dosso Alto (m. 2064); a N per il monte Maniva (m. 1864), il monte Dasdana (m. 2191), la Punta dell'Auccia (m. 2212) sino alla Val Brescianina (m. 1876); ad O per il Dosso Betti (m. 2144), il monte Stabile Fiorito (m. 2003), il monte Muffetto (m. 2060), il Dosso Rotondo (m. 1820), la Colma di Marucolo (m. 1856), il monte Guglielmo, meglio Gölem (m. 1948), la Punta Almana (m. 1391), la Punta dell'Orto (m. 1000), il monte Montecolo (m. 694) e la Colma Alta (m. 673); a S per il monte Magnoli (m. 877), la Madonna della Stella (m. 396), il monte Peso (m. 483) e quindi il territorio pianeggiante dei Comuni di Concesio, Bovezzo e Nave a confine con il Comune cittadino.


Geologicamente la testata della Valle è costituita da un massiccio di antichissime rocce cristalline che corrisponde ad una vecchia catena, formata da micascisti costituiti da mica associata a quarzo, da gneiss di composizione analoga a quella del granito, da quarziti e da scisti carboniferi. Notevoli poi gli strati metalliferi del Servino. I giacimenti minerari della Valle sono collegati soprattutto alle masse porfiriche del Guglielmo che, essendo rocce di profondità, hanno portato minerali, alcuni dei quali anche rari, tra i quali mercurio in gocce, bismuto ecc. Si trovano inoltre porfiriti, cioè porfidi che hanno assunto una forma tufacea per alterazione prodotta da sorgenti calde. Nel sistema valtrumplino sono però preponderanti le formazioni calcaree. I calcari si presentano in varie forme e composizioni: c'è il comune calcare, la dolomia principale, strati dell'anisico, calcari chiari e grigi che si trovano specialmente a Pezzaze; gli scisti del Wengen si trovano nel Dosso Alto. La dolomia principale è presente in diversi monti della Valle e principalmente nella Corna Biacca, nel Dosso Alto, in Pezzeda, nel Corno del Sondino e nel Prealba, dove si trovano anche i calcari neri ittiolitici, che sono depositi di mare antico e profondo, nei quali appaiono tracce di pesci e intrusioni di olii, specie di bitumi, lasciate dagli stessi pesci. I piani del Retico sono quelli dei calcari neri che si trovano verso Marcheno e Brozzo. Molto diffuso il tipo di calcare chiamato médolo e, più recente geologicamente, il selcifero nel quale vi sono noduli di selce bionda e grigia. Anche questi indicano la presenza, un tempo, di acque caldissime. In Val di Sarezzo si trova il titoniano. Esistono in valle anche morene depositate nelle glaciazioni dell'era quaternaria. Limitati, da Marcheno in giù, anche ritrovamenti, a S. Onofrio di Bovezzo, di massi di porfido probabilmente venuti dalla Valcamonica o dall'Alto Adige che hanno fatto pensare anche a glaciazioni primarie. In misura ridotta è il fenomeno carsico al quale si riferiscono piccole caverne nel territorio di Polaveno, sul Monte Palosso, una caratteristica grotta (del Cúel) in Val di Sarezzo, una grotta di certo interesse sotto Vezzala vicino a Noboli ed altre ancora, ma di poco conto.


Caratteristiche della vegetazione, nei tratti meridionali della valle, sono la Roverella, una quercia che raggiunge modeste dimensioni, a cui si associa frequentemente l'Orniello (Fraxinus ornus), il folto cespugliame dello Scotano (Cotinus coggygria) e il Carpino Nero (Ostrya Carpinifolia), la cosiddetta "tàera" del dialetto bresciano. Dove i substrati sono costituiti da rocce calcaree con noduli di selce o intercalazioni marnose (Colle S. Vito, alture del Picastello) troviamo l'Erica (Erica arborea). A completare il paesaggio si associano la Rovere (Quercus robur), il Tremolo (Populus tremula) e, meno frequentemente, il Carpino bianco (Carpinus betulus). Risalendo la valle entriamo nel paesaggio del Cerro (Quercus cerri). Più recente, ma molto diffuso per il frutto e la legna da ardere, il Castagno il cui sottobosco è spesso caratterizzato dalla distesa basso-cespugliosa del Brugo (Calluna vulgaris) da cui fuoriescono, elegantissime, le fronde della Felce aquilina (Pteridium aquilinum). A quote più elevate il bosco si arricchisce del faggio (Fagus sylvaticus). Sempre più ridotta la presenza dell'Abete (Abies alba), sostituito dal Peccio o Abete rosso (Picea excelsa) intervallato con il Pino mugo (Pinus mugus). Il bosco lascia spazio, più su, alla prateria alpina di altitudine, presente dal Guglielmo alla Vaghezza, passando per il Maniva; questa, nella successione delle stagioni, offre splendide fioriture di Viole, Ranuncoli, Primule, Crochi, Orchidee. Patrimonio particolarmente prezioso sono l'Aglio di Lombardia, le Aquilegie, le Campanule, il Raponzolo di roccia. Caratteristico della Valle il Rododendro nelle specie del "ferrugineo", per il carattere rugginoso delle foglie, e l'"irsutum" per le foglie coperte da una caratteristica peluria.


Quanto alla fauna, i carnivori sono presenti con la Faina ed il Riccio, mentre più difficili da vedere sono la Martora e il Tasso, quest'ultimo per le sue abitudini notturne. Il Capriolo è in aumento nei boschi di latifoglie a media quota, mentre, sopra il livello vegetazionale, sono presenti l'Arvicola delle nevi, la Marmotta (solo nei dintorni del M. Guglielmo), la Lepre. Più rari sono invece la Donnola e l'Ermellino. Il bosco è popolato da roditori, piccoli o grandi, terragnoli ed arboricoli, tra i quali si possono ricordare i topi selvatici o campagnoli, il Topo quercino, il Ghiro, abitatore del bosco rado con nido nei sottotetti delle cascine rurali e lo Scoiattolo. Tra i lagomorfi va segnalata la Lepre comune.


Uccelli: nei boschi, prati e siepi sono stanziali varie specie di uccelli come il Merlo, il Fringuello, la Cincia, il Regolo, il Tordo bottaccio, il Codirosso, il Cardellino, l'Averla piccola, le Ballerine, il Pettirosso, la Ghiandaia e il Cuculo mentre a quote più alte sono frequenti l'Allodola, il Prispolone, la Pispola, il Sordone, la Tordèla, il Culbianco e lo Zigolo giallo. Oltre a questi si fermano, per periodi più o meno lunghi, durante le stagioni del passo, il Crociere, l'Organetto, il Verzellino, il Lucherino, la Peppola, il Tordo sassello, il Fringuello di monte, la Cesena, il Ciuffolotto e, nel sottobosco umido, la Beccaccia. Colonie di Cornacchie grigie vivono tra i boschi di castagno e i prati, mentre non è raro osservare il volo della Poiana, del Gheppio e dell'Astore. Il Fagiano di monte nidifica ai margini dei pascoli più alti e isolati, mentre per vedere la Coturnice e la Pernice bianca bisogna spingersi verso le cime più alte. Particolarmente ricercati dai cacciatori il Gallo cedrone e il Gallo forcello.


Rettili e anfibi: la Valle Trompia, per la sua diversa morfologia e ricchezza di specie arboree ed erbacee, offre habitat fra i più disparati, rifugio di una miriade di esseri viventi. Lungo i declivi soleggiati, caratterizzati dalla mancanza di bosco compatto, si trova la Vipera comune e, nello stesso habitat, anche la Coronella austriaca e la Lucertola vivipara. Il bosco invece è abitato di preferenza dal Biacco, assieme alla Lucertola muraiola, all'Orbettino, al Ramarro e al Colubro di Esculapio. Le pozze d'alpeggio sono abitate dal Tritone e dalla Salamandra pezzata. Lungo i torrentelli troviamo la Rana rossa con il suo potenziale nemico, la Natrice dal collare. Il Rospo comune e il Rospo smeraldino abitano in valli umide e nel fitto sottobosco. Infine, molto più raro (lo si può trovare in prossimità del Maniva) è il Marasso palustre. La Valle ha preso il nome da un popolo, quello dei Trumplini o Triumpilini, sottomesso nel 16 a.C. da Roma.




POPOLAZIONE (Triumplini): 13.620 nel 1493; 17.994 nel 1582; 18.900 nel 1610; 17.000 c. nel 1625; 13.221 nel 1657; 12.581 nel 1760; 13.300 nel 1796; 25.623 nel 1861; 29.201 nel 1881; 35.783 nel 1901; 40.654 nel 1911; 47.341 nel 1926.




Eretta in Comunità fin dai tempi medioevali, è ritornata tale dal 1967. La Comunità ha assunto come stemma il fiordaliso sormontato da un lambello, come si ricava da una copia del manoscritto degli statuti del Comune di Pezzaze del 1318.




PREISTORIA. Come scrive Clara Stella ("Atlante valtrumplino", p. 29), incuneata tra la Valsabbia e la Valcamonica, la Valtrompia «dovette offrire a più riprese sicuro rifugio alle varie popolazioni, quali Liguri, Reto-Euganei, Galli che occupavano il piano a S di Brescia e che a loro volta venivano scacciati ad ogni invasione successiva. Nella lontana età preistorica pare dunque che agli sporadici gruppi umani autoctoni dovettero unirsi delle tribù liguri, gente pre-indoeuropea, alla quale potrebbe essere attribuito l'insediamento del neolitico antico scoperto a N del monte Colombine presso i laghi di Ravenole. Del loro antico linguaggio resterebbero pure testimonianze nelle voci toponomastiche: a Lumezzane "Prealbo", a Marmentino "Alvio", a Concesio "Palosso", a Bovegno "Regosa". A popolazioni reto-euganee risalirebbero invece i materiali, sporadici e no, rinvenuti nella valle: dalle selci neolitiche di Noboli ai reperti della prima età del ferro della Rocca di Marcheno, attribuiti alla facies Luco-Meluno (VIII-VII sec. a.C.)».


Sottolineata da qualcuno la presenza in Valle degli Etruschi sempre alla ricerca di esperienze produttive e, secondo qualcuno, alla ricerca di materiale per la loro sviluppata metallurgia.


Con le popolazioni preesistenti si fusero i Galli Cenomani comparsi nel 396 a.C. e poi predominanti a Brescia e sul territorio. Della loro presenza sono rimasti i nomi di divinità, nomi di persone (come Lubianus, Huimenus, Messava, Esdragassi, Peinon, ecc.) poi romanizzati. Dalla fusione delle citate popolazioni si sarebbe formato un popolo solo, i Trumplini, dei quali scrivono autori classici quali Plinio e Livio; lo testimoniano numerose epigrafi, la famosa iscrizione di La Turbie e la più tardiva, ma importante, Tabula Peutingeriana. Il nome dei Trumplini, secondo studiosi quali il D'Arbois sarebbe ligure, mentre il Philipon lo ritiene reto-ligure.


Quasi ad indicare la bassa ed alta Valle Trompia, i Trumplini erano a loro volta divisi in due tribù, Gennanates (denominazione derivante dall'odierna Zanano?) e Voben(ates) o Voben(enses) (dall'odierna Bovegno?) di cui tuttavia ignoriamo la costituzione politica. Come ha scritto ancora Clara Stella, «vivevano ad economia prevalentemente chiusa: oltre a coltivare i campi, pascolare le greggi, cacciare la selvaggina, dovevano preparare in proprio utensili, attrezzi da lavoro ed armi, favoriti in questo dalla presenza di minerali, quali rame, zinco, piombo, ferro», le cui miniere sembra che fossero sfruttate ancor prima dell'avvento dei Romani. «Ne conseguiva una fiorente attività commerciale, di cui ancor oggi sussiste ricordo nella cosiddetta Foppa del Mercato tra il colle di S. Zeno e i Corni del Diavolo, vicino alla quale è pure traccia dell'antica strada del ferro che porta in Valcamonica».


Più partitamente viene ascritta al mesolitico (circa 7000 a.C.) la prima presenza dell'uomo in Valle, rivelata da reperti litici del mesolitico antico (metà VII millennio a.C.) rinvenuti sulle sponde del lago di Ravenole o Ravenola settentrionale, a quota 1943, e del lago Dasdana, a quota 1875, nel massiccio delle Tre Valli. La zona è importante crocevia tra la Valtrompia, la Valcamonica (per la val Grigna) e la valle del Caffaro, tributaria delle valli Giudicarie; è comprensibile quindi la presenza (stagionale, di accampamento) dell'uomo cacciatore fin dalla remota antichità. Altri reperti di un insediamento riferibile al mesolitico (cultura Castelnuovo 5000-4500 a.C.) vennero alla luce nel 1982 ai laghetti di monte Crestoso nel territorio di Bovegno. Qualcuno ha individuato in queste località il passaggio della via dell'ambra ed il collegamento più attivo commercialmente da S a N. Scarsi, d'altronde, i reperti del periodo preistorico individuati per l'eneolitico a Concesio e per il neolitico a Sarezzo. I rinvenimenti più importanti sono quelli delle punte di selce neolitiche, al Büsh del Töf presso Noboli, che hanno fatto pensare che il luogo di rinvenimento fosse usato come vedetta per un lungo periodo di tempo tra il paleolitico e il neolitico. Forse dell'eneolitico (3000 a.C.), ma attribuibile anche al bronzo medio e recente (1500 a.C.), è una punta di selce rinvenuta in località Santellina di Concesio. Punte di selce attribuite dagli studiosi alla facies Campignana (neolitico, 4000-3000 a.C.) furono rinvenute a Noboli di Sarezzo. In località Rocca di Marcheno nel 1975 venne rilevata la presenza sulla sommità del colle di un abitato della prima età del ferro coevo alla facies trentina Luco-Meluno (VIII-VII sec. a.C.); materiali ceramici databili alla seconda età del ferro a Cimmo di Tavernole, una selce dell'età del bronzo sul Guglielmo. Dell'età del ferro è un pal-staab di notevole misura trovato a Gardone Val Trompia ed ora nei Musei Civici. Reperti di epoche preistoriche sono stati rinvenuti a Gardone Val Trompia presso la chiesa di S. Maria degli Angeli, in località Buca della Volpe, in località Val Cavréra, in località Torcolo. Altri reperti sono stati rinvenuti nei territori di Zanano, Lumezzane, Concesio. Strutture murarie e materiali ceramici in località Bulges del Pierù, frammenti ceramici e vitrei in località Calchera a Lodrino.


Di oggetti etruschi trovati a Eto di Pezzaze si scrisse fin dal 1875, ma senza prove concrete. Di notevole rilievo l'iscrizione su una stele funeraria trovata a Bovegno, che ricorda un certo Staio, figlio di Esdragasso, da Vobenum (cioè di Bovegno), principe dei Trumplini, prefetto della coorte dei Trumplini, sotto C. Vibio Pansa e sua moglie Messava figlia di Vera, due nomi celtici di colui che era stato capo della sua gente, al comando della quale doveva aver combattuto per Roma.


Vengono collegate a popolazioni preromane-celtiche divinità come Mercurio, Minerva, le Ninfe, ecc. poi romanizzate. Più specificamente celtiche, o piuttosto retiche, sono divinità come Brasennus, il cui nome è stato trovato a Noboli di Sarezzo inciso sul manico di una casseruola, e Tullinus al quale era dedicata un'ara ad Inzino.




EPOCA ROMANA. Non è chiaro il ritardo con il quale i Romani abbiano deciso di sottomettere oltre ai Camuni anche i Trumplini. Ciò avvenne nella guerra "retica" del 16-14 a.C. con un'operazione militare ordinata da Augusto e guidata da Druso, per cui vennero citati tra le "gentes alpinae devictae" del Thophaeum Alpino di La Turbie. Ma con ogni probabilità il ritardo fu dovuto allo spirito indomito dei Valtrumplini, tale da resistere a lungo al dominio di Roma. Ed ancora probabilmente per questo gli abitanti vennero ridotti in condizione di schiavitù. Forse per la dura resistenza, al contrario dei Camuni che ebbero un trattamento di favore, i Trumplini vennero deportati e, come scrive Dione Cassio, dichiarati "Venales" e venduti all'asta con il loro territorio. Il che, come suggerisce Gianfranco Tibiletti, dovrebbe significare che erano diventati schiavi (loro e i loro figli) dello stato romano e che il loro territorio era passato sotto la sovranità di Roma e addirittura era entrato a far parte del demanio romano. Una notizia non controllabile, di un secolo fa, accenna a un'iscrizione - già definita falsa dal Mommsen - a Mondaro di Pezzaze, in cui si leggeva esplicitamente di «damnati ad metalla», di detenuti e schiavi condannati ai lavori forzati nelle miniere. Di questa condizione tuttavia Roma dovette presto dimenticarsi, permettendo alla Valle di espandersi in breve tempo, soprattutto economicamente e socialmente come indicano le epigrafi comparse dopo l'occupazione romana. Alberto Albertini poi suppone che l'espressione «domo Trumplia» possa alludere ad una condizione giuridico-amministrativa intermedia tra la sottomissione e l'"attributio" a Brescia, per cui prende valore l'opinione del Tozzi che si basa su una iscrizione non bresciana indicante che i Valtrumplini siano stati attribuiti a Brescia ancora in piena età augustea. Almeno fino a Zanano i Trumplini vennero assegnati, come testimoniano le tavole bronzee trovate a Zanano, alla tribù Fabia e Roma mise loro a capo un "princeps" responsabile di tutta la popolazione valligiana. Sotto Roma la Valle visse soprattutto di pastorizia, di bosco e di attività artigianale. Sono infatti rari ed isolati i toponimi che indicano fondi agrari veri e propri come Zanano, Avano. La colonizzazione romana ha trovato le sue aree di espansione nelle zone di Lumezzane, Sarezzo, Zanano, Gardone, Inzino e Bovegno. Questi dati sono pure confermati dall'onomastica divina, cioè dalle dediche a divinità pagane: Tullinus e Mercurio a Inzino, Brasennus a Noboli, le Nymphae a Gardone. Se paragonate a quelle delle altre valli, queste testimonianze di insediamenti preromani nella Valtrompia rappresentano una percentuale molto alta. Clara Stella ("Atlante valtrumplino", p. 96) delinea la situazione esistente all'arrivo di Roma, accorpando tali aree di espansione «in aree geografiche meglio identificabili: una prima, comprendente Concesio, Lumezzane e Gardone, ed una seconda con centro a Bovegno. Sono due zone rispettivamente sedi del "pagus Iulius" e del "pagus Livius". La successiva romanizzazione, scrive ancora C. Stella, avviene all'interno di queste due aree, con un ampliamento verso Collio, completando in tal senso la geografia abitativa della valle, che acquista il suo volto pressoché definitivo. Concentrazioni romane di qualche rilievo sono identificabili ancora a Lumezzane, Zanano, Inzino, Sarezzo, Concesio, Noboli, Gardone, Irma, Collio, Cimmo e Pezzaze. Troviamo, nelle medesime aree geografiche, nuclei abitativi che si accorpano e si ampliano, dando luogo a sistemi socioeconomici più complessi».


La romanizzazione dovette espandersi da S a N. Già a Collebeato - vicino alla città - sono stati rinvenuti due cippi sepolcrali, uno di C. Appius Threptus e di Massia Lucilla e l'altro di un personaggio del quale è stato perduto il nome. Epigrafi romane vennero alla luce a Concesio. Resti di una villa romana di notevoli dimensioni furono rinvenuti nel 1883 a Cogozzo di Villa. Questa villa, rapportata all'esistenza di una ricca famiglia, quella dei Rosci, documentata a Concesio, ha fatto pensare che la zona fosse abitata da facoltose e nobili famiglie. In effetti strutture romane appartenenti ad una grande villa con impianto termale sono venute alla luce nella stessa zona. La presenza di Roma è documentata nel territorio lumezzanese con epigrafi e altri segni. Un cippo funerario è stato ritrovato a Sarezzo. Un importante insediamento dei tempi di Roma è registrato proprio a Sarezzo, come provano stele e are funerarie, cippi sepolcrali, tavole di patronato, ecc. La ricchezza archeologica di Inzino ne fa un centro fra i più importanti della Valle, sia come pago che come pieve cristiana. Di notevole interesse le are votive a Mercurio, a Minerva, a Tullino, a Brasennus, ritenuti divinità celtiche locali e alla Vittoria. Sono venute alla luce tombe con arredi, lucerne, contenitori di balsami, ecc. Tombe romane sono state trovate a Magno d'Inzino, al Dosso di Marmentino; pietre romane a Brozzo. A Irma sono stati scoperti idoletti di Mercurio e di Cerbero, lucerne, ecc. Muri, forse di opere difensive e tombe ad inumazione romana sono state individuate a Memmo di Collio. Sono stati trovai due pagi: nella zona comprendente Concesio, Lumezzane e Gardone il pagus Julii e in quella di Bovegno e abbracciante l'alta Valle, il pagus Livii, termine che viene messo in relazione anche con Bagolino. Il confine tra i due pagus venne poi individuato presso il "sasso battuto" all'altezza di Tavernole. Sottomessa che fu, per condizioni geografiche, economiche e sociali, la Valtrompia fu di tutte le valli la più legata a Brescia e lo divenne ancor più per diretti servizi che fornì alla città. Fra i legami più profondi di questo genere non si può dimenticare il molo particolare assunto dall'acquedotto, fatto costruire da Augusto e Tiberio, con punto di partenza a Lumezzane e che con un percorso di circa 25 km. toccava le località di Pregno, Carcina, Costorio, Concesio, Antignano, Bovezzo, Conicchio, Mompiano. Legna ai cittadini diede fin dall'antichità il monte Palosso. Il fiume Mella e i torrenti apportarono per secoli acqua ai molini e alle officine cittadine.


Interessante è il nome della Valtrompia attraverso suoi esponenti a partire dal già ricordato Esdragasso, «principe dei Valtrumplini». Di notevole interesse nell'età di Tiberio le quattro tavole di bronzo rinvenute a Zanano che attestano un singolare rapporto di ospitalità ("hospitium") fra un personaggio bresciano, forse valtrumplino, Gaio Silio Aviola, e quattro piccole città dell'Africa proconsolare (non più individuabili), che lo vollero loro patrono, evidentemente perché lo avevano conosciuto durante il suo servizio nella legione III Augusta come comandante delle truppe del genio. E ancor più la valle fu conosciuta attraverso i soldati reclutati che militarono in tutto l'impero romano. Alcuni di loro sono ricordati in stele di Bovegno e Zanano.


Attestata, in epoca medievale, esisteva almeno dall'età imperiale una strada Brescia-Valtrompia, confermata da reperti epigrafici ed archeologici che sembrano segnarne il tracciato: Brescia, la sinistra del Mella, S. Bartolomeo, la Stocchetta (dove esiste il toponimo Levàta), Concesio, Pregno, Ponte Zanano, da dove, passando sulla destra del fiume, proseguiva per Inzino. Dall'arteria principale altre secondarie ripartivano da Sarezzo per la Valgobbia e per la Valsabbia a Bione e oltre; sul versante occidentale da Ponte Zanano saliva a Polaveno verso il lago d'Iseo. Più a N, da Lavone, un'antichissima via di comunicazione, proveniente da Brescia, percorreva la Valle. Attraverso il Colle di S. Zeno (m. 1420 s.l.m.) scendeva, per Grignaghe e Fraine, in Valcamonica. Di essa, nell'800, il geologo milanese Curioni trovò tracce non dubbie di un fondo stradale fiancheggiato da solide torri di difesa (Mondaro, ecc.).




EPOCA BARBARICA. Non si hanno quasi del tutto notizie storiche sui tempi delle invasioni barbariche fino al dominio dei Longobardi e dei Franchi. A riempire il vuoto è venuta in soccorso l'archeologia. Non sono pochi i luoghi della Valle nei quali sono state trovate tombe, manufatti e vestigia di edifici altomedievali spesso come continuazione di quelli romani. Una necropoli altomedievale con quarantadue tombe, delle quali trentadue di adulti e dieci di bambini con corredi assegnabili al VII sec. d.C., è venuta alla luce nel 1981 a Villa Carcina. Dalla frazione di Cogozzo viene una "francesca" (tipica scure dei Franchi) databile allo stesso periodo della loro dominazione (sec. VIII-IX) e donata nel 1912 ai Musei civici di Brescia. Necropoli altomedievali sono ricomparse a Sarezzo e nella frazione di Noboli. Una lucerna ascritta al gruppo delle "africane" dei sec. IV e V d.C. è stata rinvenuta a Gardone Val Trompia. Databile al V-VI sec. d.C. è una tomba ritrovata nel 1969 sulla strada tra Marmentino e Ombriano. Una maschera virile di tipo medioevale preromanico venne trovata nel 1885 nel territorio di Pezzaze. Forse attribuibili ad epoca altomedievale sono tombe trovate a Ludizzo di Bovegno, a Pezzoro, ecc.


Sembra di origine germanica il nome di Gardone (da "Wardon" = guardare, fare la guardia), ma non si va più in là di qualche toponimo. Più documentata è l'età longobarda da reperti ritrovati a Villa Cogozzo, Villa Carcina, Gardone Val Trompia, Inzino e ancora da toponimi quali "gagium", "gadiuum", "gazium" dal longobardo "gadiagium" che indica bosco riservato per la caccia e per il taglio della legna. Un "nemus" o "gazian" ricorre in un documento del 1232 in territorio confinante con il monte Palosso. Nonostante l'avara documentazione, proprio sotto i domini longobardo e franco viene avvertita una profonda trasformazione economico-sociale. Le antiche terre fiscali, i possedimenti o "massae" delle centuriazioni romane e altre proprietà vengono accorpati nel patrimonio regio amministrato attraverso corti sparse nel territorio e poi affidato a feudatari o a monasteri mentre resistono proprietà di gruppi e insiemi di famiglie che compariranno poi nei vici e nei comuni.


Purtroppo non sono molti gli elementi che vengono offerti dalla documentazione. Lo studioso Darmstdter ha ipotizzato una corte regia a Lodrino per la presenza, segnalata in un documento del 7 ottobre 760, di un parcaro di nome Deudedulus necessariamente dipendente da una curtis. Ad una curtis di "Canellas" si accenna in un documento dell'8 luglio 879, toponimo che qualcuno assegna ad Erbusco, ma che più probabilmente si riferisce alla località Canelli di Pezzaze che, come sottolinea Maurizio Pegrari, «situata in una posizione geograficamente molto interessante, all'altezza di 600 metri circa, poteva permettere un controllo attento e del confine e del territorio sottostante, oltre a favorire la presenza di attività agricole ed a giustificare, forse, le rendite descritte nel polittico giuliano. Inoltre, in questa zona, troviamo costruzioni assai risalenti, che fanno pensare ad una continuità abitativa almeno fino al secolo scorso».


L'esistenza di massae è stata rilevata al Dasdana, sul Maniva, a Piano di Bovegno, Avano, Ombriano, Zanano, Premiano, Lumezzane. Questi riferimenti sono tutti contenuti in documenti che riguardano donazioni da parte di re longobardi e franchi ad alcuni monasteri. Difatti ambedue i documenti si riferiscono a donazioni di curtes al monastero di S. Salvatore o di S. Giulia; altri possedimenti dello stesso monastero sono stati individuati a Cesovo e a Brozzo. Altri accenni a possedimenti relativi a monasteri bresciani si possono ricavare dall'investitura concessa il 27 giugno 1209 a David de Telarino, di alcune terre, in "loco Brozi" e in "loco Cisovi", da parte di Vianesius di Lavellongo e di suo nipote Lafrancinus che le aveva ricevute in feudo dal monastero di S. Giulia, e per alcune "sortes" appartenenti al monastero di S. Eufemia, nelle località di Gardone, Inzino, Brozzo, Ludizzo, Castelanzia de Villa. Ancora è il monastero di S. Eufemia, fondato nel 1030, che nel 1038 cede la corte di Pordine di 970 iugeri di pascoli montani; il monastero di S. Faustino e Giovita nel 1132 ha possedimenti nel castro di Bovegno. Regge la supposizione che lo stesso monastero di Bobbio sia stato proprietario di quelle "pecoraria" ai piedi del Maniva il cui nome ricorre in documenti medievali, ricevendone poi il nome del santo fondatore Colombano. Insediamenti del monastero sono stati localizzati a Ludizzo, Brozzo, Inzino, Gardone, Villa.




MEDIOEVO. Ma la grande novità del periodo è data soprattutto dalla nascita di una struttura ecclesiastica di base, che resisterà poi ai tempi ancora turbinosi: la nascita, cioè, delle pievi che faranno da perno religioso, ma anche economico e sociale. Si ritiene che il cristianesimo si sia diffuso in Valle prima che altrove per il diretto contatto con la città e cattedra vescovile nel sec. IV, organizzandosi poi in chiese locali nelle zone strategiche: a Concesio nella bassa valle, a Inzino nella media, e a Bovegno nell'alta, alle quali si aggiunse poi quella di Lumezzane. Intorno alle pievi si sviluppano poi le diaconie e le opere assistenziali per pellegrini, poveri, malati. Accanto alle pievi e alle "massae" resistono, ai tempi delle ultime invasioni barbariche dei sec. IX e X, e si rafforzano sempre più piccole comunità agricolo-pastorali chiamate vicinie, rette dai consigli dei capifamiglia, che amministrano proprietà dirette e collettivi di terreni.


Si rafforzano inoltre anche sul piano economico e sociale, oltre che religioso, il prestigio e l'autorità del vescovo. Intorno al sec. XI la Valle, sia per situazioni risalenti nel tempo sia per donazioni e privilegi imperiali, passa sotto il controllo del vescovo nella persona di Olderico I, al quale, il 15 luglio 1037, vengono conferiti dall'imperatore Corrado II, con diploma da Caldiero (Verona), ampi diritti feudali sulle rive del Mella, dell'Oglio e su altre terre. Diritti che verranno confermati dall'imperatore Enrico V nel 1123 e per i quali è provata la presenza in Valle di famiglie feudali vescovili come quella dei Confalonieri, investiti di poteri e diritti feudali nella pieve di Bovegno e altrove. Del rafforzato potere vescovile vi è una riprova in un atto di permuta del 1038 tra il vescovo di Brescia Olderico e abate benedettino Giselberto di S. Eufemia della Fonte: sono citati terreni di Carxi (Carcina), Cogozaria (forse Cogozzo), Villa, scambiati con altri di Gardone e di Inzino. Sono legami che nello stesso tempo si saldano con il nascente Comune di Brescia, sempre in subordine a quelli con il vescovo, ai "milites catholici" e al popolo che lo sostengono, in alternativa con la nobiltà feudataria e con potenti famiglie bresciane e, non molto più tardi, con la parte guelfa contro quella ghibellina. Valtrumplini e Valsabbini sono decisamente dalla parte del vescovo Manfredo anche quando tra il 1135 e il 1139 il Comune, facendo leva anche su Arnaldo da Brescia, si schiera dalla parte ghibellina. Anzi, il vescovo perseguitato non trova di meglio che rifugiarsi a Gardone per passare poi a Vestone. In sua difesa Valtrumplini e Valsabbini si riarmano proponendosi di occupare la città, la quale, intimorita di ciò e convinta anche dal legato mandato apposta dal papa, scende a più miti consigli e si riconcilia con gli insorti e con il vescovo stesso.


La Valle partecipa poi direttamente alle lotte tra Comuni e impero quando dai gioghi del Maniva calano gli eserciti imperiali, tra i quali quello di Federico II detto il Barbarossa. Secondo una leggenda, la Valtrompia assiste anche al passaggio nel 1162 di Papa Alessandro III, diretto a Savallo e, poi, a Capovalle, in fuga perché perseguitato dall'imperatore. Tale fuga è ricordata poi in un'epigrafe secondo la quale il papa avrebbe lasciato in dono alcune reliquie poi poste sotto l'altare maggiore della chiesa dei SS. Cosma e Damiano di Marmentino, quando fu consacrata nel 1550.


Mentre si combattono fazioni e comuni, tra di loro si va sempre più delineando la topografia della Valle con la nascita di nuove comunità periferiche alle pievi, con chiesa e, a volte, con strutture assistenziali. Nel 1123 all'erezione della nuova chiesa plebana di Bovegno collaborano, infatti, le comunità di Collio, Bovegno, Pezzaze, Cimmo e Marmentino. Il Comune di Bovegno nel 1177 allarga le sue proprietà ín località Marlena, a Memmo (dove nel 1224 acquisterà il monte Stabilfiorito); il Comune di Brescia intrattiene nel 1225 rapporti con Tavernole. Nel 1232 in una "designatio" del "Liber Poteris" dei confini di Brescia sul monte Palosso compaiono già funzionanti i Comuni di Lumezzane, Sarezzo, Cogozzo e Pregno. Nel 1276 il Comune di Bovegno si libera dell'obbligo di pagare l'affitto del castello a Giovanni Pinzoni al quale l'avevano ceduto, nel 1252, i Confalonieri. Nel 1236 una comunità agricolo-pastorale femminile, fondata intorno alla metà del secolo precedente da san Costanzo sul monte Conche, è assorbita da una comunità di frati Umiliati, che di là diffondono a Lumezzane la lavorazione della lana.


Negli ultimi anni del sec. XII, quando esplodono le già latenti fazioni fra guelfi (dalla parte del papa) e ghibellini (sostenitori dell'Impero) la Valtrompia si schiera dalla parte vescovile o guelfa, inserendosi sempre più nelle vicende del Comune cittadino, salvo nei momenti di prevalenza in esso della fazione ghibellina. D'altra parte il Comune di Brescia non può ignorare che la Valle costituisce un suo polmone vitale e, nel contempo, una via più sicura e più rapida della Valsabbia verso N e il Trentino attraverso il Maniva. Tanto più che, proprio nei secoli XII e XIII, nell'epoca comunale, secondo F. Menant ("Campagnes lombardes au Moyen Age", p. 295) «parte l'industria metallurgica autonoma» che fabbrica «prodotti di alta qualità e specialmente armi famose e che commercia in gran parte direttamente, senza ricorrere all'intermediazione di mercanti della città». Allo sviluppo dell'industria del ferro vengono messe in rapporto le torri, ritenute da molti romane, che sorgono o risorgono a Bovegno (Ludizzo e località Castello), a Pezzaze (Pezzazole e Mondaro) ed a Lumezzane S. Apollonio. Da parte sua il Comune cittadino, da questi anni, compie una sempre più intensa azione di controllo sul territorio extraurbano fino alla sottomissione che realizza dalla fine del secolo stesso e che si concreta nel 1232 con l'invio a Bovegno di un suo podestà per governare la Valle. A questa viene riconosciuta una sempre crescente autonomia; il privilegio è ricambiato attraverso spedizioni di armati e interventi di sostegno in caso di bisogno. Così, nel 1237, contro l'esercito di Federico II sceso in campo contro la nuova Lega lombarda, cade a Montichiari Deodato da Pezzaze, al comando di contingenti valligiani.


Nel 1248 il Comune di Brescia riesce a ricuperare Bovegno e altre zone della provincia cadute sotto il controllo dei ghibellini imperiali. Nonostante si avvicendino al potere Ezzelino da Romano (1258), Oberto Pelavicino (1258), Carlo di Angiò (1270) con la sconfitta e persecuzione per anni della parte guelfa, pievi e comuni si assestano: Bovegno, entrato in dissidio con Bienno per l'uso di pascoli (1265), crea, attraverso la confraternita di S. Glisente, un ente di beneficenza pubblica (1272) e si affranca dall'obbligo di pagare l'affitto del castello a Giovanni Pinzoni; Pezzaze si dà un proprio Statuto, il più antico che si conosca e che nel 1529 verrà tradotto in lingua volgare dal rettore di Lavone, don Giovanni Grotti.


I Valtrumplini poi sono fra i più solleciti ad accorrere in soccorso a Brescia assediata nel 1311 dall'imperatore Enrico VII. Dopo quattro mesi la città deve capitolare. È probabilmente in seguito alle tensioni e agli avvenimenti verificatisi al tempo della discesa in Italia di Enrico VII che i Valtrumplini sentono la necessità di unirsi dapprima per una comune difesa poi, sempre più, per ampi interessi comuni. L'epicentro dei primi passi di quella che poi sarà la Comunità di Valtrompia è il castello di Testaforte di Zanano che costituisce la principale struttura di difesa contro eventuali nemici provenienti dalla pianura In un documento del 30 agosto 1323 compaiono il nome di Bonaventura Bevulchino, notaio di Bovegno, ma anche massaro ed esattore della Comunità di Valtrompia e quello del conte Zilbardo di Caleppio il quale, in un altro documento, è indicato come capitano del castello di Testaforte e di tutta la Valtrompia. Si tratta di un incarico evidentemente militare, ma che poi si allarga sempre più, supportato dal maturarsi di una coscienza comunitaria che si evolve nella richiesta di privilegi ai Visconti ed a Pandolfo Malatesta fino a quando la parola "comunitas", intesa come entità giuridica e istituzionale riconosciuta, compare nel privilegio del 4 luglio 1427 concesso alla Valtrompia e alla Valsabbia da parte della Repubblica veneta, codificata poi nove anni dopo negli Statuti di Valle.


Di riflesso gli stessi comuni vanno riscoprendo la propria identità ed una propria autonomia. Il Comune di Bovegno nel 1314 compera una fucina. Nel 1318 viene redatto lo Statuto di Pezzaze di cui abbiamo già detto. Nel 1341 dodici sapienti, scelti dalla vicinia di Bovegno, stendono gli Statuti del comune. Di particolare interesse sono le norme che regolano l'esercizio delle miniere. Don Bernardino de Caciis da Cimmo e arciprete di Inzino, con l'aiuto di Bressanino Bicocchi de Minalibus, notaio a Tavernole, stende il testo degli Statuti del comune di Cimmo e Tavernole (1372).


Dei secoli XI, XII, XIII e XIV, secoli di riassestamento e di rilancio economico e sociale, oltre alle tracce rimaste in alcune chiese (a Prato di Polaveno, Marmentino, Conche, Bovegno) vi sono segni di progresso in abitazioni che si possono ancora vedere a Zanano, a Noboli, a Polaveno, a Ombriano, a Gardone, nel castello già degli Zamboni a Villa Cogozzo, in quello sopra Sarezzo, nella torre conglobata nel palazzo Avogadro a Zanano, nella parte inferiore del campanile di Cailina. Sono resti di costruzioni di quei secoli. Scrive Gaetano Panazza: «Le forme severe, i muri a bugne e a conci bene squadrati, le porte o le finestre a pieno centro o architravate, i portici ad archi ribassati su rozze colonne o su pilastri quadrangolari conservano nelle borgate della Valle i caratteri dell'architettura medioevale fin verso la metà del secolo XVI».


Tutto ciò avviene nonostante i vari rivolgimenti militari e le lotte tra le fazioni e fra le potenze del momento. Caduto il Bresciano nelle mani di Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, la Valtrompia viene eretta a "quadra", la quale nel 1385 risulta costituita dai comuni di: Castelanza de Inzino, Castelanza de Lé (ossia di Leno, ora Aleno di Marcheno), Ludrino, Zumo e Tabernolis (Cimmo e Tavernole), Marmentino, Pesazis (Pezzaze), Herma (Irma), Bovegno, Collibus (Collio), Castelanza de Villa, Serezio (Sarezzo). In altro estimo di quattro anni dopo sono citati questi comuni: Castelanza de Inzino, Castelanza de Leno, Castelanza de Lodrino, Cimmo de Tabernollis, Marmentino, Pezazys, Herma, Bovegno cum Magno, Collibus, Castelanza de Villa, Serecio. I Visconti affermano energicamente il dominio sulla Valle inviando un loro capitano, che con la sua corte risiede solitamente nel castello di Testaforte al ponte di Zanano e, talvolta, nel castello di Gardone. Ma ciò, assieme ad alcune concessioni da loro predisposte, non serve a dare tranquillità alle popolazioni valtrumpline. Gli aumenti dei dazi sulle ferrarezze, le usurpazioni di diritti statutari, l'eliminazione di consuetudini di libertà commerciale, una graduale pressione fiscale, ne alienano sempre più gli animi e maturano in pochi anni una sempre più crescente avversione, che diventa presto deciso rifiuto. Appoggiandosi a Firenze in guerra contro Milano, i Valtrumplini, come i Valsabbini nel 1401, favoriscono la calata da Trento delle truppe dell'imperatore Roberto di Baviera detto il Bonario. Le colonne dell'esercito imperiale scendono una dal Maniva, l'altra dalla Valsabbia per congiungersi nei pressi di Brescia, dove però, il 26 ottobre 1401, vengono separatamente sconfitte dai viscontei. L'occasione di una rivincita si presenta dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti (1402). La Valtrompia rialza la testa e mette in campo, contro i ghibellini e i viscontei, centinaia di armati al comando di Pietro Avogadro, offrendo un pieno appoggio a Pandolfo Malatesta, che nel 1404 diventa signore di Brescia e, a ricompensa, concede alla Valle privilegi mai avuti prima: la libertà di commerciare in "ferrarezze", una parziale esenzione dai dazi. L'anno dopo il Malatesta concede anche la libertà di trafficare sale tedesco, anche se solo nella Valle. A Pietro Avogadro assegna in feudo Polaveno.


Negli anni che seguono si tentano vie di riconciliazione. Nel 1413, infatti, i rappresentanti dei Comuni di Pezzaze, Marmentino, Bovegno e Sarezzo si riuniscono a Nozza con i comuni della Valsabbia per tentare di comporre le persistenti avversità fra guelfi e ghibellini.


Caduta nel 1421 la signoria di Pandolfo Malatesta e ritornati i Visconti, la Valle perde i suoi privilegi, ma al contempo rafforza la sua unità che si rivela efficace soprattutto nello scontro che si profila tra i Visconti e la Repubblica Veneta, che va sempre più allargando il suo dominio in terraferma. Ed a Venezia i guelfi bresciani e le Valli Trompia e Sabbia guardano ormai confidando nella lega che la Serenissima ha stretto con Firenze e il ducato di Savoia contro i Visconti. Le Valli si mobilitano, mandano loro messaggeri ai provveditori veneti residenti a Verona, ottenendo ampie promesse di conferma dei privilegi del Malatesta e di altre concessioni. Nel 1425 viene ordito in Gussago in casa Reccagni, per iniziativa di Pietro Averoldi, Pietro Avogadro e pochi altri, un piano insurrezionale al quale aderiscono altri esponenti valtrumplini, fra i quali i Sala, i Mazzola e i Nassini. Si distingue in questo frangente la figura di Emiliano Nassini il quale, riuniti a S. Vigilio molti Valtrumplini armati, fa deviare le acque del fiume Celato così da prosciugare le fosse cittadine. Unitisi poi uomini della Franciacorta e dei suburbi cittadini, il 16 marzo 1425, aperta una breccia a Cantone Bagnolo, costringono i viscontei ad asserragliarsi nella Cittadella e in castello.


La Quadra è costituita nel 1429, secondo gli "Statuta Communis Brixiae", dai comuni di Colles (Collio), Bovagnum (Bovegno), Pesazie (Pezzaze), Cemmum, Tabernole, Marmentinum, Lodrinum, Castelancia de Lé, Castelancia Inzini, Castelancia de Villa, Serecium (Sarezzo). Nei decenni successivi i comuni proliferano. Intorno al 1436 - anno cui si fanno risalire i suoi statuti, purtroppo perduti, citati dal Cocchetti nel 1858 - nasce il Comune autonomo di Gardone, staccatosi da Inzino (citato come Comune in una pergamena del 1285), mentre quello di Magno sopra Inzino già esisteva nel 1444, e pure si era staccato da Inzino, come da atti inediti scoperti da Carlo Sabatti. Circa il Comune di Brozzo, che probabilmente si staccò dal Comune originario di Lé negli anni Quaranta del '400, certa ne è l'esistenza in relazione all'estimo presentato nel predetto anno insieme ai Comuni di Collio, Bovegno, Herma (Irma), Pezzaze, Pezzoro, Cimmo, Marmentino, Lodrino, Cesovo, Lé, Magno ovvero Magno sopra Inzino, Inzino, Gardone, Sarezzo e Villa. Nel 1493 il Comune di Villa, talora citato come Villa di Valtrompia, risulta comprendere anche Cailina, Carcina, Cogozzo e Pregno. Carcina, unificando con sé Pregno, acquista la propria autonomia, con il favore - come per gli altri casi - della Serenissima, nei primi decenni del secolo XVI. Pezzoro diviene autonomo verso la metà del 1400; all'inizio del '500 sono documentati nella Valle di Lumezzane due Comuni, rispettivamente di Pieve e di S. Apollonio, mentre nel 1493 nella Quadra de Valtrompia si cita solo Lumesane feudo di Avogadri; nel predetto anno la medesima quadra valtrumplina comprende Colio, Bovegno, Herma, Pesazi, Lavon, Mamerti (cioè Marmentino), Pesoro, Ludri (Lodrino), Cimmo, Brozzo, Cesuvo (ossia Cesovo), Le e Marche (uniti), Magno, Inzino, Gardon, Serezo cum Zena e Nobol (Sarezzo con Zanano e Noboli), oltre Villa con quattro frazioni e Lumesane. Pure nel 1493 la Quadra de Val de Nave comprende Nave, Caino, Concesio con Bovezzo, Collebeato, S. Vigilio e Urago de la Mella, ma non faceva parte della Valtrompia "storica" che - da Collio a Carcina - resterà Comunità a sé fino all'epoca napoleonica.


È in questo periodo, e sotto la spinta dei privilegi concessi, che ha inizio l'elaborazione di regolamenti e norme comunitarie che sfoceranno negli Statuti di Valle del 1436, ristampati poi con aggiunte nel 1576 e nel 1764. Gli statuti determinano definitivamente il quadro degli organismi che governano la Valle con in capo il Consiglio Generale di Valle, che viene riunito ogni anno alle "calende" di gennaio ed è l'assemblea dei rappresentanti (detti "andadori" in numero di circa quaranta) scelti dai Comuni valtrumplini tra gli uomini «più prudenti e sapienti, di buona voce, condizione e fama». Essi si scelgono ogni anno e si riuniscono a Tavernole una volta al mese. Nella prima riunione di gennaio eleggono le cariche della comunità autonoma: il sindaco (massima autorità che rappresenta la Valle davanti alle autorità di Venezia e di Brescia), il vicario giusdicente (con competenze in cause civili e non penali tra i valligiani), i confidenti o ragionati (una specie di controllori e revisori dei conti), i due nodari o notai (registratori di atti giudiziari, processi, sentenze), il cancelliere (segretario del Consiglio), due cavalieri alle vettovaglie (specie di guardie di finanza col compito di controllare pesi, misure e botteghe), quattro ministrali (una sorta di messi della Valle), gli estimatori (stimano tutti i beni mobili e immobili in Valle), il massaro (quasi un ragioniere economo della Valle). Le cariche non superano mai la durata di un anno e non sono rinnovabili nell'anno successivo.


Sono questi statuti che permettono la definizione di controversie e liti, come nel 1446, quando in Tavernole viene pubblicata una sentenza tra le comunità di Bovegno e di Pezzaze circa l'uso del monte Zerma o quelle di Bovegno con i comuni camuni per lo Stabel Fiorit e molti altri. Lo statuto di valle fa anche da spinta all'adozione da parte dei singoli comuni di propri statuti particolari. Nel 1442 è Pezzoro che adotta il proprio, successivamente modificato e poi tradotto in volgare nel 1579 da Valerio Bontacchio, notaio di Pezzaze.


Mentre dura l'assedio del Castello e l'esercito veneziano fronteggia quello visconteo con alterne vicende nel territorio, nel giugno 1426 rappresentanti dei comuni della Valtrompia e di quelli camuni si incontrano a Bovegno e stipulano un reciproco patto giurato, che sottolinea l'intenzione delle due Valli di mantenere una propria autonomia; il patto prevede concordia e fedeltà, libertà di transito e di asilo per le due Valli, senza riguardi a parte ghibellina o guelfa, e reciproci indennizzi in cambio di reciproci danni; se il duca di Milano, ancora signore della Valcamonica, avesse fatto guerra agli uomini della Valtrompia, i Camuni si impegnavano a preavvisare i Valtrumplini, e viceversa nel caso che Venezia intendesse attaccare la Valcamonica.


In forza di questo sempre più stretto collegamento e sotto la minaccia di Venezia, nello stesso anno il duca Filippo Maria Visconti si decide a concedere alla Valtrompia l'esenzione dai dazi sulle "ferrarezze" nonché la facoltà di eleggersi un giudice per risolvere le questioni di piccolo conto. Ciò non appaga per niente i Valtrumplini che salutano finalmente con soddisfazione la vittoria di Venezia sancita nel trattato di Ferrara del 30 dicembre 1426.




EPOCA VENETA. La Valle viene occupata nel gennaio-febbraio 1427 dal Carmagnola, mentre, nel gennaio, entra ufficialmente a far parte dei domini della Terraferma di Venezia, la quale concede subito l'esenzione di dazi sul trasporto delle ferrarezze e sul vino, privilegi confermati nel 1430 e nel 1451 per il ducato di Milano e il marchesato di Mantova. Sempre nel 1427, il 27 novembre, il doge Francesco Foscari investe Pietro Avogadro del feudo di Lumezzane in sostituzione di quello di Polaveno (distrutto e reso disabitato a causa della guerra contro i Visconti), come premio per la dedizione del nobile bresciano alla causa della Repubblica veneta. Si taglia fuori Lumezzane sia dalle quadre di Brescia che dalla Valtrompia, investitura che sarà riconfermata nel 1551, nel 1586 e nel 1603. Sotto Venezia la Valtrompia viene costituita in Quadra con un proprio statuto e parzialmente autonoma da Brescia.


Tutto ciò avviene in tempi sempre burrascosi. Riaccesesi, nel 1437, le ostilità tra Venezia e Milano, la Valle è di nuovo e decisamente a fianco di Venezia e della città. Pietro Avogadro il 27 aprile 1438 assicura Venezia che la Valle, assieme alla Valsabbia, è in grado di difendersi da sola ed è anche decisa a soccorrere la città assediata dai viscontei. Infatti, nonostante nel luglio la Valle venga in gran parte occupata dal Piccinino, un migliaio di Valtrumplini, nell'agosto, sono presenti in città e partecipano all'eroica difesa culminata nel giorno di S. Lucia, il 13 dicembre, con la sconfitta. Seguono ancora mesi e mesi di occupazione o di scorrerie dell'esercito visconteo, il quale riesce a respingere la colonna veneta di soccorso guidata dal Cerpellone, che per la via di Lodrone è riuscita a raggiungere Lumezzane. Ciò offre l'occasione al Piccinino di percorrere la Valle fino a Gardone seminando incendi e devastazioni. In premio di tante nuove prove di fedeltà, quando nella primavera del 1440 Venezia riesce a liberare il Bresciano, con ducale del 21 luglio dello stesso anno, il governo veneto conferma alla Valle i vecchi privilegi, aggiungendo la riduzione di un terzo dei tributi dovuti in precedenza e, pur abolendo molti mercati della provincia, permette la continuazione di quello di Tavernole.


Tutto ciò si ripete durante la nuova guerra, dal 1446 al 1454, quando, specialmente nell'inverno 1452-1453, la Valle deve subire pesanti disagi per la presenza dell'esercito veneto. In premio, il 30 gennaio 1453 Venezia concede la separazione della Valle dal resto della Provincia con amministrazione autonoma, separazione che viene riconosciuta definitivamente con sentenza del 19 agosto 1463 dei rettori veneti per una vertenza tra il Territorio e le Valli Trompia e Sabbia. L'autonomia ridonda a vantaggio delle comunità singole per cui nel 1471 i rappresentanti della comunità di Lumezzane stipulano con gli Avogadro una transazione per la quale i lumezzanesi eleggono un giudice con poteri nelle controversie sino alla somma di 50 lire planet. Nello stesso tempo, in ragione sempre di tale autonomia, la Valle è un grado, nel 1483, in occasione della guerra di Ferrara, di stringere con le Valli Camonica, di Scalve e Sabbia un patto di mutua assistenza per premunirsi da attacchi o invasioni degli eserciti in campo. Patto che viene riconfermato il 3 settembre 1485.


A tanti trambusti di guerre si aggiungono ripetute calamità naturali come le inondazioni in tutta la valle del 15 dicembre 1467, del 25 maggio 1474, del 4 aprile 1475, dell'aprile-maggio 1482, del 26 novembre 1491, del maggio 1496, della primavera 1497. Queste calamità sono accompagnate da ricorrenti epidemie, due delle quali particolarmente funeste: l'una diffusasi nel 1478 è detta del "mazzucco", l'altra - che imperversa nel 1484 - è detta del "mal de perusia".


Nonostante tutto ciò, in Valle fioriscono, oltre alle numerose chiese, esempi di architettura civile di grande importanza quali il palazzo Avogadro a Zanano, assai vario nelle sue strutture e nei motivi decorativi in gran parte conservati, la celebre casa Trivellini a Brozzo (1482), casa Montini a Cagnaghe di Sarezzo, casa Boventi a Polaveno. A Noboli, a fianco della chiesa, sono - resti notevoli - arcate su pilastri e colonne del principio del '400, forse pertinenti all'antico piccolo monastero ivi esistente. Anche se gli esempi di "Rinascimento puro" si limitano, secondo il Panazza, al palazzo Foresti di Brozzo e alla casa Gnutti di Lumezzane, non è difficile avvertire un risveglio economico-sociale di rilievo, che trova riscontro nei roccoli dei quali è rimasta una testimonianza a Lumezzane.


Tutto ciò è dovuto anche, e forse soprattutto, allo sviluppo della lavorazione del ferro, che in questi anni viene di continuo incentivata. Dopo decenni, specie dalla fine del '400 agli inizi del '500, di intensa attività la Valle, come il Bresciano, viene di nuovo coinvolta nella guerra tra Spagna, Francia e Impero (1509-1516). I Valtrumplini sono, come sempre, accanto a Venezia e, fin dal profilarsi delle ostilità, 300 uomini sono inviati per la difesa della Repubblica mentre il re di Francia, per accaparrarsi l'appoggio della Valtrompia, le riconosce con decreto del 20 luglio 1509 i precedenti privilegi che il 20 settembre il «generale delle armi di Francia allarga all'esenzione dall'obbligo di dare alloggio alle genti d'arme se non in casi di grave urgenza. Ancor più, quando il Territorio chiede che anche le Valli siano chiamate a sostenere una quota parte per le spese di guerra», il governatore di Brescia, il card. Carretto, con rescritto del 4 giugno 1510, riconferma l'esenzione dall'ospitare armati e il 20 luglio ribadisce l'esenzione dalla quota di guerra e dichiara la valle «privilegiata».


Queste concessioni sono controbilanciate con la soppressione dell'autonomia della Valle. Il sindaco generale della Comunità viene infatti sostituito con un commissario o podestà scelto in Prospero Colli con residenza a Gardone, mentre i Valtrumplini continuano a guardare a Venezia. Molti giovani sconfinano per arruolarsi nell'esercito veneto e i fenomeno della protesta antifrancese assume tali proporzioni che il podestà di Valle pubblica addirittura un proclama che vieta alla gente di inneggiare a Venezia attraverso il grido: «Marco! Marco!». Nonostante le dure proibizioni e repressioni, il numero dei disertori che si concentrano a Castiglione delle Stiviere è tale che Giovanni Girolamo Negroboni riesce a mettere assieme un contingente armato con il quale il 13 giugno 1510 assedia il castello di Muscoline, ne chiede la resa annunciando perentoriamente che egli «ha schiopeter di Valtrompia et pertanto si risponda quel che si vuole», ma ci si arrenda. Ed è ciò che avviene.


Più decisa ancora è la rivolta antifrancese del gennaio 1512, quando molti Valtrumplini aderiscono alla congiura guidata da Luigi Avogadro e, condotti da Girolamo Negroboni di Bovegno, scendono a Cogozzo e si riuniscono ad altre forze ribelli, che il 3 febbraio investono la città, la occupano, costringendo il presidio francese a ritirarsi in castello. Mentre si canta vittoria il comandante in capo francese, Gastone di Foix, rientra fulmineamente dalla Romagna, aggira con le truppe Brescia, invano contrastato sui Ronchi dai Valtrumplini del Negroboni, che muore sul campo con centinaia dei suoi uomini. Il Foix riesce a salire in castello per la via del Soccorso e il giorno seguente (19 febbraio) invade e fa mettere a sacco Brescia. Luigi Avogadro, fatto prigioniero, è ucciso e le sue membra, squartate, sono affisse alle porte cittadine. Il capovolgimento delle alleanze delle potenze in guerra porta nello stesso anno alla liberazione dalla dominazione francese. La Valtrompia, come la Valsabbia, il 26 maggio 1517 aderisce alla rivolta antifrancese con a capo Cesare Avogadro. Il podestà francese di Gardone, Prospero Colli, viene ucciso insieme al podestà di Vestone Carretto e ad altri filo-francesi che nella Valle hanno trovato rifugio. La valle viene liberata, salvo ricadere poi sotto il dominio degli spagnoli. Nel gennaio 1516 gli imperiali si scatenano di nuovo sulla Valtrompia con ruberie e gravi danni.


Ristabilitasi nel 1516 la dominazione veneta, la Valle si mobilita per contenere le calate dell'esercito imperiale, rafforzando nel 1523 le difese del Maniva e arruolandovi nel 1526 milizie al comando di Gian Antonio Negroboni per affrontare la marcia dei Lanzichenecchi verso Roma, nonostante i privilegi concessi in precedenza. L'altalenarsi di privilegi e di imposizioni di tasse o balzelli continua poi a lungo. In effetti i privilegi sono controbilanciati da prestazioni alla Repubblica di cernide, cioè di truppe ordinarie, il cui mantenimento grava sul bilancio delle amministrazioni locali, su offerte alla Repubblica di uomini, di ferro per le guerre che conduce in Oriente. Particolarmente significativa la partecipazione della Valle alla guerra di Cipro (1570) e alla vittoria di Lepanto (1571).


Scomparse le guerre verso la metà del sec. XVI, la Valle accentua su sempre più larga scala lo sviluppo economico e sociale. Soprattutto la lavorazione del ferro e la produzione delle armi assorbono sempre più attività di paesi e famiglie. Sul commercio delle canne Venezia pone una sua ipoteca, nel 1537, proibendone l'esportazione senza specifica licenza. Specialmente nella seconda metà del secolo, sorgono, un po' dovunque, fucine grosse e piccole: si sviluppano forni fusori a Bovegno, Tavernole, Gardone. Già nel 1526 si accenna alla presenza, in Gardone, di un armaiolo di nome Beretta, ma anche ai Rampinelli, ai Ferraglio. Nel 1588 il Senato veneto istituisce a Brescia «un fontico di canne eretto [...] a beneficio della maestranza di Gardon». Le preesistenti 13 fucine grosse e 40 piccole di Gardone sono già colpite da una crisi di mercato. Nel 1609 gli armaioli di Gardone si costituiscono in "fraglia" (corporazione) per difendere la loro produzione.


La Valle registra anche un notevole progresso culturale, come dimostrano i numerosi notai ed insegnanti ed il propagarsi di scuole. A Collio nel 1502 funziona la tipografia di Maffeo Fracassini (Fracazini) che stampa il "Doctrinale" di Alexander de Villadei e l'anno dopo una bella edizione del "Pontificale romano". Usa caratteri di gusto gotico-tedesco. La tipografia sarà continuata da Jacopo e Gabriele Fracassini. Fermenti culturali si allargano poi al piano religioso: Collio e Gardone soprattutto diventano centri di propaganda protestante. Inoltre, come afferma Gaetano Panazza ("Antologia Gardonese", pp. 23-24), «non vi è paese che non abbia o ricostruito o iniziato ex novo una chiesa o un campanile» e nel quale non si sviluppi una sia pur modesta edilizia abitativa, anche se sono «modeste per numero e importanza le costruzioni civili» fra le quali il Panazza stesso elenca: «il palazzo Chinelli, oggi sede comunale di Gardone, dalle nobili forme sei-settecentesche, la torre seicentesca degli Avogadro a Lumezzane, il palazzo Carini a Cogozzo, la casa Bailo col bel salone affrescato a Sarezzo e qualche minore edificio ornato da eleganti balconcini in ferro battuto o dai portali di grigio calcare o di rossa arenaria o di bianco botticino».


La Comunità di Valle non solo funziona, ma rivendica sempre più spazio di autonomia. Accusati di volerla «fare a Regia» a metà del sec. XVI i Valtrumplini cercano di sottrarsi ai tribunali civili di Brescia eleggendo propri vicari che in Tavernole rendono giustizia ai compaesani nelle loro vertenze ed assegnando le cause in primo appello ad un comitato di "confidenti" ed in secondo al Consiglio Generale della Valle. Le proteste della città muovono il governo centrale ad intervenire contro l'usurpazione e ne nasce un'annosissima vertenza che Venezia tenta più volte di chiudere con sentenze di compromesso, le quali al solito scontentano tutti.


Lo sviluppo economico e particolarmente la lavorazione del ferro hanno raggiunto tale rinomanza che, sembra nel 1508, forse con una visita "in loco", Leonardo traccia schizzi planimetrici ricchi di toponimi della Valle e descrive un mantice idraulico che si usa «a Bressia alla miniera del ferro» che studiosi riferiscono alla Valtrompia. Nel 1576 poi vengono ristampati con alcune modifiche gli statuti del 1436 che avranno poi una nuova ristampa nel 1764. Negli anni che seguono vengono definiti i confini di paesi e di proprietà.


Nel 1681 viene risolta una questione di confini tra i comuni di Collio e di Bagolino. Quando, nel 1670, muore la contessa Emilia Avogadro, l'ultima della famiglia, nulla può più fare la Comunità per riscattare il feudo di Lumezzane, che viene messo all'asta e assegnato agli Avogadro di Venezia.


Tutto ciò avviene nonostante i disastri naturali che si ripetono in continuità: basta accennarne alcuni, tra i quali le alluvioni del 1503 e del 1507. Nel solo anno 1527 si registrano due terremoti, la carestia e, l' 1 maggio, una tremenda alluvione che travolge case, officine, distrugge il ponte di Pregno, invade particolarmente Brozzo. Nel 1532 e a fine ottobre 1536 si ripete l'alluvione; nel 1555 un improvviso incendio distrugge, a Tizio di Collio, 250 abitazioni. Alluvioni poi si ripetono nel 1567 (a Bovegno), nel 1619 a Collio, dove il 23 marzo un incendio distrugge o danneggia gran parte delle case e la stessa chiesa parrocchiale. Alluvioni ancora si registrano a Collio (1633), in tutta la Valle nel 1666 e nel 1667, ancora a Collio nel 1675, nella Valle nel 1676, il 9 luglio 1679 e via via nel 1725, 1738, 1757 (30-31 agosto), 1772 (settembre-ottobre).


Ai disastri della natura si accompagnano le epidemie e specialmente la peste che ha le sue manifestazioni più devastanti in quella detta di S. Carlo del 1576-1577 e, ancor più, in quella del 1629-1631. Senza fine sono le carestie, da quelle dette della gran fame degli anni 1512-1516 alle altre che si susseguono nel 1523-1527, 1531-1533, 1540, 1546, 1548, 1559-1560, ecc.


Assieme a tutte queste sventure grava il declino di Venezia. Dapprima sicura sui mari e in Terraferma, la Serenissima entra già nel '600 nella spira di una crisi economica e anche morale, che si manifesta inarrestabile e che si riverbera soprattutto alla periferia dei suoi domini, attraverso tassazioni sempre più pesanti, laccioli sempre più stretti all'industria armiera e decadenza amministrativa. Fin dal 1591 si verifica una decisa reazione allo stato delle cose. Il 16 agosto 1591 il Senato veneto scrive ai Rettori di Brescia per invitarli a reprimere la «temeraria rissolutione di quei principali di Valtrompia, di mettere insieme gente armata per haver per forza ad ogni prezzo formento et levar da carri quelli che venivan condotti in Città». La situazione, anziché migliorare, va sempre più deteriorandosi. Nel 1636, nella sua relazione al doge, il capitano Francesco Corner si sente di dover scrivere: «Esso territorio et le Valli Trompia e Sabbia sono veramente aggravate da tanti debiti et in maniera soprafatte, che havendomi io internato nelle case loro con occasione delle visite fattesi anco repplicate, posso con verità dir alla Serenità Vostra d'esser quei luochi in stato deplorabile et se non vi viene rimediato sono per sicuramente rendersi impotenti affatto sotto a qualsiasi peso».


L'indole fiera, il duro lavoro inceppato da proibizioni e divieti, le difficoltà che la politica veneta va sempre più incontrando, rivelano un'incidenza sul tessuto sociale nelle più diverse forme e specialmente nel banditismo. Il fenomeno si rivela particolarmente acuto a partire dai primi anni del '600. Nel 1611 l'armaiolo Gerolamo Bergomi detto Feraglio, di Gardone, con altri tre suoi accoliti, è bandito dalla Repubblica veneta per gravi delitti. Sarà di nuovo bandito nel gennaio 1617 con due suoi figli e verrà ucciso nel 1628 in uno scontro contro la banda Rampinelli di Gardone. Le due bande imperverseranno con le loro malefatte fino al 1647 nella Valtrompia, in Valsabbia, in Franciacorta, finché saranno amnistiate quando entrambe entreranno nell'esercito veneto come compagnie Feraglia e Rampinella. A volte però la giustizia veneta è impietosa come quando, nel 1626, sei disertori dell'esercito veneto vengono condannati a Marcheno a tirar ai dadi sotto la forca: chi fa meno punti deve morire, gli altri saranno liberati. Tuttavia la durezza della "giustizia" non serve a cancellare la violenza. Nel 1641, anzi, con la morte di quattro persone, a causa di una sparatoria nel centro di Gardone, ha inizio un'altra serie di vendette tra le famiglie Chinelli e Cominazzi. Pochi anni dopo, nel 1645, ricompaiono le bande dei Ferraglio e dei Rampinelli che, rimpatriati dalle autorità, rinfocolano, come scrive il podestà veneto Bernardino Ranier, «capitali discordie» con omicidi «quotidiani e disordini gravissimi». Contrasti, con conseguenti omicidi, tra Gardone di sopra e Gardone di sotto termineranno con la scomparsa dei capi delle due fazioni Lazzarino Cominazzi e Pietro Calliani catturati e giustiziati, il primo nel 1696, il secondo nel 1697.


Non mancano momenti di respiro specialmente quando, finita la guerra di Candia (1670), Venezia rallenta la pressione fiscale e la Valle dispone nel 1692 un forte contributo spontaneo per la guerra contro i turchi in Grecia. Ma non passano alcuni anni che nuovi venti di guerra si abbattono dal 1701 al 1705 sul Bresciano e sulla Valle con le guerre per la successione spagnola e susseguenti invasioni di eserciti imperiali francesi. Fin dall'8 settembre 1701 il Consiglio generale, oltre che indire una processione al santuario di Bovegno, decreta il salario giornaliero di una lira agli uomini inviati alla Forcella di Gussago per avvertire le mosse dei belligeranti e inoltre stanzia 1200 berlingotti per aiutare la comunità di Bagolino, che è occupata fin dal giugno precedente. Le imposizioni dei belligeranti si fanno poi più severe e prepotenti nel 1703 allorché si intima ai comuni di consegnare a Nave quanto gli imperiali chiedono di viveri. Ma quando, nel dicembre 1704, si annunciano incursioni degli imperiali che intendono chiedere foraggi e alloggi, i Valtrumplini si mobilitano per bloccare la Valle e scavano a Concesio un trincerone munito di artiglierie.


Finiti i pericoli di guerra, si aggravano sempre più i segni di una crisi galoppante, specie nell'industria del ferro. Mentre i maestri ferradori della Valle e specialmente di Gardone, Sarezzo e Marcheno cercano di difendersi unendosi al paratico degli archibugieri di Brescia, si chiudono le officine specialmente delle "canne da schioppo" e, come scrive al Senato veneto nel 1730 il capitano di Brescia Pietro Vendramin, si verifica «una povertà estrema mancandogli (agli operai) fino al giornaliero alimento». A rendere più grave la situazione si susseguono nell'ottobre 1738, nell'ottobre 1748 e nel 1757 gravi inondazioni. Carestia e mancanza di lavoro scatenano in pochi anni violente reazioni. Il successo ottenuto dai Valsabbini nel saccheggio del mercato di Desenzano del 1 marzo 1764 incoraggia i Valtrumplini a fare altrettanto. Il 19 marzo, festa di S. Giuseppe, trecento e più Valtrumplini armati «con allori sul capello scendono a Brescia, presidiano porta Pile per assicurarsi la ritirata, occupano il Broletto e, con grande spavento della città, ottengono una grossa provvista di generi alimentari». Durissima è però la repressione dell'autorità veneta. Come scrive in una sua cronaca don Girolamo Dionisi, «un tale delitto fu tosto assunto il processo del Principe, e non andò molti mesi che si videro nella pubblica piazza di Brescia appesi alla forca molti di questi audaci che appena colti, erano in prigione straziati, d'indi a pubblico esempio esposti, e questi in più volte nello spazio di un anno circa, e molti altri con bando capitale dello stato perpetuamente esclusi». La dura repressione non riesce a disarmare gli animi esasperati dalla miseria e dalla fame. Ripresentatasi nel 1775 la carestia dovuta a siccità e inondazioni, molti Valtrumplini si riversano «a truppe» nei paesi e nei mercati della pianura dove fanno man bassa di merci e vettovaglie, costringendo la città e i paesi a mettere guardie sul castello e sui campanili, per avvistare gli incursori. La situazione, del resto, è tanto grave che le autorità locali sono costrette a inviare a Venezia gli appelli più allarmati che si ripetono negli anni seguenti tanto da far scrivere al capitano veneto Giovanni Grassi di essergli stato di «gravissima commozione, fra tanti sciagurati, il sciamo degli artefici di Gardone e della Lumezzane ... senza alcuna commossione, piangenti e supplichevoli onde averla», «sprovveduti affatto di denaro» e «esaniniti dalla fame». Situazione che, nonostante alcuni provvedimenti presi dallo stesso Vendramin, continua negli anni seguenti e provoca ancora nel 1793 a Lumezzane Pieve, al suono delle campane a martello, una vera rivolta.




EPOCA NAPOLEONICA. Eppure tante sventure e crisi così pesanti non cancellano, al momento della prova, l'attaccamento della Valtrompia e della Valsabbia a Venezia. Data la situazione economico-sociale, la nascita della Repubblica bresciana giacobina (17 marzo 1797) non tocca più di tanto la valle. Quando il Governo Provvisorio invia il 20 marzo a Gardone due «municipalisti», Giuseppe Beccalossi e Giambattista Bordogni, questi vengono accolti il 21 marzo a Tavernole dal Consiglio con favore e dal sindaco di Valle, Giacomo Morandi di Lodrino. L'assemblea di Valle riconosce la legittimità del nuovo governo e tutti si mettono la coccarda e innalzano la bandiera tricolore. Viene cantato il Te Deum ed imbandito un pranzo patriottico. Sennonché, quando gli abitanti dell'alta Valle (sopra Tavernole) si ribellano alle decisioni prese, impongono di riconfermare il sostegno a Venezia, trascinando dalla propria parte lo stesso sindaco Morandi. La vittoria dei Valsabbini sui giacobini del 27 marzo, nei pressi di Salò, spinge i Valtrumplini a riunirsi in un consiglio che in pratica si dichiara contro il Governo Provvisorio. L'assemblea respinge ogni mediazione e mobilita una specie di esercito valligiano al comando di Pietro Paolo Moretti. L'esercito, animato da don Antonio Ussoli, è inviato in presidio a Carcina per impedire un'invasione della Valle in attesa di truppe, richieste a Venezia, di filoveneti camuni che però non arrivano mai. Viene predisposto anche un sistema di difesa con due cannoni di proprietà Bailo e con colubrine. Ma basta il 9 aprile un battaglione di francesi a rompere le difese di Carcina, a respingere i Valtrumplini che si trincerano a Marcheno, mentre i francesi raggiungono Gardone. Il 26, dall'alta Valle si muovono centinaia di valligiani armati che s'incontrano a Brozzo, con le truppe valsabbine e una banda di Tirolesi che, venuti il giorno prima da Vestone, hanno pernottato a Lodrino marciando poi su Gardone. Sennonché a Inzino si scontrano con le truppe francesi e bresciane ingaggiando un combattimento che dura per ben quattro ore, ma che costringe i francesi e i fautori della Repubblica bresciana a ripiegare. La sera del 27 aprile le truppe valligiane entrano in Gardone e, per castigare la cittadina per aver accolto i francesi fino al 26 aprile, sottopongono ogni casa al più insensato saccheggio. Nella sicurezza di aver piegato il nemico, i Valtrumplini e i Tirolesi si accampano a Brozzo e i Valsabbini a Lodrino. Ma il 28 le sentinelle avvistano una nuova poderosa spedizione franco-bresciana in marcia su Gardone. Si scatena un nuovo scontro con alterna fortuna, ma che finisce con la ritirata della spedizione, che viene di nuovo attaccata a Zanano. Dopo un nuovo scontro, le truppe degli insorgenti, tagliato il ponte sul Mella, retrocedono fino a Brozzo. Dopo che Valsabbini e Tirolesi abbandonano, tra il 28 e il 29 aprile, la Valtrompia, francesi e bresciani, rinforzati da nuove truppe, il 30 puntano su Brozzo e ingaggiano un ennesimo combattimento nel quale hanno di nuovo la peggio. Ritornano tuttavia all'attacco il giorno seguente con due cannoni e occupano posizioni sul monte Scarpina dal quale possono sparare dall'alto sui Valtrumplini costringendoli alla fuga. Entrano in Brozzo e, a colpi di cannone, snidano gli ultimi rimasti a difesa, saccheggiano il paese, incendiano 24 case, compresa quella del sindaco di Valle a Marcheno, fucilano i due soli uomini rimasti, maltrattano le donne, poi, mentre i Valsabbini rimasti a Lodrino si appostano sulle alture sul monte Corvera per contrattaccare, si ritirano a Gardone.


Finalmente, per porre fine ai continui combattimenti, il Governo Provvisorio di Brescia decide la soluzione finale. Due forti colonne di francesi e bresciani si muovono una da Iseo per la Colma di S. Zeno sopra Pezzaze e poi su Bovegno, l'altra lungo la strada della Valle mentre i Valtrumplini si trincerano a Tavernole e a Lavone. Ma quando si accorgono di essere presto presi fra due fuochi, convinti, come scrive Pietro Riccobelli nelle sue "Memorie storiche", «che un sorcio non dovea più oltre lottar col gatto, e perciò, mossi anche dalle assicurazioni di probe persone appositamente dal governo bresciano spedite, tutti se ne tornarono alle loro case, deposero le armi, ed aderirono ai voleri del nuovo governo. Vennero subito somministrate le occorenti vettovaglie alla truppa, di nemica or fatta amica. Essa tenne pacificamente le occupate posizioni: e allorché vide sventolare dall'alto de' campanili la bandiera tricolorata, piantato il così detto albero della libertà nelle piazze de' paesi, col berretto rosso in sull'antenna, simbolo repubblicano, distrutto ovunque lo stemma del veneto leone, ed appuntata al capello la tricolore coccarda, partì vittoriosa e contenta dalla Valtrompia, cui lasciò tranquilla, e che tale si mantenne; portandosi in seguito scelti abitanti ed i reggenti comunali a fraternizzare col governo».


Dura però è la vendetta: don Ussoli, acceso animatore della resistenza, viene fucilato a Brescia; il 31 luglio viene emessa la sentenza di condanna a morte qualora fossero catturati e comunque la condanna al bando e alla confisca dei beni dei fuoriusciti controrivoluzionari valtrumplini: figurano 7 abitanti di Bovegno, 5 di Collio, 1 di Lodrino, 1 di Marmentino e 1 di Gardone. Con l'1 maggio 1797 la Valtrompia è compresa con altre zone (Franciacorta, Valsabbia ecc.) nel Cantone del Mella, ma, dichiarata nell'autunno la Repubblica Cisalpina, la Valtrompia costituisce il distretto di Gardone Val Trompia nell'ambito del Dipartimento del Mella che ha come capoluogo Brescia. Giurisdizione che dura pochi mesi, dato che nella primavera del 1799 i francesi, sconfitti dagli austro-russi, si ritirano lasciando libero il campo. Gli occupanti ripristinano la struttura amministrativa veneta. Con loro spadroneggiano i fuoriusciti e i filoveneti.


L'occupazione austro-russa dura un anno e nel dicembre 1800 e nel gennaio 1801 la Valle vede transitare 18 mila soldati francesi diretti a Trento. Sotto la Repubblica Italiana (1802) e il Regno d'Italia (1805) riprende fiato la produzione armiera valtrumplina impegnata fino al 1814 a produrre 70 mila fucili l'anno. Negli stessi anni Lumezzane si lancia in nuove produzioni. I Polotti, infatti, iniziano in grande una produzione di coltellerie. Il riassetto amministrativo registra la costituzione in Valtrompia di due distretti con sede a Bovegno e a Gardone. Il primo comprende i comuni di Bovegno con Magno, Cesovo con Brozzo, Cimmo, Collio, Irma, Lodrino, Marmentino, Pezzaze e Pezzoro; il secondo comprende i comuni di Brione, Carcina, Gardone, Inzino con Magno, Lumezzane S. Apollonio, Lumezzane Pieve, Marcheno, Polaveno, Sarezzo e Villa. Fra le realizzazioni del Regno d'Italia vi è la sistemazione della strada di fondo valle. Nel 1808 Bovegno è raggiunto per la prima volta da una carrozza.




DOMINIO AUSTRIACO. Mentre tramonta l'astro di Napoleone dopo la disfatta di Russia, la Valtrompia con le altre Valli è, dal 1813, sempre più in balìa di incursioni di banditi e disertori e di truppe austriache sconfinanti dal Trentino. Nel 1813 una colonna austriaca proveniente dal Trentino scende fino a Gardone nel novembre e fa un'incursione fino al Borgo Pile di Brescia. Truppe austriache, nel febbraio 1814 scese dal Maniva, occupano Lodrino, sbaragliano a Lavone due compagnie italiane e ingaggiano scontri con presidi italiani e francesi della zona. Liberata dalle truppe del viceré Eugenio sulla fine dell'aprile 1814, la Valle viene occupata da truppe austriache, accolte con favore da gran parte della popolazione.


Alla caduta di Napoleone e del Regno d'Italia la Valle si trova nelle strette di una carestia, di una decisa decadenza dell'industria, specie delle armi, e del diffondersi di un'epidemia che miete migliaia di vittime. L'imperatore Francesco I in visita, nel marzo 1816, alla fabbrica di armi di Gardone Val Trompia, commissiona 500 fucili al mese ed esenta per qualche tempo dal servizio militare gli armaioli addetti a tali lavori.


Nel riassetto amministrativo introdotto dall'Austria nell'aprile 1816, la Valtrompia viene divisa in due distretti. Quello di Gardone comprende i comuni di Gardone, Lumezzane Pieve, Lumezzane S. Apollonio, Carcina, Sarezzo, Villa Cogozzo, Marcheno, Brozzo e Lodrino, quello di Bovegno comprende i comuni di Bovegno, Magno, Irma, Marmentino, Cimmo, Pezzaze, Pezzoro e Collio. Il governo austriaco incontra presto molte simpatie per lo scrupoloso ordine burocratico, la ristrutturazione e diffusione della scuola, l'abolizione, che si rivela però temporanea, della coscrizione obbligatoria, lo sviluppo di opere pubbliche specialmente stradali. Vengono costruite le strade di Bagolino, di Brozzo-Casto (1822), di Nave-Barghe (1825), ecc. Sotto il dominio austriaco, mentre entra in crisi la lavorazione del ferro, date le preferenze dell'Austria per le miniere e le fucine della Stiria, viene rivalutata l'istruzione specie elementare e la cura amministrativa. Nel 1836, però, si verifica la prima grave epidemia di colera che fa molte vittime, specie a Sarezzo, cui seguono quelle del 1855 e del 1867.


Nel frattempo, come avviene un po' dovunque e specialmente in città e nelle altre Valli, va maturando una coscienza nazionale che fa proseliti già nel 1821, ma che si ripresenta nel 1833 con la Giovane Italia di Mazzini che trova seguaci come Giovanni Piardi, Giuseppe Zola e altri. Giovanni Piardi, di Pezzaze, studente in medicina, viene arrestato a Milano per appartenenza alla «setta mazziniana» e condannato a morte nel 1835 con Gabriele Rosa; la pena è però tramutata in un anno di carcere duro.


Quando il 18 marzo 1848 si instaura il Governo Provvisorio, i distretti di Gardone e di Bovegno sono i primi, con quelli di Chiari e Rovato, a mettersi a sua disposizione. Numerosi volontari valtrumplini entrano nei battaglioni che nell'aprile 1848 si avventurano nel Trentino, raggiungendo Arco da dove sono però respinti dagli austriaci. Sconfitto, nel luglio, l'esercito piemontese a Custoza, fermenti di indipendenza e di avversione all'Austria continuano a vivere anche in Valtrompia. Fin dal novembre 1849 il comitato clandestino insurrezionale costituisce a Lodrino una base per l'espatrio in Svizzera di renitenti alla leva e di disertori dell'esercito austriaco. Sono impegnati in questa attività il dott. Agostino Arici, don Bortolo Tosini di Lodrino, don Francesco Beretta di Gardone Val Trompia. Quando il 23 marzo 1849 Brescia insorge, sono molti i Valtrumplini che scendono in città per dar man forte agli insorti. Il 25 marzo, terza giornata della Decade, centinaia di Valtrumplini calano in città già armati e pronti al combattimento.


Il sentimento nazionale, sempre più diffuso, si tramuta in quello di solidarietà dopo altre alluvioni del 1823 e del 1830. Nella notte tra il 14 e il 15 agosto 1850 un violento nubifragio provoca sulla Valle una terribile alluvione del Mella che colpisce, particolarmente, Tavernole, Marcheno, Inzino, Gardone (dove travolge quattordici fucine), allagando la bassa Valle e provocando crolli di case, sconvolgendo i terreni, distruggendo colture e provocando numerose vittime. All'alluvione si aggiunge nel 1855 la decisione del governo austriaco di chiudere tutte le fucine produttrici di armi, mentre nel 1856 Collio e altre località sono in balia di disertori dell'esercito austriaco. La situazione è tale che all'Esposizione bresciana del 1857, su un totale di 206 espositori se ne contano solo 3 di Gardone, 1 di Lumezzane ed 1 di Inzino.




EPOCA CONTEMPORANEA. Il crollo del dominio austriaco si verifica il 4 giugno 1859 con la sconfitta a Magenta dell'esercito austriaco da parte di quello franco-piemontese. E subito i distretti di Bovegno e di Gardone sono i primi, con quelli di Iseo e di Adria, a dichiararsi in rivolta manifesta contro l'Austria.


Nel nuovo ordinamento amministrativo del Regno d'Italia la Valle entra a far parte del circondario di Brescia, diviso nel mandamento di Gardone che comprende i comuni di Gardone, Carcina, Villa Cogozzo, Sarezzo, Lumezzane Pieve, Lumezzane S. Apollonio, Marcheno, Brozzo e Lodrino e nel mandamento di Bovegno comprendente i comuni di Bovegno, Cimmo, Pezzoro, Pezzaze, Marmentino, Irma e Collio. L'unità nazionale segna il rilancio economico e sociale della Valle. Nel 1859 Francesco Glisenti attiva la sua fabbrica d'armi da fuoco e proiettili a Carcina. Si installa la ditta Gnutti a Lumezzane Pieve che produce sciabole, baionette e coltellerie. Nel 1860 il governo italiano istituisce a Brescia e a Gardone un arsenale che impiega 235 operai nelle due sedi e che diventerà la quarta Regia Fabbrica d'Armi del Regno. Nel 1867 ancora una volta il Glisenti attiva a Villa Carcina una fonderia utilizzando per la prima volta in Italia i forni Martin.


Fin dalle prime elezioni politiche e amministrative la Valle diventa feudo di Giuseppe Zanardelli che ottiene il sostegno dei nuovi industriali, degli artigiani e di buona parte dello stesso clero che canta, nonostante le proibizioni vescovili, il Te Deum nella festa dello Statuto e firma appelli per Roma all'Italia. Gli fanno da spalla dei fedelissimi quali i Glisenti, i Quistini, i Bagozzi, ecc.


Sotto la spinta repubblicana, mazziniana e liberale e su esempi stranieri sorgono anche in Valtrompia le prime forme associative, quali la Società di tiro a segno, assieme alla quale hanno un loro particolare sviluppo le associazioni raggruppanti lavoratori e gli stessi imprenditori miranti al mutuo soccorso in caso di malattia, infortunio, disoccupazione. L'esempio di Gardone, dove nel 1860 viene fondata la Società di Mutuo soccorso, viene imitato da Bovegno (nel 1874), da Nave-Caino (1882). Fin dal 1877 si sviluppa a Gardone una Scuola di disegno per artigiani. Alle associazioni per lo più laiche rispondono quelle di impronta cattolica promosse da sacerdoti o laici, quali la Società Cattolica di mutuo soccorso di Valtrompia fondata nel 1884 a Marcheno dal parroco don Angelo Saleri con diramazioni a Inzino, Cimmo, Magno, Lumezzane S. Apollonio.


Nonostante le resistenze frapposte da organizzazioni tradizionali del lavoro di impostazione familiare, fin dai primi anni dell'unità nazionale si profila un processo di industrializzazione che vede nell'Arsenale di Gardone, nelle fabbriche Glisenti di Carcina (1859) e di Villa Cogozzo (1867), Redaelli di Gardone (1886), Gnutti di Lumezzane, Beretta di Gardone, i capofila. Ad essi si affiancano poi i complessi industriali tessili: lo stabilimento di filatura di cotone Federico Mylius a Cogozzo (1889), la filatura di cascami Coduri di Ponte Zanano.


Alla decisa spinta industriale risponde un sempre più organizzato movimento sindacale che, oltrepassando le finalità assistenziali delle società di mutuo soccorso, organizza rivendicazioni di orari, contratti di lavoro, ecc. attraverso le leghe operaie fra le quali quella dei "Lavoranti in ferro" di Gardone e del suo mandamento aderente al Consolato operaio prima (1881), alla Camera del lavoro poi (1892). Tra il 1900 e il 1901 incomincia l'organizzazione di leghe tra metallurgici, filatrici, muratori a Gardone, tra fabbri ad Inzino e tra metallurgici a Carcina. Allo sviluppo industriale si accompagna presto quello economico-sociale. Il 18 febbraio 1881 si apre la tramvia Brescia-Gardone che l'1 aprile 1910 verrà prolungata a Tavernole. Nel 1882 i danni di una nuova alluvione, che colpisce particolarmente Collio e Villa Carcina, vengono subito riparati e il crollato ponte di Pregno subito ricostruito. Nel 1891 arriva a Gardone l'energia elettrica con il prolungamento a Collio nel 1895. Sulla vita politica e sociale della Valle predominano gli zanardelliani che, tuttavia, già negli anni '80 devono confrontarsi con la crescita di una sinistra repubblicano-democratica che si cimenta nelle elezioni politiche e si raggruppa nel 1882 intorno alla Società di Mutuo Soccorso lavoranti del ferro; nel 1883 nasce la società dei reduci delle Patrie Battaglie, cui si affiancano presto la "Società Archimede" di Carcina e la Società lavoranti del ferro di Villa.


Anche l'agricoltura e l'allevamento danno segni di risveglio con l'attivazione a Bovegno, nel 1888, della prima latteria sociale alpina italiana. Non mancano segni di sviluppo turistico a Bovegno e a Collio dove, nel 1895, viene inaugurato un albergo per cure climatiche, al quale se ne accompagnerà un altro a Gardone nel 1903. Nel 1899, per iniziativa di don Giovanni Bonomini, si inaugura l'Osservatorio meteorologico di Memmo di Collio. Un riconoscimento di rilievo al progresso della Valle è la visita del 23 agosto 1891 di re Umberto I con soste a Carcina per visitare lo stabilimento Glisenti e a Gardone, dove il sovrano dedica un'ora alla Fabbrica d'armi e con brevi soste a Villa, Cogozzo, Sarezzo e Zanano.


Alla metà degli anni '90 si avvertono nelle fabbriche le prime voci di socialisti che nel 1897 costituiscono la prima lega di resistenza fra gli operai metallurgici della Redaelli, mentre incominciano ad affermarsi nelle elezioni amministrative del 1901 a Gardone e in quelle politiche del 1904 puntando soprattutto sulle condizioni dei lavoratori nelle fabbriche. Gardone resta l'epicentro del movimento socialista che in Valle ottiene solo qualche successo a Ponte Zanano (dove crea nel 1904 la Cooperativa Emancipazione) e a Carcina. Da Gardone però, dal 1905, il movimento socialista si allarga alla Valle attraverso il Segretariato Lavoratori, la Casa del Popolo e altre strutture culturali.


Al diffondersi del socialismo risponde un sempre più forte movimento cattolico con l'Unione Triumplina fondata nel 1900, con l'Unione professionale di Gardone Val Trompia (1901), poi con l'Unione Cattolica del Lavoro, con una Lega operaia cattolica maschile ed una femminile, con ricreatori, biblioteche, ecc. La loro presenza si allarga a Lumezzane Pieve, a Concesio, Sarezzo, Zanano, S. Vigilio, Carcina, ecc. L'Unione partecipa e a volte capeggia scioperi, agitazioni sindacali, specie nel settore tessile. Nel contempo nascono casse rurali a Nave (1902), a Concesio (1905), ritrovi operai in vari centri, Cooperative di consumo, casse operaie di depositi e prestiti, la Società case popolari di Gardone, ecc. Sotto la spinta delle centrali sindacali si organizzano gli scioperi che si svolgono, a partire dal 1897, alla Glisenti di Carcina, nel 1900 alla Glisenti di Villa Cogozzo, nel 1901 a Gardone, Carcina, Lumezzane, Pone Zanano, nel 1902 a Gardone, nel 1903 a Ponte Zanano, Carcina, Gardone, ecc. Anche politicamente la Valle continua a offrire nuovi segni di vivacità originale. Al predominio zanardelliano, che continua oltre la morte dello statista, si contrappone, specialmente dai primi anni del '900, un forte movimento operaio socialista che ha i suoi capisaldi specialmente a Gardone dove si verifica nel 1904 il primo sciopero generale e i socialisti nel 1914 vincono le elezioni amministrative.


Alla fine di un intenso lavoro organizzativo da parte socialista e cattolica si delineano, nel 1909,1e aree di prevalenza che vedono primeggiare in campo sindacale i cattolici a Sarezzo, Lumezzane Pieve, Lumezzane S. Apollonio e i socialisti a Gardone e Villa Cogozzo. Il rafforzarsi del movimento cattolico provoca, dal 1907 al 1910, i socialisti all'alleanza alquanto sofferta con i liberali zanardelliani, alleanza che tuttavia non riesce a insidiare il crescente successo dei cattolici i quali, nelle elezioni provinciali del 1914, ottengono la maggioranza relativa in quasi tutti i comuni salvo maggioranze liberali a Villa Cogozzo, Carcina e Lumezzane Pieve, e quella dei socialisti a Gardone, fortemente contrastata dai cattolici.


La I guerra mondiale soltanto lambisce la Valle che pure si trova ai confini dello Stato che coincidono sin dal 1866 con quelli odierni della Regione Lombarda e più specificatamente la zona con i confini del Comune di Bagolino. In vista e durante il conflitto sul Maniva e sulle alture adiacenti vengono costruite caserme (fra le quali quella che diverrà poi il Rifugio Bonardi), al Pian delle Baste, ecc. Si definiscono meglio strade militari, quali quella che, dal Maniva, tagliando il Dosso Alto, conduce al Baremone e ad Anfo ancora oggi, detta «dei soldati», oltre a teleferiche, postazioni, ecc. Enorme è lo sviluppo dell'industria armiera che vede nascere nuove piccole imprese ed ingrandirsi altre, tanto da far scrivere enfaticamente, da responsabili degli armamenti, che la guerra fu vinta in Valtrompia e a Brescia. Diretti sono anche i riflessi politici del conflitto. Infatti nel luglio 1915 vengono arrestati, per propaganda antimilitarista, il sindaco Angelo Franzini e sette consiglieri comunali socialisti di Gardone e vengono sciolti i circoli socialisti di Gardone, Inzino, Zanano, Villa Cogozzo.


Il dopoguerra vede accendersi sempre di più la lotta sindacale e politica. L'occupazione delle fabbriche (settembre 1920) vede particolarmente attivi gli operai della Redaelli a Gardone e della Laminatoi metalli di Villa Cogozzo. Decisa è anche una nuova avanzata del socialismo, affiancato da piccoli gruppi anarchici libertari, cui si contrappone un rafforzamento del movimento cattolico che per la prima volta esprime una presenza partitica nel Partito Popolare Italiano che vede fin dal 1919 la nascita di sezioni a Marcheno, Inzino, S. Vigilio, Concesio, Carcina, Pezzoro, ecc. Il clima si fa incandescente e sfocia il 27 giugno 1920 nella violenza. A Sarezzo una manifestazione operaia indetta dai cattolici è funestata da uno scontro tra carabinieri e anarco-socialisti: vengono uccisi un carabiniere, quattro socialisti e ferite 15 persone.


Il fascismo trova in Valle i primi seguaci, nel 1920, tra le famiglie Bossini e Gnutti di Lumezzane. Queste prime "camicie nere" sono però iscritte al fascio cittadino. I fascisti si organizzano poi in squadre di azione operanti nei paesi vicini. A Gardone, invece, il fascio fa la sua comparsa ufficiale il 17 aprile 1921 con un comizio tenuto da Augusto Turati ed al quale partecipano gli squadristi di Brescia. Ma il nuovo movimento politico si impone solo più tardi. Il Vecchia nella sua "Storia del Fascismo bresciano" infatti scrive: «Ben pochi furono i primi fascisti, qualche umile operaio e qualche studente; venne subito formata un'unica squadra d'azione la cui attività si svolse non solo in Gardone, ma anche nei paesi limitrofi». Nel 1923 il fascismo mostra la sua vera faccia con le spedizioni punitive dirette contro le organizzazioni socialiste e cattoliche e con il rovesciamento, nel luglio, dell'amministrazione socialista di Gardone. In breve ha mano libera ovunque. Resistono solo alcuni focolai comunisti, mentre pagano la loro avversione al fascismo, con anni e mesi di carcere di confino, Umberto Tanghetti di Bovegno, Luigi Gatta e Luigi Bardelloni di Sarezzo, Antonio Fiorini di Zanano. A Sarezzo nel 1931 viene imprigionato e deferito al Tribunale speciale Oliviero Ortodossi che, aderente al movimento cattolico neoguelfo, ha stampato decine di migliaia di copie di un manifesto antifascista distribuito in tutta Italia. Padrone della situazione, il fascismo si accaparra tutte le amministrazioni comunali.


Nel 1926 vengono soppressi i Consigli comunali democratici e i sindaci sono sostituiti con i podestà; nel 1927-1928 viene imposta un'aggregazione di Comuni. Vengono uniti Lumezzane Pieve e Lumezzane S. Apollonio, i comuni di Villa Cogozzo e di Carcina si fondono in quello di Villa Carcina. Brozzo entra a far parte del comune di Marcheno. Il comune di Tavernole-Cimmo si aggrega i comuni di Marmentino e di Pezzoro e prende il nome di Tavernole del Mella. Irma entra a far parte del comune di Bovegno. Inzino e Magno entrano a far parte del comune di Gardone. Dopo la seconda guerra mondiale riprenderanno la loro autonomia i comuni di Irma e di Marmentino (1955).


Negli anni '30 viene rilanciato il progetto, presto accantonato, di una ferrovia Brescia-Gardone Val Trompia, Idro, Tione, Trento; viene, invece, finita la strada Barghe-Marmentino. Il fascismo, ormai, domina incontrastato la scena ed è soprattutto la nuova guerra mondiale che rivela un'avversione che va crescendo e che nel 1941 e 1942 si concretizza a Villa Carcina, a Bovezzo ecc. in aperte proteste per la distribuzione di generi alimentari di prima necessità. Le proteste si aggravano sempre più, ma sfociano nel giubilo generale del 25 luglio 1943 con la caduta del fascismo e nella resistenza all'occupazione tedesca e alla rinascita del fascismo dall'8 settembre in poi. La Valle è infatti subito coinvolta nella Resistenza. I gruppi che si formano sul Guglielmo, subito dopo l'8 settembre, non trovano altra soluzione per procurarsi armi che quella di compiere due incursioni alla "Beretta" (7 ottobre) e al "Consorzio di Tavernole" (27 ottobre). Ciò provoca il 9 novembre un rastrellamento che comporta la morte di quattro partigiani e il ferimento di undici. Non avendo la Valle importanza strategica, in quanto chiusa in se stessa, finisce con il servire di appoggio a formazioni partigiane specialmente camune. Tuttavia nell'alta Valle si formano gruppi organizzati. Come ha scritto Franco Nardini ("Atlante Valtrumplino", p. 89), «nell'Alta Valle si vennero formando gruppi partigiani che si fecero attivi nella primavera inoltrata a Collio (Fiamme Verdi della brigata Margheriti), a Bovegno (autonomi) e sopra Marcheno (autonomi e comunisti). Difficoltà organizzative e dissidi tra alcuni capi banda diedero allo sviluppo della resistenza valtrumplina aspetti contorti e tormentati e, a volte, anche ambigui. L'attacco alla caserma di Brozzo (29 giugno 1944), dove fu ucciso il comandante e furono prelevati sette militi fascisti, permise all'Alta valle una modesta libertà fino al tragico eccidio di Bovegno (15 e 16 agosto)», quando i tedeschi «trucidarono sedici persone inermi. Alla rappresaglia seguì, dieci giorni dopo, un furioso rastrellamento, che colpì distaccamenti di Fiamme verdi della brigata Perlasca, annidati sulla Corna Blacca. Sei partigiani, tra cui un loro capo, Tita Secchi, fatti prigionieri, vennero in seguito portati a Brescia e fucilati il 16 settembre, mentre ancora un altro rabbioso rastrellamento iniziato il 5 settembre prendeva in un cerchio di fuoco le postazioni della Margheriti tra Bovegno e Collio. Per consentire lo sganciamento della brigata, si sacrificarono cinque partigiani, tra cui il ferito Gaetano Castiglione, che venne torturato e impiccato a Collio».


Nell'ottobre 1944 entra in azione Giuseppe Verginella che riunisce nuclei dispersi nella nuova 122 brigata Garibaldi. La formazione, tuttavia, viene presto messa a dura prova dalla cattura di Verginella a Cremignane di Iseo e dalla sua uccisione in una strada di Lumezzane il 10 gennaio 1945. Ridotta ad una ventina di uomini, la brigata si riorganizza, ingrossata da disertori di reparti fascisti con sede a Lumezzane, appostandosi sul Corno Sonclino. Qui il grosso della brigata viene sorpreso all'alba del 19 aprile da contingenti nazifascisti alla ricerca dei disertori. Lo scontro dura poche ore, durante le quali cade Giuseppe Gheda, vice comandante. Nel tentativo di sganciarsi dall'accerchiamento di forze soverchianti, vengono catturati alcuni partigiani: dieci vengono uccisi sul posto; tre vengono fucilati ad Aleno; altri sei, catturati a Brozzo, vengono finiti a Marcheno. Dei 18 caduti cinque sono bresciani. I giorni che seguono registrano scioperi nelle fabbriche valtrumpline e, il 24 aprile, l'occupazione di Collio da parte di 200 uomini della Brigata Margheriti, mentre dal 25 aprile gruppi armati si organizzano in vari paesi. Il bilancio della Resistenza registra quanto segue: «Dei 68 caduti in Valtrompia, dall'8 settembre 1943 al 26 aprile 1945, 38 erano residenti in valle: tra questi 12 civili inermi trucidati per rappresaglia a Bovegno. Fuori della valle caddero 32 valtrumplini dei quali 15 all'estero e fra questi 11 in campi tedeschi di sterminio».


A liberazione avvenuta, si presentano nuove forze politiche. Prevalgono la Democrazia Cristiana, il P.C.I e il P.S.I. Tra le realizzazioni riguardanti tutta la Valle vi è la costruzione, decisa nel 1960 e completata nel primo lotto nel 1969, dell'Ospedale generale di zona a Gardone Val Trompia. Più importante il ritorno di una "Comunità Montana di Valle" istituita a Gardone con decreto prefettizio del 3 aprile 1967 e costituita in Ente di diritto pubblico con la legge n. 1101 del 1971 e comprendente i comuni di Collio, Bovegno, Irma, Pezzaze, Marmentino, Tavernole, Marcheno, Lodrino, Gardone, Polaveno, Brione, Sarezzo, Lumezzane, Villa Carcina, Concesio, Nave, Bovezzo, Caino, Botticino e Gussago; questi ultimi due Comuni nel 1982 vengono tolti dalla Comunità Montana valtrumplina, pur restando classificati come montani. Della Comunità Montana di Valtrompia viene inaugurata la sede nel 1974 a Gardone e il 12 giugno ne diventa operante lo Statuto. Da essa si staccherà nel 2003 il Comune di Lumezzane. Nella primavera del 1978 usciva il periodico "Comunità Montana di Valtrompia". La Comunità svolge intensa attività nei più diversi campi, creando tra l'altro una rete di informazione culturale e bibliotecaria di notevole rilievo e favorendo una rete museale di prestigio attraverso il Parco Minerario e i musei del ferro e delle armi. Fin dal 1967 venne posto il problema di una nuova arteria valtrumplina, che tuttavia, nonostante i vari progetti, è rimasta ancora, salvo alcuni tratti, inattuata. Fra le ultime notevoli realizzazioni il Parco Minerario dell'Alta Valtrompia, la Via del ferro, il Museo del ferro di Tavernole, ecc.




VITA RELIGIOSA ED ECCLESIASTICA. La prima espansione del Cristianesimo potrebbe essersi verificata, nella bassa Valle, dalla pieve della Cattedrale di Brescia che copri quello che poi venne chiamato il "territorium civitatis" che aveva un'estensione di circa 15 km tutt'attorno alla città. La tradizione ritiene tra i primi evangelizzatori siano stati i vescovi di Brescia S. Apollonio e S. Filastrio. Ma è da sottolineare come più che probabile una penetrazione cristiana anche dall'alta Valle stessa attraverso la predicazione di S. Vigilio di Trento, il cui culto è documentato a Lodrino e scende fino al paese che ne ha preso il nome, nella bassa Valle, cioè S. Vigilio di Concesio.


Se l'etimologia del nome indicata da Paolo Guerrini come la "valle delle tre pievi" (Vallis trium plebium) è certamente arbitraria in confronto a quella di "Valle dei Trumplini", è vero che l'espansione cristiana in Valle ha avuto i suoi epicentri nelle pievi di Inzino, di Bovegno, di Concesio e poi di Lumezzane. Contrariamente a quanto ha ritenuto P. Guerrini, che cioè la più antica pieve sia quella di Bovegno, Carlo Sabatti ha rilevato come soltanto a Inzino sia stata documentata l'esistenza di una comunità cristiana nell'ambito del V secolo, negli stessi luoghi dove è concentrata, d'altra parte, la testimonianza della religiosità pre-cristiana dei Valtrumplini, nel culto di Tullino. Ampia e comprendente tutta l'alta Valle è la pieve di Bovegno che conserva ancora nel sec. XII sua struttura originale nella elezione del plebano da parte dei presbiteri delle comunità che da essa nacquero quali quelle di Collio, Pezzaze, Cimmo e Marmentino. Lo sviluppo del cristianesimo trova un suo forse originario slancio in epoca longobarda, come indicano le dedicazioni delle chiese di S. Michele a Ludizzo, Pezzoro, Brozzo e Cailina, di S. Giorgio a Bovegno e a Inzino. All'espansione del cristianesimo hanno contribuito i monasteri, da quello di Bobbio, proprietario di "bona pecoraria" a S. Colombano di Collio, a quello di S. Faustino, titolare di diritti e fondi a Memmo, in Ville di Marmentino e a Sarezzo. A questo stesso monastero cittadino fanno inoltre riferimento il culto di Calocero a Cimmo, e quelli di S. Giulia a Costorio e di S. Martino, mentre più tipicamente collegati con la cattedrale e l'episcopato bresciano sono il culto di S. Apollonio a Pezzaze e a Lumezzane, e di S. Filastrio a Tavernole.


Pievi e monasteri danno vita, fin dall'alto medioevo, ad una serie di diaconie, ospizi, xenodochi o ospitali quali quello di S. Giacomo di Carcina e di S. Maria del Giogo, probabilmente eretti dal monastero di S. Eufemia, della pieve di Inzino ricordati dal culto a S. Bartolomeo a Magno e a S. Giacomo a Cesovo, di Lumezzane, di Tavernole, di Lodrino (forse a Invico), di Bovegno (diventato poi ospitale di S. Giovanni), di Irma (S. Lorenzo), di Marmentino (SS. Cosma e Damiano), di Pezzaze al passo di S. Zeno, di Memmo (S. Faustino), di Collio (S. Nazaro) e di S. Colombano, del monastero di Bobbio. Oltre alla dedicazione delle Pievi specie dal sec. XV la Valle è illuminata dalla devozione a Maria SS. Alla Vergine nel '400 viene eretta la chiesa di S. Maria delle Tese di Tizio di Collio e la santella di S. Maria di Marcheno, cui si è affiancato nei primi due decenni del '600 il santuario di S. Maria Annunciata; cinquecentesco è il santuario della Madonna della Misericordia, detto di Bovegno, ultimato nel 1606, settecentesco quello della Madonna del Castello nella Valle di Inzino; in aggiunta alla dedicazione a S. Rocco, quello della Madonna del Popolo di Gardone Val Trompia. Particolarmente antico e frequentato è il santuario di S. Maria del Giogo. Noti anche i santuari della Madonna di S. Lorenzo di Cogozzo, di S. Maria del Tronto a Concesio, della Madonna delle Fontane a Caino. Molto antico è il santuario della Madonna della Misericordia di Conche.


Di impronta longobarda e monasteriale è il titolo a S. Pietro di Marcheno e di S. Gregorio Magno in S. Vigilio, dei SS. Emiliano e Tirso sulle montagne di Sarezzo, culto diffuso dal monastero di S. Eufemia di Brescia. Devozioni antiche legate a monasteri o ad eremitaggi sono quelli del capitolo della cattedrale di S. Nicola di Eto, di S. Maria Maddalena di Lavone, dei SS. Cosma e Damiano a Marmentino. Agli Umiliati sarebbero riconducibili i culti a S. Emiliano di Sarezzo, di S. Costanzo a Nave, di S. Onofrio a Bovezzo. Sono ricordi di primitive diaconie il culto di S. Lorenzo a Magno di Bovegno, a Cogozzo, a Inzino; di S. Giacomo apostolo a Carcina, dei SS. Filippo e Giacomo a Tavernole, di S. Bartolomeo a Magno d'Inzino, di S. Bernardo a Lumezzane e a Magno di Bovegno. Dei secoli XI-XIII, di gravi crisi ecclesiali e di riassestamento religioso e sociale sono rimaste tracce in costruzioni romaniche nel campanile di S. Martino a Prato di Polaveno (sec. XI) e in quelli della parrocchiale di Marmentino, del santuario di Conche e nei resti della chiesa di S. Martino di Bovegno (sec. XII).


Fin dal '400 è forte in Valtrompia l'influenza francescana della quale è protagonista fra i primi S. Bernardino da Siena promotore del convento di S. Maria degli Angeli, edificato anni più tardi. A lui verrà dedicato l'oratorio di Noboli. Sulla scia francescana è la fondazione nel sec. XVII del convento dei Cappuccini di Bovegno (1616). Della presenza francescana non resta che la comunità dei Minori Francescani residenti a Gazzolo di Lumezzane. In grande venerazione i santi della peste e delle epidemie in genere. A S. Sebastiano e poi a S. Rocco vennero dedicate due chiese a Invico; a S. Rocco a Bovegno, Collio, Ombriano di Marmentino, Pezzaze, Inzino, Gardone, Lumezzane Fontana, Villa, Carcina, Concesio, Bovezzo, Nave, Caino.


Nonostante i nuovi tempi di decadenza ecclesiastica, nel '400 sorgono in Valtrompia nuove chiese ricche di opere d'arte quali quelle di Polaveno, di Brione, di S. Maria degli Angeli a Gardone, con il suo chiostro iniziato nel 1444, S. Rocco di Bovegno del 1468, S. Costanzo di Conche ampliata nel 1478, la chiesa della Madonna a Tizio e, particolarmente importanti, S. Rocco di Collio, S. Filastrio di Tavernole e la stessa parrocchiale di Marmentino, prima della maldestra trasformazione attuata agli inizi del '900. Sono noti e ricordati altrove (v. Eretici, Protestantesimo) prima i processi alle streghe, specie a Nave, poi le vicende della diffusione di eresie anabattiste e protestanti, specie a Collio e a Gardone, nella prima metà del 1500. Nota pure è l'opera di riforma del vescovo Domenico Bollani (1566) e di S. Carlo Borromeo (1580), al quale si devono gli ultimi processi inquisitori. Eppure, contemporaneamente a queste vicende, proprio in Valle sorgono, come ha attestato Gaetano Panazza ("Antologia Gardonese", p. 21), nobilissimi monumenti quali le chiese di S. Maria Maddalena di Lavone (1510-1512), di S. Apollonio di Pezzaze, come la parrocchiale di Brozzo (1522), il santuario della Madonna di Bovegno (1527-1533), quello della Madonna della Stella tra Gussago e S. Vigilio, di S. Lorenzo tra Irma e Magno (1524), la parrocchiale di Inzino, S. Filastrio a Tavernole, le parrocchiali di Marmentino, Gardone, Lumezzane Pieve (S. Giovanni B. completamente rifatta).


Il risveglio religioso ed ecclesiale post-tridentino e l'opera del vescovo Bollani, di S. Carlo Borromeo ecc. hanno una riprova nel fervore dell'edilizia e dell'arte sacra come scrive Gaetano Panazza ("Antologia Gardonese", p. 23), «non vi è paese dove non sia stata costruita o iniziata ex novo una chiesa e un campanile». Basta elencare, in successione continua, le chiese di S. Antonio e di S. Maria in S. Lorenzo di Cogozzo, di S. Marco di Ivino di Collio (1615), del santuario della Madonna di Marcheno (1608-1613), del convento di Bovegno (1610-1616), di S. Rocco di Villa (1630), di S. Colombano (1625), di S. Filippo Neri di Piatucco di Lumezzane (1650), la parrocchiale di Marcheno (seconda metà del '600), di S. Sebastiano di Lumezzane (1672) e di S. Apollonio, sempre di Lumezzane, la chiesa di Ludizzo (1698), di Irma (1688). Il campanile, la sagrestia, il presbiterio e la cupola del santuario di Marcheno, del 1706-1709 e del 1765 rispettivamente, il portico laterale del santuario di Inzino, del 1704, ed il sacro edificio stesso, ricostruito e completato prima del 1721, la ricostruzione della chiesa del Dosso di Marmentino, del 1707-1708, danno inizio alla serie delle costruzioni settecentesche. A quest'epoca è da attribuire anche la ricostruzione della chiesa di Zigole di Bovegno e di quella di Noboli; del 1742 è la chiesa di Gombio, del 1746-51 quella di Avano; del 1758-1785 quella di Collio. Trasformazioni ebbe nel 1737 la chiesa di Ivino, che però aveva avuto restauri nel 1638, del 1776 è la chiesa di Cesovo; del 1779 è la facciata di Magno di Inzino. Rifacimenti settecenteschi ebbero anche le chiese di Cimmo e di Pezzoro. Ricostruite nel '700 le tre chiese di Lodrino, cioè la parrocchiale dedicata a S. Vigilio martire, nel capoluogo, il santello della S. Croce sul monte Feifo, la chiesa di S. Rocco di Invico. Una grandiosa nuova chiesa, dedicata a S. Giorgio, è stata riedificata a Bovegno, un'altra - in onore di S. Apollonio - a Stravignino di Pezzaze, una, bellissima, a Villa, in onore dei santi martiri Emiliano e Tirso, una a Carcina dedicata a S. Giacomo Maggiore, una a Pregno di Carcina, una a Nave, intitolata all'Immacolata, una a Caino, dedicata a S. Zenone, una a Muratello di Nave, pure nel corso del '700, mentre un ampliamento ha interessato la parrocchiale plebana di S. Antonino di Concesio.


Negli stessi secoli si ravvivano le Confraternite del SS. Sacramento, del S. Rosario, di S. Rocco, ecc. Singolare è il decreto del doge Pietro Grimani, del 21 febbraio 1748, che riconosce S. Luigi Gonzaga patrono della Valle, patronato che verrà riconfermato nel 1926, a riscatto degli sforzi di laicizzazione dei tempi giacobini napoleonici. Composto nel '700 il quadro della struttura ecclesiastica, anche quanto agli edifici che ormai coprono tutta la Valle e anche i centri più piccoli, anche a causa delle spoliazioni giacobine e napoleoniche, in Valtrompia la Chiesa si raccoglie sempre più in se stessa e si dedica ad una ripresa e ad un allargamento del tessuto religioso e devozionale attraverso la ricostruzione di Confraternite, associazioni pie e all'educazione della gioventù. Modesti, infatti, sono gli interventi di edilizia religiosa dei secc. XIX-XX tra i quali si possono elencare il portico del Santuario di Bovegno (1819), la torre campanaria di Villa, gli ampliamenti delle chiese di Cesovo (1847), di Ville di Marmentino (1854), di Lavone, la ricostruzione della parrocchiale di Memmo di Collio (del 1865 circa).


In seguito alla soppressione di Confraternite e cappellanie, la Valtrompia risponde con nuovi slanci di iniziative fra le quali la promozione, da parte di p. Fortunato Redolfi di Zanano e di Serafina Regis di Carcina, degli oratori maschili e femminili in Valle e fuori. Pure di grande significato è la predicazione sacra che vede in religiosi e sacerdoti il diffondersi di nuove devozioni (al S. Cuore) e di associazioni pie. Segni particolari della religiosità della Valle sono riscontrabili in alcune figure di particolare rilievo, quali quelle del "beàt cüradì" (don Giovanni Battista Bossini, Lumezzane S. Sebastiano, 1737 - Brescia 1810), del barnabita p. Fortunato Redolfi (Zanano, 1777 - Monza, 1850), di p. Antonio Beccalossi (Gardone Val Trompia, 1739-1795), di don Gherardo Amadini (Ludizzo di Bovegno, 1806 - Tavernole, 1836), di p. Giovanni Fausti (Brozzo, 1899 - Tirana, 1946), barbaramente fucilato dai comunisti albanesi.


Le parrocchie in Valtrompia rispondono con azione efficace al laicismo sempre più diffuso, al liberalismo anticlericale zanardelliano, al repubblicanesimo e al socialismo organizzando i comitati parrocchiali, le sezioni giovanili, i circoli cattolici e il potenziamento degli oratori maschili e femminili, delle società di Mutuo soccorso e delle associazioni di Azione Cattolica che riscattano in gran parte le masse operaie e artigiane dall'abbandono delle pratiche religiose e della vita parrocchiale. Dalla costruzione, nel 1902, del Monumento al Redentore sul monte Guglielmo, alle manifestazioni della Madonna Pellegrina (1954-1959), al Congresso Mariano Valtrumplino del 10-18 agosto 1963, si susseguono iniziative che sono espressione di un ancor solido radicamento del sentimento religioso. Riprende anche nel '900 l'edilizia sacra con le chiese del villaggio Gnutti (1938), di Zanano (1957), di Crocevia di Lumezzane S. Sebastiano (1959), della Valle di Sarezzo, di Ponte Zanano (1982), di Bovezzo (1991).




ECONOMIA. L'economia valtrumplina ha avuto origini nell'agricoltura, come indicano i toponimi di Premiano, Zanano, Ombriano, Avano ecc. che segnalano proprietà di terreni coltivati fin dai tempi di Roma. Grano e granoturco sono sempre stati prodotti in ristretta quantità, mentre ha avuto un buono sviluppo l'allevamento bovino data l'estensione di prati, anche se sembra esagerato il numero di 8000 vacche che si ricava da fonti del primo '600. Comunque l'attività agricola offre ancora qualche resistenza nei Comuni di Concesio e Polaveno. La media valle registra ancora la coltivazione di qualche cereale, specie segale, melicone, avena ecc., ma offre soprattutto pascoli e bosco. Notevole la raccolta di castagne; celebri i marroni di Noboli, di Zignone, di Caino. Prevalente nell'alta valle l'economia silvo-pastorale; marginale soltanto quella agricola con produzione di melica, miglio, panico, avena, segale, oltre alla coltura di ortaggi (leguminose, cipolle, cavoli, verze) e di alcuni alberi da frutto come peri, meli, pruni e nespoli oltre a frutti del bosco.


Diffuso l'allevamento dei suini. Se limitata è la pesca, praticata molto è sempre stata la caccia. Esistono ancora roccoli di notevole rilievo, anche storici, risalenti al 1400. L'allevamento del baco da seta, specie a fondo valle, ha avuto sviluppo soprattutto alla fine del '700 (2 filatoi sono attivi a Lumezzane), per declinare decisamente alla metà del '900.


Pur prevalendo per secoli nel settore agro-silvo-pastorale, l'economia valligiana viene ben presto accompagnata e deve alla fine sottostare alla prevalenza dell'estrazione del minerale e alla lavorazione del ferro. Dell'esistenza di miniere nell'antichità più remota si accenna genericamente ipotizzando un interesse verso di esse da parte degli Etruschi che per sfruttarle sarebbero arrivati in Valtrompia. Troppo generici geograficamente sono poi i riferimenti a miniere esistenti ai tempi di Roma, da parte di Plinio e Strabone, per ritenerli attinenti alle valli bresciane. Direttamente collegata è la tradizione o leggenda di una presenza in Valle, specialmente nella zona di Pezzaze, di «damnati ad metalla», cioè di prigionieri condannati al duro lavoro delle miniere. Lo sfruttamento delle miniere già in atto, forse, da tempo, viene accertato nei sec. XII-XIII, quando è già talmente sviluppato da esigere, nel 1341, la compilazione a Bovegno di "Statuta medalorum a venis", ripresi poi negli Statuti comunali di Pezzaze del 1529 e nello Statuto di Valtrompia del 1576. A sua volta la Repubblica Veneta emana nel 1488 i Capitoli et Ordini minerali, aggiungendone di nuovi nel 1670. Tali statuti regolano le concessioni, le proprietà, l'incanto dei medoli e le regole di estrazione. Quanto alle località minerarie nei sec. XVI-XVIII, ne vengono indicate: nel territorio di Collio 13, con 73 miniere; nel territorio di Bovegno 17 con 75 miniere; di Pezzaze 7 con 63 miniere. Risultano in attività più di 50 miniere valtrumpline nel 1562; nel solo territorio di Collio ne sono attive 11 nel 1586 e 31 nel 1681. In tutta la Valle ne vengono sfruttate 27 nel 1752, 23 nel 1754 (mentre ne sono inattive 126), 25 nel 1757, 18 nel 1766 (6 a Collio, 7 a Bovegno, 5 a Pezzaze), 8 nel 1773, 49 nel 1796 (20 a Collio, 12 a Bovegno, 16 a Pezzaze, mentre le inattive sono 108). L'attività mineraria andrà sempre più declinando fino alla chiusura quasi completa, salvo i tentativi di riattivazione da parte della Società degli altiforni e acciaierie di Terni nel 1884 e della The Mining and Metallurgica Co. Limited di Glasgow nel 1894, ma che si chiudono presto. Si susseguono momenti di risveglio della ricerca e sporadiche riaperture di singole miniere (la Alfredo di Bovegno, la S. Aloisio e la Torgola di Collio) fino alla chiusura totale negli anni '70 del sec. XX. Fra i primi documenti che provano già affermata la lavorazione del ferro ve n'è uno del 1265 che informa dell'esistenza al ponte Pioloni in Bovegno di un forno a carbone per la fusione dei metalli, lo stesso forno, forse, che il Comune di Bovegno acquista nel 1314. Le notizie poi si moltiplicano. Nel 1426 risulta attivo il forno di Tavernole, seguito da altri. Nel sec. XV sono già rinomate le lame, i bracciali, i corsaletti valtrumplini.


Nei secoli XVI-XVIII sono attivi 8 forni fusori nel 1562, 7 dal 1586 al 1643, 5 nel 1695, 6 dal 1698 al 1706, 5 dal 1714 al 1753, 6 nel 1754, 3 nel 1764, 2 nel 1765, 6 dal 1770 al 1784, 7 dal 1785 al 1808. Di essi ne funzionano 1 a Collio, 2 e a volte 3 a Bovegno, 1 e a volte 2 a Pezzaze, 1 solo dal 1586 al 1643 a Tavernole, 1 a Gardone nel 1586, 1 a Sarezzo dal 1586 al 1643. Tre soli forni sono attivi nel 1703. Nel 1586 funzionano 44 fucine grosse (2 a Bovegno, 6 a Pezzaze, 13 a Gardone, 6 a Inzino, 9 a Sarezzo e 1 a Tavernole, Brozzo, Marcheno); nel 1609 esse sono ridotte a 18 (5 a Pezzaze, 8 a Sarezzo, 2 a Villa e 1 a Bovegno, Brozzo, Lodrino); nel 1706 salgono a 26 (2 a Brozzo, 7 a Inzino, 5 a Gardone, 8 a Sarezzo), per scendere poi a 5 nel 1753 (1 a Inzino, 1 a Gardone e 3 a Sarezzo), 9 nel 1766 (2 a Inzino, 3 a Gardone, 3 a Sarezzo) e 11 nel 1796 (4 a Inzino, 2 a Gardone, 4 a Sarezzo, 1 a Carcina), mentre ben 14 sono inattive.


Minerali ferrosi, legna abbondante dei boschi per i forni, l'acqua motrice del fiume Mella e dei torrenti hanno fatto della Valtrompia la valle del ferro. Oltre che di arnesi di lavoro e cucina, la Valle diventa sotto i Visconti e specialmente sotto Venezia uno dei maggiori bacini di produzione delle armi. A partire dalla metà del sec. XV, nell'arco di un cinquantennio, gli armieri della Valle diventano indispensabili nell'economia della Serenissima, tanto che in un dispaccio del 3 aprile 1509, inviato dai Rettori di Brescia al Consiglio dei Dieci, si sottolinea una viva preoccupazione per la fuga di vari maestri d'armi verso Domodossola. Nel 1562 il podestà Paolo Paruta scrive a Venezia che nella Valle sono presenti 18.000 abitanti suddivisi in 17 comuni e sono funzionanti 8 forni da ferro e 40 fucine. Inoltre si producono armi di ogni tipo, dalle balestre ai pezzi di artiglieria. La produzione annua di "schioppi" è di 25.000 unità. Da parte sua la Repubblica Veneta garantisce l'esclusività (quindi il monopolio) nella produzione delle canne per armi da fuoco, monopolio che resiste fino all'epoca napoleonica. Per quanto riguarda poi i servizi offerti dalla Valle in tema di armi, la Serenissima cerca di monopolizzarne i vantaggi, imponendo un controllo diretto o addirittura il divieto dell'esportazione. Nel solo periodo dal 1534 al 1544 la Valle, assieme al Bresciano, fornisce armi al Regno di Napoli, allo Stato Pontificio, al Re di Francia, al Duca di Firenze, alla Repubblica di Siena, al Marchese di Vasto, all'Imperatore Carlo V, al Re d'Inghilterra, al Duca di Alba, ai Cavalieri di Malta, al Duca di Ferrara, alla Repubblica di Genova. Per armare le galee della Serenissima al tempo della battaglia di Lepanto, a Gardone si giunge a costruire fino a 300 archibugi al giorno. Accanto alla fabbricazione di armature, archibugi, pistole, spade - che nel settore produttivo più raffinato sono sempre di considerevole valore artistico e continuano degnamente la grande tradizione bresciana del '500 -, nella fonderia Chinelli a Gardone si dà inizio alla fabbricazione di bombarde (armi da fuoco non portatili) e di granate e, con l'assistenza del governo, che manda un esperto operaio del suo arsenale, alla fusione di mortai e cannoni. Si apre così un nuovo campo di lavorazione nella Valtrompia, nel quale si segnala ben presto Tiburzio Bailo di Sarezzo, che alla fine del '600 fornisce a Venezia alcune centinaia di cannoni e migliaia di bombe e granate.


Però, mentre la crisi della lavorazione delle armi diventa pesantissima nel '700 e si chiudono quasi tutte le officine, resistono le fabbriche di Lumezzane, Zanano, Sarezzo che producono chiodi, posate, acciarini, seghe, ecc. Tale produzione resiste ai tempi anche durante l'800. La produzione armiera decade parallelamente alla decadenza della Serenissima e, negli ultimi decenni del '700, quasi tutte le officine di armi valtrumpline sono chiuse. Una ripresa si verifica nei tempi di Napoleone anche se la produzione è rapportata all'organizzazione bellica francese. Sconfitto Napoleone, essa segna una nuova battuta d'arresto interrotta soltanto nel 1816 dalla visita del plenipotenziario austriaco Metternich, che dispone la produzione, nella fabbrica statale di Gardone, di seimila pezzi all'anno per gli eserciti imperiali. Ma nel 1821 la crisi diventa irreversibile fino a quando, anche grazie al sopravvento della macchina, la produzione si concentra nella sola fabbrica Beretta, alla quale si aggiunge nel 1865 la ditta Bernardelli.


Nel contempo la produzione di armi bianche si concentra nel Lumezzanese. Provata duramente dall'alluvione del 1850, la produzione delle armi, e in genere di manufatti del ferro, continuerà sia nelle officine a dimensione familiare, sia nelle grandi e medie industrie alle quali si accenna e che cambiano completamente lo scenario dell'economia valligiana saturando di stabilimenti il Lumezzanese e il fondovalle fino ad obbligare, negli ultimi decenni del '900, le trasmigrazione di imprese in Franciacorta e nella pianura.


A sostegno dell'attività economica, fin dal 1864 apre lo sportello della Cassa delle Provincie Lombarde a Gardone. Seguono poi le banche popolari che in pochi anni lasciano il campo, nel 1883, al Credito Agrario Bresciano di iniziativa zanardelliana e nel 1888 alla Banca S. Paolo promossa dai cattolici. Ad esse si accompagnano iniziative valligiane come la "Piccola banca triumplina di S. Filastrio", anonima cooperativa che apre lo sportello a Tavernole nel settembre 1896 con successive agenzie a Sarezzo, Gardone, Lumezzane S. Sebastiano. Essa cresce e, benché in floride condizioni finanziarie, viene fatta fallire dal fascismo nel 1933. Ancora nel 1896 sorge la "Cassa rurale di depositi e prestiti" di Collio, seguita, l'anno dopo, da una similare a Bovegno, ora Banca di Credito Cooperativo Alta Valle Trompia, con sede a Bovegno e filiali a Pezzaze, Lodrino, Gardone Val Trompia, che ha inglobato la Cassa Rurale ed Artigiana di Lodrino, sorta per volontà della popolazione locale e fondata il 3 marzo 1983. A quelle banche che offrono una base economica al moltiplicarsi delle iniziative cattoliche in campo sociale, economico e religioso, si accompagna il fenomeno della cooperazione operaia. Alla prima "Società anonima cooperativa di previdenza", sorta a Sarezzo nel 1885, seguono nel 1902 "La Solidarietà" di Gardone e la "Cooperativa operaia di consumo" di Villa Cogozzo, e nel 1903 la "Società anonima cooperativa di Previdenza" a Inzino.


Fonte economica molto limitata, ma in qualche modo continua, a partire dalla metà dell'800 è il turismo. Di impronta familiare, vede nell'estate famiglie non solo bresciane, ma anche cremonesi e mantovane e pure milanesi soggiornare a Bovegno, Collio, Pezzaze, Irma, Lodrino, Lavone, Marmentino e in altre località della Valle. Una spinta viene data anche dalla divulgazione della bontà terapeutica delle fonti ferruginose di Collio, di S. Colombano, di Bovegno, di Irma. Fortuna turistica ebbe il Grand Hotel Mella inaugurato a Collio nel 1895, per iniziativa dell'imprenditore Federico Bagozzi e sotto il patrocinio di Giuseppe Zanardelli. Tale struttura, con le cure termali ed altre elettroterapiche, fa per qualche anno concorrenza a Montecatini e Chianciano per poi decadere in pochi anni. Più duraturo è il particolare turismo delle colonie sia per bambini e bambine gracili, sia per vacanze e svago. Iniziato nel 1884 con la Stazione sanitaria alpina di Collio, esso continua fino agli anni '60 del '900. Un rilancio del turismo familiare si ha nel periodo tra le due guerre, quando località le più diverse offrono, nella stagione estiva, ospitalità ben organizzata e buone strutture. Basti pensare che solo Bovegno, in tale periodo, è in grado di mettere a disposizione 250 camere in alberghi o locande e 200 in case private. Nello stesso periodo prende piede, specie in Vaghezza, anche il campeggio, sfruttato soprattutto dalle organizzazioni giovanili fasciste, mentre si va sviluppando un intenso turismo pendolare incrementato da gare ecc., specialmente al Maniva e a Pezzoro, di appassionati di sci. Nel secondo dopoguerra sorgono impianti di risalita estesi anche al monte Pezzeda, da poco rinnovati (2004-2005).




PRESIDENTI DELLA COMUNITÀ MONTANA DI VALLE TROMPIA: dott. Giovanni Bondio (dal 21.6.1974 al 23.11.1983); Vigilio Bettinsoli (dal 24.11.1983 all'8.10.1986); Vito Bonanomi (dal 9.10.1986 al 26.11.1995); prof. Carlo Sabatti (dal 27.11.1995 al 15.12.1997); arch. Aldo Belloni (dal 16.12.1997 al 10.1.2000); dott. Silvano Corli (dall'11.1.2000 al 9.11.2003); Fabio Ferraglio (dal 10.11.2003).