UBERTI Giulio

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UBERTI Giulio

(Brescia, 5 settembre 1806 - Milano, 20 novembre 1876). Di Uberto (v.), fratello di Giacomo (v.). Vive i primi anni a Gargnano e a Brescia dove compie i primi studi sotto la guida di Cesare Arici e li continua poi con ottimi risultati a Milano nel Collegio Imperiale (che diventerà il Liceo Panini). Francesco Giarelli scrive in alcune sue memorie giornalistiche che per capire quale scelta fare per l'avvenire si rivolge al compositore Saverio Mercadante il quale, trovandolo dotato di risorse musicali di primo ordine, lo consiglia di dedicarsi al canto, mentre il De Marini, maestro di Gustavo Modena, gli suggerisce di diventare attore drammatico. La madre dissente e fa presente che affrontato il palco da cantante o da attore ai primi fischi è capace di ammazzare chi gli si dichiara contro. Egli stesso sceglie alla fine legge e si laurea all'Università di Pavia. Ma non esercita. Tornato a Brescia, innamoratosi della cugina, la veronese Giulia Albrizzi, gli è accordato di sposarla solo a condizione di esercitare la pratica legale. Si ribella scrivendo versi rimasti sconosciuti che egli definì «rugghiati dall'anima, letti allora sottovoce e sparsi agli amici e che non si potrebbero stampare neanche adesso».


Morto il padre nel 1836, si trasferisce a Milano, forse con l'inconfessata attesa di trovarsi vicino all'amata cugina frattanto andata sposa ad un ricco milanese. Come egli stesso scrive: «Da Brescia rotolato a Milano ho dato libere lezioni di belle lettere alla meglio, indi di declamazione musicale». Gli si offrono anche proposte varie di impiego nel mondo teatrale e musicale, ma non vi si adatta contrario ad ogni permanente legame e continua a dare "libere" lezioni al Conservatorio. Si dedica, soprattutto, alla poesia: prima come romantico poi come "pariniano".


Come segnalava il commissario della Polizia Austriaca «viveva a sé e non fu mai amante delle grandi società» mentre «batteva la carriera de' giovani galanti quanto almeno ad alcuni suoi amoreggiamenti». Lo stesso commissario attribuiva la sua partenza da Brescia per Milano per uno scontro finito con una bastonata inferta ad un principe Gonzaga (forse di Vescovato), presente in Brescia probabilmente per aprire un collegio, che aveva tacciato il padre dell'Uberti come delatore della polizia. Anche a Milano, sottolinea il commissario Caleppini, dopo che una malattia aveva mandato a vuoto la carriera di cantante, si era «dato intieramente allo studio delle lettere» pubblicando il poemetto "Le quattro stagioni" e più precisamente i due poemetti "L'inverno" e "La primavera" che egli aveva dato «buon nome a Milano massime tra i suoi amici». Per quanto constava al commissario a Milano «viveva e vive riservatissimo dandosi egli con pochi ed anche con questi pochi, pochissimo. Deve avere la conoscenza di Giov. Battista Carta senza però intrinsichezza; frequentando il Caffè dell'Accademia vi si ferma poco e non s'interessa dei discorsi che ivi si tengono, di maniera che è detto da tutti l'uomo misantropo. Quanto a pensamenti politici, come appare dallo stesso poemetto che ha stampato, pare che appartenga alla classe de' liberali, ma dei liberali moderati; di quelli cioè che mentre vogliono la dignità dell'uomo sono nemici acerrimi di tutti quei vizi che impediscono (?) il benessere della società. Non mostrò mai di essere nemico dei principii monarchici, e da ciò che si è potuto credere sul di lui conto non ha mai voluto appartenere ad alcuna combriccola contraria al Reggime che ci governa. Di indole poi piuttosto dolce, non lo si crederebbe neppure capace di concepire la benché minima idea diretta a pervertire l'ordine attuale delle cose». A distanza di tre anni, nel 1845 interpellato un'altra volta dalla polizia austriaca riconfermava sostanzialmente quanto aveva scritto tre anni prima rimarcando che «mentre è positivo nutrire egli sentimenti da liberale lo si reputa però un moderato assolutamente alieno da sentimenti contrari al Governo ed incapace di far parte di qualsiasi combriccola, non essendo egli un presuntuoso né sapendolo poi in relazione con nessun individuo pregiudicato...». Tuttavia, ciò che non aveva avvertito il Caleppini, già nei due poemetti citati, si era verificato: il passaggio cioè dalla prima poesia dell'Uberti di matrice intima e personale alla successiva celebrativa e politica e primi frutti della mutazione d'animo sono le liriche stampate a Vienna (dove aveva ottenuto la licenza negatagli a Milano) nel 1845 in omaggio a Byron, Napoleone e Washington, mutazione o accentuazione che lo spingono sempre più in braccio al mazzinianesimo repubblicano che lo porta nel 1848 a partecipare alle Cinque Giornate di Milano, durante le quali combatte declamando versi, così da essere acclamato dai rivoltosi di Porta Nuova come il "Tirteo della rivoluzione". Esule, in seguito, nel Canton Ticino, l'anno dopo ritorna in Lombardia per arruolarsi nella colonna Camozzi che, dopo aver operato a Varese, Como e Bergamo, si muove in soccorso dei concittadini bresciani insorti ma ormai sconfitti nelle Dieci Giornate di rivolta.


E sempre più mazziniano diventa in seguito, tanto che il 6 febbraio 1853 sospettato di aver partecipato al moto rivoluzionario del 3 viene arrestato dagli austriaci. Rientrato a Milano, innamoratosi di una fanciulla, la rincorre a Costantinopoli. Vi rimane nel 1855-1856 e qui incomincia a soffrire terribili mali di capo e di manie di persecuzione credendosi oggetto di cattive azioni da parte di malintenzionati. Di nuovo a Milano nel 1857 pubblica, a sue spese, il volumetto "Nuove liriche" dedicato «alle anime gentili incontaminate dal fango dell'età vendereccia ecc.» e che contiene le liriche del 45 con lievi correzioni, l'episodio finale della "Primavera" sotto il titolo "Seduzione e tradimento" e alcune nuove poesie: "La missione del poeta", "Galileo", "Spartaco", "Il sogno di Nicolò", "Il sogno di una contadina", "I martiri". Il 1859 segna la svolta politica definitiva. Pubblica un poemetto dedicato a Garibaldi, lancia versi che Carducci definirà "dardi" contro il dispotismo zarista, il papato, le oligarchie antiche e moderne. Arriva al punto che, veduto Napoleone III cavalcare in testa al suo Stato Maggiore, sconvolto dalla grand'ira contro il distruttore della Seconda Repubblica, grida di voler uccidere lo spergiuro. Lo salvano gli amici che lo fanno ricoverare in manicomio. Dimesso e rialloggiato nel piccolo appartamento di via del Conservatorio vi trascorre il resto della sua vita, ora allegrissimo, ora tetro e ombroso.


È, comunque, un personaggio, tanto che Raffaello Barbiera scriverà: «Chi, a Milano, non lo conosceva? Ritto nella persona, la faccia lealmente aperta, cinta di capelli grigi spioventi, vivaci gli sguardi, baffi e pizzo folti. Un cappello di feltro gli copriva mezza l'ampia fronte bellissima. Con l'eterna pipa in bocca, camminava per le vie meditabondo. Talvolta, così assorto, pareva un sonnambulo». Mentre continua a scrivere versi patriottici su Mazzini (1861), Tito Speri (1862), su profughi politici, su Polonia, Ungheria, su Washington, ecc. che pubblica in una nuova raccolta dal titolo "Liriche", nel 1862, si accosta alla Scapigliatura lombarda. In una piccola "osteria della noce" nei pressi del Conservatorio frequenta infatti il pittore Tranquillo Cremona, lo scultore Giuseppe Gradi, il matematico ed imbalsamatore Paolo Gorini e ancora Giuseppe Rovani, Emilio Praga, Arrigo Boito ecc. Intima l'amicizia con Gioacchino Rossini di cui porterà fino alla morte una sciarpa da lui regalatagli. Durante gli anni '60 pubblicò e ripubblicò liriche e odi quasi solo di argomento politico fino a quando nel 1871 raccolse in un volume dal titolo "Poesie edite e inedite", oltre alla produzione precedente, molti versi sparsi in strenne e giornali ed epigrafi celebrative. Dopo una quadrilogia "Il soldato e il milite" ed una composizione "In morte di Giuseppe Mazzini", pubblicate nel 1762, l'Uberti chiuse nel 1875 con 24 poesie con il titolo "Polimetro degli avvenimenti italiani dal 1859 al 1874".


Con questi ultimi versi si chiudeva tragicamente anche la sua agitata vita. Innamoratosi nel 1870 di Alice Lohr, una giovanissima allieva nei corsi di declamazione e da lei corrisposto, per gli ostacoli che i parenti le opposero per averla destinata sposa ad un cugino ungherese, ella fu costretta a partire per Londra e l'Uberti finì per seguirla. Nella capitale inglese i due si sposarono "davanti a Dio" ripromettendosi di ricongiungersi a Milano appena possibile e di celebrarvi le nozze. Senonchè tornato a Milano sicuro che la Lohr lo avrebbe raggiunto l'Uberti vi giunse stravolto e allucinato e affetto da una terribile mania di persecuzione dalla quale tentarono invano di distoglierlo. Raccontava, fermamente convinto, che era dovuto fuggire dall'Inghilterra perché perseguitato dalla polizia che gli attribuiva delle cattive azioni verso la signorina Lohr e che anche attraverso la Francia i questurini erano sempre alle sue calcagna. In Italia sperava di trovare un po' di pace, ma anche qui - secondo lui - la polizia cominciava a pedinarlo. Gli amici cercarono di persuaderlo in mille modi, perfino con dichiarazioni del questore, ma inutilmente. Egli si mostrò più calmo in apparenza, parlò meno della sua mania, e forse fu peggio. Mentre si cercava di internarlo in una casa di salute, il 20 novembre del 1876, di notte, la portinaia svegliata da un colpo di revolver accorreva al letto del poeta e lo trovava riverso col cranio sfracellato. Accanto al cadavere un foglio insanguinato con poche righe illeggibili. Sulla bara toccò a Felice Cavallotti recitare l'orazione funebre. Dall'Inghilterra la Lohr scrisse al pittore Ferrari lettere di appassionato rimpianto pregandolo più volte di portare sulla tomba un fiore.


Fra i primi a dimenticarlo in vita erano stati i bresciani. Infatti già nel 1859 si era lamentato scrivendo ad Antonio Frigerio che la sua «amata e stimata patria non ha voluto mai ricordarsi che sono suo figlio» e faceva presente come delle 20 copie dell'ode spedite a beneficio del milione di fucili per Garibaldi, le sole due copie vendute erano state da lui acquistate. In effetti i "Commentari dell'Ateneo" gli avevano dedicato 8 righe di necrologio. Pochi anni dopo la morte al suo nome venne dedicato, fra gli studenti bresciani, un nucleo radicale del quale fu esponente Giuseppe Borghetti. Anche l'auspicio espresso nell'"Illustrazione bresciana" dell'1 settembre 1908 che l'Ateneo pubblicasse "una edizione speciale e completa" di tutte le poesie e gli scritti del "grande poeta", venne lasciato cadere. Il Bulferetti lamentava che nella Biblioteca Queriniana non esistesse un solo esemplare delle "Poesie edite ed inedite..." del 1871.


La sua fama di scrittore rimase un po' più a lungo. Era stata molto viva lui in vita. Infatti già nel 1857 Tommaseo, così severo anche con grandi poeti e scrittori, lo aveva salutato come "poeta morale e civile" e aveva scritto «L'Uberti nello scegliere e nel trattare i suoi temi dimostra quel pensato coraggio che gli è stimolo dell'estro e guida, e in tempi migliori avrebbe sortito in Italia maggior lode, e perciò appunto la merita adesso più riconoscente che mai». Nel 1861 il Rovani scriveva: «Fra i poeti di Lombardia che avrebbero quanto basta perché il loro nome uscisse dagli angusti confini della provincia, ci pare che possa aver posto Giulio Uberti di Brescia, ecc.». Le liriche stampate nel 1862 erano state precedute da pagine entusiastiche del poeta polacco Karski; e l'edizione che se ne fece nel 1871 era preceduta da una magnifica lettera di Giuseppe Mazzini nella quale riconosceva «Voi intendete, Uberti, l'ufficio dell'Arte come io lo intendo. E per questo, saluto l'edizione dei vostri versi e vi esorto a proseguire. La vostra sarà sempre poesia dell'azione e dell'unità della Vita». Nello stesso volume Eugenio Camerini, fra molte altre doti eccellenti, riconosceva che nell'Uberti «scorgi un non so che del maestro grande, un tocco vivo, colpi franchissimi e spediti ed effetti infallibili»; e che «la poesia dell'Uberti è profondamente pensata e sentita, e non erompe che dall'abbondanza del cuore»; e che «l'uomo e il poeta, la vita e il canto, in Giulio Uberti sono tutt'uno». Quando morì (1873) Alessandro Manzoni, Guerrazzi scrisse che «Spettava all'Uberti lo sciogliere un canto a modo di Tirteo per sceverar l'Angelo dal fumo d'Acheronte». Più sorprendente il giudizio del severo Carducci il quale nel 1880 passando in rivista i poeti del suo tempo in un'ampia pagina a lui dedicata scriveva tra l'altro «L'Italia, quando sarà passato questo strabocco di latte inacidito ricorderà, più che non faccia ora le quattro odi - Napoleone, Washington, Garibaldi, Mazzini - così magnanime di sensi, così dense di concetti e di immagini, così alte di intonazione; ricorderà, ripensando agli anni gloriosi». Ancora a distanza di decenni nel 1908, Domenico Bulferetti, definiva l'Uberti «il poeta bresciano più ispirato e più dimenticato. Veronica Gambara e Cesare Arici sono belle muse, ma non hanno gran fiamma d'ispirazione. Degno di stare accanto all'Uberti sarebbe stato Giovita Scalvini, se avesse potuto raccogliere, ordinare e ripulire i suoi versi». Un critico più recente, l'Avancini, nella sua "Storia letteraria" edita dal Vallardi nel 1933, ormai a distanza di oltre mezzo secolo dalla scomparsa dell'Uberti, cerca di porre il poeta bresciano in una giusta visione critica: «Il suo verso è ben lavorato e robusto: le strofe sono dense di pensieri. In lui, tutti gli avvenimenti principali della storia italiana tra il 1848 e il 1870 trovarono un cantore pieno di fede e di forza; quasi tutte le figure più spiccate della libertà dei popoli, da Spartaco al Washington, dal Mazzini e da Garibaldi al Lincoln furono da lui, repubblicano convinto e incrollabile, celebrate con amore e venerazione».




SUE OPERE: "L'inverno - Poemetto" (Milano, G.B. Bianchi, 1841, 53 p.); "La primavera - Poemetto" (Ib., 1842); "Alcune liriche" (Vienna, Tip. Mechitaristica, 1845, p. 40); "La storia lirica" (s.l. s.n. 1848, p. 13); "Nuove liriche. Con aggiunta di alcune edite" (Milano, Civelli, 1857, p. 114); "Liriche" (Milano, Agnelli, 1862, p. 180); "Garibaldi. Lirica" (Milano, Manini, 1859, p. 14); "Liriche" (Milano, Tip. Unità Italiana, 1863); "Gustavo Modena. Carme" (Udine, s.n., 1864); "Trilogia americana: Washington; Stati Uniti; in morte di Lincoln" (Milano, Agnelli, 1865, p. 38); "Giugno '67" (Milano, Agnelli, 1867); "Carme" (Milano, Tip. Agnelli, 1867, p. 49); "Per il centenario di Napoleone Bonaparte" (Milano, Robecchi-Lavino, 1869); "Italia, Impero, Chiesa" (Ginevra, 1870); "Poesie edite ed inedite corrette dall'autore" (Milano, Civelli, 1871, p. 349); "Il soldato e il milite. Quadrilogia" (Milano, Tip. E. Civelli e C., 1872, p. 16); "In morte di Giuseppe Mazzini. Versi" (Milano, Tip. P. Agnelli, 1872, p. 16); "Polimetro. Avvenimenti italiani dal 1859 al 1874" (2 ed. Milano, Civelli, 1875, p. 128).