SELLERO (3)
SELLERO (in dial. Sèler o Sèlar, in lat. Selleri)
Centro industriale dell'alta Valcamonica a m. 476 s.l.m., a 83 km. da Brescia, 19 da Edolo e a 13 da Breno, a SE di Edolo tra Capodiponte e Cedegolo, ad O della strada nazionale. Ha una superficie comunale di kmq. 13,83.
Tra i PRINCIPALI CENTRI ABITATI: Sellero, Novelle (v.), Scianica (v.).
Sellero in particolare si adagia sulle pendici orientali del Monte Elto (m. 2148) discosto dalla riva destra del fiume Oglio in posizione dominante il fondovalle sulla stretta di Cedegolo.
ABITANTI (Selleresi) 400 nel 1493; 450 nel 1565; 340 nel 1646; 200 nel 1652; 312 nel 1656; 350 nel 1658; 340 nel 1667; 320 nel 1702; 314 nel 1716; 357 nel 1727; 330 nel 1736; 364 nel 1775; 277 nel 1791; 277 nel 1805; 381 nel 1819; 544 nel 1835; 550 nel 1848; 454 nel 1858; 475 nel 1868; 525 nel 1875; 526 nel 1887; 523 nel 1898; 515 nel 1908; 515 nel 1913; 485 nel 1926; 685 nel 1939; 800 nel 1949; 850 nel 1963; 960 nel 1971; 960 nel 1981; 1000 nel 1991; 950 nel 1997.
IL COMUNE: 795 nel 1861; 833 nel 1871; 907 nel 1888; 902 nel 1901; 1054 nel 1911; 1125 nel 1921; 1202 nel 1931; 1206 nel 1936; 1481 nel 1951; 1548 nel 1961; 1559 nel 1971; 1561 nel 1981; 1508 nel 1991.
Più per assonanze che per rispetto della verità è stata inventata la seguente filastrocca: «Sèler seleràcc, pié dè vize e dè pecàcc, sè ghè n'è giü dè bù l'è piö làder chè bindù». Che significa: gli abitanti di Sellero sono pieni di vizi e di peccati se ce n'è uno di buono è più ladro che straccione.
Selaro nel 1233, nel 1255, nel 1389, Selleru nel 1557, Selere nel 1586.
P. Guerrini, A. Sina e l'Olivieri fanno derivare il nome da cellula cioè "piccola cella" di un qualche monastero che viene di solito individuato in quello di S. Desiderio di Brescia. Altri ha pensato ad antiche prigioni per gli schiavi. È stata proposta anche una derivazione da "sella" data la posizione rialzata della località, meno plausibile una derivazione dal lombardo sèler "sedano". Infine è stata anche affacciata l'ipotesi che il nome derivi dalla potente famiglia Celeri che vi avrebbe avuto fortificazione e proprietà.
Il torrente Re che ha origine ai piedi del Pizzo Garzeto delimita geologicamente due zone non omogenee. A meridione predominano gli affioramenti di Verrucano lombardo, un'arenaria ferrosa abbastanza tenera ed in genere ben levigata dall'azione dell'ultima glaciazione, in un ambiente di bosco ceduo che, posto com'è su di un ripido versante, è poco adatto all'insediamento umano; a settentrione il Verrucano cede allo scisto venato da quarziti, pietra più dura e d'aspetto più scabro e rugoso; qui l'andamento orografico è più dolce: pianori e terrazzi naturali, adibiti a prato, si alternano a lingue di boschi sino ad un'altezza di circa 700 m. Nei pressi del paese si può ammirare un pozzo glaciale abbastanza ampio o "pignatte giganti". Tra le bellezze del territorio è la suggestiva cascata del Pizzolo. Dopo la chiesa di S. Desiderio esisteva un pozzo di acqua freschissima e una fonte detta di S. Carlo perché attribuita ad un miracolo del santo.
La presenza dell'uomo nel territorio di Sellero è accertata almeno fin dal Neolitico da una ricca presenza di incisioni rupestri, la cui scoperta è stata iniziata nel 1963 dal professor Anati. Questi individuò 25 rocce nell'area di Pià d'Ort ed in quella centrale di Carpene-Barnil, e fra queste la n. 2 con istoriazioni di notevole interesse: l'Idolo, una grande figurazione antropomorfa attribuita al Tardo Neolitico, una sequenza di tre grandi "Rose Celtiche", di cui una di perfette proporzioni, ed un singolare guerriero dell'età del Ferro, il "Viandante", con un'ascia ed un "cesto" nelle mani. La loro pubblicazione richiamò subito su Sellero l'attenzione del mondo scientifico, ma solo nel 1985 grazie all'interessamento dell'amministrazione comunale il professor Umberto Sansoni iniziò una sistematica esplorazione che fino al 1986 ha permesso di scoprire 103 rocce incise e di catalogare 1690 istoriazioni concentrate in quattro zone principali: Carpene-Berco Fradel (23 rocce), Isù-Barnil (30 rocce), Preda Möla, Corna Sculta, Castel Grand (16 rocce) e Pià d'Ort e Coren (26 rocce). Nel 1987 vennero alla luce altri massi che indicano zone prevalentemente di culto. Da figure di pochi oranti con gruppi di coppelle del Neolitico (2200-2000 a.C.) dopo una stasi di un millennio le istoriazioni ricompaiono sporadicamente nella tarda età del Bronzo con guerrieri, qualche coppella e segni di mappe topografiche. Una vera esplosione figurativa si verifica nell'età del Ferro (84 per cento delle istoriazioni) specie dal VII secolo a.C. in coincidenza, forse, con i primi sfruttamenti delle miniere in località Corona. Alle predominanti figure di guerrieri si accompagnano quelle di animali, le rose celtiche fra le quali una fra le più belle trovate in Valcamonica. Oltretutto tali incisioni quali il "Viandante", la "Casa del fabbro", i Guerrieri di impronta etrusca e altre scenette sono di tipo unico e recano interessanti particolari inediti. Nelle vicinanze dell'ultima area preistorica vennero individuati resti di mura megalitiche e resti di un "castelliere" dell'età del ferro. Durante la costruzione di una strada in località Dassa affiorarono agli inizi del 1988 tegole e laterizi ed un tratto di strada quasi certamente di epoca romana, oltre a recipienti di sicura epoca romana.
Per P. Guerrini la dedicazione della primitiva chiesa a S. Desiderio vescovo di Vienne è una delle prove che Sellero fu tra le terre assegnate al monastero di Tours. Tuttavia sembra che più che altro la storia di Sellero sia legata al fatto di essere stata una cellula, ossia un piccolo priorato ivi fondato dai canonici di S. Desiderio, antichissima chiesa esistente in Brescia ai piedi del Castello, di diritto pontificio, già nominata nei documenti del secolo VIII e poi nominata nei secoli seguenti. Tre massi incisi di epoca alto medievale vennero rinvenuti assieme ad altri preistorici nel 1963 in località Castelgrande, altri sempre alto medievali venero trovati in località Isù-Barnil-Novelle e sette massi dello stesso periodo in località Ronco. Il paese è citato come vicus in un documento più tardo, forse del 927.
Per l'amplissima investitura del 1037 di Corrado II al vescovo Olderico I delle rive dell'Oglio e del Mella gran parte dell'attuale territorio di Sellero passò al vescovo di Brescia, con una serie di estesi diritti feudali confermati da un'ampia "designatione" dell'11 febbraio 1233 al tempo del vescovo Guala riportata ampiamente da G. Archetti (in "Berardo Maggi"). In essa si diceva che quattro uomini di Sellero (Otto Pigocius, ser Giroldus de Caminata, Vilicus e Bibulcus) si impegnavano a «designare et manifestare integraliter omnes rationes, honores, condictiones, iura et consuetudines» posseduti in quella località dal vescovo; in particolare, la decima di tutto il territorio di Sellero e di Novelle apparteneva alla curia, «excepta terra donica» che era tenuta dalla pieve, «et excepta decima novalium et decima illorum de Caminata quam tenent a domino episcopo»; il vescovo aveva diritto al fodro, ossia al vettovagliamento o tassa ordinaria sui beni immobili che grava su tutti gli abitanti, tranne che sugli uomini liberi, e una serie di fitti in denaro e in natura (cereali, vino, cacio, fieno, castagne) per boschi, campi, prati, sedimi e case, equivalenti ad un'entrata complessiva di 90 libre di formaggio e 38 soldi imperiali. Ogni nucleo familiare che tagliasse fieno era obbligato a dare alla curia un covone; se era in possesso di dieci capi di bestiame consegnava un montone e un agnello, mentre se possedeva dei buoi consegnava un carro di legna e lo trasportava al castello di Cemmo; doveva, inoltre, prestarsi per un servizio di carriaggio presso il castello e offrire prestazioni lavorative in caso di necessità, mentre la curia era tenuta a dare «unoquoque brocio unum panem et unam peciam casei». Agli abitanti di Sellero era imposto anche il compito di compiere o portare ambascerie da una pieve all'altra, senza ricevere il corrispettivo della diaria se potevano rientrare entro sera al villaggio; ogni famiglia doveva compiere una giornata di lavoro presso la curia «ad revothum faciendum et dare, ligare et cetera necessaria»; Ada Nigroni e suo nipote Ferando, dovevano un formaggio ed un secchio, mentre agli altri uomini erano riservati lavori connessi con la coltivazione del vigneto vescovile, e lavorare un giorno per la vendemmia, a spese della curia che provvedeva al loro sostentamento. Dovevano, poi, una volta all'anno, andare alla caccia dell'orso per conto della curia, tenendosi tutto l'orso per sé, ma se uccidevano qualche altro esemplare in circostanze diverse, dovevano dare alla curia alcune parti ben specificate (spalla destra, intestino grasso ecc.); per i diritti di macellazione, invece, la curia riceveva dieci soldi imperiali; inoltre, «qualibet malga illius loci debet dare unum caseum sanctuarie et unam mascerpam et curia debet dare comedere eis vel mascerpas relinquere». Ogni famiglia portava un covone di segale e uno di scandella; i vicini, invece, dovevano preparare tre pasti alla curia: in occasione della festa di San Giorgio, nel mese di agosto e durante la vendemmia, procurando il fuoco, pane, vino, formaggio e carne ovina a seconda delle singole circostanze; infatti, quanti possedevano degli animali portavano del cacio nel mese di agosto, mentre chi non ne aveva era tenuto a «dare extimacionem casei secundum posibillitatem suam in arbitrio domini». Nelle feste di Natale, Pasqua e anche di San Giovanni venivano offerti polli e uova; una adeguata somma pecuniaria poteva essere versata in cambio delle giornate lavorative dovute alla curia, mentre se queste venivano effettuate spettava alla curia offrire il necessario sostentamento ai rustici.
Al casato di «David» era riservato il compito di «custodire et serare et arare vineam de Rasolo et terram arare in anno, et de predicta vite solvuntur nunc curie VI sextarios grani ad minorem», mentre per la decima del territorio di Novelle venivano pagati 8 sestari di cereali; alcune misure di castagne erano dovute per il castagneto «de Visono et de Castelamico». Entro il territorio di Sellero, compreso nella proprietà vescovile, venivano registrati altri fitti relativi alla concessione di prati e case, mentre «quilibet habentes bestias dat lac suum unius pasti de mense madii». Si ricordava, altresì, che se un uomo libero effettuava un acquisto da un rustico, non venivano meno per questo gli oneri reali che gravavano sulla terra e che passavano soltanto di mano, la stessa cosa valeva evidentemente nei trapassi patrimoniali compiuti per via ereditaria. Altri obblighi erano imposti a singoli, quali un Bonacorso e i suoi eredi, ai mandriani che dovevano il latte munto negli alpeggi il giorno di S. Giovanni. Agli uomini di Sellero e a quelli di Pescarzo era affidata la custodia del castello di Cemmo, vale a dire «illi de Selero pro octo menses in anno et illi de Pascarezo pro quatuor menses». Tali diritti vescovili venivano confermati dai quaranta manenti, cioè coloni dipendenti dal vescovo, il 3 aprile 1299 davanti a Cazoino, vicario del vescovo Berardo Maggi, nella "lobbia" della pieve di Cemmo sanzionando una serie di canoni in denaro e in natura riscossi a titolo di fitto su terreni, prati e sedimi vescovili; a questo primo elenco, se ne aggiungeva subito un altro per beni e possedimenti (terre, prati, case, sedimi, alberi da frutto), situati nelle località «de Copethelo, de Brogolo, de Troncono, de Morello, de Merso, de Calvetolo», già posseduti, in precedenza, da singoli gruppi familiari ed, ora, frazionati tra una miriade di piccoli concessionari, che versavano complessivamente 7 congi di vino e 32 sestari di cereali. Otta, ad esempio, conversa della chiesa di San Desiderio, e Bonafemina dei Brusacastelli erano solite pagare 12 soldi imperiali e un formaggio, «et modo ecclesia predicta (Sancti Desiderii de Selaro) debet rendere de medietate et pro alia medietate est unum bregnum cum curia et orto iacentium in summa ville prope Rinum, debet rendere de alia medietate, sed non laboratur.» I manenti vescovili in Sellero dovevano rispondere per il fodro e versare quei contributi dovuti per la loro condizione di dipendenza dall'autorità episcopale: montoni, agnelli per la macellazione, la decima sui prodotti della terra, sulla lavorazione tessile e sull'allevamento, i canoni sull'attività e la produzione delle casere durante i pascoli estivi, misure di vino. Erano a ben vedere oneri e prestazioni non dissimili, nella forma e nella sostanza, da quelli che gravavano sui manenti vescovili dell'alta valle. Di carattere più specifico erano le rubriche: «Fictum denariorum in Sellaro» e «Mine anone», connesse con l'approvvigionamento di scorte e provviste alimentari che venivano immagazzinate presso i depositi della curia e che pesavano in maniera diversa sui vari «casali» del territorio di Sellero; il conferimento, invece, di fieno, la cui somma era pari a «XVI faxis feni», era legato direttamente all'uso dei prati e alla pratica dello sfalcio estivo su terre e prati vescovili tenuti collettivamente. I canoni in cereali, pari a circa 150 quartari di miglio, segale e frumento, erano concentrati nelle località «ad Calimonum», «ad Ronchatium», «ad Gamba», «in Prayrovero», costituite in genere da fitti per terre campive o ronchive, e soltanto in un caso abbiamo un censo per la locazione di una porzione di terra «deserta e boschiva», posta nella contrada della valle di San Vittore; mentre un certo Alberto Rastelli versava una piccola misura di miglio e segale per un terreno situato lungo la strada principale «prope ecclesiam Sancte Marie de Selaro».
La tradizione locale vuole che Sellero, paese e territorio e pascoli, fossero in parte dei nobili Celeri, imparentati coi Federici i quali, come ha sottolineato Bortolo Boniotti, avrebbero forse edificato, come altrove, solide fortificazioni tra le quali un'antica torre, incompleta (o forse demolita in parte?) di metri 8x8 di grossi muri di grandi pietre squadrate, e feritoie; un'altra meno solida, ora fienile; anche una casa che aveva un lato lungo 9 metri di muratura a corsi di conci compatti, con una sola finestra, e dava il nome alla contrada, via Camerata. Sopra il paese c'era il Castel piccolo e più su il Castel grande, su un poggio isolato, alto sulla profonda valle del Re. Come ha scritto Felice Murachelli: «Presso il popolino vige ancora l'idea che quel maniero fosse ricettacolo di streghe, che scendevano ogni tanto in paese a disturbare la quiete dei suoi abitanti. Basta ricordare la leggenda di quel bimbo d'una strega che fu segnato per inavvertenza col segno della croce. Quando la strega tornò, disse ad alta voce: "Signa e disigna il mio putelo!"».
Senza ricorrere a molte supposizioni resta innegabile la posizione strategica di Sellero che domina l'antica strada Valeriana, al punto in cui la valle si restringe e inoltre fa triangolo con Cemmo e Cimbergo, luoghi ben fortificati e distanti fra loro 3.500 m in media. I documenti che si conoscono, tuttavia, più che ai Celeri accennano ai Federici. Sono infatti i fratelli Federici che il 9 agosto 1339 vengono investiti dal Vescovo del diritto delle decime. Investitura che dura qualche decennio, dato che il 10 maggio 1399 sono il Comune e gli uomini di Sellero ad essere feudalmente investiti dalla Curia di parte delle decime di Sellero, mentre nello stesso mese il 5 maggio, Pietro q. Bonomo viene investito di un livello. Il 25 maggio viene rinnovata ad Alessandro q. Girardo di Ono, abitante in Sellero di una casa in contrada Bonollo e di alcune pezze di terre nelle contrade di Visono, Palochis e Piano. Le investiture, al Comune, delle decime vengono sempre più ripetute nel 1421, nel 1437, fino a quando il 23 agosto 1445 la curia affitta al Comune e agli uomini di Sellero la terra di Sellero e di Novelle, mentre livelli vescovili vengono ancora concessi nel 1641. Questi documenti indicano la sempre più completa indipendenza del Comune.
Dal sec. XV in poi il Comune si batte per difendere i propri confini dai Comuni viciniori, mentre gli impegni in luogo sono assorbiti da un'altra difesa, quella dalle acque del Re e del Dosbò. A fine agosto del 1520 infatti il paese subisce gravi danni per le inondazioni. Danni gravi si verificheranno, nonostante le arginature, nei secoli seguenti specie nel '700 e nell'800. Ad esempio nell'ottobre del 1738, nel dicembre 1739, il 30 agosto 1757 quando, oltre a quelli provocati dal Re, si aggiungono quelli prodotti dall'Oglio «per la di lui grossezza e gonfiezza d'acque non più udite» che travolsero segherie e mulino. Nel 1760 era il fuoco a distruggere metà dell'abitato. Un nuovo incendio provocava distruzioni nell'aprile 1779. Dieci anni dopo, nell'autunno 1789, causa nuove inondazioni fu «diroccata, e in molti tratti totalmente distrutta la valeriana». A questi disastri venne incontro soprattutto l'aiuto del Monte di pietà, pronto a fornire sementi e altro per rimpiazzare quanto era stato distrutto. Da parte sua la popolazione si impegnava a sostenere opere grandiose come la costruzione del 1785 al 1788 di una nuova bella chiesa parrocchiale. Né mancava la beneficenza privata. Nel 1799 tale Giacomo Damiolini, possidente di Sellero, dettava un testamento nel quale lasciava l'usufrutto di tutte le sue sostanze alle «famiglie più povere di Sellero... la scelta delle quali spetta al reverendo parroco al console e al presidente della Vicinia». Inoltre ordinava che «il ricavato di tutte le sue eredità, ossia entrate, fossero annualmente date ed assegnate al reverendo cappellano della Vicinia di Sellero obbligando il medesimo perpetuamente a fare scuola, di leggere, scrivere, e far i conti a tutti li fanciulli degli abitanti di Sellero niuno escluso, fino all'età di anni 16». Anni difficili furono quelli del 1815-1819 per il diffondersi di una carestia pesante e di malattie petecchiali. La povertà della popolazione non permise di avvertire, come avvenne altrove, i tempi nuovi del Risorgimento e dell'unità d'Italia, anche se non mancarono echi diretti che si possono trovare nella satira patriottica in dialetto di Don Giov. B. Testorelli, cappellano di Novelle, stampata dalla Tipografia Speranza nel 1859 intitolata «Dialogo fra Gioppino e Brighella», nel quale esalta il Risorgimento, Casa Savoia, ed è in polemica con il potere temporale. Seguì Garibaldi, Antonio Cominelli, mentre Domenico Maifredini "Cape" combattè a San Martino nel 1859 e partecipò alla presa di Porta Pia. A Sellero visse parecchio tempo il cedegolese Lorenzo Panzerini, presente alle Cinque Giornate di Milano che partecipò all'impresa dei mille, alla guerra del 1866 e che morì a Sellero il 2 febbraio 1913.
Ma i primi anni dell'Unità furono funestati da nuove disgrazie. Nel 1860 si verificava una nuova inondazione del Re che si ripeteva nel 1861 distruggendo prati e campi per un danno valutato sulle 20 mila lire. Nel novembre 1871 una banda di briganti, con a capo Siro Busi di Soresina, ebbe ad infestare le montagne di Sellero.
Non mancavano opere nuove. Nel 1914 veniva restaurato ed ampliato il Cimitero. Difficoltà gravi Sellero dovette affrontare durante la prima guerra mondiale per il continuo passaggio e le soste di truppe dirette al fronte dell'Adamello, ma ancor più per il sacrificio di 12 suoi giovani. Nel 1920 fu attiva a Sellero una sezione dell'Unione Italiana del lavoro che organizzò dal 4 al 17 giugno uno sciopero alla Metallurgica Murachelli cui aderirono 85 operai. Nel dopoguerra Sellero dovette affrontare nuove prove. Nell'ottobre 1923 un nuovo straripamento del Re portava nuovi gravissimi danni, interrompendo la ferrovia e la strada statale. Nuovi gravi danni il Re provocava il 25 settembre 1927. Neanche due mesi dopo il 17 novembre 1927 Sellero veniva, assieme a Berzo Demo, annesso al comune di Cedegolo con il quale condivise venti anni resi difficili specie a causa della guerra. Ancora più alto in confronto alla I guerra mondiale fu il tributo di sangue. Su 980 abitanti Sellero contò tra caduti e dispersi ben 24 giovani.
La storia di Sellero riprese autonomamente solo nel dopoguerra. Riacquistò poi la sua autonomia con decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato del 6 dicembre 1947 numero 1565 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 1948. Elesse la prima amministrazione il 27 giugno 1948. Questa pose mano subito a sistemare le aule scolastiche, sì da rendere possibile l'istituzione della quinta classe elementare. Furono eseguite le più urgenti opere relative alla viabilità, finanziate in parte sui fondi a sollievo della disoccupazione; venne infine decorosamente restaurato l'edificio comunale, per una spesa di circa un milione. Contemporaneamente venne posta mano alla progettazione del rifacimento della strada Sellero-Novelle, da finanziarsi, per una spesa di oltre sette milioni di lire, con contributo statale. Vennero contemporaneamente progettate, con la efficace collaborazione dell'Ente provinciale per la montagna bresciana, le opere di necessario restauro alle costruzioni rustiche delle malghe alpine del Comune, da finanziarsi con contributo statale; nonché le opere di sistemazione delle strade comunali di montagna ed un cantiere di rimboschimento. Seguirono dal 1956 al 1960 la sistemazione dell'Ufficio postale, l'installazione del telefono pubblico nella frazione di Novelle, l'avvio delle costruzioni di appartamenti INA-Casa, la sistemazione di fontane e lavatoi.
Tali opere vennero continuate dalle successive amministrazioni pubbliche. Una grande novità furono le Case Fanfani, il miglioramento delle strade, lo sviluppo economico.
Negli anni '80 venne tracciata una strada che congiunge la statale con la parrocchia. L'11 maggio 1980 veniva inaugurato e benedetto il nuovo gonfalone comunale raffigurante la torre della chiesa di S. Desiderio sostenuta da un ponte attraversante un fiume. Rimase incancellabile la morte avvenuta il 18 novembre 1984 di quattro giovani (Oliviero e Benedetto Pacchiotti, Annibale Calvino e Claudio Poetini) travolti da una slavina sotto la cresta del Castellaccio. Nel 1985 veniva fondata la sezione AVIS, nel 1986 veniva eretto un monumento ai Caduti sul lavoro su progetto dell'arch. Giorgio Azzoni. Nel 1985-1986 veniva realizzato l'acquedotto di Scianica. Nel 1987 veniva realizzato il nuovo acquedotto a Sellero. Nel giugno 1989 si registrava la nascita di una nuova Unione Sportiva Sellero-Novelle la quale organizzava sotto il titolo "Il trofeo del viandante" un trittico di corse di montagna. Nel contempo il risveglio sportivo spingeva l'amministrazione comunale a costruire un moderno stadio che, inaugurato il 23 aprile 1992 e dedicato al dottor Guido Rizzi, benemerito medico della zona, verrà risistemato poi nel 1996. Il 5 settembre 1993 veniva inaugurato il monumento al Fante, opera di Mario Prandini di Braone. Un accordo raggiunto nel 1994 tra Comune e parrocchia portò all'alienazione degli immobili del Legato Damiolini, il cui ricavo è stato usato per finanziare borse di studio per studenti e a sussidio per opere di ristrutturazione della scuola elementare con la costruzione della sala polifunzionale intestata al Damiolini. Nell'aprile 1997 un incendio consumava appena sopra la frazione di Novelle più di 800 ettari di bosco. Nel 1999 veniva sistemata la strada che collega il paese con Cedegolo. Tra i progetti la realizzazione nell'ex stabilimento Fucinati di un Museo di arte preistorica e quello (1999) di una centrale funzionante a biomassa. Nell'ottobre 1999 era il torrente Dosbò a minacciare alcune case in località Tese. Un serio sforzo viene compiuto per disciplinare e regolarizzare il caotico sviluppo urbanistico specie nella piana negli anni della industrializzazione.
ECCLESIASTICAMENTE, con Novelle appartenne alla Pieve di Cemmo e ne fu un'appendice come confermano i documenti vescovili fino al secolo XV. In Cemmo, infatti, nel 1233 e nel 1299 viene accertata la situazione fondiaria della curia vescovile senza che vi si nomini un prete di Sellero. La chiesa è dedicata S. Desiderio, vescovo di Vienne, il cui culto venne qui portato, a quanto si presume, dai Monaci di Tours. Tuttavia già nel 1299 esistono le chiese di S. Desiderio e di S. Maria.
LA CHIESA DI S. DESIDERIO è citata in documenti nel 1336 ed è già parrocchia nel 1400 quando il 19 gennaio di tale anno viene registrata nel catalogo, il quale segna l'obbligo di contribuire alla curia con lire 2, 7 soldi e 10 denari. La chiesa dopo decenni particolarmente difficili era povera. Visitandola, il 7 aprile 1459, il vicario generale Benvenuto Vancio, annotava come il SS. Sacramento veniva conservato in un brutto armadio niente affatto decoroso e non era tenuto in continuità per mancanza di soldi per comprare l'olio della lampada. Possedeva solo un calice, peraltro con coppa d'argento e artisticamente lavorato, ma due paramenti di cui solo uno foderato, un solo messale incompleto e in disordine. In compenso vi trova un parroco, Don Bernardo, del luogo, buono, che supera brillantemente l'esame in dogmatica e morale. Unico inconveniente è la distanza della casa canonica, lontana dalla chiesa. Don Bernardo non ha che lodi per la sua gente. Dichiara, infatti, che il suo popolo ha molta devozione alla Madonna che si venera nella Cappella di S. Maria e che lui è anche Rettore della chiesa di S. Giacomo in Novelle. I fedeli sono 450; quelli che superano i sedici anni e godono... dell'uso di ragione si accostano tutti alla santa Pasqua. Il Visitatore raccomanda a Don Bernardo di predicare di più il Vangelo e di spiegare per bene la differenza che passa tra il pane consacrato e non consacrato, affinché «non abbiano a mangiare il Pane come appare».
A distanza di poco più di cento anni la situazione religiosa e morale era alquanto cambiata. Nel 1562, infatti, mons. Pandolfi oltre che ordinare la provvista di un paramento «con li suoi fornimenti, di un messale e che si cintino i cimiteri di Seller e Novelle», rileva la presenza di concubinari ai quali intima di confessarsi entro 15 giorni e di rientrare nella norma. Quando però cinque anni dopo, nel 1567, arriva in visita il vescovo Bollani si limita quasi solo a ordinare l'acquisto e la conservazione di suppellettili mentre trova efficiente la Scuola o Confraternita del SS. Sacramento e deve sottolineare come non vi siano inconfessi e come il parroco sia gradito alla popolazione. Il visitatore in nome di S. Carlo oltre a precisi ordini circa le suppellettili e paramenti sacri, decreta, oltre ai cancelli da porre ovunque, che si rendano regolari il Battistero, l'altare maggiore, il pavimento, si accomodi il tetto, si chiuda con muro la sagrestia finora isolata da soli graticci, ecc. Il visitatore regola la pensione che gode don Girolamo Elmetti, richiama ad una maggiore diligenza nell'amministrazione dei sacramenti e nell'assistenza agli infermi e regola la stessa Confraternita del SS. Sacramento. Il numero rilevante della popolazione nei confronti delle parrocchie vicine, ma anche il tono della vita pastorale fanno sì che nel 1583 Sellero diventi sede di vicariato della zona comprendente Paspardo, Paisco con Loveno, Demo con Berzo, Grevo, Saviore e Cevo; nel 1593 Sellero ha già passato, come sede, la mano ad Andrista, per passare più tardi sotto Cevo, Paisco e infine, più a lungo, Cedegolo. Interventi importanti vennero apportati da S. Carlo specie riguardo al presbiterio che deve essere restaurato, ampliato in forma quadrata dalla parte del cimitero con l'apertura di grandi finestre, all'altare che deve essere reso regolare nella forma, le pareti devono essere rimboccate e imbiancate, e il soffitto che deve essere finito. Ordina che venga chiusa la porta che è presso il presbiterio e che il cimitero venga chiuso da muri e pulito. Decreti, questi, non del tutto eseguiti. Nella visita del vescovo Marino Giorgi del 3 settembre 1603 sono elencati anche legati di messe della famiglia Glisenti, di Angela Blandrinis, e di Gaudenzio Ruggeri. Le feste (San Rocco, S. Fabiano e Sebastiano, S. Antonio abate, S. Defendente, S. Vittore e S. Urbano) indicano la devozione molto "pratica" di una popolazione di campagna. La distanza sia pur relativa del centro abitato ma anche la tendenza separatista sempre più emergente di Novelle, realizzata nel 1615-1620, già agli inizi del 600 mette in secondo ordine la antica parrocchiale di S. Desiderio, mentre il centro della vita parrocchiale e della curia è diventata ormai la chiesa di S. Maria, la quale, tra l'altro, è già consacrata.
Passata la bufera della peste del 1630 che ridusse a metà la popolazione, la vita religiosa come quella civile riprese attiva, arricchendosi, nonostante la povertà generale, di opere benefiche. La peste dovette rinfocolare la devozione a S. Rocco dato che ancora nel sec. XVIII era viva una Confraternita dedicata al Santo. Un pio legato, della rendita di 500 lire annue, veniva incontro agli infermi poveri del Comune; un lascito privato di 200 lire sussidiava la scuola de' fanciulli in Sellero. Fortuna di Sellero fu di avere anche in seguito parroci zelanti tra i quali si distinsero: don Gaudenzio Ruggeri (1588-1594) che morendo nel 1594 lasciò in eredità 40 scudi per la fondazione di un Monte di Pietà, eretto poi ufficialmente con decreto del 16 giugno 1613; arricchito da altri lasciti, dopo espropri, venne soppresso nel 1870; don Martino Barba o Barbuto (1594-1628) il quale nel 1616 dava vita alla Confraternita del S. Rosario anch'essa arricchita di legati e di lasciti. Nel 1829 contava ancora 165 confratelli e consorelle. Nel secolo XVIII si distinsero don Angelo Angeli di Pescarzo (1767-1777) sulla cui tomba venne scritto che «con la parola, l'esempio e il denaro, avvantaggiò la parrocchia». A lui infatti si deve nel 1775-1776, l'abbellimento del coro e la costruzione del bell'altare di S. Maria. Ancor più benefico fu don Gian Domenico Simoncini di Cedegolo (1777-1800) che, oltre che a dare esempi di pietà e di zelo, edificò quasi solo a sue spese la nuova chiesa parrocchiale e la bella canonica. Nell'800 ebbero spicco le figure di don Giacomo Milesi (1812-1841) che innalzò il campanile e lo dotò di un concerto di cinque campane, e mons. Luigi Camadini (1868-1877) il quale, oltre a realizzare opere di rilievo quali l'organo, diede impulso alla vita della parrocchia e a nuovi slanci devozionali quali le grandi feste di S. Luigi Gonzaga e della Madonna del Rosario, anche attraverso una intensa attività formativa centrata sulla catechesi. Incompreso nei primi anni, ma poi seguito con fedeltà e stima fu don Bernardino Bonomelli (1897-1914). Zelante, caritatevole fu don Giovanni Maria Berta (1914-1937), ricordato per generosità di cuore e grande esempio di umiltà. A don Giovanni Maria Botticchio (1938-1956) si deve l'introduzione del Triduo dei morti tenutosi la prima volta il 4-6 febbraio del 1955. A lui si devono anche la costruzione del campo sportivo dell'oratorio (1946) e della scuola materna, che appaltata il 25 luglio 1955 a Giovanni Bressanelli e Bortolo Poetini, su progetto del geom. Antonio Ghirardi, fu inaugurata il 28 ottobre 1956 alla presenza del prefetto di Brescia. Durato solo dieci anni il parrocchiato di don Giovanni Simonetti (1956-1966) fu ricco di notevoli iniziative fra le quali, oltre la fondazione del Circolo Giovanile, l'erezione dell'oratorio, la fabbrica di aule catechistiche, il cinema teatro eretto su progetto dei geometri Ghirardi e Camadini, sotto la guida dell'ing. Cremaschini, e inaugurato il 15 agosto 1963. Da allora l'oratorio divenne la sede delle più diverse iniziative culturali e ricreative. Don Simonetti promosse anche la costruzione del caseificio sociale che ebbe la durata di 20 anni. I suoi successori: don Moratti, don Costa, don Pedrazzi e da ultimo di don Giuseppe Ghidinelli, ne continuarono l'attività che ha visto rinascere una buona scuola di canto, l'avvio di una radio zonale (Radio Monte Elto) con un bacino di utenza di una ventina di paesi della zona.
Fra gli ultimi avvenimenti di rilievo devono essere ricordati i restauri nel 1987 della chiesa parrocchiale e della chiesa di S. Desiderio e le grandi Missioni al popolo del 1-12 ottobre 1997 ricordate anche da un volume del parroco don Ghidinelli. Memorabile il 16 febbraio 1997 la visita del Card. Ersilio Tonini. Tra le figure di spicco di Sellero Suor Maria Luigina Camadini (m. il 21 maggio 1905), Gianfranco Camadini (1923-1954) molto apprezzato per le sue doti di intelligenza e di capacità organizzativa. Nel movimento cattolico bresciano, di Novelle fu don Francesco Bressanelli, morto nel 1828 che rinunciò alla cattedra episcopale di Cattaro.
CHIESA PARROCCHIALE DI S. MARIA ASSUNTA. Anche la chiesa precedente all'attuale di S. Maria, ha registrato trasformazioni notevoli. Era ancora una chiesa povera nel sec. XVI quando il vescovo Bollani decretava che venisse imbiancata, soffittata e provvista di una finestra. Nel 1754-1755 il presbiterio venne arricchito di affreschi di discreto pennello che ancora oggi si vedono nell'attuale sagrestia, che sembra fosse il presbiterio della precedente chiesa e che rappresentano S. Maria Assunta incoronata dalla SS. Trinità, i quattro Evangelisti e i quattro Dottori della Chiesa. Negli stessi anni venne posto il magnifico altare trasferito poi nel 1788 nella nuova chiesa parrocchiale. La vecchia chiesa aveva un altare dedicato alla Madonna del Rosario, adorno di una pala ora sull'omonimo altare della nuova parrocchiale ed un simulacro della Madonna, opera di artigianato del sec. XVIII. Inoltre vi era l'altare del Suffragio la cui pala è ora sull'analogo altare dell'attuale parrocchiale. L'attuale bella chiesa parrocchiale venne realizzata sulla fine del '700. Posta la prima pietra il 26 luglio 1785 venne benedetta il 14 dicembre 1788. Benemeriti furono il parroco don Giovanni Domenico Simoncini e il presidente della Fabbrica il maestro Giacomo Damiolini, che morendo il 11 marzo 1804, rimise un debito di 17 mila lire. La chiesa è la riproduzione in scala minore della parrocchiale di Pisogne opera dell'arch. Ab. Antonio Marchetti e venne costruita "sotto la presidenza" del capomastro Simone Spandri di Pisogne, sconosciuto alla storia dell'arte bresciana. La facciata è mossa, elegante. Il portale in marmo chiaro di Vezza è del 1844. Entrando si trova una tela secentesca ad olio raffigurante la Morte di S. Giuseppe di autore ignoto. Partendo da sinistra il primo altare è dedicato S. Giuseppe. È stato edificato nel 1860 dall'arch. Benedetto Vaglio di Marchirolo (Varese) in gesso marmorizzato colorito con tabernacoli in legno pure marmorizzati. I gradini in marmo occhialino furono fabbricati dal tagliapietre Antonio Broggi di Ono S. Pietro. La pala raffigurante S. Giuseppe con Gesù Bambino (1860), che il Canevali ha definito "il più bel quadro della chiesa di Sellero" è opera del pittore Cristoforo Capitanio di Capodiponte, un pittore pressoché sconosciuto, morto prematuramente. Segue l'altare della Madonna di Rosario con una pala molto originale di ignoto del secolo XVIII. Il bel pulpito è stato costruito nel 1820 da Tommaso Pietroboni di Vione. L'altare maggiore venne costruito per la precedente chiesa nel 1757-1758 grazie all'eredità di Domenica Nazari, ad opera di artigiani comuni quali Silva (predella), Bona, Togni (parapetti), Mancini e soprattutto Carlo Girolamo Rusca utilizzando "pietre occhialine, giallo di Verona, diaspro di Sicilia, verde antico". Il tabernacolo venne eretto nel 1764 con intervento di Carlo Rusca ed utilizzando (nel 1777) "puttini" o angioletti provenienti dalla celebre bottega dei Fantoni di Rovetta. La pala raffigurante l'Assunta e gli Apostoli è opera di Santino Cattaneo, firmata e datata 1807 preceduta dall'annotazione storica «Regno d'Italia», restaurata nel 1946 dal Bertelli di Brescia e nuovamente nel 1996-'97 da Romeo Seccamani di Anfo. Le due tele nella controfacciata provengono da S. Maria antica e raffigurano S. Gaetano e S. Giovanni Nepomuceno. Gli stalli del coro sono opera di Tommaso Pietroboni di Vione (1822-1830). L'organo contenuto in una magnifica cassa sulla parete destra fu costruito dalla ditta Giovanni Tamburini di Cremona per il Conservatorio Musicale della città. Non essendo stato ritirato in tempo, venne acquistato nel 1914 dal parroco don Luigi Camadini e donato alla parrocchia. Gli ultimi restauri dell'organo sono del 1957. Scendendo dal lato destro si incontra l'altare delle anime purganti o del Suffragio con una bella pala raffigurante il Redentore, la Beata Vergine, i SS. Antonio ab., Angela Merici e le anime purganti. Olio su tela è di autore ignoto di scuola veneta e porta la scritta "Questa pala fu fatta dalla Compagnia di Venecia l'anno 1623". L'ultimo altare detto di S. Rocco venne eretto con quello dirimpetto dall'arch. Benedetto Vaglio, nel 1860 mantenendo lo stesso disegno. La pala raffigurante i SS. Rocco, Sebastiano e Antonio ab. è opera del pittore A. Ceroni di Albino (Bergamo). Di Clemente Bordiga operoso nella seconda metà del sec. XVII è una Madonna col Bambino di lontana ascendenza morettesca e un poco manierata. Il campanile del secolo XVI venne rialzato nel 1832 con una cella campanaria ad archi a pieno sesto. Il concerto, particolarmente riuscito, venne fuso nel 1836 dalla ditta Giorgio Pruneri di Grosio in Valtellina. In canonica veniva custodita la tela attribuita ad Andrea Celesti raffigurante l'unzione del pastorello Davide per mano di Samuele che ora è nella canonica di Capodiponte. Vi esiste ancora un ritratto di don Gian Domenico Simoncini (c. 1777), olio su tela, di ignoto. Reca la scritta: "CEDEGVLI ORTVS 1740 - SELLERI PARROCVS 1777" (nato a Cedegolo, 1740 - Parroco a Sellero, 1777). È il parroco che ha ricostruito la chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta e un'ala della Casa parrocchiale dove è ancora leggibile la scritta: « EXTRUSCIT SIMONCINI RECTOR AMENA HAEC (et profundi ?) PLVS QVAM SEXCENTIA SCUTA. ANNO 1785» (Il parroco Simoncini ha costruito queste belle cose, spendendo più di 600 scudi. Anno 1785).
La parrocchia è stata restaurata con consistenti lavori terminati nel 1989.
S. DESIDERIO. Prima parrocchiale di Sellero, già esistente nel sec. XIII subì varie trasformazioni delle quali rimane una testimonianza in una interessante monofora sul lato destro della chiesa. Del sec. XVI è il campanile, in pietra a vista. Il giorno della Consacrazione era fissato all'8 maggio. Nel 1656 nella chiesa rimaneva un solo altare, mentre il Visitatore oltre a decretare il restauro delle pareti esterne interdiceva la sepoltura in chiesa presso la porta fino a quando non fosse costruita in forma regolare. La chiesa, trovandosi al centro dell'antico cimitero, continuò ad essere officiata e frequentata anche quando la parrocchiale venne trasferita in S. Maria. Nel 1809 il vescovo Nava la dice frequentata dal popolo in suffragio dei defunti, ove si fanno gli uffizi". Già sconsacrata nella seconda metà dell'800 venne, durante la prima guerra mondiale trasformata in un alloggio per truppe. Riaperta al culto, è stata restaurata nel 1987 per iniziativa del parroco don Giuseppe Ghidinelli. Come hanno scritto G.S. Pedersoli e M. Ricardi, la facciata rivolta verso sud, di tipo romanico, è in pietre vive locali, con inclusione di mattoni, tipo "opus incertum", mentre i portali (sec. XII), sono di forma rozza, realizzati con blocchi di pietra che paiono recuperati qua e là, con croce profondamente incisa sull' architrave. Si noti la immediatezza della costruzione, tipica dell'epoca altomedioevale: gli architravi non sono mai perfettamente orizzontali. Gli stessi autori annotano: l'interno, a una navata, contiene affreschi attribuiti al da Cemmo. Altar maggiore in marmo con predella (1758) in marmo occhialino. SS. Trinità con i Santi Desiderio, Pietro e Antonio di Padova (1704), pala ad olio su tela, di Antonio Paglia, come appare dalla firma, apposta in calce: "Antonius Palea F. 1704"; "giudicata dagli intelligenti di molto merito" (Murachelli), con cornice coeva e un "gruppo di Angeli della scuola del Ramus". Madonna in trono con angeli e i Santi Girolamo e Caterina da Siena (sec. XV) affresco, di Pietro Giovanni da Cemmo (così il Canevali); della scuola del Ferramola, secondo la Ferrari, ma di difficile attribuzione in quanto successivamente deturpata. A lato dell'altare due ex voto con S. Lucia, S. Valentino e il ritratto del donatore (sec. XVII), di Clemente Bordiga, come appare dalle firme apposte; "Clemens Bordiga Fecit".
Secondo il Canevali sarebbero cemmeschi gli affreschi con i Santi Desiderio, Gregorio Magno e Rocco sulla parete esterna presso l'entrata laterale e la Madonna in trono tra i Santi Caterina e Girolamo, in una nicchia della parete destra. Il Bertolini invece scrive che il primo affresco è probabilmente del Maestro di Bienno "con prestiti linguistici nordici" soprattutto nel S. Rocco, mentre il secondo lo ritiene opera della scuola del Ferramola.
S. ROCCO. Venne costruita intorno al 1521 per deliberazione presa, su sollecitazione del parroco don Orsatti, dalla comunità il 7 novembre di tale anno "per allontanare la peste per intercessione del Santissimo Rocco Padre nostro". La cappella con altare sorgeva presso la chiesa di S. Maria, ed era accompagnata dal voto di solennizzare il giorno festivo del Santo con due ceri di due libbre per ogni anno e della confezione di uno stendardo processionale. Il Comune e gli uomini di Sellero, per finanziare la costruzione, regalarono al rettore don Orsatti metà delle castagne di Ronco avute in legato da Filippo Mascherpa, e l'altra metà alla chiesa perchè "il sig. Sacerdote soprascritto eseguisse gli obblighi a nome del Comune e cioè canti le Litanie e celebri la Messa più solennemente - cum cantarinis - a sue spese e goda la sopradescritta obligazione e non più". Gli atti della visita pastorale del vescovo Bollani (1567 non accennano che ad un altare esistente in S. Maria. La festa votiva è registrata dagli Atti della visita di don Cristoforo Pilati (1573). Scrive ancora il Murachelli: "L'oratorio di S. Rocco fino al Settecento funzionava nel locale della ex Casa comunale presso la Canonica. Oggi, quel luogo ridotto a sala parrocchiale, conserva tuttora un ricordo in un affresco di scuola secentesca che rappresenta la Vergine col Bambino, S. Rocco e S. Desiderio. Si deve inoltre aggiungere che questa Cappella di S. Rocco aveva dei livelli e dei beni che erano amministrati da una Confraternita come risulta da documenti del 1717 e 1726".
CAPPELLA DI S. MARIA AUSILIATRICE. Sorge in via S. Maria ed è voto di guerra, come ricorda una iscrizione su di una lapide di marmo che dice: "Auxilium Christianorum/ ora pro nobis et pro nostris militibus/A.D. 1943" (Aiuto dei cristiani/prega per noi e per i nostri soldati. L'anno del Signore 1943).
SANTELLA DEL CROCIFISSO. Si trova sulla strada da Sellero a Novelle e contiene il Crocifisso (sec. XVI) che S. Carlo fece porre sull'arco trionfale del presbiterio di S. Desiderio. Il Crocifisso fu rubato e ne venne fatto una copia. Nel 1978 il Gruppo Alpini e l'Associazione Combattenti, restaurarono la cappella agli inizi del paese. Un crocifisso venerato presso l'incrocio della statale 42 e la strada che sale a Sellero che sovrasta un tratto di ferrovia nota per molti incidenti, e restaurato venne ricollocato nel dicembre 1983. Come scrive F. Murachelli: "Anche in antiche abitazioni di Sellero esistevano affreschi votivi della scuola del da Cemmo come in contrada Torre, in via Piazza Fontana, presso l'antica "Cà dei Frèr" e così pure sulla facciata della casa Angeli, scomparsi in un recente restauro. Fra le case di una rilevante distinzione è Casa Panzerini del sec. XVII costruita appunto da tale famiglia. Notorietà ebbe la sorgente di S. Carlo, che si trova lungo la strada che da Sellero conduce a Novelle chiamata dal popolo " 'l Fontanì de S. Carlo" perchè ad essa si sarebbe accostato il Santo. Essa da secoli ha dato acqua fresca e abbondante.
ECONOMIA. L'economia fu sempre sostanzialmente agricola al piano e silvo-pastorale sulle alture, anche se non mancano i segni di una attività mineraria fin dai tempi preistorici. Un gruppo di incisioni che secondo gli studiosi raffigurano la bottega del fabbro non ha mancato di creare suggestioni e fascino, anche per la scoperta in luogo di calcopirite associata al siderosio e al nichelio. Comunque nel medioevo i documenti vescovili non accennano che ad una economia agricola. Tuttavia non dovette mancare una complementare attività mineraria-siderurgica. In un documento del 6 ottobre 1472 dell'Archivio di Stato di Venezia si legge: "I luoghi di Alumi (minerali) da esser cavati son gli infrascripti in Valcamonega in Brexana. El monte de Dos de la Torre posto fra la giexa di San Pietro de Chomo (sic, pro Hono) et la villa de Grieve (Grevo) sovra la chasa del gos el qual monte confina fino al ponte de Ziedegol (Cedegolo) insimul cum el monte deli da oio aliu (? Allione) contra dela dieta chasa del gos de la pertinetie de la villa de Seler, ecc.". Nel 1610 il Da Lezze registrava "Questo territorio produce biave et castagne, fieni et alcuni pochi vini molto acerbi", "li abitanti", soggiunge, "sono contadini che attendono all'agricoltura." Vi esistevano due mulini ed un "razzica". Diffusa e particellare la proprietà tanto che nel 1820 su circa 400 abitanti gli "estimati" salirono a 226. Prese forza probabilmente nei secoli successi. Infatti nel 1820 Giovanni Maironi Da Ponte annotava come "All'imboccatura dell'Allione nell'0llio ha un forno di fusione del ferro, con altre officine di riduzione; sicchè molti de' suoi trecentottanta abitanti sono ciclopi, fucinieri, e montanisti; gli altri attendono alle faccende della campagna". Negli stessi anni suscitò nuova speranza la scoperta da parte dell' edolese don Francesco Cattaneo (che venne premiato di medaglia d'argento) di giacimenti sul monte Carona "di solfato di Magnesio, o sia Salamaro, di carattere analogo a quello di Epson, ma d'indole più blanda, quindi meno soggetto a quegli effetti incomodi, che suoi produrre quello d'Inghilterra tanto usato in medicina". Scoperta tuttavia che non diede frutti economici.
Infatti a distanza di 25 anni il quadro economico non è cambiato da quello descritto dal Da Lezze. Lo illustra con dovizia di particolari Bartolo Rizzi nel 1870 quando scrive: "la parte piana è coperta da prati, che danno un 70 mila miriagrammi di fieno; i campi in collina producono annualmente 500 ettolitri di segale, 200 di frumento, 300 di grano turco, 500 di grano saraceno, e quintali 1000 di patate. Tempo fa raccoglievasi ivi buona quantità di uva; ora la crittogama ha recato grave danno anche alla vite. Vi prosperano assai i gelsi, a cagione della natura silicea del terreno. Là dove termina la collina e comincia il monte, si ammira un castagneto assai vegeto, dal quale si raccolgono ogni anno non meno di 2000 quintali di castagne sceltissime. Il valore dei boschi, che costituivano negli anni passati una delle principali fonti della ricchezza comunale, va diminuendo a cagione dei furti e del pascolo vago. Di ottima qualità sono le poma, le pere, le prugne, i fichi; vi si allevano bigatti ed anche api in non piccola quantità". Scriveva ancora il Rizzi: "Gli abitanti si dedicano all'agricoltura ed all'allevamento del bestiame - 200 animali bovini, 300 pecore, 500 capre, 50 majali -. Dopo il raccolto delle castagne si verifica ivi una parziale e breve emigrazione di uomini, che si recano nel Bresciano e nel Cremonese a cambiarvi le castagne con grano turco; all'epoca dei bigatti poi, una metà della popolazione si porta nella Francia-corta a sfrondare gelsi, spigolare frumento, e dar opera ad altri villerecci lavori".
La crisi agricola degli anni intorno al 1880 spinse la popolazione ad una sempre più larga emigrazione alla quale si tentò di ovviare con lo sfruttamento, sempre sul monte Carona, di una miniera di ferro. Gestita da un certo Cavalletti sembrò fruttare del buon minerale. Senonchè passata al Comune di Sellero questi la cedette nel 1924 alla Società Montecatini la quale cercò di ricavarne il massimo. Si fecero nuovi sondaggi, ma poco fruttuosi, e nel 1928 la miniera venne chiusa completamente. Più promettente, sempre verso la fine dell'800, si prospettò lo sfruttamento delle miniere concesse alla ditta Gregorini, che assieme a quelle di Loveno, Paisco, Ono S. P. incominciarono a dare decine di migliaia di quintali di minerale.
Dalle miniere di Sellero la ditta milanese "Erba e Curletti" estraeva minerali di zinco. Nel giugno 1896 veniva dato il via alla costruzione di uno stabilimento della ditta Zitti-Gregorini per la distillazione dal legno di carbone e acido piro-legnoso e di alcool metilico, ma a causa della mancanza di rapidi mezzi di trasporto l'impresa fallì. Una più promettente svolta nell'economia locale si ebbe a partire dal 1916 quando il Murachelli, direttore della Gregorini di Lovere, assunse, con altri, lo stabilimento denominandolo: "Società Elettrometallurgica di Valle Camonica" e vi si fecero gli impianti per la produzione della ghisa, ma nel 1922 i forni si trasformarono per la produzione del carburo di calcio e vi subentrò, nel 1925, la "Società Esercizio Forni Elettrici" (S.E.F.E.) con un gruppo di azionisti milanesi i quali continuarono con la produzione del carburo unendosi al Consorzio Italiano Carburo di Calcio e ferroleghe di Roma. Nel 1931, per iniziativa degli stessi azionisti, e particolarmente dell'avv. Maffeo Gheza, si iniziarono le prime prove per la produzione dell'acciaio inossidabile sfruttando il brevetto del dott. Angelini, e per un ampliamento e un maggior sfruttamento degli impianti subentrò la società "Elva" di Vallecamonica. Per qualche anno si continuò nella produzione del carburo e dell'acciaio, ma poi, nel 1935, i due gruppi si divisero, rendendosi autonomi; il gruppo per la produzione dell'acciaio passò al Lanico di Malegno, dove si costruì un proprio stabilimento, mentre a Sellero, nel 1937, veniva costruito un nuovo impianto per la produzione di calciocianamide, particolarmente ricercata dall'agricoltura intensiva della pianura padana e che diede lavoro a molti operai di paesi estremamente poveri come Paspardo, Pescarzo, Saviore, ecc. Chiusa la S.E.F.E. nei suoi capannoni presero posto la Fucinati S.p.A.; la Impredil s.a.s.; la Carlo Tassara Marmi S.p.A.; la Società Cooperativa Monte Elto. Nelle vicinanze operava anche il complesso Bulloneria Trafileria di Valle Camonica s.r.l. con una trentina di operai. In seguito è stata fondata la Sider Camuna S.p.A. dei fratelli Bellicini. Ora lavora e produce la spa Riva Acciaio. La manodopera ha trovato inoltre lavoro a Breno e nella Union Carbide di Forno d'Allione. Nel 1967 venne avviata a S. Fiorano la costruzione di una centrale idroelettrica dalla Società Generale Elettrica dell'Adamello (S.G.E.A.) per sfruttare l'acqua del lago d'Arno, centrale che non procurò vantaggi al paese e che segnò il tracollo dell'agricoltura con la perdita del terreno più produttivo.
Negli ultimi anni non sono mancati interventi sull'agricoltura. Sforzi son stati compiuti per migliorare le malghe, e per sensibilizzare la popolazione con feste della montagna; come pure per valorizzare antichi vigneti quali quelli del gen. Maifredini, il cui vino può sfoggiare una propria etichetta. È recente la nascita dell'azienda agricola "Le Tresche", dove Umberto Torri con le figlie Paola e Daniela ha anche promosso nel 1982 una scuola d'equitazione.
PARROCI: Michele, beneficiale di Sellero (1437); Vittore q. Giovanni Tarcisio, beneficiale (1447); Bernardus Rector Ecclesiae Sancti Desiderii di Sellero (1459); Jorio o Giorgio di Iseo (1464); Gabriele di Monno (1480); Guarnerio di Vione (1497); Pietro (1520); Orsatto degli Orsatti di Cemmo (1532); Pietro de Originali (1538); Filippo q. Serascatri de Rubeis di Piancamuno (1546); Lazzaro de Ritiis o Carlo de Ricis (1560); Girolamo Celeri di Lovere (1580); Giov. Battista Passerino di Corteno (1586); Gaudenzio Ruggeri di Paspardo (1588-1594); Martino Barbuto di Paspardo (1594-1628); Giovanni Paolo Picenni (1628-1641); Giov. Battista Ceruti di Vezza (1642-1646); Giov. Battista Omeri di Sellero (16461681) ; Alberto Omeri di Sellero (1681-1700); Pietro Chiappini di Stadolina (1700-1729); Carlo Aurelio Giacomi di Capo di Ponte (1730-1767); Angelo Angeli di Pescarzo di Cemmo (1767-1777); Gian Domenico Simoncini di Cedegolo (1777-1800); Pier Giacomo Poetini di Sellero (1800-1812); Giacomo Milesi di Cerveno (1812-1841); Matteo Balzarini di Vione (1842-1855); Andrea Bertelli di Capo di Ponte (1856-1867); Luigi Camadini di Incudine (1867-1877); Giov. Battista Guarinoni di Niardo (1877-1896); Bernardino Bonomelli di Valle di Saviore (1897-1911); Stefano Tosini, economo spirituale (1912-1914); Giov. Maria Berta di Cimbergo (1914-1936); Antonio Rebuffoni di Braone (1937); Giov. Maria Botticchio di Ossimo Superiore (1938-1956); Giovanni Simonetti di Malegno (1956-1966); Luca Pescarzoli di Losine (1967); Pietro Moratti di Pontagna (1967-1969); Pietro Costa di Orzinuovi (1969-1981); Giuseppe Pedrazzi di Santicolo (1981-1985); Giuseppe Ghidinelli di Lodrino (1981-2000); Giacomo Zani di Cortefranca (dal 2000).
SINDACI: Damiolini Giov. Maria (dal 3 luglio 1948); Sangiorgi Paolo (dall'11 novembre 1952); Camadini G. Pietro Luigi (dal 7 novembre 1954); Camadini G. Pietro Luigi (dal 25 novembre 1956); Damiolini Giov. Maria (dall'11 giugno 1961); Bressanelli Martino (dal 24 luglio 1965); Damiolini Stefano (dal 19 luglio 1970); Bressanelli Desiderio (dall'11 luglio 1975); Damiolini Santo (dal 21 marzo 1976); Bressanelli Martino (dal 19 luglio 1980); Bressanelli Battista (dal 30 aprile 1982); Bressanelli Giampietro (dal 31 maggio 1985).