SAN COLOMBANO

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SAN COLOMBANO (in dial. San Colombà)

Frazione del Comune di Collio e parrocchia autonoma. È l'ultimo paese della Valtrompia a 1000 m. s.l.m., a 3 km. verso E da Collio e a 43 km. da Brescia in direzione del passo del Maniva. È protetto da una cerchia di alture quali il monte Colombine (m. 2206), il Dosso Alto (m. 2064), la Corna Bruni o Blacca (m. 2006). Il territorio di S. Colombano ha un'estensione di 53 kmq. e comprende due terzi della superficie comunale di Collio.




ABITANTI (Sancolombanesi, nomignolo: "aócacc, còi de furca, médelader): 500 nel 1580; 350 nel 1635; 500 nel 1646; 370 nel 1657; 430 nel 1676; 399 nel 1688 e nel 1691; 416 nel 1699; 447 nel 1703; 430 nel 1713; 480 nel 1727; 485 nel 1729; 431 nel 1735; 406 nel 1775; 410 nel 1791; 416 nel 1805; 500 nel 1809; 480 nel 1819, nel 1835, nel 1848 e nel 1853; 635 nel 1858; 700 nel 1868; 782 nel 1875; 800 nel 1887; 900 nel 1898 e nel 1908; 1100 nel 1913 e nel 1926; 1200 nel 1937 e nel 1949; 1100 nel 1963 e nel 1971; 850 nel 1981; 781 nel 1991; 823 nel 1997; 850 nel 2000.




Il suolo è ricco geologicamente di calcari e rocce dolomitiche che offrono grandi varietà di marmi, grigi, scuri e variegati. Italo Zaina segnala l'esistenza di una striscia rossastra chiamata Servino in cui si trovano filoni di quarzo, fluorite, blenda, galena, rame, calcobarite e pirite non senza qualche traccia di metalli preziosi, soprattutto argento, per esempio alle pendici del Muffetto e anche di oro. Peraltro il minerale più abbondante è la siderite che contiene una buona quantità di ferro che ha consentito lo sviluppo delle attività siderurgiche metallurgiche e meccaniche in Valtrompia e anche nelle valli limitrofe (Bagolino, zona delle Pertiche), dato che la valle del Mella non era in grado di fornire la quantità di combustibile (carbone di legna) necessaria per la fusione. Notevoli per abbondanza ed anche per quantità di minerale le miniere di siderosio disposte nei fianchi del Monte Colombine, le quali alimentarono per lungo tempo l'altoforno di Bagolino. Nel territorio esistono fluorina, filoni di solfuro non sfruttati industrialmente. Vi si trovano vecchie fonti acidulo-ferruginose solo in parte sfruttate. Tra le curiosità naturali si devono segnalare gli alberi di sorbo degli uccellatori o marósen, uno dei quali, monumentale, esisteva nella tenuta di un valente cacciatore e sciatore, Giovanni Cantoni detto Baita. Da sempre coltivati la pastorizia, l'allevamento del bestiame, l'agricoltura (specie di orzo, segale, frumento), non molto abbondante la produzione di frutta. Hanno acquistato un nome particolarmente le formaggelle e i formaggi prodotti nelle malghe del territorio.


NOTE DI STORIA. La tradizione che a S. Colombano siano stati confinati dei "damnati ad metalla" cioè dei condannati a scavare miniere, può spiegare il nomignolo di "còi de furca" (colli da forca) o "méda de làder" (mucchio di ladri) dato ai suoi abitanti. Il luogo ebbe sempre una certa importanza trovandosi ai piedi del passo del Maniva che, come sottolinea Paolo Guerrini «era la via più diretta di comunicazione fra la Valtrompia ed il Trentino, e da qui si può fare la salita al Dosso alto, classica plaga di botanica alpina e di studi geologici, a Casalite (casa della lite) che ricorda forse le lunghe e aspre contese di confine fra i Trumplini ed i conti di Lodrone, feudatari di Bagolino, alle Colombine, al Dasdana, alla Pezzeda, o discendere in poco tempo a Bagolino». Ai Laghetti di Ravènola Paolo Biagi nel 1976 rinvenne reperti mesolitici (circa la metà del VII sec. a.C.) che, con altri ritrovamenti, hanno fatto pensare ad una delle più antiche testimonianze di insediamento umano nel Bresciano, se non ad una stazione della mitica "via dell'ambra". Sempre in luogo vennero rinvenuti reperti romani e medioevali. L'importanza del passo consigliò o alla pieve di Bovegno o, nel sec. VII, al monastero di Bobbio, fondato nel 612 da S. Colombano, di erigervi un ospizio forse da individuare nella località Capraria registrata, sembra, nel territorio bresciano nelle pergamene del monastero stesso. Falso storico o da dimensionare per indicare un nuovo insediamento è la notizia fornita dal Comparoni nelle "Storie della Valle Trompia e Sabbia" che la contrada sia stata fondata dagli abitanti di Collio sfuggiti all'incendio del 23 marzo 1619 mentre già nel 1389 si accenna all'esistenza di una chiesa dedicata a S. Colombano, in piena efficienza da poco "migliorata" con un suo beneficiario. Esistenza confermata nel 1410 assieme a quella di una vicinia che si prende cura della stessa. Agli inizi del '600, appare nella pala dell'altare maggiore firmata, nel 1617, dal Viviani, il piccolo centro abitato, raccolto fra tre piccoli dossi ed abbracciato dal Mella. Era allora circondato da una muraglia con una porta proprio dietro la chiesa, dove ora c'è il cimitero. Oltre che dalla peste del 1630 il territorio venne colpito da non poche inondazioni. In seguito ad una di esse particolarmente dannosa, come documenta Valentino Volta, il 4 novembre 1666 il Comune affida a Giovanni Zanardelli e a Giovanni Cantoni la ricostruzione del mulino della Valle di S. Colombano, interamente distrutto. «Il 14 settembre 1667 è indicata una scrittura per riparazioni» ai mulini comunali a causa di un'altra inondazione: per realizzare il ponte sotto il mulino di S. Colombano, «affidato a Domenico Gio. Danes, viene fornito il legname dal Comune», precisando che «detta struttura serve ad attraversare il Gambidolo. Quindi - osserva il Volta - anche questa ruota era posta sull'affluente e non sulla corrente principale del Mella». Ricorrenti le minacce alla salute: in data 8 maggio 1668 il Consiglio Comunale delibera di solennizzare la festa di S. Michele arcangelo per ottenere «la salute et la liberatione delle febbri maligne, morbi et infermità che frequenti sono massime nella Valle di S. Colombano». Nel 1791 S. Colombano veniva separato da Collio e con ducale del doge Alvise Mocenigo del 1796 venivano divisi i beni.


A ricordare fatti di brigantaggio nel territorio è la santella della Crapa di Vaia. Atti della visita pastorale del 1713 denunciano lo sfruttamento di minori nelle miniere: un grave fenomeno rilevato ancora nel 1857 da Giuseppe Zanardelli. Segni di progresso agli inizi del sec. XIX sono la costruzione della strada "Valeriana nuova di S. Colombano" realizzata su progetto dell'arch. bovegnese Matteo Gatta nel 1805-1806 e la costruzione, pochi anni dopo, su progetto dell'ing. Sedaboni, del cimitero. Nel frattempo si manifestavano i primi segni di un'uscita della contrada dal secolare isolamento. Si deve ad un Bortolo Zanini (detto Armei) il merito di aver intuito fin dal 1826 importante, riguardo alla composizione come minerale, l'acqua proveniente da due polle nella "parte superiore" del paese, nella falda orientale del Monte, o sperone, Acuta, e di averle segnalate all'Ateneo di Brescia. In una simpatica relazione nei Commentari dell'Ateneo di Brescia per l'anno 1834 (p. 107) il poeta Cesare Arici dà conto di una "sua piacevole peregrinazione a quei luoghi (cioè a S. Colombano) di selvatica amenità". Delle acque compì la prima analisi il chimico Stefano Grandoni nel 1833 mentre le fonti vennero studiate in seguito da una commissione composta, oltre che dal Grandoni, dai chimici Zantedeschi e Cenedella che nel 1835 in un loro rapporto definivano le acque "marziali" di S. Colombano come le migliori fra quelle bresciane. Venivano anche segnalati i primi benefici in don Domenico Bianchi e fin dal 1820 in certa Alessandra Zanini che non aveva avuto nessun beneficio da quelle di Recoaro e Peio. In seguito sorsero vive rivalità fra i sostenitori della fonte di S. Colombano e di quella di Trovina di Bovegno fino ad istituire presidi notturni. Nel 1878 alla Fonte dedicò un lungo componimento il medico don Bortolo Ghidinelli. Il comune di Collio acquistò poi dallo Zanini l'accesso e la proprietà della fonte costruendovi un modesto edificio. Ma la fonte venne poi praticamente negletta.


Una più decisa, anche se relativa, svolta nella vita di S. Colombano si verifica nel 1888, quando, dietro interessamento del prof. Pericle Sacchi, primario dell'Ospedale Maggiore di Cremona, vi si stanzia ospite del parroco don Balzarini, una colonia alpina (terza del genere in Italia) di 16 fanciulli, quella che diventerà la Colonia Alpina Cremonese. Nel frattempo il paese accoglie famiglie di turisti provenienti da Cremona, Mantova, Milano, Pavia. La Colonia Cremonese nel 1892 viene trasferita a Fraine e nel 1900 viene di nuovo trasferita a S. Colombano in una sede propria; sede che verrà poi ampliata e dedicata alla Regina Margherita. Nel 1923 Giacomo Migliorati comperava la vecchia caserma della Guardia di Finanza che, ristrutturata e ampliata con un nuovo padiglione, ospita bambini e bambine bresciani. Dedicata dapprima al figlio Giacomo e al dott. Filippini, verrà intitolata a Rosa Maltoni Mussolini. Nel 1929 sorge invece la colonia INAM per i figli di insegnanti che, ospitata nel nuovo edificio scolastico, accoglie bambini di tutta Italia. Ridotto di molto il lavoro nelle miniere del luogo (due sono segnalate ancora aperte nel 1857) si andò diffondendo il fenomeno dell'emigrazione verso il Trentino, mentre l'elemento femminile si orientò in prevalenza verso la Svizzera. Eredità molto diffusa fino a pochi anni fa fu la silicosi per cui si diceva «a vent'anni in galleria a quarant'anni al cimitero». Sulla faticosa scia del turismo si affaccia la prima attività sportiva che vede impegnati nello "skiaggio" gli alpini e, al contempo, un mitico esponente locale: Giovanni Cantoni detto "Baita" che oltretutto è anche un valente cacciatore.


Anni intensi visse S. Colombano prima e durante la I guerra mondiale. Già nel 1906 il capo di Stato Maggiore gen. Saletta saliva sulle montagne spingendosi fino al lago Dasdana e a Croce Domini in intense perlustrazioni. Seguirono sopralluoghi da parte del Genio Militare che fin dal 1907 tracciò, dal Passo del Maniva fino alle Colombine, una strada poi continuata fino a Croce Domini. Nel 1908 i lavori di fortificazione vennero sempre più intensificati. Tre caserme vennero costruite: alla Casalite (poco lontano dal Passo del Maniva, poi sede del Rifugio Bonardi) dove si insediò il Comando della zona, presso la "Crapa di Vaia" e al Pian delle Baste. I giornali del tempo descrivono le teorie di uomini, donne e fanciulli carichi di sassi, spranghe e cemento salire verso le montagne, sfruttati da impresari, tanto che nell'agosto del 1908 si verificò, fra i portatori, uno sciopero (subito ricomposto). Nel 1909 veniva completata anche la caserma del Dosso Alto e avviata una fra Pezzeda e Corna Bruni. Veniva realizzata inoltre la strada fino a Croce Domini. In S. Colombano venivano costruite una caserma di Carabinieri e una della Polizia. Dal giugno 1911 sulle montagne si esercitavano truppe di artiglieria e di fanteria. Un distaccamento del 78° reggimento (classi 1891-1892) lasciò il 7 ottobre 1913 il ricordo della sua presenza al Goletto di Ravenola. In paese veniva inoltre installata una caserma di carabinieri mentre si diffondevano sempre più frequenti voci di spionaggio. Al contempo veniva costruita una strada militare come quella da S. Colombano a Breno attraverso il Maniva; col nome di "strada dei soldati" venne chiamata a lungo quella che porta dal Maniva al Baremone. Diventata, quella dell'alta Valle, zona di operazioni, vennero installati comandi militari al Dosso Alto, al Pian delle Baste, al Gioco della Bala, a Casalite. Nel maggio 1915 S. Colombano vide passare alpini, artiglieri e fanti (tra questi i Lupi di Toscana) diretti al fronte delle Valli Giudicarie. La guerra costa a S. Colombano alcune vittime.


Vivace il clima del primo dopoguerra per la presenza di un attivo gruppo socialista che si scontra con il fascismo particolarmente attivo a Collio. Turbolenze si verificano nel marzo del 1923 e ancora nel novembre 1925. Tra contrasti piuttosto forti non mancano segni di progresso. Nel 1922-1923 viene edificato un nuovo edificio scolastico che ospita, d'estate, la colonia bresciana; viene riattivata la strada militare del Maniva, si sviluppa, specie negli anni Trenta, lo sport invernale. Nel 1922, per iniziativa del parroco don Bregoli e del maestro Benvenuto Fracassi, venne inaugurato il 27 agosto il monumento ai Caduti eseguito dalla ditta Maccabiani su disegno del geom. Luigi Bruni di Collio.


Nel 1924 circa 34 alpini fondavano la sezione locale dell'A.N.A. Nel 1994 i soci, divenuti 97, inauguravano una nuova sede. Negli anni '30 la trasformazione in rifugio albergo della caserma di Casalite fece di S. Colombano un polo sciistico. Al rifugio venne realizzato uno dei primi impianti di risalita, lo "slitù", così chiamato per la forma della grande slitta. Negli anni '30 sono sempre più numerosi i campi di Giovani fascisti e dell'UOEI. Si moltiplicano le gare di sci e di altri sport.


Durante la II guerra mondiale la GIL di Brescia istituì una colonia per i figli degli operai delle industrie bresciane. Si doveva risparmiarli dai probabili bombardamenti sulla città. Tale colonia proseguì sotto diversa denominazione anche dopo la caduta del fascismo. La seconda guerra mondiale vede nuove tragedie che culminano nei mesi della Resistenza con un continuo passaggio di partigiani, di tedeschi e di militi della R.S.I. Alle vittime della guerra se ne aggiungono altre, cadute durante la guerra civile.


Il secondo dopoguerra vede di nuovo viva la vita politica e sociale. Si riapre la piaga dell'emigrazione. La visita pastorale di mons. Tredici del 1951 registra che su 1183 abitanti gli assenti per lavoro sono circa 300. «Moltissimi» operai si recano a lavorare «nelle miniere di Collio, Bovegno, del Trentino. L'elemento femminile in prevalenza in Svizzera», scrive don Rossini e mons. Tredici a lato annota: «ora nel Belgio», specialmente come domestiche. Il 23 ottobre 1953 viene inaugurata la nuova scuola materna parrocchiale, dedicata a S. Maria Crocifissa di Rosa; la conduzione è affidata alle Suore Ancelle della Carità. Riprendono a funzionare le colonie per bambini. Attiva la colonia Santa Lucia della parrocchia di S. Filippo Neri di Brescia, abbandonata nel 1986. Nel 1957 S. Colombano ne ospita circa duemila delle colonie dell'ECA di Brescia, Cremona, Volta Mantovana, Suzzara, Gardone V.T., Concesio e Visano. Tra le novità è la strada delle Tre Valli decisa da un decreto ministeriale del 1° febbraio 1967 n. 3439. Al Dosso dei Galli viene stanziata una base NATO di vigilanza sullo spazio aereo in direzione est. Ora è stata abbandonata. Gli anni '80 segnano un certo sviluppo fra pronunciamenti (nel 1983) per una separazione di S. Colombano da Collio. Nell'ottobre 1986 viene finalmente aperto l'ufficio postale. Per il rilancio, specie turistico, nasce nel 1989 per iniziativa di un centinaio di soci l'Associazione Nuovo San Colombano (ANSC) per lo sviluppo della frazione che nel 1991 lancia il programma "San Colombano estate '91" tra cui la "Sgambada 'nturen a la val", manifestazione podistica non competitiva. Nel frattempo, mentre nel giugno 1992 un incendio distrugge il rifugio Maniva, al "Naanì" vengono potenziate le strutture per il turismo invernale, già funzionanti negli anni Settanta, con le piste Cavada e Navanino. Ma ancora nell'ottobre 1996 circolavano voci di separazione della frazione da Collio.


Nel 1997-98 si è provveduto alla sistemazione delle fontane del paese e della piazza S. Barbara (dedicata alla santa protettrice dei minatori). Tra le tradizioni rimaste si ricorda il falò davanti al Cimitero la sera della festa di Ognissanti acceso nella convinzione che i morti vengano a scaldarsi. Più recenti sono le fiaccolate della notte di Natale e della notte di fine d'anno.


A S. Colombano soggiornò il pittore Giovanni Soldini, che ne ritrasse i motivi più pittoreschi.




ECCLESIASTICAMENTE il territorio appartenne alla pieve di Bovegno, entrò poi, come s'è ricordato, probabilmente nell'ambito del monastero di Bobbio e in quello di S. Faustino Maggiore. Ma già nel sec. XIV esiste una struttura ecclesiastica propria. Infatti un documento rintracciato da Carlo Sabatti nel "Libro della Mariegola di Memmo", datato 16 ottobre 1389 e trascritto da Francesco fu Bernardo Calvatti (notaio di Collio nel '500), documenta una controversia per alcune spese a favore delle chiese dei SS. Nazaro e Celso, di S. Colombano e dei SS. Faustino e Giovita per i miglioramenti apportati assai recentemente («pro melioramentis nuperrime factis») nelle stesse chiese e anche per i frutti, redditi e proventi derivanti dai beni delle medesime, oltre che per i debiti e le taglie a nome delle stesse pagati da un anno in qua ai loro rev. rettori e beneficiali e per la luminaria (lampada al SS. e candele) fatta e da farsi in esse. La lite si risolve davanti al vicario vescovile di Brescia don Vincenzo «de Cumis», assegnando alle comunità della terra di Collio il compito dell'illuminazione. S. Colombano e la sua chiesa ricompaiono nel catalogo capitolare delle chiese e dei benefici del 1410 compresi con Memmo nell'unico beneficio della chiesa dei Santi Nazaro e Celso di Collio. Paolo Guerrini poi soggiunge che il titolo di S. Faustino dato alla chiesa di Memmo e quello di S. Colombano sono indizi dei «diversi possedimenti pascolivi e prativi che il monastero di S. Faustino di Brescia vi aveva». Sottolinea il Sabatti "non è casuale il fatto che la pala maggiore della chiesa di S. Colombano raffiguri in alto la «Madonna col Bambino» affiancata dai santi guerrieri Faustino e Giovita; il dipinto, firmato da Stefano Viviani, è datato 1617. La presenza dei due santi ricordati può ricondursi ad un culto più antico, legato appunto agli influssi del monastero di S. Faustino Maggiore". La chiesa è già antica nel 1567 quando gli atti della visita (4-5 settembre) del vescovo Bollani registrano che in essa si celebra messa due volte l'anno e che minaccia di crollare ed è aperta. Stato disastroso confermato dal convisitatore don Girolamo Cavalli che la dice inoltre «squallida, disadorna, con un solo altare completamente spoglio e aperta alle bestie, e perciò ordina di trasformarla in una forma lodevole o di distruggerla e ridurla in santella («destruatur et reducatur in capitellum»). Documenti del 1572 e 1573 la dicono già "cascata et rovinata" e "diroccata quasi all'altezza del suolo" ma che deve essere riedificata e «contata secondo il disegno che sarà dato». Ma il paese doveva avere la sua importanza e la popolazione consistente se in seguito della visita del 19 aprile 1580 S. Carlo Borromeo, dopo aver constatato che i beni di cui la chiesa era dotata fruttavano al rettore 200 lire l'anno, decideva il 18 agosto 1580 di erigerla in parrocchia, staccando e separando come si legge nel decreto relativo alla cura d'anime della Chiesa Parrocchiale di S. Nazaro, la comune vicinia e gli abitanti di S. Colombano e il suo territorio con una popolazione di 500 anime, soggette alla Chiesa Parrocchiale di S. Nazaro e da essa distanti 2 km., dotandola inoltre di un reddito annuo di almeno 25 scudi, di beni immobili dai quali si possa ricavare una somma dello stesso valore. Analoga somma si impegnavano di assegnare gli abitanti e la vicinia di S. Colombano assieme ad un'"abitazione confortevole" per il curato. Gli stessi dovevano riparare la chiesa, la sagrestia e provvedere ad ornarla e mantenerla in buono stato, compreso il Tabernacolo, il Battistero, le campane e le varie suppellettili. In segno di "antica sudditanza spirituale il rettore di S. Colombano era "tenuto nei giorni delle feste solenni ad assistere alla Messa cantata e alle sacre funzioni nella stessa Chiesa di S. Nazaro, però dopo che in tali giorni lo stesso Curato di S. Colombano abbia celebrato la Messa e i Vespri nella sua chiesa parrocchiale di S. Colombano. Inoltre lo stesso rettore di S. Colombano con la sua popolazione era tenuto nella festa di S. Nazaro, a recarsi in processione alla stessa Chiesa di S. Nazaro e ad offrirvi un cero bianco di due libbre ed ivi celebrare la messa maggiore, ecc...".


La chiesa venne ricostruita nel giro di due decenni circa, tanto che nella visita pastorale del 2 aprile 1606 il vescovo Marino Giorgi trovava già costruito anche l'altare della Madonna, e disegnato il campanile pur mancando ancora della pala dell'altare maggiore, di alcuni paramenti e degli arredi della sagrestia. Sensazione fece nel 1980 la riscoperta al centro della chiesa di una tomba con alcune salme intatte. Vi fu chi pensò subito ai corpi rimasti quasi intatti di monaci del monastero di Bobbio. L'amministrazione comunale, su sollecitazione del dott. Gabriele Tonini, decise indagini approfondite affidate a partire dal 1981 a Giancarlo Alciati, Andrea Drusini e Marcella Folin, del Dipartimento di biologia dell'Università di Padova, a Maurizio Rippa Bonati, Istituto di storia della medicina all'Università di Padova, a Anna Bebber, Istituto italiano di endocrinologia di Verona e a Doretta Davanzo Poli, Università di Udine. Risultò poi che si trattava con tutta probabilità delle salme, conservate per un ambiente particolarmente favorevole, di sacerdoti e chierici della fine del Cinquecento e della prima metà del '600. La cura della chiesa viene affidata nel 1617 ad una Confraternita detta di S. Colombano con privilegi e gonfalone o vessillo propri. Nello stesso anno la chiesa è arricchita della pala dell'altare maggiore (dipinta da Stefano Viviani) e si decide la costruzione di una nuova ancona per l'altare del S. Rosario. La chiesa viene consacrata il 25 aprile 1625, data nella quale viene benedetto anche il cimitero. Nel 1635 anche se la chiesa è alquanto in disordine e non mancano abusi nell'amministrazione dei beni, tuttavia alla Confraternita di S. Colombano si sono aggiunte quelle del SS. Sacramento e del S. Rosario con le loro rendite. In più vi esiste una scuola tenuta dal parroco. Miglioramenti al Battistero e all'altare del S. Rosario vengono imposti nella visita pastorale del 1652. La confraternita di S. Colombano nel 1668 fa anche da Banco di prestito o di pegni mentre non mancano legati e lasciti. Solida è la moralità pubblica sulla fine del '600 dato che nel 1684 non vi sono né inconfessi, né coniugati che non coabitano, né bestemmiatori pubblici e nemmeno sospetti di eresia. La situazione varia alquanto nel 1699 quando gli inconfessi salgono sei che scompariranno dopo pochi anni, ma ritorna presto normale. Nel 1703 scompare la confraternita di S. Colombano ma resistono e prosperano le altre. Se negativa è la valutazione della moralità denunciata nel 1713 dal parroco don Giov. B. Flocchini molto meno lo è quella dei suoi successori lungo il sec. XVIII. Per di più nel 1719 viene ampliata la chiesa parrocchiale, si stabilizza l'amministrazione parrocchiale, compaiono o si rassodano nuove devozioni come quelle dell'Addolorata, a S. Rocco, a S. Carlo B., a S. Antonio di P., a S. Giuseppe, a S. Michele Arcangelo, a S. Nicola da Tolentino. Nel 1775 veniva eretta la Via Crucis, ecc.


Più compromessa, sembra la situazione religiosa e morale agli inizi dell'800. Nel 1809 il parroco infatti denuncia che vi "è poca frequenza ai sacramenti". Singolare è il "cattivo costume" che viene rilevato dal parroco nel 1874 secondo il quale «molte giovani prima di maritarsi fuggono dalla casa paterna e vanno a ricoverarsi intanto che si fanno le pubblicazioni o nella casa dello sposo stesso, oppure molto vicino. La maggior parte di questi casi succede non per disordini, i quali, grazie al Signore, sono assai rari, ma per semplice usanza. Volendo troncare queste costumanze assai pericolose, debbo urtare più contro i vecchi del paese che contro gli sposi stessi». Ma vi è attestazione nel 1888 di un andamento positivo dato dalla presenza di un "sodalizio delle giovani dell'oratorio sotto l'invocazione di Maria Immacolata e la protezione di S. Angela Merici e la pia associazione dell'apostolato della preghiera". Non manca la celebrazione di numerose feste, specie della Madonna alla quale "la popolazione è divotissima". Circa i sacramenti della penitenza e dell'eucarestia, secondo don Balzarini «la frequenza è generale nelle principali solennità, molta nelle feste distinte, universale nelle pasquali. Tre sole persone addolorano colla loro assenza, protestando inveterati rancori». Circa la condotta religiosa e morale, il parroco don Balzarini scrive: «La popolazione è religiosa profondamente. Sente la fede, e accorre con premura alla chiesa, che ama. Gente povera e laboriosa, ignora l'ozio, e di questo la malizia ed i vizi. Se lo scrivente non s'inganna, crede di poter asserire che disordini gravi e pubblici scandali non funestano la sua parrocchia. Nessuno legge giornali, né libri cattivi, fatta eccezione pel Maestro locale, che riceve talvolta la Tribuna, e al dire di taluni, legge romanzi. Unica persona che affligge, quando si trova qui, e possedendovi, perché nativo di S. Colombano, vi si reca o si trattiene interpolatamente, è l'attuale Sindaco di Marcheno». Eppure il paese è colpito dal flagello dell'emigrazione crescente (il parroco don Arici [1929-1942] rilevava che «quasi tutta la popolazione vive di emigrazione» ed è composta da operai, minatori, mandriani, ecc.) con tutte le conseguenze del caso mentre, come si è detto, va aprendosi sia pur lentamente al turismo. I parrocchiati di don Giovanni Bregoli, don Paolo Garosio, don Paolo Rossini, don G. Battista Venturi, don Giovita Casali solidificano la vita religiosa e la pastorale, aperta oltre che ai fedeli del luogo ai sempre più numerosi villeggianti e ai molti bambini delle colonie. In più nel 1929 viene aperta la chiesa al Maniva (il 25 maggio 1942 i capifamiglia rinunciano al diritto di patronato), nel 1948-1949 viene restaurata dal pittore Palmiro Vezzoni la chiesa parrocchiale. La cura pastorale continua intensa anche negli ultimi anni sotto il lungo parrocchiato di don Giovita Casali. Nel 1996 la parrocchia provvede a ristrutturare totalmente l'antica canonica: solo nel 1999 il parroco entra nella nuova canonica. Anche gli alpini hanno contribuito all'impresa. Il sagrato è stato restaurato nel 1998 per intervento e dono dell'impresario di origini bergamasche Piergiorgio Belotti come suggerisce una targa che recita: «In ricordo della mamma Rosa Rota (1924-1975) il figlio Piergiorgio (Berghem) donò il restauro di questo sagrato anche quale testimonianza di devota amicizia a don Giovita 1998».




CHIESA PARROCCHIALE DI S. COLOMBANO ABATE. Come si è accennato una chiesa era già esistente nel 1389. Cadente, anzi quasi del tutto distrutta, venne ricostruita negli anni a cavallo del '500-'600 e consacrata nel 1625. Venne poi ampliata nel 1719 e decorata dal grande pittore Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto. L'attuale chiesa si presenta in linee del primo Settecento. Ma come scrive Sandro Guerrini «la grande altezza del prospetto sembra celare una struttura tardo-quattrocentesca, di sapore gotico». Ed aggiunge: «Il sospetto che le leggiadre forme settecentesche rivestano un corpo più antico, cresce quando si scopre sullo sfondo della pala dell'altar maggiore una bella istantanea del paese "scattata" dal pittore Stefano Viviani nel 1617. Anche in quella antica immagine la chiesa ha uno sviluppo pressoché identico all'attuale e presenta il campanile nella stessa posizione; pure la canonica, con lo spiovente del tetto diverso, si trova dove è adesso». Annota ancora Sandro Guerrini: «Ad un'epoca abbastanza antica (fine del XVI - prima metà del XVII secolo) risale certamente il campanile che potrebbe essere stato riformato insieme alla chiesa sulla spinta delle prescrizioni del Bollani. All'interno della parrocchiale la sproporzione tra larghezza ed altezza si ricompone, grazie anche alla presenza della decorazione pittorica sulla pareti e sulla volta». Spiccano nella volta bellissimi affreschi che lo stesso studioso ha assegnato di recente al Pitocchetto, Giacomo Ceruti, e specificatamente alla prima fase della sua attività e cioè tra il 1720 e il 1730. Gli affreschi della parrocchiale raffigurano episodi della vita di S. Colombano: nell'ordine, si possono vedere partendo dall'ingresso, S. Colombano in meditazione nel suo eremo, S. Colombano che abbatte gli idoli, S. Colombano che predica alle folle, S. Colombano che guarisce i malati. Dello stesso Ceruti era anche l'affresco sopra la porta d'ingresso, nella controfacciata, rappresentante Gesù che scaccia i mercanti dal Tempio, ma un maldestro restauro di parecchi anni fa ha ridotto le immagini ad autentiche caricature. Nei dipinti si possono ammirare una notevole rapidità di esecuzione e una certa sicurezza nella composizione, per la verità un po' rara nelle opere giovanili del pittore. Particolarmente interessante è la tecnica pittorica che si basa quasi completamente sulle riprese a secco delle tinte date ad affresco, con effetti di corposità e vivezza cromatica. Altri affreschi sono stati eseguiti nel 1948 dal pittore Palmiro Vezzoni di Rivarolo del Re (Cremona) che nella volta ha eseguito tre tempere raffiguranti il Padre che invita i figli alla Grazia; lo Spirito Santo in un tripudio di angeli; il Figliolo accogliente e benedicente nella ben riuscita figura di Gesù. Quattro affreschi di dodici metri quadrati ciascuno, racchiusi in cornici nuove, sostituiscono i vecchi deteriorati e deturpati. A destra Elia, svegliato dall'angelo robusto e florido, si appresta al pane che lo fortificherà nel lungo viaggio; vicino all'altare i discepoli di Emmaus estasiati «cognoscunt Jesum in fractione panis»; a sinistra: Abramo impugna fortemente il coltello sacrificatore sul figlio Isacco, mentre l'Angelo, quale celestiale visione, trattiene il braccio del provato genitore. Vicino alla mensa, il Sacrificio del Calvario. Il corpo esangue sulla croce, anatomicamente perfetto; il pianto raccolto di Giovanni e Maddalena fanno risaltare la fortezza della Mater dolorosa che guarda la Vittima sacrificata per la salvezza del mondo. Il primo altare a destra è dedicato a S. Antonio di Padova che venera la Madonna col Bambino che Sandro Guerrini considera «pur se ridipinta, un'opera di grande respiro e gusto ed accampa dentro una monumentale e classica architettura a colonne scanalate e volte a crociera, sullo sfondo di un vasto paesaggio lacustre, le tre masse pulsanti della Madonna con il Bambino e tre cherubini nuotanti nel mare dei panneggi, S. Antonio sorretto da tre cherubini sulla sinistra ed un angelo con cherubino nell'estremità inferiore destra». Lo stesso Guerrini indica il «dipinto, spiccatamente di area veneta e che risente della scuola del Padovanino, potrebbe essere opera di Pietro Liberi». La mensa è in marmo intarsiato. L'altare compare in documenti del 1668. Sul secondo altare di destra, entro una modesta soasa ottocentesca in scagliola, è collocato un bel Crocefisso, databile, secondo S. Guerrini, intorno alla prima metà del Cinquecento e che in origine doveva campeggiare sull'arcone trionfale dell'antica chiesa. Il presbiterio più ristretto in confronto alla chiesa è decorato a sinistra con affreschi raffiguranti Isaia e l'angelo che gli porge il pane e la "Cena di Emmaus", a destra il sacrificio di Isacco. Bello il coro con eleganti colonnette attorcigliate. Altrettanto elegante il pulpito di legno. Sull'altare maggiore si trova una tela firmata in basso al centro «STEFANVS / VIVIANVS / F. 1617», raffigurante la Madonna con il Bambino tra i Santi Faustino e Giovita venerata da S. Carlo Borromeo e da S. Colombano. L'opera era già da tempo conosciuta, ma merita un attento riesame, non solo per il ricordato, nitido paesaggio che ci dà un'immagine del paese, del Mella e dei monti circostanti all'inizio del XVIII secolo, ma anche perché, essendo firmata e datata con precisione, costituisce un tassello importante per ricostruire la figura artistica di Stefano Viviani, anche in rapporto agli artisti bresciani contemporanei, specie al Bagnatore e a Tommaso Bona. La soasa è stata indorata nel 1675. L'altare è particolarmente elegante con al centro un rilievo in bronzo. Scendendo sul lato sinistro si incontra l'altare della Madonna del Rosario raffigurata in una scultura recente. Bella la mensa in marmo con al centro la Madonna intarsiata. Sul seguente altare sta una bella tela di Francesco Savani raffigurante la Morte di S. Giuseppe. La mensa dell'altare è particolarmente elegante con belle statuine di S. Pietro e di S. Paolo ai lati. D'"altissima qualità", definisce S. Guerini e che per certi spunti gli sembrano addirittura "di mano del Ceruti", le stazioni della Via Crucis nelle quali lo studioso vede «una pittura fresca e rapida, dominata dai toni azzurri, tipici dell'ultimo periodo del Ceruti, e particolarmente attenta agli effetti plastici e luministici dei panneggi». «Dato ricorrente, sottolinea tra l'altro il Guerrini, in tutte le piccole immagini sono l'umanità e la vitalità del ritratto colto dal vero, l'espressione captata e tradotta istintivamente sulla tela, senza mediazioni complesse. E non manca, del Ceruti, quel suo rifarsi a modelli illustri, desunti da stampe e da libri». L'organo collocato nella navata sul lato di sinistra e del quale non si conosce l'autore, fu comunque restaurato probabilmente da Diego Porro alla fine dell'Ottocento e prima pulito nel 1859 dal Perolini. È raccolto in cassa attribuita ai Boscaì. Ai Boscaì sono attribuiti anche il pulpito, i confessionali e la stessa porta della Chiesa. Come rileva Sandro Guerrini: «la dotazione artistica della parrocchiale comprende anche due piccole tele del Seicento ai lati della pala dell'altar maggiore, raffiguranti l'Angelo annunziante e la Madonna annunciata; un raro contenitore in legno per i vasetti degli oli santi, dalla forma a forziere con un fregio a punta di diamante su tutti i prospetti (1570-1580); un tronetto ligneo dorato per l'esposizione del SS. Sacramento forse uscito dalla rinomata bottega del Tellaroli (1790 circa); alcuni reliquiari in lamina argentata risalenti all'ultimo Settecento. In Sacrestia esisteva fino a poco tempo fa un prezioso inginocchiatoio del Seicento che è stato trafugato, come pure sono stati recentemente rubati i due angioletti ai lati del tronetto per l'esposizione del Santissimo». Ammirato in sagrestia il bancone opera dei Boscaì e costruito, come scrive Giovanni Vezzoli, «con una proporzione e una sensibilità singolarmente efficaci» con il piano inferiore «bipartito da lesene di forte rilievo». Di ornato vario la "calicera" suddivisa in cinque spazi da muscolosi angioletti. L'ornato dello sportello centrale ha forme d'eleganza ancora classica. L'insieme dovrebbe appartenere all'ultimo Cinquecento o ai primi decenni del Seicento. Di finezza uguale gli intagli di due eleganti inginocchiatoi, di epoca non diversa ma purtroppo trafugati.




S. MARIA DELLA NEVE al passo Maniva (1800 m. s.l.m.). Annessa al rifugio Bonardi e costruita su disegno dell'ing. Vittorio Montini per iniziativa dell'Opera delle Chiesette Alpine e del cappellano militare don Giuseppe Bonomini, venne benedetta il 2 settembre 1929. Venne dedicata agli alpinisti vittime della montagna. Venne dal 1937, dopo rifacimento, adattata dallo Sci Club. Venne devastata il 7 gennaio 1998.




CAPPELLA DI S. BARBARA. Costruita nel 1984 a ricordo dei minatori morti per incidente e specialmente per silicosi ricordati in 84 piccole lapidi. Nella cappella la statua di S. Barbara ed un carrello da miniera sul quale è posto un casco da minatore.


Scomparse le cappelle di S. Maria Assunta e poi dell'Immacolata della Colonia Rosa Maltoni Mussolini costruita nel 1920 e quella della Colonia Cremonese. Nel 1937 era in costruzione la cappella del cimitero su bozzetto di Gabriel Gatti.




CURATI E PARROCI: Antonio Quarantino (1610); Marco Nicolini (1628); Innocenzo Taietti (1635); Martino Cargnoni (1646); Gio. Battista Rossi (1667); Giacomo Castello (1668-1699); Bartolomeo Benaglia (1699); Faustino Cantoni (1703); Giovanni Battista Flocchini (1713); Pietro Saleri (agosto 1721); Giovanni Dalola (1747-1758, dal 1756 è chiamato "curato parroco"); Francesco Tocchi di Corteno (1759-1767); Giuseppe Richiedei (1770); Pietro Buizza (1774); Giacomo Balzarini (1775); Antonio Palla (1786); Giovanni Buccio (1789-1808); Francesco Bertini di Manerba (1809, rinuncia il 2/12/1809); Pietro Lazzari di Collio V.T. (nominato il 20/11/1810 rinuncia il 4/8/1831); Francesco Cosi (nominato l'1/1/1832-1884); Giacomo Balzarini nominato il 25/5/1884 rinuncia nel 1906); Giacomo Bassini di Monticelli d'Oglio (1907-1914); Giovanni Bregoli di Pezzaze (nominato il 6/11/1914-1925); Domenico Peli (nominato il 9/6/1926-1930); Pietro Arici di Gussago (nominato il 7/12/1929 rinuncia il 30/4/1942); Paolo Garosio di Ome (nominato il 26/6/1942-1949); Paolo Rossini di Berlingo (nominato l'1/3/1950 rinuncia il 28/7/1959); G. Battista Venturi di Rovato (nominato il 30/1/1960-1963); Giovita Casali di Botticino Mattina (entrato in parrocchia il 31 maggio 1964).