SABEO Fausto

SABEO Fausto

(Chiari, 1475 c. - 15 ottobre 1559). Detto "il Clario". Da poveri genitori, frequentò le pubbliche scuole di Chiari allora fiorentissime, sotto la guida di Angelo Claretti e, secondo alcuni, dell'Olivieri e si distinse assai nello studio delle lettere latine e greche. Ebbe un fratello, Pietro, letterato come lui e al quale indirizzò alcuni suoi versi. Ancora in giovane età si trasferì da Chiari, che poi rivide una sola volta, a Bologna dove continuò gli studi, sotto la guida di Alessandro Manzolo e di altri, già intrapresi facendovi tali progressi che, giovine ancora, si acquistò fama di valente poeta e di valido studioso così da venire chiamato da Papa Leone X a Roma come custode della Biblioteca Vaticana. Vestì l'abito ecclesiastico senza però accedere agli ordini sacri. Padrone di varie lingue venne incaricato con altri come Beaziano, Arciboldi, Rosis, Calvi, ecc. dal Papa a ricuperare alla Biblioteca codici e volumi dispersi durante il sacco dei Lanzichenecchi nel 1527 e di acquistarne di nuovi. Collaboratore di Filippo Beroaldo "il giovane" fu compagno nei viaggi in Germania al Beato Renano che nell'abbazia di Corwey in Westfalia doveva rinvenire le opere di Tacito. I suoi biografi sostengono che non vi fosse alcuno al suo pari "capace di stanare codici, libri e manoscritti in abbazie, conventi, case di sacerdoti, biblioteche di principi e di privati" e, dove non era possibile acquistare, sapeva ingegnarsi "in qualsiasi modo" sopportandone, come egli scrisse, le spese e affrontando peripezie, avventure che egli stesso descrive in una serie di epigrammi dedicati più tardi a Clemente VII. Secondo il Mercati, i codici immessi dal Sabeo nella biblioteca pontificia furono trentadue: "sette erano cartacei, uno di soli tre quinterni, uno di un quinterno appena: sei erano incompleti: la maggior parte "sine tabulis" ossia sprovvisti di legatura. Il solo Lucano purpureo doveva essere veramente degno se il custode Lorenzo Parmenio lo aveva annotato con la qualifica di "antiquus et pulcher" (antico e bello). Anche per il contenuto non erano gran che notevoli: autori ecclesiastici antichi e medioevali, qualche umanista, un Luciano tradotto, un codicetto del Petrarca ed un Corano, evidentemente in traduzione latina". Il Cutolo aggiunge anche che il Sabeo, con molta probabilità, dovette portare alla Vaticana anche altri codici tra cui anche l'"Adversus nationes" di Arnobio, un prezioso codice del IX secolo. E fu questa un'operazione culturale di tutto rispetto, se lo stesso Sabeo pubblicò, a sue spese, nel 1552 un'edizione critica dell'opera di Arnobio, dedicandola al re di Francia, Francesco I, e se il grande Stefano Antonio Morcelli, uomo di indiscutibile valore in questo campo del sapere, gli dedicava duecentocinquant'anni dopo un'ode che così iniziava: "La tua solerzia, o Sabeo, per la prima volta fece uscire dall'oscurità il colto Arnobio, com'era nel desiderio di tutti: grazie a te, col patrocinio dei pontefici, la Biblioteca Vaticana ebbe nuovo incremento..." Altro codice importante immesso dal Sabeo nella Vaticana, fu quello della "Cosmografia" del cosiddetto Giulio Oratore, che il clarense dedicò a Leone X. Al ritorno, anche per la morte, avvenuta poco dopo, di Leone X il Sabeo cominciò a lamentarsi di non veder apprezzato e rimunerato il suo lavoro. Riconfermato da Papa Adriano VI e poi da Clemente VII continuò a lamentarsi dell'incomprensione. Nè aumento di stipendio o altri riconoscimenti ebbe sotto il pontificato di Paolo III (1534-1549) e di Giulio III (1550-1555). Gli stessi lamenti che manifestò per non essere riconosciuto come sperava dai sette pontefici che aveva servito, il Sabeo espresse per i sovrani o personalità che ebbe ad esaltare nei suoi epigrammi quale il re di Francia, Francesco I che pure ebbe fama di amico di letterati. Solo fra i tanti Enrico II rimunerò l'offerta fattagli di un volume delle sue poesie presentatogli dal Cardinale di Lorena, col regalargli 200 scudi del sole, una collana d'oro ed una giubba di velluto pavonazzo. Larghi di stima, anche se non di emolumenti gli furono però parecchi personaggi, quali il cardinale Jean du Bellay, arcivescovo di Parigi, e il suo medico Francois Rabelais; il re di Francia, Francesco I; il cardinale di Lorena, Carlo di Guisa, implacabile avversario degli Ugonotti; Michelangelo Buonarroti, Vittoria Colonna ed altri numerosi e valenti letterati del suo tempo. "Forse, scrisse Luigi Rivetti riassumendo quanto si disse di lui, nocque al Sabeo, e probabilmente fu la causa che le sue insistenti e reiterate richieste perchè venissero riconosciuti i suoi meriti e ricompensate le sue fatiche non venissero esaudite, la vita alquanto libera che di que' tempi generalmente vivevano i letterati, ma che, se sconveniente per tutti, molto più dovea esserlo per uno che aveva vestito l'abito clericale quantunque non avesse dato un passo in più nella carriera ecclesiastica». "Vincor, et exultat de me imperiosa libido". Così il Sabeo confessa con grande sincerità il suo dramma, l'insaziabile e sfrenata passione per le donne che lo portò, per dirla con il Gussago, a dilapidare ogni sua sostanza "dietro alle cortigiane, le quali furono la sua rovina". "Non poche, scrisse il Gussago, furono le amiche che' egli ebbe. Quella greca, sopra la cui morte ha fatto alcuni versi, vuolsi che fosse la favorita, e quella che più dell'altre il rovinasse. Amò ancora una Livia, una da lui detta Charis: un'altra appellata da lui Lalage, una Massimilla, un'Amilla, una chiamata Stella, una Laura, e due, che a lui piacque di nominare Fillide ed Egle. (...) Sopra tutte sembra che avesse cara una certa Giulia, di cui s'innamorò da giovinetto, né lasciò d'amarla ancorché fatto vecchio; che l'età fredda e gli anni non valsero a spegnere quel fuoco, il quale pare che possa aver luogo solamente in petto a' giovani. Così menò i suoi giorni il Sabeo sinché giunse a chiuderli in Roma, essendo vecchio di più d'ottanta anni". Ma si deve aggiungere che fu amico anche di degnissime persone e fra gli altri pianse lo spirituale Bartolomeo Stella. Proprio quando avvenne l'elezione al papato con il nome di Marcello III (1555) del card. Cervini che, dottissimo, gli aveva mostrato grande stima e affetto e che era stato uno dei curatori della Biblioteca Vaticana, il Sabeo, ormai ottantenne e quasi cieco per il lungo studio, moriva. Un nipote, Ascanio Sabeo, pure letterato, dovette accompagnare lo zio negli ultimi anni di vita e con lettera 6 maggio 1584 comunicava al card. Sirleto la data di morte dello zio Fausto: 15 ottobre 1559. Secondo il Tiraboschi Sabeo sarebbe morto in Roma nel 1559 più che ottantenne, in completa cecità mantenendo il suo officio che aveva esercitato per oltre un trentennio, con accanto, da due anni, un coadiutore con diritto alla successione in Federico Rainaldo Valvense.


Oltre al volume di epigrammi già accennato scrisse altre opere delle quali alcune rimasero inedite e si conservano nella Riccardiana di Firenze ed altre che andarono perdute. Di lui fa menzione il Pastor nella sua celebre "Storia dei Papi dalla fine del medioevo", ed il nostro Morcelli ne diede compendiosa notizia in un suo elogio epigrafico che si legge nel quarto volume dei suoi "De stylo inscriptionum latinarum". Ettore Caccia lo ricorda per "la sua vena di poeta occasionale e pronto alla lode" ma anche mordace.


SUE OPERE: "Epigrammatum libri quinque ad Henricum Regem Galliae" (Romae, apud Valerium et Aloysium Doricos fratres Brixien, 1556, in 8°). Molti di essi sono stati inseriti dal card. Querini nel suo Specimen literaturae, Parte II, pag. 167 e seg. Cinque altri "Epigrammi in morte di Celso Melini" stanno in un libro intitolato: "In Celsi Archelai Melini funere, Amicorum lacrymae edente Jo. Petro Melino ejus fratre" (Romae, per Jacobum Mazochium, senz'altro in 4°) e in fine dell'articolo "Sabeo" nella Biblioteca Clarense dell'ab. Jacopo Germano Gussago, tom. II pag. 144. Altro Epigramma "ad Lectorem" non compreso nei cinque libri suddetti, sta premesso all'opera intitolata: "Geberis Philosphi perspicacissimi Summa perfectionis Magisterii". Da Marcello Silber fu in Roma stampata questa Summa in 8°, senza nota di anno, e ne fu procurata l'edizione da Romolo Mammacino, arcidiacono della chiesa d'Arezzo e dal nostro Fausto, entrambi custodi della Vaticana. "Picta Poesis Ovidiana, Thesaurus propemodum omnium fabularum poeticarum, Fausti Sabei Brixiani, aliorumque clarorum virorum tam veterum, quam recentiorum epigrammatis expositarum" (Francofurti, Sigismundus Feyerabend, 1580, in 8°). "Fuga Virginis Mariae". Questo è un poema ms. in versi esametri latini, e diviso in tre libri, che si conserva codice originale cartaceo in 4° nella Riccardiana al Banco N. 1. num. XXII. "Agon Juliae Virginis". In prosa, si conserva codice cartaceo ms. nella Riccardiana al Banco n. 1, num. XVII. Interpretazione dell'"Ellera", favola di Garcilasso della Vega, poeta spagnuolo. Si allega questa interpretazione nelle annotazioni alle poesie del suddetto Garcilasso. (V. J.G. Gussago, Biblioteca Clarense tomo II. pag. 135). "Carmina Pindari e graeco in lat. versa", si conserva ms. originale nel codice sopra citato: Agon Juliae Virginis. "De amoribus lib. III", ms. smarrito. Epistola dedicatoria "Ad illustrissimum et invictissimum Regem Gallorum Franciscum Valesium" premessa all'opera intitolata: "Arnobii Disputationum adversus gentes libri octo nunc primam in lucem (Romae, in aedibus Francisci Priscianensis, 1542, in foglio). Il Sabeo pubblicò anche la "Cosmografia" di Giulio Oratore, indirizzandola con un epigramma a Papa Leone X. «Note in Teodoreto, in Callimaco e in altri diversi autori» si conservano manoscritti nella Biblioteca dell'Università di Leiden.