QUINZANO d'Oglio: differenze tra le versioni

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Nel 1604 venne ricostruita la torre. Nel 1623 veniva eretto il nuovo battistero così da permetterne la nuova consacrazione deliberata il 10 giugno 1625 e testimoniata da una iscrizione. Nel 1669 sotto il parrocchiato di don Giovanni Capello veniva costruita la navata meridionale della chiesa, alla quale venne aggiunta nel 1671 la navata settentrionale e nel 1682, la sagrestia nuova. Nel 1730 venne aggiunta una nuova campata. Nel 1752, 1774, 1820 venivano compiuti lavori di conservazione della facciata. Nel 1786 venne riparata la parte superiore della Torre che era stata distrutta da un incendio; nel 1787 venne provvista di un nuovo concerto di campane. Più massicci gli interventi eseguiti nel 1801, 1802 quando vennero rinnovati, con l'intervento oltretutto dell'arch. Carlo Donegani, dello scultore Salterio ecc., la soasa dell'altare maggiore, l'altare di S. Nicolò, e restaurate e indorate cornici, ritinteggiata la chiesa, opera questa che fu ripetuta nel 1828. Nel 1829 su disegno dell'ing. Giuseppe Gandaglia vennero aggiunti nuovi ambienti sul lato orientale della torre completati solo nel 1928. Nel maggio 1840 il vescovo visitatore mons. Carlo Domenico Ferrari trovava la chiesa in ottimo stato e tenuta con lodevole decoro. Opere alla facciata vennero compiute nel 1896. Luigi Gamba di Rezzato rifece in marmo di Botticino il basamento in pietra. Opere di abbellimento e indoratura vennero eseguite nel 1889 - 1891 su progetto dell'arch. Carlo Chimeri. Per l'occasione vennero sistemati gli otto finestroni e le finestre del coro e laterali, muniti di vetri colorati e della vetrata a mosaico della facciata (un angelo che conduce il Bambino alla Chiesa), lavori eseguiti dalla vetreria dell'Istituto Artigianelli di Brescia. Sempre nel 1891 la ditta Ghilardi e C. di Bergamo rinnovava il pavimento e il falegname Fusari costruiva la bussola della porta maggiore. La chiesa venne completamente decorata nel 1929 - 1930 in vista del centenario della morte della Beata Stefana Quinzani. La decorazione venne affidata a Giuseppe Trainini, gli stucchi alla bottega Peduzzi, gli affreschi ai pittori Cesare Secchi di Milano, Giuseppe Mozzoni, Atzori e Giovanni Bevilacqua. Il 29 settembre 1941 il vescovo mons. G. Tredici consacrava l'altare maggiore. Ampi restauri vennero compiuti su iniziativa del prevosto don Bruno Messali nel 1995 - 1996. Ivo Panteghini registra nell'Inventario diocesano la «splendida facciata della prima metà del Settecento» che rivela nei ritmi dei volumi e nell'equilibrio compositivo il progetto di un valente architetto. «Le superfici, scrive, sono scandite su due registri da un cornicione marcapiano ad andamento spezzato e sagomato. Il registro inferiore chiude le tre navate, mentre quello superiore è di semplice parata; infatti si innalza sopra il corpo della Chiesa dando slancio verticale al fronte della stessa. Lo spazio così creato è compensato da modiglioni a rinfianco, da acroteri piramidali e da grandi vasi marmorei fioriti. Le superfici sono movimentate da paraste d'ordine corinzio, tra le quali si aprono nicchioni, privi di statue. Ulteriore movenza alla facciata è data dalla sagomatura dei fianchi e del corpo di mezzo, che sporgendo sembra essere un invito all'ingresso; questo è segnato da un artistico portale in botticino dalla semplice struttura architravata coronata da un timpano ricurvo e ribassato. I portalini laterali, anch'essi architravati sono invece conclusi da un timpano classico, triangolare. Una finestra triloba si apre nell'ordine superiore coronato, ancora una volta, da un frontone ricurvo e ribassato sul quale si innestano le statue del Redentore e dei Patroni di ottima fattura settecentesca. Sul lato destro dell'abside si innalza la possente torre campanaria. Gigantesco pilastro a pianta quadra cimato da un padiglione con aperture a bifora. È coevo alla Chiesa; mal si accorda architettonicamente, il sopralzo apportato successivamente e costituito da alta torretta ottagonale e da una svettante guglia piramidale». Quanto all'interno, Giovanni Cappelletto ha rilevato che poche sono le chiese che conservano ancora la pianta a tre navate, aderendo più rigidamente alla tradizione basilicale, come la grande parrocchiale di Quinzano, tutta giocata sull'ampio ritmo delle cinque campate appoggiate su possenti pilastri cruciformi che le reggono con archi a tutto sesto. La navata centrale è a botte, quelle laterali a volte a crociera. Con la modifica operata con l'allungamento di due nuove campate compiuto agli inizi del '700, ha rilevato Ivo Panteghini, la prima campata fu chiusa da balaustre trasformandosi così da una parte in zona presbiterale e dall'altra dando origine alle due cappelle laterali. Rimase immutato il presbiterio vero e proprio a pianta rettangolare che si prolunga in una abside emiesagonale. Le opere decorative in stucco sono costituite da grandi lesene corinzie che abbellendo i pilastri della navata maggiore reggono una trabeazione a fregi ed un cornicione a mensole. I lesenotti dei sottarchi sono invece decorati da capitelli ionici a volute trasverse da cui pendono festoni fioriti. Gli affreschi della volta del fondo raffigurano i S.S. Faustino e Giovita, la B. Stefana Quinzani e il Cristo, opera, quest'ultima, di Giuseppe Mozzoni. Sulle pareti del presbiterio ai lati figurano gli Evangelisti di Vittorio Trainini, Angeli di Cesare Secchi e il Buon Pastore di Cesare Secchi. Sulla controfacciata è dipinto un grande affresco (m. 60 x 30) del sec. XVI raffigurante l'apparizione dei S.S. Faustino e Giovita sulle mura di Brescia nel 1438 (m. 60 x 30). È coperto, in parte, dalla grande bussola costruita dal falegname locale Fusari nel 1891 assieme alle quattro porte laterali. Sulla parete destra entrando si presenta una notevole e bella tela raffigurante l'Ultima Cena, firmata "Octavius Amigonus Fac MDCXXXXIII, da Ottavio Amigoni (1606 - 1665), cioè proveniente come pensa T. Casanova dalla chiesa del Monastero. Nel quadro dell'Amigoni, discepolo di Antonio Gandino, echeggiano i toni e la maestria del Veronese. Sempre a destra stanno due tele dedicate a S. Antonio di P. di Carlo Baciocchi. Quella raffigurante il santo che riattacca la gamba ad un giovane è firmata e datata 1660. L'altra raffigura S. Antonio che ridona la vista ad un cieco. Seguono due confessionali forniti da Giulio Gandaglia nel 1829 ed ora restaurati ed assemblati in un unico grande doppio confessionale. In legno di noce, sono ornati di intagli e festoni. Il primo altare di destra è dedicato ora all'Immacolata e prima alla Madonna del Rosario o del Carmelo. Come rileva Ivo Panteghini l'altare è databile attorno ai primi trenta-quarant'anni del diciottesimo secolo. Mensa ed ancona sono impostate secondo linee concave. Il paliotto è abbellito da una specchiatura centrale in commesso marmoreo su fondo nero di paragone. Ornati fitomorfi in breccia versicolori incorniciano una cartella raffigurante un'Assunta. Lateralmente si dispongono le paraste con ornati fioriti e modiglioni sagomati. L'ancona s'imposta su lesene e colonne a tutto tondo di ordine corinzio. La trabeazione è abbellita da un innesto di teste di cherubino e si conclude con un fastigio modanato e spezzato cimato da valva. L'altare è completato da due opere statuarie attribuite alla scuola dei Callegari. Esse raffigurano le sante Apollonia e Lucia. Tale altare era adorno di una pala raffigurante la Madonna del Rosario di Antonio Gandino il vecchio (che qualcuno ritiene di famiglia quinzanese); la pala è stata poi sostituita da una statua della Madonna di Lourdes. Segue l'altare detto di S. Anna: secentesco, è parzialmente edificato in marmo e parzialmente in legno intagliato e dorato. Di pregio la mensa che presenta le solite linee, costituite da una grande specchiatura centrale cui si affiancano paraste e modiglioni. È pregevole anche per la presenza di tarsie marmoree geometrizzanti a cornice della grande riquadratura in marmo rosso venato. L'ancona è databile alla prima metà del diciassettesimo secolo, opera di Gian Giacomo Massente e forse è stata reimpiegata per la costruzione dell'altare; difatti ben poco si accorda con la titolarità dell'altare la splendida statua dell'Angelo custode sistemata tra le sezioni spezzate del timpano ricurvo e ribassato. Le colonne corinzie presentano i soliti fregi a grappoli attorti, tipici del periodo assegnato. La Comunità lo fece erigere nel 1630 in adempimento di un voto per il quale si impegnava per la celebrazione annua di una Messa solenne in onore di S. Anna coll'intervento delle Autorità locali. La pala raffigura la Madonna col Bambino in gloria, S. Anna e Stefana Quinzani. È opera attribuita dal Guazzoni a Gian Giacomo Pasino Rosignolo, datata 1630 ma forse poi rimaneggiata. Nel 1630 Stefana Quinzani non era ancor stata innalzata all'onor degli altari, poiché ciò avvenne l'anno 1729 o 1730. Ma era già tale l'alto concetto che i Quinzanesi avevano della santità di Lei che attribuivano anche alla Sua intercessione la liberazione dalla peste. Accanto allo stemma municipale, in fondo al quadro, trovasi l'iscrizione: «VOTUM COMUNITATIS QUINTIANI / CAUSA PESTIS / ANNO 1630 DIE 24 / IULII / GRATIA OBTENTA EST». Cioè: «VOTO DELLA CO MUNITA / DI QUINZANO / PER CAUSA DELLA PESTE / ANNO 1630 GIORNO 24 / LUGLIO / GRAZIA OTTENUTA». Sotto la pala sono custodite le reliquie donate alla chiesa dal prevosto don Giovanni Capello. L'altare venne restaurato nel 1693 e poi di nuovo dagli artigiani Liborio Castelvedere e dal figlio Luigi nel 1896 - 1898. Nella cappella che affianca il presbiterio, che ha sostituito quella dedicata nel 1529 a S. Pietro Martire il cui quadro (opera di Camillo Pellegrini e che a sua volta forse aveva sostituito un affresco cinquecentesco oggi in canonica) è ora nella chiesa di S. Giuseppe, venne nel 1900, su disegno di don Nember, riadattato l'altare precedente e dedicato a S. Giuseppe. L'altare, come segnala Ivo Panteghini «è una sobria ed elegante struttura della seconda metà avanzata del diciottesimo secolo, interamente costruita in marmo di Carrara e brecce policrome. L'imponente ancona s'innalza sopra un alto zoccolo ornato da formella mistilinea. Le quattro colonne che la costituiscono sono binate e poste su piani sfalsati. I capitelli corinzi dorati fungono da supporto ad una trabeazione spezzata. Il cimiero propone un attico con l'innesto degli attributi simbolici del santo titolare, ed un piccolo timpano ricurvo e ribassato». Nella nicchia che ha sostituito la pala è stata posta il 19 marzo 1909 con grande solennità una statua di S. Giuseppe acquistata da Antonio Sibella nel 1908 da una ditta di S. Ulderich (Tirolo) e in un primo tempo destinata alla chiesa dedicata al santo. L'altare maggiore riferibile al tardo '700, "si struttura, come scrive Ivo Panteghini, su eleganti linee convesse e mosse, ed è impreziosito da filettature e ornamentazioni in bronzo dorato. Il Paliotto presenta un riquadro centrale in diaspro di Sicilia ornato da una lobatura in verde antico [...]. Alti sovralzi inquadrano l'elegante tempietto del tabernacolo, con colonnini e frontone ricurvo e ribassato, sopra il quale s'innalza l'articolata cupoletta a padiglione. La porticina del tabernacolo (sec. XVIII) è centinata e sbalzata con la riproduzione a forte rilievo della Deposizione. L'altare con le attuali balaustre che dovrebbero risalire ai primi anni dell'800 vennero restaurati dal marmista Bonifacio di Brescia nel 1917. La pala raffigurante il Redentore tra i S.S. Faustino e Giovita (olio su tavola cm 143 x 126) un tempo fu attribuita al Moretto o alla sua scuola; viene dalla critica più recente invece assegnata a Floriano Ferramola, come opera dell'ultimo decennio della sua vita e perciò da situarsi attorno al 1525. Tolta la staticità delle figure, la pala è pregevole. I Santi si staccano con vigore dall'azzurro paesaggio dello sfondo ed il Cristo, con il bianco panneggio ha una maestà dolce e vigorosa assieme, mentre su tutte le figure è soffusa una tristezza propria dei tempi travagliati che il pittore visse. La pala venne restaurata nel 1801 dal pittore Gerolamo Romani. La cornice attuale risale al 1802, venne disegnata da Carlo Donegani eseguita da Martino Pasquelli e indorata da Lorenzo Bianchi. Dello scultore Stefano Salteria al quale vennero corrisposte, l'8 ottobre 1802, 1275 lire, sono con tutta probabilità le statue della fede e della speranza che affiancano la soasa, il medaglione della carità, il bassorilievo del martirio dei S.S. Faustino e Giovita e gli angeli. Sulla cantoria di sinistra è stata posta di recente la pala (olio su tela cm 180 x 230) un tempo nella Disciplina raffigurante la B.V. col Bambino in gloria e i S.S. Bernardo e Martino e disciplini, donne e uomini nei loro sai caratteristici, attribuita da qualcuno al Bagnatore e da altri a Luca Mombello e da Tommaso Casanova accostata a quelle di Camillo Pellegrini e con la scritta: Ad laudem gloriosae - Virginis Mariae Sancto - rumque Bernardi et Mar - tini Societas Disciplina - torum erexit - die X novembris M.D. LXXXVIIIJ. Nel presbiterio segue la cantoria con l'organo alla quale ne fa riscontro un'altra sul lato opposto. Ambedue furono costruite nel 1839 dall'artigiano quinzanese Giulio Gandaglia con l'assistenza di Carlo Donegani. Gli intagli sono opera del Sorbi; l'indoratura del quinzanese Liborio Castelvedere.
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Nel 1604 venne ricostruita la torre. Nel 1623 veniva eretto il nuovo battistero così da permetterne la nuova consacrazione deliberata il 10 giugno 1625 e testimoniata da una iscrizione. Nel 1669 sotto il parrocchiato di don Giovanni Capello veniva costruita la navata meridionale della chiesa, alla quale venne aggiunta nel 1671 la navata settentrionale e nel 1682, la sagrestia nuova. Nel 1730 venne aggiunta una nuova campata. Nel 1752, 1774, 1820 venivano compiuti lavori di conservazione della facciata. Nel 1786 venne riparata la parte superiore della Torre che era stata distrutta da un incendio; nel 1787 venne provvista di un nuovo concerto di campane. Più massicci gli interventi eseguiti nel 1801, 1802 quando vennero rinnovati, con l'intervento oltretutto dell'arch. Carlo Donegani, dello scultore Salterio ecc., la soasa dell'altare maggiore, l'altare di S. Nicolò, e restaurate e indorate cornici, ritinteggiata la chiesa, opera questa che fu ripetuta nel 1828. Nel 1829 su disegno dell'ing. Giuseppe Gandaglia vennero aggiunti nuovi ambienti sul lato orientale della torre completati solo nel 1928. Nel maggio 1840 il vescovo visitatore mons. Carlo Domenico Ferrari trovava la chiesa in ottimo stato e tenuta con lodevole decoro. Opere alla facciata vennero compiute nel 1896. Luigi Gamba di Rezzato rifece in marmo di Botticino il basamento in pietra. Opere di abbellimento e indoratura vennero eseguite nel 1889 - 1891 su progetto dell'arch. Carlo Chimeri. Per l'occasione vennero sistemati gli otto finestroni e le finestre del coro e laterali, muniti di vetri colorati e della vetrata a mosaico della facciata (un angelo che conduce il Bambino alla Chiesa), lavori eseguiti dalla vetreria dell'Istituto Artigianelli di Brescia. Sempre nel 1891 la ditta Ghilardi e C. di Bergamo rinnovava il pavimento e il falegname Fusari costruiva la bussola della porta maggiore. La chiesa venne completamente decorata nel 1929 - 1930 in vista del centenario della morte della Beata Stefana Quinzani. La decorazione venne affidata a Giuseppe Trainini, gli stucchi alla bottega Peduzzi, gli affreschi ai pittori Cesare Secchi di Milano, Giuseppe Mozzoni, Atzori e Giovanni Bevilacqua. Il 29 settembre 1941 il vescovo mons. G. Tredici consacrava l'altare maggiore. Ampi restauri vennero compiuti su iniziativa del prevosto don Bruno Messali nel 1995 - 1996. Ivo Panteghini registra nell'Inventario diocesano la «splendida facciata della prima metà del Settecento» che rivela nei ritmi dei volumi e nell'equilibrio compositivo il progetto di un valente architetto. «Le superfici, scrive, sono scandite su due registri da un cornicione marcapiano ad andamento spezzato e sagomato. Il registro inferiore chiude le tre navate, mentre quello superiore è di semplice parata; infatti si innalza sopra il corpo della Chiesa dando slancio verticale al fronte della stessa. Lo spazio così creato è compensato da modiglioni a rinfianco, da acroteri piramidali e da grandi vasi marmorei fioriti. Le superfici sono movimentate da paraste d'ordine corinzio, tra le quali si aprono nicchioni, privi di statue. Ulteriore movenza alla facciata è data dalla sagomatura dei fianchi e del corpo di mezzo, che sporgendo sembra essere un invito all'ingresso; questo è segnato da un artistico portale in botticino dalla semplice struttura architravata coronata da un timpano ricurvo e ribassato. I portalini laterali, anch'essi architravati sono invece conclusi da un timpano classico, triangolare. Una finestra triloba si apre nell'ordine superiore coronato, ancora una volta, da un frontone ricurvo e ribassato sul quale si innestano le statue del Redentore e dei Patroni di ottima fattura settecentesca. Sul lato destro dell'abside si innalza la possente torre campanaria. Gigantesco pilastro a pianta quadra cimato da un padiglione con aperture a bifora. È coevo alla Chiesa; mal si accorda architettonicamente, il sopralzo apportato successivamente e costituito da alta torretta ottagonale e da una svettante guglia piramidale». Quanto all'interno, Giovanni Cappelletto ha rilevato che poche sono le chiese che conservano ancora la pianta a tre navate, aderendo più rigidamente alla tradizione basilicale, come la grande parrocchiale di Quinzano, tutta giocata sull'ampio ritmo delle cinque campate appoggiate su possenti pilastri cruciformi che le reggono con archi a tutto sesto. La navata centrale è a botte, quelle laterali a volte a crociera. Con la modifica operata con l'allungamento di due nuove campate compiuto agli inizi del '700, ha rilevato Ivo Panteghini, la prima campata fu chiusa da balaustre trasformandosi così da una parte in zona presbiterale e dall'altra dando origine alle due cappelle laterali. Rimase immutato il presbiterio vero e proprio a pianta rettangolare che si prolunga in una abside emiesagonale. Le opere decorative in stucco sono costituite da grandi lesene corinzie che abbellendo i pilastri della navata maggiore reggono una trabeazione a fregi ed un cornicione a mensole. I lesenotti dei sottarchi sono invece decorati da capitelli ionici a volute trasverse da cui pendono festoni fioriti. Gli affreschi della volta del fondo raffigurano i S.S. Faustino e Giovita, la B. Stefana Quinzani e il Cristo, opera, quest'ultima, di Giuseppe Mozzoni. Sulle pareti del presbiterio ai lati figurano gli Evangelisti di Vittorio Trainini, Angeli di Cesare Secchi e il Buon Pastore di Cesare Secchi. Sulla controfacciata è dipinto un grande affresco del sec. XVI raffigurante l'apparizione dei S.S. Faustino e Giovita sulle mura di Brescia nel 1438. È coperto, in parte, dalla grande bussola costruita dal falegname locale Fusari nel 1891 assieme alle quattro porte laterali. Sulla parete destra entrando si presenta una notevole e bella tela raffigurante l'Ultima Cena, firmata "Octavius Amigonus Fac MDCXXXXIII, da Ottavio Amigoni (1606 - 1665), cioè proveniente come pensa T. Casanova dalla chiesa del Monastero. Nel quadro dell'Amigoni, discepolo di Antonio Gandino, echeggiano i toni e la maestria del Veronese. Sempre a destra stanno due tele dedicate a S. Antonio di P. di Carlo Baciocchi. Quella raffigurante il santo che riattacca la gamba ad un giovane è firmata e datata 1660. L'altra raffigura S. Antonio che ridona la vista ad un cieco. Seguono due confessionali forniti da Giulio Gandaglia nel 1829 ed ora restaurati ed assemblati in un unico grande doppio confessionale. In legno di noce, sono ornati di intagli e festoni. Il primo altare di destra è dedicato ora all'Immacolata e prima alla Madonna del Rosario o del Carmelo. Come rileva Ivo Panteghini l'altare è databile attorno ai primi trenta-quarant'anni del diciottesimo secolo. Mensa ed ancona sono impostate secondo linee concave. Il paliotto è abbellito da una specchiatura centrale in commesso marmoreo su fondo nero di paragone. Ornati fitomorfi in breccia versicolori incorniciano una cartella raffigurante un'Assunta. Lateralmente si dispongono le paraste con ornati fioriti e modiglioni sagomati. L'ancona s'imposta su lesene e colonne a tutto tondo di ordine corinzio. La trabeazione è abbellita da un innesto di teste di cherubino e si conclude con un fastigio modanato e spezzato cimato da valva. L'altare è completato da due opere statuarie attribuite alla scuola dei Callegari. Esse raffigurano le sante Apollonia e Lucia. Tale altare era adorno di una pala raffigurante la Madonna del Rosario di Antonio Gandino il vecchio (che qualcuno ritiene di famiglia quinzanese); la pala è stata poi sostituita da una statua della Madonna di Lourdes. Segue l'altare detto di S. Anna: secentesco, è parzialmente edificato in marmo e parzialmente in legno intagliato e dorato. Di pregio la mensa che presenta le solite linee, costituite da una grande specchiatura centrale cui si affiancano paraste e modiglioni. È pregevole anche per la presenza di tarsie marmoree geometrizzanti a cornice della grande riquadratura in marmo rosso venato. L'ancona è databile alla prima metà del diciassettesimo secolo, opera di Gian Giacomo Massente e forse è stata reimpiegata per la costruzione dell'altare; difatti ben poco si accorda con la titolarità dell'altare la splendida statua dell'Angelo custode sistemata tra le sezioni spezzate del timpano ricurvo e ribassato. Le colonne corinzie presentano i soliti fregi a grappoli attorti, tipici del periodo assegnato. La Comunità lo fece erigere nel 1630 in adempimento di un voto per il quale si impegnava per la celebrazione annua di una Messa solenne in onore di S. Anna coll'intervento delle Autorità locali. La pala raffigura la Madonna col Bambino in gloria, S. Anna e Stefana Quinzani. È opera attribuita dal Guazzoni a Gian Giacomo Pasino Rosignolo, datata 1630 ma forse poi rimaneggiata. Nel 1630 Stefana Quinzani non era ancor stata innalzata all'onor degli altari, poiché ciò avvenne l'anno 1729 o 1730. Ma era già tale l'alto concetto che i Quinzanesi avevano della santità di Lei che attribuivano anche alla Sua intercessione la liberazione dalla peste. Accanto allo stemma municipale, in fondo al quadro, trovasi l'iscrizione: «VOTUM COMUNITATIS QUINTIANI / CAUSA PESTIS / ANNO 1630 DIE 24 / IULII / GRATIA OBTENTA EST». Cioè: «VOTO DELLA CO MUNITA / DI QUINZANO / PER CAUSA DELLA PESTE / ANNO 1630 GIORNO 24 / LUGLIO / GRAZIA OTTENUTA». Sotto la pala sono custodite le reliquie donate alla chiesa dal prevosto don Giovanni Capello. L'altare venne restaurato nel 1693 e poi di nuovo dagli artigiani Liborio Castelvedere e dal figlio Luigi nel 1896 - 1898. Nella cappella che affianca il presbiterio, che ha sostituito quella dedicata nel 1529 a S. Pietro Martire il cui quadro (opera di Camillo Pellegrini e che a sua volta forse aveva sostituito un affresco cinquecentesco oggi in canonica) è ora nella chiesa di S. Giuseppe, venne nel 1900, su disegno di don Nember, riadattato l'altare precedente e dedicato a S. Giuseppe. L'altare, come segnala Ivo Panteghini «è una sobria ed elegante struttura della seconda metà avanzata del diciottesimo secolo, interamente costruita in marmo di Carrara e brecce policrome. L'imponente ancona s'innalza sopra un alto zoccolo ornato da formella mistilinea. Le quattro colonne che la costituiscono sono binate e poste su piani sfalsati. I capitelli corinzi dorati fungono da supporto ad una trabeazione spezzata. Il cimiero propone un attico con l'innesto degli attributi simbolici del santo titolare, ed un piccolo timpano ricurvo e ribassato». Nella nicchia che ha sostituito la pala è stata posta il 19 marzo 1909 con grande solennità una statua di S. Giuseppe acquistata da Antonio Sibella nel 1908 da una ditta di S. Ulderich (Tirolo) e in un primo tempo destinata alla chiesa dedicata al santo. L'altare maggiore riferibile al tardo '700, "si struttura, come scrive Ivo Panteghini, su eleganti linee convesse e mosse, ed è impreziosito da filettature e ornamentazioni in bronzo dorato. Il Paliotto presenta un riquadro centrale in diaspro di Sicilia ornato da una lobatura in verde antico [...]. Alti sovralzi inquadrano l'elegante tempietto del tabernacolo, con colonnini e frontone ricurvo e ribassato, sopra il quale s'innalza l'articolata cupoletta a padiglione. La porticina del tabernacolo (sec. XVIII) è centinata e sbalzata con la riproduzione a forte rilievo della Deposizione. L'altare con le attuali balaustre che dovrebbero risalire ai primi anni dell'800 vennero restaurati dal marmista Bonifacio di Brescia nel 1917. La pala raffigurante il Redentore tra i S.S. Faustino e Giovita (olio su tavola cm 143 x 126) un tempo fu attribuita al Moretto o alla sua scuola; viene dalla critica più recente invece assegnata a Floriano Ferramola, come opera dell'ultimo decennio della sua vita e perciò da situarsi attorno al 1525. Tolta la staticità delle figure, la pala è pregevole. I Santi si staccano con vigore dall'azzurro paesaggio dello sfondo ed il Cristo, con il bianco panneggio ha una maestà dolce e vigorosa assieme, mentre su tutte le figure è soffusa una tristezza propria dei tempi travagliati che il pittore visse. La pala venne restaurata nel 1801 dal pittore Gerolamo Romani. La cornice attuale risale al 1802, venne disegnata da Carlo Donegani eseguita da Martino Pasquelli e indorata da Lorenzo Bianchi. Dello scultore Stefano Salteria al quale vennero corrisposte, l'8 ottobre 1802, 1275 lire, sono con tutta probabilità le statue della fede e della speranza che affiancano la soasa, il medaglione della carità, il bassorilievo del martirio dei S.S. Faustino e Giovita e gli angeli. Sulla cantoria di sinistra è stata posta di recente la pala (olio su tela cm 180 x 230) un tempo nella Disciplina raffigurante la B.V. col Bambino in gloria e i S.S. Bernardo e Martino e disciplini, donne e uomini nei loro sai caratteristici, attribuita da qualcuno al Bagnatore e da altri a Luca Mombello e da Tommaso Casanova accostata a quelle di Camillo Pellegrini e con la scritta: Ad laudem gloriosae - Virginis Mariae Sancto - rumque Bernardi et Mar - tini Societas Disciplina - torum erexit - die X novembris M.D. LXXXVIIIJ. Nel presbiterio segue la cantoria con l'organo alla quale ne fa riscontro un'altra sul lato opposto. Ambedue furono costruite nel 1839 dall'artigiano quinzanese Giulio Gandaglia con l'assistenza di Carlo Donegani. Gli intagli sono opera del Sorbi; l'indoratura del quinzanese Liborio Castelvedere.
  
  

Versione attuale delle 05:33, 18 gen 2020

QUINZANO d'Oglio (in dial. Quinsà, in lat. Quintiani)

Rilevante centro agricolo e industriale della pianura centrale al confine con il Cremonese dal quale è diviso dal fiume Oglio, sulla sua sinistra. È a m. 65 s.l.m., a Km 30 a S di Brescia e a 2 Km dalla riva sinistra del fiume Oglio. É attraversato dalla roggia Savarona che lo divide in due nuclei distinti. Il territorio ha una superficie di Kmq 20.21, confina con Borgo San Giacomo, Verolavecchia, Corte de' Cortesi (CR), con Cignone (CR), Bordolano (CR), Castelvisconti (CR). Il territorio pianeggiante nella parte settentrionale diventa ondulato a mano a mano che declina verso il fiume. È in comunicazione con Brescia e Cremona attraverso una buona strada, e con la pianura bresciana inferiore (Orzinuovi, Pontevico ecc.) attraverso la strada Francesca. Località segnalate dall'I.G.M.: Mezzullo; Castelletto palazzo; Castelletto mattina; Castelletto sera; Cascine e fienili: Fienile Bruciato; Fenile di sopra e di sotto; Chiavicone; Le Fontane; Fienile Dosso; Saliceto; Fienile Mese; Fienile S. Ambrogio; Molesine; Beta; Falivera; Bredelunghe; Convento; Madonnina; Brasile; S. Maddalena; Casino; Boschette.


Il nome viene fatto derivare dal personale romano Quintius o dal suffisso aggettivale "Quintianus" diventando in tal modo un toponimo fondiario probabilmente per designare un "fundus quintianus" o la proprietà di un romano "Quintius". P. Pasquali tuttavia non esclude del tutto una derivazione dal nome longobardo "Winzo" da cui "Guinzano" con un passaggio da "gu" a "qu". È menzionato come "Quinzano" già nel 760, fu detto Quinzano fino al 23 ottobre 1862, quando il R.D. n° 975 aggiunse la specificazione "d'Oglio".


ABITANTI (Quinzanesi, nomignolo: gosatù): 3000 nel 1580, 3600 nel 1609 (600 utili), 2650 nel 1658, 3106 nel 1808, 3370 (di cui 2060 "poveri") nel 1813, 3216 nel 1818, 3409 (di cui 2288 poveri) nel 1824, 3802 nel 1838, 4169 nel 1851, 6286 nel 1951, 5454 nel 1961 (pop. attiva 2476, agric. 652, ind. 1956, costruzion. 296, commercio 205, servizi 95); 5481 nel 1971, 5663 nel 1981.


Scarsi rilievi particolari presenta il terreno geologicamente trovandosi nell'immensa conca padana prima occupata dal mare e poi colmata da alluvioni e maree del periodo quaternario, e ricopertasi di foreste fra paludi e fiumi. Nel Museo archeologico di Crema si trova un "Bisonte antico" ("Bisons priscus") mammifero vissuto nel periodo di clima temperato dell'interglaciale Riss-Würm trovato a Quinzano. Una testa di "bos" pure consegnata al Museo di Crema venne trovata nel 1875 che corrisponde ad una più antica mandibola di "bos primigenius" trovata nell'Oglio, vicino ad Acqualunga nell'aprile 1997. Accertata la presenza dell'uomo in epoche preistoriche. In località Saliceto ex Dosso Ridiso nel 1978 vennero rinvenuti reperti litici. Una freccia di bronzo di epoca incerta venne trovata in via Marconi n. 6. All'età del bronzo (3-4 mila anni fa) appartengono piroghe trovate lungo il fiume Oglio, una delle quali venne rubata nel giugno 1990. Materiali ceramici e metallici databili fra la seconda età del Ferro e la romanizzazione vennero rinvenuti nel 1979, sempre in località Saliceto, lungo la riva dell'Oglio. Ancora materiali ceramici di età preistorica vennero rinvenuti fra la Cascina Gandaglia, 136, la via Matteotti, 134 e la strada provinciale per Brescia. Misteriosi ma non mancanti di fascino i rinvenimenti nel 1947 di altre piroghe in località Spina, e nel 1967 lungo la riva sinistra dell'Oglio. Al Saliceto nel 1978 nel letto dell'Oglio vennero ricuperati cinque frammenti di ceramica "etrusco-corinzia" insieme a frammenti di ferro ossidato e di manufatti in lamina di bronzo. Duecento metri a S del ponte Quinzano-Bordolano vennero ritrovati frammenti di un'anfora attica a figure nere e, più oltre, in un'ansa, il rudere di una parete, probabilmente rovina di un emporio etrusco sul fiume. Sicura la presenza gallo-cenomana. Con tale popolazione nel 223 a.C. si allearono i Romani i quali dalla colonia di Cremona attraversarono l'Oglio per puntare su Brescia. Una tomba gallo-romana alla cappuccina con corredo databile al I sec. a.C. venne trovata nel 1953 lungo la strada Quinzano-Borgo S. Giacomo a O del paese, di fronte al "Casino di Emanuele". Molti studiosi in verità non rifiutarono l'opinione che il suo territorio rimanesse, dal 19 almeno fino al 49 a.C., nell'ambito della Colonia romana di Cremona, come sembra indicare una lapide romana scoperta a Pedergnaga, che indica i confini cremonesi. In quest'epoca il territorio quinzanese fu forse diviso ed assegnato dopo la battaglia di Filippi (42 a.C.) ai veterani di Cesare e di Ottaviano. Le strade più o meno importanti, spesso continuanti in strade campestri o sentieri, rettilinee e parallele fra loro e a distanze che combaciano con le misure dei terreni assegnati ai veterani romani in premio della loro fedeltà, confermerebbero tale ipotesi. Più tardi, in località non suddivisa, al centro di un grande latifondo, dovette sorgere una villa di proprietà di un Quintius. Il territorio di proprietà di questo Quintius prese poi il nome di Quinzano. Le due statuette di bronzo rinvenute a Quinzano verso il 1875, poi affidate al Museo romano di Brescia, dovrebbero provenire da questa villa padronale. Esse rappresentano giovanetti ignudi (cm 17 di altezza) e si pensa che siano state usate forse per reggere lampade o qualche altro oggetto. Nessuna indicazione documentaria ha invece reso verosimile l'esistenza di templi di Ercole o di Apollo o del dio Sole là dove sorge la Pieve, o di Venere dove poi esistette il priorato di S. Tommaso al Casino di Emanuele. Numerosi invece i ritrovamenti archeologici.


La presenza romana è infatti provata da numerosi documenti. Materiali ceramici fra i quali un'olpe e laterizi di tale età vennero rinvenuti al "Casino di Emanuele" a O del paese lungo la strada per Borgo S. Giacomo, in località Chiavicone (un frammento di anfora e vari di embrici), in una località tra la cascina Gandaglia in via Matteotti n° 36 e la strada provinciale, mentre materiali ceramici e bronzei e monete furono rinvenuti nel 1875 in località imprecisata. Inoltre altri materiali ceramici e frammenti di embrici furono ricuperati presso il "Convento" a O del paese dietro il Dosso. Nel 1932 la direzione dei Civici Musei di Brescia acquistava da L. Stoppani alcuni oggetti rinvenuti a Quinzano fra i quali: quattro statuette di bronzo (tre virili ed una femminile) un'armilla in bronzo, frammenti vari, uno specchio, 124 monete in gran parte romane, ecc. Probabilmente era già esistente in epoca romana la strada da qualcuno ritenuta militare che ancor oggi attraversa Quinzano e che congiunge Brescia a Cremona e che forse nel tratto più settentrionale passava attraverso Verziano, Flero, Coler dove sono state trovate dediche a Mercurio. A Quinzano nella zona a N del paese si sarebbe sviluppata nei sec. I e II soprattutto la seconda centuriazione o assegnazione di terreni a legionari romani. L'estensione di presenze romane rafforza la supposizione di un pago raggruppante la popolazione sparsa in ville e in vici, individuabili questi in Gabbiano, Verolavecchia, Trignano, ecc. del cui territorio Quinzano fu centro amministrativo, di culto e di commercio. Per tale importanza sugli ultimi contrafforti verso il fiume Oglio e ai margini della zona centuriata sorse anche un "castello" utilizzato poi a difesa specie da barbari e la cui presenza è stata accertata da ricerche compiute dal GAFO nel 1978. Sono certamente illazioni i riferimenti di cronisti quinzanesi quali il Planerio, il Pizzoni e del poeta Stoa ecc. circa il collegamento con tutti i Quintii nominati in iscrizioni e da scrittori classici e così pure è un'illazione quella che vorrebbe Quinzano fondato da un Planerius Quintianus. Ma la lapide che il Pizzoni dice esistente ai suoi tempi presso il convento di S. Maria riporta il nome di "L. Quintius Dec." che potrebbe verosimilmente indicare un "decurione", personaggio perciò importante del tempo se non il signore romano del luogo. Nel gennaio 1997 durante i lavori stradali lungo la circonvallazione della strada Quinzanese, sempre presso la località Convento vennero rinvenute 19 tombe di epoca tardo-romana. Olpe fittili sono state rinvenute in località Speranza a S del paese sul confine con il Saliceto, e presso la cascina. Brasile, materiali vitrei e ceramici probabilmente attinenti a corredo tombale in località Lama del Fontanino. Tre sepolture ad incinerazione, una delle quali alla cappuccina, con corredi costituiti da vetri, oggetti in metallo, una ciotola, olpe, monete, databili al II sec. d.C. vennero rinvenute nel 1978 al centro dell'abitato presso l'ex convento delle Dimesse, ora Scuola Media. Una sepoltura ad inumazione, a cassa, con corredo costituito da olpe, una ciotola con bollo "in pianta pedis", una fibula ed una moneta di Claudio il Gotico del III sec. d.C. vennero trovate lungo la strada per Borgo S. Giacomo. Di epoca incerta sono risultate sepolture rinvenute in località Castelletto Mattina, al Dosso dei Bedoli, strutture anche lignee vennero invece rinvenute (1984) in località Saliceto.


Alla caduta dell'impero romano succedono secoli di oscurità e silenzio per cui del passaggio di barbari ci è rimasto il ricordo in quelle tombe che il Pizzoni dice ritrovate verso il 1600 e che descrive come contenenti scheletri di smisurata grandezza. Nel grande scenario della dissoluzione dell'impero romano e in mezzo a invasioni barbariche nei sec. V - VI, nel quadro dell'evangelizzazione cristiana, al pago si sostituiva la pieve. Ad essa facevano capo gli abitanti di un vasto territorio che comprendeva Verolanuova, Verolavecchia, Cadignano, Motella, Acqualunga, ecc. La pieve era officiata da sacerdoti, diaconi e suddiaconi. Ad essa, come centro, faceva capo una vera e propria organizzazione assistenziale oltre che religiosa. Infatti ogni pieve aveva il suo ospedale, i suoi ospizi per i poveri e pellegrini ecc. Un ospizio del genere esistette probabilmente, anche secondo P. Guerrini, nei pressi del guado della Savarona o presso la chiesa, ora parrocchiale, di S. Faustino nel Castello, se questa ebbe origine da una fondazione del monastero di S. Faustino Maggiore, com'è probabile. Anche il Mezzullo verso Bordolano, deve essere stato agli inizi una casa ospitaliera, e i suoi beni fondiari devono essere forse appartenuti prima alla badia di Leno o al monastero di S. Faustino. Un ospizio od ospitale di S. Giovanni era ancora efficiente nel 1430. La Pieve di Quinzano aveva forse la sua diaconia a Verolanuova, che ha ancora S. Lorenzo come titolare della chiesa prepositurale, e forse un altro centro molto importante di ospitalità, comune alle due vicine Pievi di Oriano e Ovanengo, nell'ospedale di S. Giacomo a Gabbiano, che è stato il nucleo primitivo dell'attuale borgata di Borgo S. Giacomo, la quale, come Corticelle, come Ospitaletto, come molti altri paesi della nostra diocesi deve la sua formazione e il suo sviluppo a un provvidenziale istituto di assistenza e di carità cristiana. La Chiesa di Montecchio invece dovette essere una chiesa sussidiaria della Pieve, eretta per la comodità delle popolazioni disperse nella campagna. La Pieve è in questi tempi il punto di convergenza della stessa vita civile oltre che di quella religiosa. Attorno ad essa gli abitanti delle terre circostanti, riuniti in «vicinie», ritrovano la loro unità e regolano la loro vita associata.


Il fulcro della pieve del territorio quinzanese viene riscontrato nel cimitero nella chiesa antichissima di S. Maria (detta ancor oggi pieve) dove vennero trovati tra gli anni '70 e '80 una sepoltura romana, materiali ceramici e scultorei pure di età romana. L'ultimo reperto è murato nella parete esterna sinistra dell'abside della Pieve. Di eccezionale importanza è stata nel 1981 la scoperta del fonte battesimale della Pieve. I pochi sprazzi di luce proiettati fra le tenebre del medioevo sono le notizie che indicano a Quinzano come esistenti estesi possedimenti dei monasteri benedettini di S. Salvatore (poi S. Giulia) e di Leno. Tali possedimenti sono situati lungo le rive dell'Oglio, il che rivela che è già in corso in questi anni quell'opera di bonifica che riscatterà alla palude tutte le terre immediatamente a S del paese.


Il nome di Quinzano compare la prima volta nell'atto di conferma di donazione del 4 ottobre 760 da parte di re Desiderio, Adelchi e della regina Ansa di numerose proprietà, armenti, bifolchi, corti, case al Monastero di S. Salvatore in Brescia. Fra essi vi è la corte ducale di Ronco Nuova (Ronca) presso il Mella con la quale viene donato Ansteo di Quinzano con la propria famiglia e la casa abitata perchè pascolasse le vacche del monastero stesso. Qualcuno ha identificato a Quinzano una località Vertuina citata in documenti del monastero dei sec. XI-XII nei quali però, a volte, compare a Quinzanello. Beni in Quinzano del Monastero di Leno vennero il 13 gennaio 958 confermati dall'imperatore Berengario II, il quale obbligava però i monaci a devolvere tutte le decime in favore dei poveri e dei pellegrini. Uguale atto compivano nel 961 l'imperatore Ottone I e nel 981 Ottone II. Un altro centro di epoca alto medievale è da individuare in località Montecchio nell'area della chiesa della Madonna della Rosa (poi demolita) dove in lavori edilizi nel 1953 e nel 1974 vennero alla luce un'epigrafe, reperti scultorei vari, sette sepolture ad inumazione (una plurima), in fossa terragna o alla cappuccina, databili intorno al X sec. d.C. Reperti altomedievali vennero rinvenuti anche in località tra la cascina Gandaglia, via Matteotti n° 3, e la strada provinciale per Brescia. Pochissime notizie si conoscono nei secoli IX - X. In Cronache tedesche si registrano nell'800 ai confini tra il Bresciano e il Cremonese invasioni di cavallette. Ma probabilmente più distruggitrici furono le ultime invasioni barbariche degli Ungari specie nel 904 e 934 ai quali si deve forse la distruzione della prima chiesa plebana di S. Maria oltre che del castello. La cessazione delle invasioni barbariche, la creazione del regno d'Italia e il rafforzarsi del potere anche civile dei vescovi fecero emergere famiglie feudali sempre più potenti. Anche se ormai è ritenuto falso il diploma con il quale Ottone I investiva il 6 ottobre 953 di beni in Quinzano Tebaldo Martinengo, resta il fatto che la potente famiglia vi divenne proprietaria di molti beni lungo tutto l'Oglio a presidio del territorio bresciano. Il diploma apocrifo è tuttavia ritenuto una prova della crescente potenza di una delle più grandi famiglie della quale probabilmente si era servita la Pieve per la difesa e per la cura di interessi materiali (avocazia). È un'illazione non suffragata da documenti che da Quinzano siano venuti i conti Maggi, che peraltro ebbero molti contatti con la borgata.


Quando nel sec. XI la vita economica e sociale risorge e straordinariamente si sviluppa a Quinzano, sono presenti il vescovo, i Martinengo e il Comune di Brescia. Il potere vescovile si ingrandì ancor più da quando l'imperatore Corrado II il 15 luglio 1037 ebbe a donare al vescovo Olderico, oltre ad altre terre, per un ampio tratto le rive dell'Oglio e del Mella. Segno della vitalità della zona è una piroga, attribuita ai sec. XI-XII, trovata nel luglio 1984 in località "La Marta" presso la cascina Saliceto. Nel periodo della rifioritura economica-sociale, civile e religiosa del sec. XI Quinzano vede scomparire la presenza dei grandi monasteri e assiste all'affermarsi in loro luogo dei priorati cluniacensi, piccole cellule attive. Il catalogo ufficiale redatto sotto S. Ugo e confermato da Urbano II nomina il Priorato di S. Tommaso a E del paese dove poi sorse il Casino d'Emanuele dapprima dipendente dal monastero di S. Paolo d'Argon (1125), poi indipendente (1160), per finire infine alle dipendenze del monastero di Rodengo. L'agricoltura rifiorisce, la vita economica e sociale si risolleva e gli animi si preparano ad accogliere i primi richiami alla libertà. La storia di Quinzano è infatti da ora in poi legata alla vita del Comune di Brescia che è appena ai suoi albori. Brescia infatti, espugnata Asola nel 1125, nel 1127 acquisisce beni in Quinzano. L'atto fondamentale di tale legame porta la data di martedì 26 luglio 1127, quando Goizo Martinengo essendo nel suo castello di Caleppio, dove si trovavano molti eminenti signori bresciani, e fra questi Giovanni Brusato e Alberico da Rodengo, ambedue della casata dei Mozzi, cedette ai consoli del comune di Brescia e al vescovo Villano tutto ciò che gli apparteneva «in loco et curte de Quinzano causa et iure pignoris», e dava affidamento per il minore fratello Zilio (Egidio) che avrebbe ceduto al comune e al vescovo di Brescia quanto gli apparteneva a Pontevico. È stato rilevato come sia la prima volta che compaiono in un atto ufficiale i Consoli del Comune bresciano, e il Guerrini aggiunge come esso sia anche un segno della nuova organizzazione politico-militare del territorio, iniziata dal vescovo e dal comune cittadino, specialmente per la difesa dei contrastati confini e dei diritti inerenti ai confini, contro le due città o diocesi di Bergamo e Cremona. Al di là tuttavia dell'interessamento del Comune di Brescia rimasero ancora vivi i rapporti con il vescovo di Brescia al quale tuttavia Quinzano continuò a pagare le decime per lungo tempo, diventate poi due ducati d'oro ad ogni elezione episcopale. Gli interessi del nascente Comune di Brescia per i castelli di confine portò il Comune assieme al Vescovo a comperare dai Martinengo i diritti feudali su Quinzano, come è documentato per il feudo di Pontevico. Il Comune di Brescia tenne da questo momento stretti legami con Quinzano come confermano i numerosi documenti contenuti nel Liber Potheris. È probabilmente in questi anni che si rafforza a Quinzano in modo particolare il culto dei Santi patroni di Brescia Faustino e Giovita ai quali viene dedicata in Castello una chiesa. Per la garanzia di difesa e di sicurezza fiscale il 2 gennaio 1158 il Comune di Brescia, pur rafforzando rapporti diretti legando la borgata alla Quadra cittadina dei S.S. Giovanni e Stefano, affida i diritti feudali ai Martinengo. Dello sviluppo economico-sociale della borgata sono indizi anche nomi di quinzanesi che hanno rilievo fuori paese. Curiosa è nel 1126 la presenza registrata in Cremona di un Agostino da Bordolano, ma facilmente, secondo P. Guerrini, emigrato qui da Quinzano che fonda in città una chiesa dedicata a S. Faustino che sarà sede degli orefici e parrocchiale fino al 1788. In un documento del 1154 due quinzanesi, Guido e il nipote Alberto, vengono investiti dall'abate di S. Pietro in Monte di Serle di un fondo nel territorio di Monticelli d'Oglio. Nel 1193 un Alberto da Quinzano (forse lo stesso del documento precedente) è tra i rappresentanti di Brescia che discutono con l'Imperatore Enrico quello che l'Odorici definisce un "gloriosissimo trattato". Nel 1200 il castello e il paese vengono coinvolti nella cosiddetta guerra di Borgo S. Donnino nella quale la Lega Cremona-Milano è sconfitta da quella Brescia-Bergamo segnando la fine di Alberto Casaloldo, rettore di Brescia che, cacciato dalla città si era schierato con i nemici di Brescia. Nel 1237 Quinzano fornisce truppe a Brescia contro Federico II e l'anno seguente è presa di mira da Cremonesi e Lodigiani, sollecitati dai ghibellini con in testa i Lomello. Nel 1241 deve sostenere, per sette giorni, l'assedio di re Enzo, figlio di Federico II, difesa da Federico Lavellongo. Nel 1246, come raccontano le "Cronache Bolognesi", era lo stesso Federico II ad assediare il castello di Quinzano. L'anno appresso è ancora re Enzo, assieme ad Ezzelino da Romano appoggiati dai Malesardi a riprendere, ma invano, l'assedio trovando una strenua difesa nel Lavellongo. Per non compromettere i patti di tregua e di pace, nel 1252 viene imposto a Quinzano e ad altri castelli lo "statu quo". Ma pochi anni dopo nel 1256, Quinzano doveva cedere dopo dieci giorni di assedio, a Uberto Pallavicino, il capo ghibellino che era divenuto Signore di Brescia. Egli, inferocito per la resistenza incontrata, rade al suolo il Castello. Nel 1258 Ezzelino da Romano, capitano imperiale, tenta invano di annettersi il castello per via diplomatica. Vi pone l'assedio, ma poi si ritira per il sopraggiungere di rinforzi da Brescia. Il castello riedificato poco dopo viene di nuovo rovinato, nel 1265, dalla retroguardia dell'esercito di Carlo d'Angiò e, nel 1266, da Buoso da Dovara e particolarmente da Roberto de Bethune, conte di Fiandra, occupato nel 1266 da Buoso da Dovara in nome sempre dei Pallavicino e subì, secondo il Malvezzi, grandi stragi, gravi distruzioni, cattura di persone e razzie di bestie. Rinforzato nel 1267 veniva di nuovo, nel 1268, attaccato da Buoso da Dovara diventato da ghibellino guelfo, fortificandosi e resistendo fino al 1272. Nel 1276 la situazione è aggravata da scosse di terremoto, siccità e piogge furibonde e da una forte pestilenza. Seguono finalmente alcuni anni di tregua e di prosperità che vedono nel 1289 Quinzano con l'estimo più alto nella zona. Della vitalità economica e civile del paese in questi anni è prova la classica toponomastica medioevale ancor oggi conservata dai tre quartieri: il Mercato, la parte superiore del paese intorno all'antica Pieve; il Castello, nell'attuale centro del paese, ove sorge la Chiesa di S. Faustino, ora parrocchia; e il Borgo fuori dell'antico castello. Il Mercato ricorda uno di quei mercati rurali delle Pievi che diedero nel tempo grande contributo allo sviluppo economico e commerciale della fiorente pianura bresciana. Una carta topografica del sec. XIV mostra il castello cinto da solide mura con 6 torri ed un torrione fra i più agguerriti del territorio.


Passano però anche gli anni di pace e nel 1315, i ghibellini capeggiati da Federico Maggi sconfitti in città, riprendono con altri castelli anche Quinzano dove si rinserrano in attesa di ritornare a riprendere nel 1335 il capoluogo. Nel 1337 il castello è nelle mani di Azzo Visconti. Dilaniato da guerre e rivalità anche il libero Comune perde la sua potenza economica. Risorgono a potenza invece i Martinengo che nel 1370 acquistano vasti possedimenti il cui centro è il Castelletto che passeranno poi ai figli di Antonio q. Prevosto, Taddeo, Bartolomeo e Carlo e particolarmente al primo che fu capostipite dei Martinengo di Motella. Questi nobili figurano di nuovo, sia pure soltanto per la riscossione di alcune tasse, come i feudatari del paese.


Della vitalità economica di Quinzano nella seconda metà del sec. XIII è una prova la casa di San Luca di Quinzano degli Umiliati, esistente in città nei pressi della Chiesa di S. Lorenzo già nel 1224. Essa, fondata dagli Umiliati di Rondenario (Como) per merito di un benefattore quinzanese era diretta da elementi forse provenienti dal nostro paese. Chi sa quale fosse la potenza economica degli Umiliati, può arguire l'importanza, sotto questo profilo, di Quinzano in quei tempi. Gli Umiliati infatti controllavano, per conto del Comune di Brescia, la vita economica della città e del territorio ad essa appartenente. Erano praticamente frati e suore operai che, rinunciando a tutto, si ponevano completamente e disinteressatamente al servizio della comunità. Ma gli anni di respiro e di pace non durarono a lungo. Ben presto anche Quinzano, come tutto il territorio bresciano, fu preso nella spira delle lotte fra le fazioni politiche (costituite specialmente da guelfi e ghibellini) e fra le diverse signorie, che cercavano in ogni modo di imporsi le une alle altre. Innumerevoli ed intricati sono gli avvenimenti che si susseguono dal sec. XIII al sec. XV che riguardano Quinzano nelle liti tra ghibellini e guelfi che si contesero la città ed il territorio. Molte volte Quinzano fu in mano a questa o a quella fazione. Della divisione approfittarono condottieri e potenti per impadronirsi di esso. Si può dire che ogni «Signore» che possedette Brescia in questi secoli (Ezzelino da Romano, i Pallavicini, i Torriani, gli Scaligeri, i Visconti, i Malatesta ecc.), ogni capitano di ventura dal Carmagnola al Piccinino, ebbero a che fare con Quinzano e il suo castello. La fedeltà a Brescia costa però ben presto a Quinzano dure e sanguinose prove. Molti beni di Quinzano assieme a esenzioni e privilegi vengono donati verso il 1380 da Bernabò Visconti alla moglie Regina della Scala che a sua volta il 14 novembre di tale anno le regalava al milanese Giovanni di Casale il quale a sua volta il 23 settembre 1391 li venderà ad Antonio e Ghirardo qd. Pietro Martinengo. Intanto nel 1385, diventato signore di Brescia, Gian Galeazzo Visconti riorganizza il territorio bresciano, suddividendolo in 18 quadre, a capo di una delle quali è Quinzano. Nei periodi di respiro da guerre e da pestilenze (sembra sia stata particolarmente perniciosa quella del 1398), si pensa ad opere di miglioramento agricolo e nel 1398 viene nominata la prima volta in documenti la Savarona. D'altra parte per far fronte alle continue spese di guerre la Comunità è costretta a vendere (1357) a diversi privati il diritto di erbatico sul vasto pascolo di sua proprietà. Il Piccioni fa salire a lire 54 l'estimo del tempo. Nel frattempo incomincia a ripopolarsi il territorio, desolato da continue vicende belliche e pestilenze, da parte di famiglie nuove o di ritorno da emigrazioni forzate e che prendono il nome di Nember (da Nembro (BG)), Vertua (da Vertova (BG)), Bergamaschi, Pavia, Mantova ecc. Ma la tregua è breve e Quinzano viene toccato da travagli, stragi e contrapposizioni fra fazioni succedute alla morte di Gian Galeazzo Visconti. Proprio a Quinzano nel gennaio del 1404 Pietro Gambara raduna un esercito di ghibellini bresciani e cremonesi di novemila armati pronti a sostenerlo marciando poi in Brescia. Momenti terribili Quinzano visse nel 1408 quando il Malatesta nel tentativo di conquistare la pianura lo assediò e se ne impossessò ma con tanta "spesa e fatica" che spinsero il Malatesta a raderlo dalle fondamenta scacciando gli abitanti che andarono raminghi per pianura e monti. Nel bergamasco si rifugiarono a Vertova, Chiuduno, Gandino. A Cremona gli esuli diedero origine alla famiglia Quinzani dalla quale sarebbe uscito Giacomo Quinzani, luogotenente di Nicolò Piccinino. Altri, ancora, a Orzinuovi dove nacque prendendo il nome del paese d'origine la beata Stefana Quinzani. I cronisti quinzanesi affermano che degli abitanti "pochissimi, partitovi il Malatesta, abitarono a Quinzano ma ancor questi poveri e in cattivo stato". Ma poi divenuto signore di Brescia avendo contro di sé da Cremona, Cabrino Fondulo, il Malatesta rinforzò le difese e i presidi di Quinzano, oltre che quello di Pontevico, castelli che il Malatesta rinforzò assieme a quello di Orzinuovi quando nel 1414 si ripropose di conquistare il Cremonese. Fu Filippo Maria Visconti, che cacciato nel 1421 definitivamente il Malatesta, ricostruì il castello impiegando anche 300 uomini di Asola e affidandolo a Francesco Gonzaga. È probabilmente questo il castello raffigurato agli inizi del '500 in una sala e ora introvabile del quale sono riemerse le tracce nel 1978 per intervento del GAFO di Quinzano. In questi anni, come si riscontra dagli Estimi malatestiani del 1416-1421, è presente un folto numero di nobiles quali: Ugoni, Rudelli, Bargnani, Zamboni, Calzavacca, Palazzi, Ferrandi, Bellini, ecc. Ma ormai in questo stesso anno entra in campo Venezia che attraverso sanguinose vicende riesce ad assicurarsi tutto il territorio bresciano e bergamasco. Dalla trafila di scontri e movimenti di eserciti Quinzano è ancora una volta travolta. Occupata nel luglio 1436 dalle truppe venete al comando di Francesco Gonzaga e dal commissario veneto Andrea Marcello, aveva dovuto riaprire le porte ai Viscontei, per essere di nuovo ripresa dai Veneti al comando del Carmagnola. Dopo aver mandato tra il maggio e il giugno 1427 suoi rappresentanti a far atto di sottomissione a Venezia, dopo la vittoria di Maclodio, nell'ottobre 1427 si consegnava spontaneamente al Carmagnola. In un giorno di Pasqua sembra del 1428 il paese, come scrive il Pizzoni, si ripopola mentre viene compiuto ogni sforzo per riassestare la vita civica, economica e religiosa della comunità. I pochi rimasti si rimboccano le maniche e chiedono a Giovanni Planerio, rifugiatosi a Bozzolo, di rimpatriare con i figli e di riportare le "scritture" pubbliche, affidando loro il riordino del Comune e l'opera di ricostruzione. Pur considerato ancora feudo "onorabile" dei Martinengo, Quinzano viene eretto in vicaria maggiore comprendente Cremezzano, Verolavecchia, Scorzarolo, Cadignano, Scarpizzolo, Oriano, Faverzano, Pedergnaga, Trignano. Da parte sua Venezia, per garantirsi l'appoggio di Quinzano, concede nell'ottobre 1436 privilegi ed esenzioni anche se i Quartieri devono ospitare l'anno appresso l'esercito veneto del Gonzaga. Coinvolto sempre più nella morsa degli eserciti del Gattamelata per Venezia e del Piccinino per Milano, viene da questi raggiunto nel luglio 1438. A lui, che vede le volonterose ma inefficaci opere di difesa, i quinzanesi, a cento anni di distanza come scrive il Pizzoni metteranno in bocca le parole che ancora ricorderanno cento anni dopo: «O povero Quinzan forte di paglia / Come sostenerai tanta battaglia». Nonostante ciò l'assedio dura sette giorni prima che i Quinzanesi si arrendano assieme alle truppe del Gattamelata.


Il Piccinino vi rimane alcuni mesi fino a quando nel giugno 1440 il Castello cade in mano ai Veneziani guidati da Francesco Sforza. Ritornato ancora una volta a Venezia intervengono subito opere di pace. Il 3 novembre 1441, infatti, il Comune di Quinzano e quello di Bordolano arrivarono ad un compromesso circa il porto sull'Oglio. L'8 giugno 1442 Filippo Maria Visconti dona al proprio familiare ed armigero Giovanni Alghisi di Quinzano il luogo di Monticelli concesso un tempo a Donato da Cisate, suo cameriere ducale. Movimenti continui di truppe, difficoltà di approvvigionamenti, pericoli più diversi, tengono in continuo fermento la popolazione quinzanese che nel giugno 1452 si ribella a Venezia e apre le porte del castello ai milanesi comandati da Bartolomeo Colleoni, i quali vi si fortificano animati dalla frequente presenza del duca Francesco Sforza che vi sosta a lungo. A stanare i Milanesi sarà il 22 maggio 1453 Giacomo Piccinino comandante generale delle truppe venete che sottoporrà il paese a duro saccheggio. Ma nell'ottobre il paese viene abbandonato dai veneti e occupato dallo Sforza che vi rimane fino alla pace di Lodi del 9 aprile 1454. Venezia erige Quinzano prima in vicariato minore e poi nel 1479 in maggiore mentre, spentisi gli echi delle continue guerre, la vita economica e civile riprende di nuovo a fiorire. Nel 1458 si procede all'estimo degli immobili a cui seguono interminabili liti, in particolar modo con i conti Martinengo, specie per l'uso del pascolo, che finiscono con il processo del 1462. Opere nuove sulla Savarona, come la costruzione del Chiavicone nel 1470, delle seriole Battista e Cesaresca, così chiamate in onore di alcuni membri della famiglia dei Martinengo, permisero un uso più razionale e proficuo delle acque per irrigare i campi. Segno della crescente prosperità raggiunta sono anche le liti a non finire che dal 1481 in poi ricominciano fra quinzanesi e bordolanesi per il porto sull'Oglio, liti che si protraggono per lunghi anni e che provocano continui appelli ad autorità superiori. Si irrobustisce inoltre la vita religiosa che vede la nascita di nuove confraternite, la costruzione nel 1467 di un convento francescano e restauri di chiese. Nello stesso periodo, abbastanza felice della storia di Quinzano, fioriscono anche le scuole e ne è esempio significativo quella veramente importante diretta da Giovanni Conti. Al contempo viene restaurato o meglio fortificato il castello, rinforzata la vigilanza. Non mancano parentesi tragiche come quelle del 1471-1472 segnate da un terribile terremoto ripetutosi nel giugno 1496, da un inverno rigidissimo, da infestazioni di locuste, che si ripeterono nel 1474, 1477 e 1478. Durante la guerra di Ferrara (1482-1484) Quinzano si trova di nuovo in balia di eserciti fra loro nemici e viene occupato dapprima da milanesi e napoletani, guidati dallo Sforza e da Alfonso duca di Calabria, che vi si rafforza e fa alzare la torre della chiesa di S. Faustino, per meglio controllare i dintorni, ed atterrare quella della Pusterla. Ma l'11 agosto 1483 "senza altro son di trombetta" Quinzano si arrende all'esercito veneto e nell'inverno 1483-1484 è costretto ad ospitare grossi contingenti della Santissima Lega mentre il 18 giugno 1484 approfittando del fatto che fosse sguarnito il paese fu di nuovo in mano al duca di Calabria.


La "pace di Bagnolo" del 7 agosto 1484 pose fine alla guerra e diede nuovo respiro al paese che venne fatto segno da parte di Venezia di nuovi numerosi privilegi tra cui la concessione di un mercato settimanale e di una fiera annuale che però non ebbero seguito. Tornata Venezia, venne compiuto ogni sforzo per restaurare le chiese dei S.S. Faustino e Giovita, di S. Ambrogio, delle Malgherosse e ne venne costruita una nuova dedicata a S. Rocco. Nello stesso tempo viene restaurato il castello come indica la data 1484 segnata su un mattone dell'albergo Due Colombe, mentre resti di mura a scarpa, fondamenta di una torre ecc. recentemente rinvenute indicano nuove ricostruzioni avvenute all'interno dello stesso borgo fortificato. Il paese stesso va trasformandosi. Alcune famiglie come, fra quelle più in vista, Amighetti, Patina, Bonelli, Marinoni, Marini comperano dal Comune e dal ricchissimo Agostino Pavia, terreni fuori le mura edificandovi case con orti, mentre nel 1500 - 1502 ecc. si sovviene ai poveri con prestiti e distribuzioni di derrate alimentari. Per il miglioramento dell'agricoltura vengono realizzate opere di irrigazione (come la deviazione sul territorio Quinzanese della seriola Battista (1506) e la costruzione della Cesaresca), l'incremento del mercato del mercoledì e nuove costruzioni edilizie fuori del castello. Uniche parentesi i pericoli di peste, la presenza di soldati, il passaggio di truppe. Certo buoni uffici per Quinzano spese agli inizi del '500 Luigi Manenti segretario del Consiglio dei Dieci che Pizzoni dice di famiglia assai conosciuta in paese mentre tra i suoi vicari la borgata annovera agli inizi del '500 lo storico Elia Capriolo. Non mancano ancora, specie nel 1491, voci di guerra e apprestamenti di difese, riarmi che sono tutti segni premonitori ed avvisaglie della nuova guerra fra Francia, Spagna e Impero, guerra che terrà in movimento la popolazione bresciana dal 1508 al 1516, che toccherà anche Quinzano con l'imposizione di contribuzioni e tasse per 1708 ducati d'oro onde evitare danni al paese, che viene tuttavia preteso in feudo dai Gambara che si impadroniscono arbitrariamente, cercando di ingraziarsi la popolazione con l'istituzione di un mercato settimanale. il re Luigi XII che nell'agosto del 1509, pur dopo averlo esplicitamente rifiutato, concede (e riconfermerà poi l'11 ottobre 1511, il 27 febbraio 1512, il 12 marzo 1513 in feudo Quinzano ai conti Nicolò e Giovanni Francesco Gambara "con mero e misto imperio, potestà della spada, taglia ducale e dazio del sale". Il fatto non esenta Quinzano dal dover alloggiare, allargando i Quartieri, lancieri e soldati, pagare prestiti agli stessi Gambara, subire imposizioni di taglie, prestarsi a offrire donativi ai vari governanti che si alternano. Tornato sotto Venezia nel luglio 1512, passato nel dicembre 1512 sotto gli imperiali e nel 1513 per essere ripreso nel novembre in una rapida scorreria dalle truppe venete di Renzo Orsini. Fra continui pericoli di peste, Quinzano finisce nel 1513 la chiesa di S. Giuseppe, fa voto di ingrandire quella di S. Rocco e al contempo le famiglie più attive fanno crescere fabbriche fuori il Castello. Nel 1515 Quinzano alloggia e foraggia truppe venete in attesa del definitivo ritorno nel 1516 della Serenissima.


Il comune assume ora una precisa conformazione amministrativa. I consoli del Comune di Quinzano a turno, per un mese, con il Massaro (tesoriere), l'Andadore (messo), il Cancelliere (segretario), i Sindaci (revisori dei conti) ed il Consiglio speciale (giunta) governano la comunità. Ad eleggere i Consoli è il Consiglio speciale mentre continua a funzionare la Vicinia o Consiglio generale, formato dai capi delle famiglie originarie quinzanesi, cioè di quelle famiglie che hanno costituito il Comune. Queste hanno diritti ed esenzioni speciali nei confronti dei forestieri. Nel 1517, con la fine della guerra, Quinzano ritorna alle opere di pace e assieme ai contrasti con Bordolano per il porto sull'Oglio, che dureranno anni e che si ricomporranno nel novembre 1519, lavora a nuove fabbriche intorno alle fosse del castello. Nel 1521 spirano nuovi venti di guerra, si scavano fosse, si reclutano soldati mentre avanza la peste. Sempre più fiero della propria indipendenza nel 1528 accampando a nome di Maffeo Pizzamiglio il fatto che i "gamberi vanno indietro" il Consiglio generale rifiuta il ritorno dei conti Gambara come feudatari. Pochi anni dopo il Comune e gli uomini si rifiutano di pagare gli antichi diritti feudali al vescovo che nel 1533 fulmina l'interdetto, ritirato quando il Podestà di Brescia dirime i contrasti imponendo di pagare due ducati l'anno. Nel frattempo occorre segnalare il passaggio dei Lanzichenecchi diretti al sacco di Roma e una epidemia di peste che miete molte vittime. Le opere di pace favoriscono il fiorire di iniziative culturali notevoli come una specie di accademia letteraria o scuola tenuta da Giovanni Conti della quale si può supporre sia stato alunno anche Agostino Gallo nato nella vicina Cadignano. Nel 1528 viene allestito anche un ospedale per i soldati veneti accampati nei pressi di Cremona; nel 1536 viene costruito il ponte in muratura sulla Savarona. Nel 1529 la borgata è minacciata dagli imperiali ma esiziale è la peste del 1529, della quale ha lasciato memorie Giovanni Planerio, scoppiata nell'estate, e che rincrudì in autunno. Vi furono pianti e grida, ammalati abbandonati, cadaveri insepolti, terribili odori e, inoltre, rapine, furti ecc, fu «una rovina universale». Nel 1548 don Guglielmo Ferrari ricostituisce o trasforma da semplice prestito di biade un attivo Monte di Pietà che servirà a far fronte alle carestie che si susseguirono specie nel 1561, 1570, 1590. Una delibera del 15 giugno 1561 accenna all'esistenza di un orologio pubblico. Non mancarono visite illustri come quella dell'arcivescovo Pavesi l'11 ottobre 1562, di un card. Gonzaga e quella nel 1575 di p. Serafino Cavalli, generale dei domenicani. Nel 1570 - 1573 Giovanni Francesco Dabrazzi, Lorenzo di Greni, Giovanni Domenico Battaglia, Gabriele Fratini, Matteo di Vayra, Bartolomeo Zani, Francesco di Anzoli parteciparono alle guerre di Cipro e di Lepanto. Ma due di essi, il Fratini e lo Zani, non si fecero molto onore perchè fuggirono liberando anche dalle navi alcuni galeotti. Continuarono a ripetersi sventure spesso gravi. Nel 1572 si manifestò un morbo di petecchie e nel 1576 furono tali gli spaventi che venne chiamato l'"an de la póra" e nel 1577 scoppiò nuovamente la peste che però si arrestò alle Caselle. Pur non mancando abusi e "manzarìe" agli inizi del '600, Quinzano con pochi altri era fra i comuni bresciani che potevano vantare un bilancio in attivo. Ciò permise di elevare nel 1600-1604 forse la torre di S. Rocco, nel 1604 la grandiosa torre della Parrocchia e, come testimonia da testimonio oculare il Pizzoni, "quasi tutte le fabbriche del tempo" dovute alla maestria del comasco Nicolò Alberghino, oltre ai porticati del Cimitero. Le ricostruzioni del 1495 dovevano essere state abbastanza provvisorie se già nel 1610 il castello veniva descritto come "circondato di fosse di raggion del Comune" e "benché devastato" si vedevano "le vestigia delle fosse e delle mura". Alcuni decenni dopo il castello aveva solo "fosse, terragli e alcune vestigia di mura che li cingevano" e due "nobili porte, ambedue con il simulacro di S. Marco in mezzo ai S.S. Faustino e Giovita"; le porte erano una a oriente l'altra a occidente congiunte da una contrada detta anticamente Calzavacca. Oltre alle chiese, in Castello vi erano la canonica, la casa della Vicaria Civile, della Comunità del Monte di Pietà e del Fisco pubblico, e il quartiere di cavalleria. Meno noto è invece quanto scrisse il nobile veneto Pietro Contarini di una sua visita nel Bresciano nel 1623: «Su andando, si legge nella sua Memoria, passammo per alquante terre cioè per Quinzano e Gabiano che in Spagna et forse altrove sarebbero ambite per contee et per ducati». Del resto lo stesso Da Lezze elenca come interessate a Quinzano fossero alcune famiglie fra le più note di Brescia. Nel '600 abitarono a Quinzano anche Giovanni Paolo Martinengo che aveva sposato Alessandra Manzini di Rimini, probabilmente parente dell'arciprete di Quinzano e i cui figli Taddeo che si fece francescano, Luca che entrò fra i cappuccini, Francesco, che ebbe vita avventurosa e fu prigioniero dei Turchi, Giovanni Paolo, vicario a Gottolengo, Pontevico ecc., vennero tutti educati a Quinzano.


I lunghi cinquant'anni operosi e di pace vengono alla fine interrotti da nuovi gravi avvenimenti. Il 27 settembre 1629 giungeva infatti nei pressi di Quinzano un primo contingente della cavalleria dei Lanzichenecchi al quale altri seguirono in breve tempo e con i Lanzichenecchi giunse la peste. I primi casi sospetti si verificano il 23 marzo 1629. I provvedimenti presi non servono a fermare il morbo che scoppia distruttore durante l'estate. La tradizione vuole che l'infezione si sia arrestata in seguito al voto emesso dalla Comunità di erigere nella parrocchiale un altare a S. Anna. Ma quanto sia stata esiziale si può evincere dal raffronto del numero degli abitanti che da 3.600 nel 1610 nel 1637 erano ancora 2455 con un calo del 31%. La peste non tornerà più, anche se non mancarono limitate epidemie che colpirono uomini e animali. Più grave fu il fenomeno del banditismo che continuò anche nel '700 e del quale sono testimonianza eloquente gli ex voto del santuario della Madonna della Pieve. Ciononostante il paese continua a trasformarsi. Il proliferare di ladri, banditi o malviventi è tale da costringere il Comune ad incaricare il massaro e il campanaro di vigilare notte e giorno dall'alto del campanile della parrocchia dando, come si legge in una disposizione del 27 aprile 1700, «li botti per li sospetti di ladri, banditi e malviventi». Una nuova parentesi di guerra fu quella per la successione di Spagna 1701 - 1706 che però non toccò il paese. Scompiglio e ladrocini vi compirono, particolarmente, le truppe austro-imperiali dal dicembre 1701 al 1706 in paese e soprattutto al Mezzullo e alla cascina Falivera. La cavalleria imperiale, al comando dell'Auspach, vi si acquartiera per tutto l'inverno 1700-1701; il 30 luglio 1706 sono le truppe francesi comandate dall'Albergati a saccheggiare il Convento di S. Maria e il Mezzullo. Nel 1711 finalmente nelle campagne di Chiari avviene la battaglia decisiva. I danni causati anche nel quinzanese non sono tuttavia indifferenti ed a leggere le diverse denunce conservate nell'Archivio di Stato si ha il quadro di quanto di più sconsolante ogni guerra, anche la meno combattuta, porta di danno ad un paese e ad un popolo. Sul piano amministrativo nel sec. XVIII ricorrono continuamente i problemi inerenti alle strade, al porto, alle rogge fra le quali la Quinzana che richiede notevoli stanziamenti mentre si vanno moltiplicando controversie di confine fra Venezia, Brescia, Milano e Cremona. Il paese si abbellisce anche di nuove case e palazzi come quello dei Vertua (poi Massetti) di piazza S. Rocco. Nasceva anche l'esigenza di un ospedale per il quale nel 1714 G.B. Vertua lascia dei beni seguito da altri fra cui Lelio Martinelli (1719), Giov. Paolo Cremezzani (1733), ecc. ma che si concreterà solo a distanza di decenni. Nel 1733 con testamento del 27 giugno, il sacerdote don GianPaolo Rubini istituisce un legato per aprire scuole pubbliche. I documenti pubblici di questi anni riguardano di solito manutenzione di strade, pascoli, compravendite, estimi, fiere ecc. Nel frattempo sempre più numerosi forestieri vengono integrati fra gli originari. Ma durante il secolo il banditismo, i ladrocini e le violenze raggiungono un tale livello che il 24 febbraio 1734 il provveditore veneto in vista degli "inconvenienti che insorgono anco d'omicidi, come per esperienza degli anni scorsi, si teneva in dovere di sospendere la fiera dell'Annunciata (25 marzo) che si tiene sulla piazza della chiesa di S. Maria delle Grazie (Convento)". Ancora negli anni seguenti e nel 1797, come si legge nei provvedimenti della Pretura di Casalbuttano, Quinzano era al centro quasi di un tratto di territorio bresciano da Orzinuovi a Seniga le cui strade erano "infestate dai malviventi" e lungo le quali si commettono spesso assalti e ruberie. Inoltre gravano sull'economia della Bassa, specie dal 1732, ricorrenti epidemie epizootiche. D'altro canto si assiste anche a gravi disordini alle proprietà e alle colture, tanto da spingere nel 1739 l'autorità a proibire il libero pascolo nel territorio di Quinzano.


La decadenza di Venezia è avvertibile anche a Quinzano, non solo dall'aumento delle tasse e da altri indizi. E già nel 1794 sui registri dell'Amministrazione pubblica e su atti privati compaiono qua e là al posto del Leone di S. Marco nuovi slogan quali Libertà e Virtù; Onestà ed Uguaglianza; Salute e Fratellanza. Nel 1796 don Giovanni Bave con una risposta a tali insorgenti ideali, lascia altri beni per l'erezione di un ospedale locale; parecchi altri seguono il suo esempio. L'anno dopo veniva terminato un ponte e Francesco David affrescava palazzo Vertua. È l'anno della caduta di Venezia e della rivoluzione cosiddetta Giacobina che giunge anche a Quinzano nel marzo 1797 senza echi particolari. È da pochi giorni giunto l'eco della rivoluzione bresciana del 17 marzo che il 4 e 5 aprile giunge da Verolanuova un gran numero di controrivoluzionari "con armi, soni, tamburri e con scarico di mortari". Ma bastò un servo mandato dal cittadino (già conte) Brunoro Gambara a condurre a più ragionevoli consigli i "goghi" evitando "gran saccheggio e rovina anche della vita". In seguito a ciò a fine maggio anche a Quinzano veniva eretto nello spiazzo antistante la chiesa di S. Rocco l'albero della libertà.


Giovanni Paolo e Bortolo Olini, quinzanesi, furono tra coloro che il 17 marzo 1797 partirono armati da casa Lechi per occupare il Broletto. Spinti dal padre i fratelli Olini (Paolo, Bortolo e Giuseppe) si arruolarono poi nell'esercito napoleonico e G. Paolo vi si distinse in modo particolare, specie in Spagna, nel 1808. Nel 1800 partivano gli austro-russi e scoppiò una febbre epidemica che venne arrestata grazie anche all'intervento del dott. Giuseppe Schiantarelli, inviato dell'autorità provinciale. Nell'ottobre-novembre 1801 Quinzano dovette ospitare due reggimenti di cavalleria francesi al comando del gen. Poinsot. Il terremoto del 5 maggio 1802 per fortuna non rovinoso e una grave siccità che nel luglio-agosto seguenti compromise il raccolto travagliarono il paese. Nel 1805 la miseria incalza sempre più imponendo opere pubbliche. Per lenirne i tragici effetti viene costruito a Quinzano un altro ponte, quello tra Borgo e Mercato, mentre dal 1807 al 1808 viene realizzata la Strada Francesca congiungente Borgo S. Giacomo (Gabiano) e Pontevico e, infine, il livellamento per un buon tratto dello stradale medesimo. Il biennio 1809-1810 vede una nuova sistemazione della stessa strada chiamata reale, assieme a quella di Motella ed al tratto interno tra la Piazza Grande e la Chiesa S. Giuseppe. Ed è con legittimo orgoglio che il Podestà Francesco Peroni potrà rivendicare come vanto quinzanese l'aver creato una rete di strade locali, ritenute un modello fra quelle di tutto il dipartimento. A questo sforzo edilizio corrisponde uno sviluppo più rapido anche nel campo dell'elevazione culturale e morale della popolazione. Infatti fin dal 1811 viene acquistato dal Demanio pubblico, che l'aveva incamerato a causa delle leggi eversive napoleoniche contro le proprietà ecclesiastiche, l'ex Convento delle Dimesse trasformato poi in scuola. Ad esso dedicano la loro attività alcuni sacerdoti, fra i quali, in prima fila, don Gaetano Svanini che nel 1814 chiede di sistemarvi «uno stabilimento di educazione per istruire in tutti gli studi dalla Grammatica Latina alla Filosofia» dedicato a G. Paolo Rubino, il sacerdote che da alcuni anni aveva predisposto all'uopo un legato. Nello stesso 1810 viene aggregata a Quinzano anche la frazione Villanuova di Monticelli d'Oglio. Nel contempo dal 1803 progredisce l'insegnamento scolastico con l'aumento nel 1803 e 1811 dei maestri. Non mancano discorsi e versi di esaltazione di Napoleone da parte del podestà Francesco Peroni o del notaio Francesco David; inoltre il già ricordato Paolo Olini ed altri con lui che fanno carriera nell'esercito napoleonico. Anzi, il colonnello Paolo Olini è fra i più attivi nella congiura di nostalgici napoleonici attivatasi fin dal 1816 contro l'Austria. Al di là degli avvenimenti politici Quinzano gode di anni di sia pur relativa prosperità. Rimane invariata, nonostante le rivoluzioni, la classe dominante: l'amministrazione pubblica infatti resta nelle mani dei "possidenti nobili" che nel 1815 risultavano eletti. Essi erano i Conti Luigi Martinengo delle Palle, Nestore Martinengo da Barco, Carl'Antonio Gambara, Luigi Padovani mentre alla Congregazione centrale veniva eletto per i nobili il Gambara stesso e per i non nobili il grosso proprietario Gianfrancesco Vertua. Si trattava però di oculati amministratori sotto la cui amministrazione vennero compiuti lavori di interesse pubblico di grande importanza. Il 1815 vede il rifacimento del Ponte Passaguado e dell'argine a nord della Savarona; nel 1821 la risistemazione della strada congiungente Quinzano con Verolavecchia mentre a poca distanza vengono realizzate via Almaria e via Pieve oltre alle vie Belvedere, Scalone, ecc. Ma in sostanza Quinzano vive decenni di tranquillità e della sia pur relativa prosperità è segno l'attività dell'arch. Rodolfo Vantini che nel 1824 disegna la facciata del palazzo Peroni (oggi Ciocca), della facciata di S. Rocco e nel 1833 dei portici della piazza principale destinati a mercato coperto delle granaglie. Nascosta per lo più ma crescente è la povertà della maggioranza della popolazione in gran parte contadina, ridotta sempre all'avventiziato e al bracciantato dalla concentrazione delle proprietà agricole. Malattie infantili (come l'indurimento cellulare del 1827) e soprattutto nel 1836 il colera colpirono Quinzano. Particolarmente funesto fu il colera che vide soprattutto l'impegno instancabile del prevosto Magrograssi. Dal 1826 al 1845 è il cuore stesso di Quinzano che si trasforma e va prendendo una fisionomia sempre più cittadina. I conti Valotti infatti ornano il loro palazzo di un bel giardino mentre, al contempo, si procede allo spianamento della fossa esistente a O e S del Castello, viene ampliato il Cimitero (1827) e soprattutto nel 1833 viene aperta la grande piazza (ora piazza Garibaldi). Livellata la fossa che veniva usata per il gioco del pallone ed abbassata l'ortaglia dell'ex convento delle Dimesse esistente là dove oggi sorge il teatro-cinema, viene realizzata la grande piazza destinata soprattutto al mercato delle granaglie. Ad abbellirla, con gli sforzi congiunti dei privati e del Comune dal 1837 al 1845, vengono innalzati come s'è detto, attribuiti all'architetto bresciano Vantini, i Portici sui quali viene posta una lapide dedicatoria a Ferdinando I Imperatore d'Austria «A FERDINANDO I SEMPRE AUGUSTO / IMPERATORE E RE / ARBITRO DI PACE DELIZIA E TUTELA / DI AUSONIA / MENTRE LA FERREA CORONA / IMPONE ALLA CESAREA FRONTE / NEL FULGIDO INDELEBILE GIORNO / 6 SETTEMBRE 1838 / CON DIVO PERDONO ABBRACCIANDO / TUTTI I FIGLI / QUESTA PIAZZA ORA CREATA ED APERTA / AL COMMERCIO AGRARIO / E DI SONTUOSO EDIFICIO DECORATA / IN PERPETUA MEMORIA / DI PUBBLICA ESULTANZA. / PER VOTO UNANIME DEL COLLEGIO / IL QUINZANESE MUNICIPIO / CONSACRA».


La lapide posta sui portici non rappresenta certamente del tutto lo spirito quinzanese. Lo prova il fatto che nel 1821 il quinzanese Francesco Peroni venne coinvolto nella congiura carbonara così da essere condannato a morte, condanna commutata in un anno di carcere duro scontato nel carcere di Lubiana. Che tuttavia covasse anche a Quinzano uno spirito patriottico fu chiaro nel 1848. Più determinanti sono gli avvenimenti dal 1848 in poi. Il 27 marzo 1848 Quinzano assiste al ripiegamento verso il Quadrilatero del reggimento ungherese Bocony al comando del col. Benedek, mentre le vicende politico-militari che seguono vedono la partecipazione attiva di un giovane chierico Pietro Gandini già compagno in Seminario di Tito Speri, al battaglione studenti a Curtatone e Montanara. E non è il solo. Nel dicembre 1848 il medico Gualla recluta giovani pronti a espatriare in Piemonte, lui, che in un primo momento aveva espresso la più radicale sfiducia su Quinzano, deve constatare che di giovani del paese reclutati ve ne erano in abbondanza. Nel gennaio 1849 viene addirittura costituito, per il reclutamento, una specie di Comitato. Tra i più bravi reclutatori lo stesso Gualla segnala uno Scanzi, mentre un Domenico Bullo (o Bulla) (anch'egli in verità non esente di sospetti) informa la polizia che fra gli istigatori alla diserzione vi sono il caffettiere Giuseppe Orsi, il possidente Francesco Vertua ed il sarto Coraglia. Tra i già espatriati il Bulla segnalava Giovanni Scaratti, Battista Elardi, Antonio Barbieri, Pietro Conti, Battista Bellini. I moti rivoluzionari del 1848-1849 costarono all'amministrazione comunale ben 35.756 lire di tasse su un'entrata valutata sulle 30.000 lire. Probabilmente per far fronte a tali gravosi impegni, nel 1854 il Comune dovette ricorrere a prestiti di banche austriache; ma gli interessi risultarono talmente gravosi che il Comune dovette vendere molti beni comunali fra i quali alcuni immobili di vicolo Quartieri.


Nel 1855 ritornava il colera che dal 24 luglio al 12 settembre registrò 59 casi di cui 39 letali. Assieme al rinnovato impegno del prevosto Magrograssi si prodigò il giovane sacerdote don Pietro Gandini. Per stessa ammissione della stampa liberale il clima, come confermano sassaiole di "goghi" contro la guardia nazionale nel 1859, e le dimissioni nel settembre del 1862 del sindaco Vertua, è, in generale, sfavorevole alla nuova classe politica unitaria. Si allarga anche l'opera assistenziale e caritativa con la costituzione, grazie ad un legato di don Giov. B. Vertua del 27 settembre 1865, dell'Istituto Putte per fornire di dote matrimoniale le ragazze povere. Nel giugno 1859 si verifica una nuova calata di soldati. Il paese e le campagne formicolano di soldati, le strade sono intasate di carriaggi. Il 10, 11 e 12 passa l'esercito austriaco in ritirata. Vi sostano 36.000 soldati con 4250 buoi: razzie e soprusi accompagnano la ritirata. Molti quinzanesi sono costretti a prestare aiuto specie nel trasporto di armi e di attrezzature. Il 15 sopraggiunge l'esercito franco-piemontese. Il bilancio che ne farà il consiglio comunale è compendiato in poche parole: depredazioni enormi del patrimonio comunale. Per assistere i feriti l'ing. Domenico Cò crea un ospedale che accoglie 32 feriti (26 francesi e 6 austriaci). Nel 1859 militano nelle file garibaldine oltre a Giulio Bertoglio, un Nember, il figlio del tintore, ed altri. Quattro di essi abbandonano "per scarsa rimunerazione". Si distinguono inoltre fra i combattenti delle guerre di indipendenza Lazzaro Galli, Paolo Soldi ecc. Nasce la Guardia Nazionale che si accampa nelle scuole al comando dei capitani Domenico Cò e Carlo Trappa e si dà un suo regolamento. Ma quando fa una delle sue prime comparse pubbliche viene presa a sassate. Feste, sottoscrizioni costellano i primi anni di Unità nazionale mentre è assolutamente ristretta la partecipazione alla vita amministrativa. Sul totale degli abitanti, nel 1861 solo 226 sono iscritti alle liste elettorali e di essi votano solo 164. Nel 1862 per distinguersi da altri paesi dallo stesso nome Quinzano assume la specificazione "d'Oglio".


Nelle prime amministrazioni locali è assessore un sacerdote, Scanzi, mentre sono tre i sacerdoti (don Gandini, don Francesco Altieri e don Pietro Franzoni). Nel 1866, Quinzano registra il concentramento del grosso dell'esercito di Lamarmora e sette quinzanesi si arruolano come volontari. L'anno dopo si ripresenta il colera che su 327 colpiti miete 187 vittime e che vede la generosa assistenza del medico Giacomo Mozzoni, dell'infermiere Angelo Zampari e dei sacerdoti don Pietro Gandini e don Giuseppe Scanzi. Nello stesso anno, alieno da tentazioni di grandezza, Quinzano rifiuta di annettersi la Monella e Monticelli d'Oglio. Gli anni che seguono, nonostante la presenza di bande di malfattori e la diffusa povertà, non mancano segni di progresso fra i quali l'illuminazione pubblica a gas (1870), l'ufficio Telegrafico (1872) l'erezione dell'Ospedale (il 29 febbraio 1880), la fondazione il 15 aprile 1885 grazie al lascito del prof. Giuseppe Sandrini e moglie e alla generosità di Filippo Ugoni dell'Asilo d'infanzia (eretto in Ente morale l'11 dicembre 1892), la trasformazione in teatro della chiesa delle Dimesse (1883), la macchina antincendi (1890), l'ampliamento del Cimitero (1895). Don Pietro Gandini apre una scuola gratuita di agricoltura. Per decenni, tuttavia, i rapporti con Brescia consistono nel servizio svolto dal "Veloce privato Favalli" con recapito all'albergo Italia. Ne mancano segni di risveglio civile e sociale come la banda, la scuola di disegno e conferenze. Nel clima di rilancio liberale e anche anticlericale nacque il 31 marzo 1881 la Società Agricola-Operaia che avrà il suo riconoscimento giuridico il 15 aprile 1902 già deciso in un'assemblea del 9 dicembre 1900. La vita politica ed amministrativa va sempre più orientandosi con i Vertua e Nember verso il liberalismo zanardelliano. A contrastare il liberalismo imperante, dal 1882 emerge la figura del nuovo prevosto don Adamo Cappelletti. Si va inoltre diffondendo la pellagra, a fronteggiare la quale viene organizzata una Locanda sanitaria che nel 1899 cura ben 112 affetti da tale malattia. La povertà e le condizioni di sfruttamento sollecitano sempre più ampie proteste sociali. Nel 1882 i contadini ottengono un patto colonico; nel 1894 in seguito ai moti siciliani e ai fatti della Lunigiana vengono compiute perquisizioni alla ricerca di "rivoluzionari", nell'ottobre 1895 80 filatrici scendono in sciopero. L'anno dopo cinque quinzanesi combattono in Eritrea. Fin dall'aprile 1898 si incomincia a parlare di sport e si tiene un "convegno" o corsa ciclistica fra soci e sezioni delle province di Brescia, Mantova e Cremona, organizzato dal Touring Club Ciclistico Italiano. Tra le realizzazioni di maggior rilievo negli ultimi decenni del sec. XIX è la costruzione sulla Savarona dell'impianto per la produzione dell'energia elettrica dovuta a Santo Boccasavia di Casalbuttano e il ponte sull'Oglio. Accantonato il progetto di un ponte in muratura presentato nel 1882 dall'ing. Isidoro Cacciatore, ne venne nel 1899 costruito a Savigliano uno di ferro su progetto dell'Ufficio tecnico di Cremona. È antecedente al ponte e risale al 1895 il contratto intercorso fra il Comune e la ditta Boccasavia per la realizzazione di un impianto di luce elettrica mentre, nel 1897, viene migliorata la strada Brescia-Quinzano. Nel frattempo grazie all'attività del prevosto don Cappelletti si va sempre più rafforzando il movimento cattolico, che contende il campo specie amministrativo e civile al liberalismo fino allora imperante. Nel 1885 nasce il Circolo Operaio Cattolico con un rappresentante di Monticelli d'Oglio e una banda. Al Circolo, il 14 gennaio 1896 si accompagna la Cassa Rurale. L'attività dei cattolici, congiunta a quella dei moderati, mette in crisi nel 1898 la giunta zanardelliana che il 21 dicembre 1899 viene rovesciata. Si può pensare che il successo cattolico sia dovuto anche alla proibizione del sindaco di portare in corteo le bandiere cattoliche e alle soppressioni governative delle associazioni cattoliche dopo i fatti di Milano del maggio 1898. Con la nuova amministrazione e con il nuovo secolo migliora l'assistenza, viene potenziata l'istruzione, vengono incrementati i mulini e gli impianti idroelettrici ecc. ma, soprattutto, si riscalda il clima politico, sociale e sindacale. All'attività socialista, specie in campo agricolo, si contrappone quella cattolica che ottiene nel 1901 e 1902 crescenti successi specie nei patti colonici. Ma è la disoccupazione che domina. Essa, oltre a trovare sfogo nella emigrazione, specie verso la Svizzera e la Germania (e che raggiunge nel 1905 i 31 emigrati, 52 nel 1906, 46 nel 1910 ecc.) vede nuove iniziative imprenditoriali, sia pure modeste come la nuova filanda Natale Dasseni, la fornace Scanzi (1903), il caseificio Tosoni (1903), la fabbrica di coperte Jacquard (1903) poi passata nel 1906 ad Augusto Cima e nel 1912 a Luigi Ciocca, ambedue milanesi. All'attività sindacale che vede specie nel 1906 la nascita dell'Unione Cattolica del lavoro seguono nuovi scioperi e conquiste contadine a cui si accompagna un certo qual risveglio culturale con il circolo Padovani dell'Associazione Niccolò Tomaseo, per i maestri (1906), la società Filarmonica e la banda cittadina (1908), il patronato scolastico, la scuola festiva femminile e la scuola di lavoro femminile. L'affermazione cattolica si esprime nell'appoggio nel 1909 e nel 1913 alla vittoria elettorale dell'on. G.M. Longinotti. Grazie all'attività particolarmente di Francesco Blesio (Titino) si rafforza anche un socialismo sempre più riformista mentre i cattolici consolidano con elementi moderati il loro predominio in campo amministrativo, politico e sindacale. Nel 1907 viene avviato il servizio minibus Brescia-Quinzano, nel 1909 arriva la rete telegrafica e si sviluppa la rete stradale (nel 1913 viene avviata la costruzione della Verolanuova-Orzinuovi), viene progettata una tranvia (di cui si parlerà per quasi due decenni senza approdare a nulla), si estende l'attività filodrammatica e quella sportiva (1906, 1908), compare il cinematografo (1908). La partecipazione alla guerra libica vede un solo caduto; ma essa è solo un preludio alla I guerra mondiale che coinvolgerà tutta la popolazione in opere di assistenza molto attive (comitato di soccorso, casa del soldato ecc. profughi). Sono 450 i quinzanesi chiamati alle armi, 76 i caduti, 12 i dispersi, 27 i mutilati, 60 circa i reduci dalla prigionia.


Nel dopoguerra, dopo la parentesi della "spagnola" che semina vittime, si impone l'eterno problema della disoccupazione alla quale l'amministrazione comunale tenta di far fronte con opere stradali, di fognature, assegnazione di fondi da coltivare, ecc. Parentesi pesante è l'alluvione del settembre 1920 che semina distruzioni gravi. Accesa è sempre la battaglia politica, amministrativa e sindacale. Nasce nell'aprile 1919 il Partito Popolare, i socialisti si dividono sempre più in riformisti (con il Blesio) e massimalisti, ai quali si aggiunge nel 1921 il circolo dei comunisti particolarmente attivi, si susseguono agitati scioperi agrari. Attiva fin dall'ottobre 1919 è l'Associazione Nazionale Combattenti. Ai caduti nel novembre 1921, viene eretto nel Cimitero un piccolo monumento e nel marzo 1923 il Parco della Rimembranza. Mentre poca vita ha un circolo giovanile democratico fondato nel luglio 1921, con la nascita del Partito Popolare si verifica il divorzio fra cattolici e moderati. Nel contempo si dividono le sinistre, si afferma, dopo le prime comparse, nel settembre e nel novembre 1922, di squadre forestiere, il fascismo locale. Bastonate e olio di ricino abbondano dal marzo 1923 fino a quando nel dicembre 1923 il blocco liberal-fascista ha la prevalenza in comune. Pestaggi si verificano specialmente nel novembre 1923 e nell'aprile 1924. Quinzano diventa riguardo al fascismo uno dei centri più attivi della Bassa centrale dominato soprattutto dalla figura di Augusto Turati che con manifestazioni spesso affollate, specie quella del settembre 1926 in cui tiene un discorso che ha echi nazionali, riesce a galvanizzare la popolazione. Anche sindacalmente il fascismo si impone nel gennaio 1925 con il Sindacato Contadini e col fascio femminile. Unica attività fuori delle righe è un Patronato di collocamento operaie del febbraio 1926 di matrice cattolica. Il 16 maggio 1926 il sindaco Tosoni diventa podestà. Mentre il fascismo si afferma e si organizza attraverso attività e istituzioni, come un campo sportivo del littorio, la colonia fluviale, la banda musicale, viene invece chiuso il 10 novembre 1927 l'oratorio maschile che verrà riaperto il 13 luglio 1928. In campo amministrativo dal 1925 si estende la fognatura che nel 1933 ha una sistemazione definitiva, vengono ampliati il Cimitero (1930), l'ospedale (1938), viene migliorata e ampliata la rete stradale assieme ai ponti, migliorata la produzione, fino al 1938, di energia elettrica. Dal maggio 1935 diciotto volontari saliti poi ad una trentina partono per la guerra etiopica, nel 1937 otto si arruolano nella guerra civile spagnola. Sul fronte avversario combatte Italo Nicoletto. Famiglie partono per lavoro per la Libia, per l'Africa Orientale o per la Germania. Nel giugno 1938 il fascio ha una nuova sede e nel luglio 1939 viene inaugurato lo stadio littorio "Costanzo Ciano".


La seconda guerra mondiale coinvolge sempre più la gioventù chiamata alle armi e la popolazione nell'attività assistenziale. Nel maggio 1941 compare il periodico: «Vinceremo. Bollettino del fascio di combattimento Quinzano d'Oglio». Ma cresce l'avversione alla guerra e al fascismo, che, con la rimozione delle campane il 24-30 gennaio 1943, sembra condannato per sempre. Il 25 luglio e l'8 settembre 1943 segnano una divisione profonda nel paese fra la maggioranza della popolazione e i nostalgici del fascismo. Mentre una decina di quinzanesi già combattenti nei Balcani entravano fin dal novembre 1943 nella Resistenza locale, per mesi la popolazione convisse con un contingente della Wermacht di presidio a depositi di benzina. La sezione del Partito Fascista Repubblicano fu una delle prime a costituirsi in provincia. Mentre sacerdoti come don Caffi e don Ruggenenti furono denunciati come disfattisti e il prevosto don Donati venne minacciato, il maresciallo dei carabinieri Giuliano Epinot pagava con la deportazione in Germania l'accusa di aver aiutato gli arruolati con costrizione nelle forze armate della R.S.I. a sottrarsi ad esse. Attiva fu la propaganda scritta e con scritte murali, specie per iniziativa del PCI e del Fronte della Gioventù. Ne furono animatori Vigilio Conti, Bruno Bricchi, Battista Calzighetti ed altri. Tuttavia, nonostante la presenza di esponenti delle formazioni Garibaldine (nel dicembre 1944 verrà arrestato a Quinzano Bigio Romeni commissario politico della 54ª Brigata Garibaldi) a Quinzano grazie all'ospitalità e all'appoggio del curato dell'oratorio don Ruggenenti e di alcune famiglie, assunse un ruolo determinante Ottorino Negri che nell'autunno 1944 organizzava un gruppo di Fiamme Verdi della brigata Tita Secchi, divisione Tito Speri che nel gennaio 1945 prese forma come II battaglione. Al contempo nasceva il C.L.N. locale. Le cascine ospitavano rifugiati mentre la propaganda antifascista e l'azione di assistenza ai renitenti alla leva si intensificava. Mitragliamenti, e anche vittime, echi di lontani bombardamenti animarono i lunghi mesi di attesa mentre la popolazione partecipava in massa il 2 aprile ai funerali di due aviatori alleati caduti lungo la riva dell'Oglio e il 13 aprile 1945 a quelli di due vittime dei mitragliamenti alleati.


Dalla metà dell'aprile 1945 il paese registrò un continuo passaggio di truppe tedesche a contrastare le quali dal 26 aprile scesero le Fiamme Verdi ed altri volontari anche di Borgo S. Giacomo e Villachiara. Si registrarono caduti nei due campi avversi, continui passaggi di armati, cattura da parte delle SS di 19 ostaggi, minacce di distruzione fino all'arrivo verso mezzogiorno del 28 aprile di truppe americane. Il bilancio tragico della guerra registra fra militari e civili 67 morti per causa di guerra, dei quali 8 nei giorni della liberazione.


Il secondo dopoguerra è contrassegnato da vivaci polemiche di partiti e da intensa attività sindacale specie in campo agricolo culminata in scioperi imponenti. D.C. e P.C.I. si contendono l'elettorato, seguiti a distanza dal P.S.I., P.L.I., M.S.I. Nel gennaio 1946 vengono fondati la Cooperativa Popolare e il Circolo ACLI. Le elezioni comunali del 24 marzo 1946 segnano l'affermazione della D.C.. Nel maggio 1946 veniva pubblicato "Quinzano parla. Organo studentesco di Quinzano d'Oglio". La disoccupazione, il superimponibile in agricoltura, l'esigenza di case popolari dominano i primi anni di democrazia, assieme alla ripresa degli autoservizi e lavori stradali e progetti di un acquedotto per Brescia. Patti colonici conquistati con scioperi lunghi e contrastati dalla "Celere", l'ufficio collocamento, ma anche l'istituzione della 6ª classe elementare e classi serali (1947), e di corsi di avviamento professionale (1948) segnano, con le prime sia pur limitate iniziative imprenditoriali (maglifici, pastificio, fonderia, ecc.), un risveglio non comune. Nel 1948 viene ricostituita la banda musicale, avviati i lavori di sistemazione stradale e di rogge a soccorso dei disoccupati. Dal 1949 vengono avviati progetti di costruzione di case popolari (comunali, INA), di un acquedotto, dell'edificio scolastico (1951-1952), di fognature (1951), asfaltature (1953). Nel 1949 le vertenze e le agitazioni agrarie raggiungono il culmine con occupazioni di cascine e la tensione si allenterà a metà degli anni '50 con l'industrializzazione. Specie negli anni '60 si verifica il rilancio di opere pubbliche: si completa il nuovo edificio scolastico (1965) vengono costruite nuove case popolari (Gescal), nascono la Cooperativa Rurale, la Cooperativa Buozzi, la Cooperativa Mazzolari ecc., l'Asilo Nido (1974), la Biblioteca Civica (1976). Nel 1987 viene ristrutturata l'ex Casa Widmer destinata ad ospitare associazioni e gruppi. Nel 1991 vengono progettati spazi per l'artigianato e la tangenziale a NE del paese. Nel 1994 viene avviata la costruzione di un nuovo ponte sul fiume Oglio inaugurato il 22 settembre 1977 e, al contempo, si procede a miglioramenti della viabilità e sulla Savarona. Sorgono nuovi alloggi popolari, mentre l'amministrazione comunale passata nel novembre 1994 alla Lega Lombarda realizza una piscina pubblica, un campo tennis, un centro anziani ubicato nel complesso delle scuole elementari nel quale viene sistemata la scuola materna. Il 5 giugno 1995 viene inaugurato il Centro anziani dell'associazione sorta nel 1987 e dal 1989 denominata "A.Pe.". Per decenni si è andato ampliando sempre più il settore assistenziale: nel 1961 nasce l'AVIS, nel 1975 l'AIDO, nel 1977 i Volontari della Sofferenza, nasce l'Associazione italiana sclerosi multipla (AISM) che promuoverà nel 1992 un servizio di autoambulanza. Servizi socio-assistenziali e scolastici vengono avviati nel 1989. Nel 1991 viene costituita una Cooperativa accoglienza migranti e viene realizzata, grazie a Cuore Amico, una casa per immigrati; nel 1992 viene avviata l'assistenza ai tossicodipendenti e il gruppo "Il Cerchio" (1995) per l'incremento del volontariato. Una storia a sè merita la Casa di riposo "Villa Giulio Padovani" realizzata nel 1972 in via Suor Laura Aceti sotto la presidenza di Mario Fappani, in sostituzione dell'Ospedale Civile locale. Ampliata e ristrutturata nel 1993 sotto la presidenza di Annalisa Sbaraini Masseroni per ospitare "non autosufficienti totali", sotto la presidenza di Rachele Gozzetti Bontempi si è arricchita di palestra, servizi di fisioterapia, due "posti di sollievo" di ricovero temporaneo per cure assistenziali, ecc.; e sta attrezzando un "Centro diurno per anziani". Iniziative culturali e del tempo libero vedono la ricostituzione nel 1969 ad iniziativa di Eugenio Cruber del Corpo bandistico locale e la formazione del gruppo delle majorettes; Angelo Guarneri promuove nel 1977 la Filodrammatica Quinzanese.


Nel 1975 nasce il Gruppo Archeologico Quinzanese, diventato poi nel 1978 Gruppo Archeologico Fiume Oglio (G.A.F.O.) e poi, ancora, un Gruppo Folcloristico (1975). Oltre al bollettino parrocchiale che assume diverse testate non mancano tentativi nel settore della stampa periodica con "Quinzano parla" (1945), "L'Araldo di Quinzano", "Partecipazione democratica della sezione PCI" (1976); "Noi e Quinzano" della sezione PSI (1986). Per il Natale 1992 l'Associazione "Quinzano Promuove" pubblica "L'Araldo Nuovo di Quinzano" stampato dalla Tipografia F.C. di Quinzano. Fra le attività culturali gli ultimi anni hanno registrato, per iniziativa del prof. Pietro Portesani, la fondazione del Club Effe per la promozione della lingua e cultura, francese, la nascita di una scuola di recitazione del Circolo Olivelli (1991), di "Quinzano Arte" (1992), l'ampliamento della Biblioteca Comunale, la nascita dei "Quaderni del Castello".


Nella difesa dell'ambiente si distinguono la sezione WWF, il gruppo scout, mentre dibattuti ancora sono l'istituzione del Parco dell'Oglio e del Parco della Savarona. Nascono nuove associazioni d'arma come quella dei fanti del 7° (1949), il Gruppo Reduci d'Africa (1955), il gruppo alpini (1957). Il paese si arricchisce nel settembre 1988 su iniziativa dei Bersaglieri di un monumento a Lamarmora, nel settembre del 1996 di un monumento (un velivolo T6) a cura della sezione dell'Arma Aeronautica intitolato ad Angelo Bertoletti. Dagli anni '50 si moltiplicano i gruppi sportivi fra i quali la Società di pesca sportiva "La Savarona" (1955), l'Unione Sportiva Quinzano (1961), i Club Calcistici Milan, Inter e Brescia (1964-1965), l'ENAL Caccia (1970), l'U.S. Calcio Quinzano (1971), il I Trofeo Comune di Quinzano (1971), la squadra Pallavolo femminile (19731974), il Club Karatè (1974), lo Skating Club Stella Azzurra (1975), il Moto-club (1977), il Gruppo Ciclistico Quinzanese Edil Franco (1981), lo Sci Club (1985). Segnano tappe importanti la costruzione del Palazzetto dello Sport e della palestra scolastica (1984). L'attività sportiva ha visto la squadra di calcio affermarsi nel campionato Promozione, conquistando nel giugno 1992 la Coppa Italia dei dilettanti e la nascita del Tennis Club e degli "Amici della montagna".


PALAZZI:


CONFORTI. Di una certa dignità era il cinquecentesco palazzo Conforti di via Padovani che fu poi dei Padovani ed infine trasformato in ospedale e ricovero. Di esso non resta, come sottolinea Fausto Lechi che il notevole, ampio portale con arco a tutto sesto dai capitelli jonico-rinascimentali sui pilastri. Oggi ospita l'Oratorio parrocchiale. VALOTTI. Di struttura secentesca (si scorgeva un tempo la data 1617), riveduta nel tardo sec. XVIII al quale secolo vanno ascritti anche i due portali sotto portico, a bugne schiacciate, e lo scaloncino con ringhiera in ferro battuto. «Il portale settecentesco, scrive Fausto Lechi, come il portico, ricordano da vicino quelli di casa Massetti, ma in tono minore: forse una imitazione coeva. Il primo è a numerose bugne alternate a riquadri, il secondo, dopo il solito androne a costoloni, è a tre campate con due colonne e due lesene toscane e volta a vela. Moderna è invece la facciata elaborata dal Vantini attorno al 1840, se non può dirsi di proporzioni eccellenti (evidentemente condizionata dal fabbricato esistente) è per contro notevole per la finezza dei particolari. Un alto zoccolo a bugnato schiacciato racchiude il portone settecentesco ed è forato da quattro finestre ritagliate, semplicissime. Sopra di esse, riquadri a sfondato con ghirlande a stucco. Il primo piano ha nove finestre sormontate da lunette entro le quali, sempre a stucco, sono i medaglioni che ritraggono, di profilo, personaggi di casa Valotti: Giovita, Diogene, Antonio, ecc. Tutte le decorazioni pittoriche sono databili attorno al 1890, e cioè all'epoca del matrimonio del conte Antonio Valotti con la nob. Vittoria Rosmini».


VERTUA poi MASSETTI. Fausto Lechi la ritiene «nel suo complesso la casa più importante del paese» per la facciata ben distesa che presenta un bel portale in pietra sagomata e sopra di esso un balcone in ferro battuto nove finestre guardano la piazza e cinque (ed altro portale) la via Almaria, l'atrio d'ingresso di quattro colonne che formano come l'invito al portico di cinque campate alte e ariose, con colonne toscane che reggono volte a vela scandite da archi trasversi; su di esso si affacciano porte con contorni di marmo soprastate da timpani triangolari. Tutto qui, dal disegno un po' accademico della facciata, al portale, al portico fa pensare che questo palazzetto sia opera dell'abate Gaspare Turbini, attorno al 1780. A pian terreno si aprono sale con decorazione neo-classica con lesene ioniche, festoni, fiori, belle inquadrature ma soprattutto molto buoni i paesaggi del soffitto a volta e i pannelli con fondo azzurro carico e trofei o vasi in bianco chiaroscuro e in una sala più piccola figurine danzanti e effigi dei quattro grandi poeti italiani: Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso, in medaglioni sorretti da dee alate. Come si legge su una parete la decorazione è opera di un buon decoratore quinzanese «Franc(esco) David pinx(it), 29 aprile 1797». Uno scalone porta al piano superiore dove si aprono una vasta galleria e stanze molto ampie decorate anche con scene mitologiche (Amore e Psiche) e piccoli medaglioni con divinità.


PERONI ora CIOCCA. Eretto, probabilmente nel '700 avanzato, dai nob. Peroni (poi dal 1860 ai Briggia e infine ai Ciocca) conserva un portico a otto colonne toscane e due lesene che si compongono qui, come rileva Fausto Lechi, con un ritmo assai felice (tre arcate centrali, due arcate doppiamente trabeate ai lati). Il portico e lo scaloncino sono arricchiti da bellissime opere in ferro battuto: cancellate, ringhiere, lavoro dei nostri migliori artigiani della fine del Settecento. Il Lechi ha pensato ad un intervento di Gaspare Turbini. La facciata attuale è invece di Rodolfo Vantini con progetto risalente al 1824. L'architetto vi ha realizzato, a quanto scrive ancora il Lechi: «Il solito, altissimo portale ancora neo classico, che regge un balcone ed è incastonato in una semplice zoccolatura nella quale trovano posto, come ritagliate, le finestre del piano terreno e dell'ammezzato, divise da piccole lunette. Sopra, le finestre del piano nobile con cornice sorretta da due mensole a foglia, e quelle del secondo piano».


ECONOMIA. Il fondo del terreno è prevalentemente argilloso e a tratti specie a NE sabbioso e ghiaioso mentre verso l'Oglio prevalse per secoli la palude. Discreto centro agricolo fino dai tempi di Roma, venne continuamente migliorato dalla presenza di monasteri e particolarmente dalla riforma cluniacense e dal formarsi fin dai sec. XI-XII di una nuova e più attiva classe imprenditoriale. La fertilità del suolo si andò avvantaggiando per la regimazione e la regolazione del fiume Savarona e per l'apporto idrico di rogge. Il territorio venne in seguito avvantaggiato dal colatore Savarona che dal territorio di Orzinuovi raggiunge Quinzano le cui acque imbrigliate da rilevanti manufatti quali il "Chiavicone" e la "Vincellata" (l'Ensalada), furono derivate a profitto dei terreni laterali. Dal laghetto di Scarpizzolo venne derivata la roggia "Quinzana" . Nel sec. XVI vi venne deviata la roggia "Battista". Di rilievo la fluitazione sull'Oglio di legname e il trasporto di materiali vari dei quali si trova traccia negli Statuti di Brescia. Favorita da abbondanza di acque, Quinzano fu da sempre un centro agricolo di rilievo, produttore di cereali, lino, e un tempo anche vite e altre colture. Nel 1809 la situazione dell'agricoltura non è dissimile da quella del quattrocento: il territorio è frazionato in tanti piccoli appezzamenti varianti da uno a due piò... mentre grosse proprietà appartengono ai Martinengo, ai Trappa, ai Valotti, ai Nember, ai Pavia, ai Vertua e ai Peroni. Nel 1825 si producono 3876 quintali di frumento, 24500 quintali di grano saraceno e vengono prodotti 1128 quintali di vino e 650 di bozzoli. A questa notevole produzione vengono affiancate piccole filande che nel 1849 salgono a dieci alle quali nel 1850 è già affiancata la più grande filanda Mambroni, ancora in vita negli anni '30 del sec. XX. Ad incrementare la bachicoltura nel 1858 vengono importate 60 once di bachi da seta direttamente dall'Asia. Fra i più attivi bachicultori è Emanuele Cirimbelli ottimo riproduttore di semi da baco. In sviluppo dal sec. XVI la coltura del lino tanto da far assegnare da Ottavi Rossi nel 1616 anche a Quinzano i terreni più appropriati e più produttivi di tale coltura. Nel 1701, 1705, 1730 si moltiplicano sul lino prodotto le gabelle. Verso la metà dell'800 avanza l'azienda capitalista con l'affermazione della media azienda agricola, con la diffusione del salariato e del bracciantato.


Lo sviluppo dell'irrigazione porta a continui miglioramenti della produzione agricola per cui già nel 1851 si contano ben 611 buoi da lavoro. Tale sviluppo porta nel 1890 alla nascita del caseificio Tosoni al quale si aggiunge quello di Paolo Fappani. Più razionali sistemi di agricoltura vennero introdotti specie a partire dai primi anni del 1900. Nel giro di pochi decenni grazie a Tosoni, ai Massetti, ai Gandaglia l'agricoltura quinzanese è negli anni '30 del sec. XX all'avanguardia nella "battaglia del grano". Nuovi incrementi grazie al Paderno, al Dalla Rosa, a Giuseppe Gandaglia si verificheranno nel secondo dopoguerra. Un'azienda quinzanese nel 1953 ottiene con 130 quintali per ettaro la più alta produzione italiana di granoturco. Nel 1946 compare al Mezzullo per merito di Soldi, e poi alla cascina S. Ambrogio la coltivazione del tabacco che continua con la Manifattura Scanzi, con la A.R.I.C.T. fondata da Magri, Gatti, Grassi nel 1948 e che chiuderà nel 1963. Paralleli all'attività agricola sono l'avicola Bontempi, il salumificio Cremini, l'azienda agrituristica di Dosso S. Andrea dei Lamagni. A cavallo dei sec. XIX-XX erano attive a Quinzano due segherie: la Stefano Boccasavia e C. e quella di Luigi Gandini. Quest'ultima era in grado di dare lavoro a 50 operai con la lavorazione di 40 mila quintali di pioppo l'anno, esportando paglia di legno per imballaggio e parti di cassette per il trasporto d'uve. Nel 1876 nasceva l'impresa edile Fratelli Calzoni che fu protagonista di numerose costruzioni. Nel 1903 Oreste Scanzi e alcuni soci aprono una fornace di laterizi presso il Mezzullo fornendo lavoro per alcuni decenni a numerosi quinzanesi. Purtroppo anche questo stabilimento dovette chiudere dopo il tentativo di una nuova società denominata Sca.Ro. (Scanzi e Rota). Natale Dasseni e altri prosperano, si può dire a livello artigianale, nelle loro piccole filande. Sempre all'inizio del secolo si dà vita ad un nuovo stabilimento sulla via per Cremona in cui si fa "Tessitura coperte Jacquard". Iniziatori furono Cesare Scanzi, Vittorio e Giuseppe Sora, Giacomo Calzoni che ne affidarono la direzione al milanese Augusto Cima nel 1906. Due anni dopo però si dichiarava il fallimento. Tuttavia nel 1912 un altro milanese, Luigi Ciocca, rilevato lo stabile, vi portava una nuova attività che divenne subito fiorente. Negli anni '30 esisteva una sola filanda, quella di A. Mambroni, due caseifici (Paolo Tosoni, Paolo Fappani) una fornace ("Cesare Scanzi e figlio" una segheria (Gabriele Blesio), un mulino. Nel 1904 la Società Tessitura Meccanica fondava uno stabilimento provvisto di 24 telai Jacquard per la produzione di coperte bianche e colorate smerciate nel milanese e nel bergamasco. Mentre la spina dorsale della produzione non agricola continua a fondarsi, nel I dopoguerra, sul Calzificio Ciocca, sulla Filanda e sulla Fornace (chiuse nel 1955-1956), fanno, inoltre, la loro comparsa attività artigianali e industriali con il Maglificio Audax (1944-1945) poi Valdoglio, le Officine Riunite Elettriche Meccaniche (OREM) (1945), il pastificio SIMPO (1946), il Maglificio "Gianna" di Nave e Adiansi (1947), la Manifattura Italiana Valigie e Affini (M.I.V.A.) dei fratelli Dal Porto, Nuova SIMPO (1962) la ditta Prandini (1965) con la IMAF (Industria Maglieria Adiansi Fratelli Mario e Elio), la Fonderia Fratelli Bonetti (1965), cui si aggiungono i calzifici Preti e Gazzetti ed una serie di altre attività artigianali. L'1 maggio 1964 veniva fondata la Metallurgica Fratelli Prandini (Domenico, Ernesto e Valentino) poi Prandini Fratelli s.p.a. per la produzione di manufatti per la casa e scuole (tavoli, sedie, scale, sdraio, ecc.), che nel 1974 occupava 110 dipendenti e 160 nel 1978. Il 9 settembre 1979 venne ricostituita in cooperativa denominata Nuova Metallurgia Prandini e nel maggio 1980 acquistata dalla Società Olandese Brabantia.


Il panorama industriale offre negli anni '90 il 78 per cento degli addetti all'industria, nella quale hanno rilievo oltre al Calzificio Milanese Luigi Ciocca s.p.a., il Calzificio Santagostino s.p.a., le Confezioni G.I. Emme-CI s.r.l., il Maglificio Project s.r.l., la Plastica Bertuzzi s.r.l., la Valfil s.r.l. (per la filatura - ritorcitura della lana e fibre), la Cesari s.r.l. (per la produzione di vini). Ed inoltre la Rivadossi Fratelli s.a.s. di Rivadossi Pierino e C. (fabbrica di casalinghi e posate), il Vivaio Quadrifoglio di Ennio Gazzoldi e l'azienda agrituristica Dosso S. Andrea. In sviluppo specie dal 1996 la Deteq (Diesel electrical test equipement) fondata da Roberto Gandini per la produzione di misuratori di consumo, limitatori di velocità, e computer di bordo per autocarri. Ancora nel 1997 lo stabilimento Ciocca costituisce la principale impresa nel comparto della produzione del calzino. Nell'aprile 1996 era con il 61,2 per cento, fra i 187 distretti al massimo di concentrazione e di assorbimento dell'offerta di lavoro. Attivo il mercato di merci varie del mercoledì. Nel campo creditizio oltre alla Cassa rurale del 1896, nel 1927 veniva aperta una succursale del Credito Commerciale cui si aggiungeva il Credito Agrario Bresciano. Ad essi nel dicembre 1993 si affiancava un'agenzia della Cassa Rurale ed Artigiana di Borgo S. Giacomo.


ECCLESIASTICAMENTE. Fu tra le più antiche pievi bresciane da qualcuno considerata maggiore rispetto ad altre, come quella vicina di Oriano. Viene fatta risalire ai sec. V - VI e, come quasi tutte le altre, dedicata, secondo P. Guerrini, all'Assunta e più tardi alla Natività di Maria. La scoperta della vasca battesimale ha fatto scrivere a Sandro Guerini che la pieve di Quinzano è certo una delle più antiche della diocesi (è cioè di quelle sorte subito dopo la cattedrale, e quindi ancora tra il IV e il V secolo) poiché il centro era un importante avamposto sul fiume e un nodo fondamentale sulla via per Cremona; i recenti ritrovamenti non fanno che confermare l'antichità della fede dì questa terra e la continuità della presenza del cimitero attorno alla pieve ed al battistero è un altro suggestivo aggancio alle tradizioni culturali dei padri. Verso l'anno mille fu probabilmente sotto l'"avocazia" o protezione della famiglia Martinengo, come sembra confermare un diploma del 1158. È opinione di Sandro Guerini che, sviluppandosi, la pieve di Quinzano abbia abbracciato il territorio di Villachiara, Villagana, Verolavecchia, Verolanuova, Gabiano (Borgo S. Giacomo), Acqualunga, Motella, Monticelli d'Oglio; sempre secondo Sandro Guerini pare che la pieve di Quinzano sia stata, forse, anche la matrice della pieve di Bigolio, Milzano e Oriano. Nell'ospizio di S. Faustino il cui reddito venne assegnato nel 1564 al Seminario di Brescia con tutta probabilità dal sec. VIII-IX con la crescente presenza del vescovo di Brescia come feudatario e poi dal sec. XII del Comune di Brescia si affermò il culto dei Santi patroni di Brescia Faustino e Giovita. Ai santi venne dedicata una cappella nel castello che poi, nei trambusti di continue guerre, diventerà per maggior sicurezza la parrocchiale. Il primo arciprete di Quinzano di cui si conserva memoria è tale Alberto, il cui nome ricorre nel 1278 «senza - sottolinea il Pizzoni - sapersi altro di lui» se non che fu presente alle lotte delle fazioni Guelfa e Ghibellina e alla distruzione del Castello da parte di Umberto Pallavicino. Nel 1320 la pieve di Quinzano corrispondeva al vescovo di Brescia sei soldi imperiali "pro decima novalium". Sempre nel sec. XIV il "Monasterium de Quinzano" doveva al Vescovo due soldi imperiali per la chiesa di S. Andrea di Villagana e anche due soldi imperiali per la cappella di S. Giorgio a Cologne. E ancora esiste l'hospitale o l'ospizio di Giovanni. Dopo un vuoto di alcuni decenni, nel 1346 incontriamo come arciprete Crescimbeno De Gislis, cui secondo un manoscritto di Mons. Luigi Francesco Fè d'Ostiani, sarebbero succeduti un Tomaso de' Zucchellis di Sarnico (1374-1379), Ugolino di Pusterla (1387) della nobile famiglia bresciana, un fra Ziliano da Quinzano (1389) alla cui morte succedeva il bergamasco Antonio de Cabronis. Agli inizi del sec. XV è arciprete Bettino da Gussago ma la chiesa di S. Faustino è per circa un secolo in commenda della famiglia Durante (il vescovo Pietro, il vescovo Vincenzo, il can. Bartolomeo) che possedeva un palazzo in Quinzano. Grazie all'intervento del comune e specialmente dei Pavesi veniva ricostruita la chiesa di S. Faustino. Si andava intanto formando un rilevante beneficio plebanale di 303 piò (lire planet 322 in livello). Esisteva un Consorzio sacerdotale che nel 1473 venne unito al beneficio di S. Faustino. Nonostante i tempi turbinosi del sec. XV e più precisamente verso la metà del secolo, come attesta il Pizzoni, «la religione andava prosperamente». In effetti nel 1467 aveva luogo l'erezione della Compagnia della Croce, nel 1467 sorgeva il convento francescano degli zoccolanti di S. Maria, fondato dal b. Amedeo Menez de Silva, nel 1474 nasceva o veniva confermata la Confraternita dei Disciplini di S. Spirito. Nel 1474 - 1492 viene restaurata, ancora una volta, la Chiesa dei S.S. Faustino e Giovita, vengono costruite la Chiesa di S. Rocco nel Borgo di Mercato e l'Oratorio di S. Pietro alla Malgarossa e ciò soprattutto grazie all'intervento pubblico. Furono gli affittuali che con le loro garanzie personali riuscirono a far restituire il tutto all'arciprete. Agli inizi del sec. XVI sorgeva la chiesa di S. Giuseppe. A S. Rocco nel 1513 veniva istituita una compagnia del S.S. Sacramento. Tuttavia non mancarono quinzanesi coinvolti dalla diffusione della eresia, come i fratelli Eraclito e Gabriele Gandini e Stefanino Planerio che nel 1566 il doge Nicolò da Ponte si vantava di aver fatto bruciare per le "orrendissime bestemmie". In effetti gli arcipreti non brillavano per zelo nella cura d'anime. Parecchie volte lontano dalla parrocchia l'arciprete Foresti suscitò in paese una mezza rivoluzione... Secondo il Pizzoni il 5 settembre 1491 le autorità Comunali «fanno instanzia, et procurano che l'Arciprete sia più assiduo alla cura delle Anime overo mantenga duoi Curati Capellani desiderando, che perciò si dividesse il beneficio per più loro comodità e de Divini Offitij residendo in vece dell'Arciprete il Reverendo Agostino Gandino». Un certo disordine rimase lo stesso fino a richiamare il 2 ottobre 1501 sulla Chiesa dei S.S. Faustino e Giovita l'interdetto del Vescovo di Brescia per il fatto che vi si amministravano i sacramenti nonostante che non fosse consacrata. L'interdetto fu tolto il 2 febbraio 1502 con la consacrazione della Chiesa stessa. Senza avvenimenti degni di nota fu il parrocchiato di Sebastiano Boncompagni. Nel frattempo venivano poste le premesse di una ripresa di nuove grandi imprese nel campo dell'edilizia ecclesiastica. Nel 1518 si restaurava la Chiesa dei S.S. Faustino e Giovita nella quale nel 1529 veniva costruita la Cappella di S. Pietro Martire. Contemporaneamente «crescevano mirabilmente fabriche fuori del Castello». Anche la vita religiosa si sviluppava in consonanza, nonostante i tempi critici.


Il sec. XVI presenta arcipreti di prestigiosa personalità culturale, quali Stefano Bertazzoli (1538 - 1568) e Antonio Scaino (1568 - 1579), ambedue di Salò, e Mons. Vincenzo Manzini (1586 - 1617). Don Stefano Bertazzoli aveva avuto il beneficio per rinuncia del segretario e cappellano del Vescovo di Brescia Mons. Domenica Bollani, Angelo Ratto o Ratti da Verona che l'aveva tenuto soltanto un anno, nel 1564. Il Brunati lo dice convertito da S. Angela Merici e da S. Gerolamo Emiliani di cui fu amico e sostenitore, e fu uno degli esponenti più in vista del gruppo spirituale di Salò. Egli tuttavia non si curò di risiedere in parrocchia, se non per brevi periodi, durante uno dei quali fu visitato dal Cardinale Gonzaga. Sotto il suo parrocchiato, comunque furono compiuti restauri alla Chiesa della Pieve e alla Chiesa di S. Rocco. La visita del vescovo Bollani del 1565 registra una situazione religiosa discretamente buona. Cadente, la chiesa plebana di S. Maria è ormai soppiantata da quella dei S.S. Faustino e Giovita. Un solo sacerdote viene sospeso per scarsa cultura ecclesiastica, su un altro venivano registrate voci negative. Gli altri venivano ritenuti idonei. Non esistevano unioni irregolari, mentre gli inconfessi erano diciannove. Pingue la situazione economica della parrocchia con un beneficio plebanale di 250 piò circa e di soldi 24 e due chiericati (quello di S. Faustino di 130 piò circa e del valore di 1300 lire, e un altro del valore di 50 ducati). Il vescovo Bollani vi eresse uno di quei piccoli seminari interparrocchiali a cui S. Carlo B., secondo un suo biografo, l'Oltrocchi volle ispirarsi per la sua diocesi milanese. Il vescovo Bollani non nomina nemmeno il Bertazzoli negli atti della visita pastorale forse per riguardo alla sua tarda età. Ma poco tempo dopo ottiene la sua rinuncia alla parrocchia in favore di un altro salodiano, Antonio Scaino. Erudito, e inoltre originale autore di un trattato sul gioco della palla, appartenne come il Bertazzoli al gruppo spirituale di Salò prediletto da S. Carlo. Questi, visitando nel giugno 1580 la parrocchia prescrisse molti restauri e modificazioni alle due parrocchiali (la Pieve e S. Faustino), alla Chiesa di S. Giov. Battista (battistero), di S. Giuseppe e S. Rocco per la Disciplina, e di S. Maria delle Grazie dei Francescani, richiamando l'Arciprete D. Fabiano Gavazzoni, bergamasco, alla residenza, ed obbligando i due pensionarii D. Antonio Scaino e D. Paolo Corrario a pagare parte della pensione per le opere prescritte; quindi si rivolse con ogni cura ad estirpare con numerosi processi la dolorosa piaga del concubinato che a Quinzano presentava sette casi. La prima canonica che si conosca era situata dove ora sorgono le scuole medie. Venne edificata o ristrutturata su proprietà della famiglia Conti. Nel 1590 l'arciprete Vincenzo Manzini acquistò da certo Vincenzo Cavalli qd. Luigi l'attuale canonica che venne poi rifatta nel 1687 dall'arciprete Giovanni Capello. Una notevole ricostruzione l'edificio ha subito dal 1984 in poi.


Residente e attivo dopo quattro anni di parrocchia di don Cattaneo (1582 - 1586) è l'arciprete don Vincenzo Manzini (1586 - 1617), nominato dal vescovo Morosini nel 1587 vicario foraneo di Oriano, Gabbiano, Pedergnaga, Cadignano, Padernello, Acqualunga, Mottella e Farfengo. Oltre che l'erezione, nel 1597, della Compagnia dei Disciplini in S. Rocco, grazie all'impegno soprattutto del Comune furono compiute numerose opere come il ristabilimento della Pieve, la costruzione nel 1599 del Santuario della Madonna del Patrocinio, l'erezione nel 1602 della torre di S. Rocco, l'erezione nel 1604 della torre della attuale parrocchiale, la costruzione pure nel 1604 del lato occidentale del Cimitero. Significativa l'istituzione da parte del Consiglio Comunale il 29 dicembre 1689 della festa dell'Immacolata (8 dicembre).


Lo zelo pastorale degli arcipreti che si susseguono nei sec. XVII - XVIII è pari alla cura delle chiese della quale fanno testimonianza le numerose e preziose suppellettili che sono andate arricchendo il patrimonio parrocchiale e altre numerose opere. Una parola a sè merita don Giovanni Capello di Pontoglio, dottore di Teologia, che fu arciprete per 64 anni cioè dal 3 novembre 1658 alla morte avvenuta il 4 aprile 1722. Era stato prima, per due anni, curato di Travagliato. A lui si deve dal 20-29 aprile 1676 l'iniziativa delle famose missioni popolari predicate a Quinzano e nei dintorni dai due celebri gesuiti Paolo Segneri e Giampietro Pinamonti. Si deve a lui l'ampliamento dal 1669 al 1682 della parrocchiale. A don Zanetti si deve poi l'aver trasferito dalla sua precedente sede il titolo di prevosto che, con quelli di arciprete e di vicario foraneo, ha dato nuovo lustro alla parrocchia. Se la rivoluzione giacobina e l'età napoleonica portarono alla soppressione del convento francescano di S. Maria (1797) e di quello delle Dimesse (1812), non rallentarono tuttavia le opere, dovute soprattutto al prevosto don Andrea Zanetti. Prestigioso dal 1802 al 1815 fu il parrocchiato di don Stefano Gussago dotto e zelante sacerdote. La religiosità e l'attaccamento alle proprie chiese spinsero i Quinzanesi a dotarle di numerosi legati e ad erigere parecchie cappellanie ai diversi altari. Nel solo 1600 la Cappellania del SS. Sacramento venne beneficata con circa cinquanta testamenti. Nel 1807 le messe dovute a legati assommavano annualmente a 1655 nei giorni feriali e a 322 nei festivi per la parrocchia e 1860 feriali e 1112 festivi nelle chiese sussidiarie. Anche in tempi contrastati non vennero meno legati e cappellanie, dato che il 25 luglio 1807 si registravano annualmente 3515 messe feriali e 1434 festive. La visita pastorale del 1812 del vescovo Nava suscitò vivo entusiasmo. Il vescovo trovò ben poco da rilevare. A don Giuseppe Zanni da Brescia (1815 - 4 marzo 1828) e a don Giacomo Magrograssi da Bogliaco (15 giugno 1828 - 31 gennaio 1861), si deve un rinnovato sforzo dì ripresa della vita religiosa dopo gli anni turbinosi del governo giacobino. Figura pure eminente è quella di don Giacomo Marini da Carpenedolo (15 marzo 1861 - 11 maggio 1881). Era stato direttore e catechista delle Scuole elementari del suo paese natale e poi professore di matematica, di meccanica nel Seminario di Brescia e assieme Confessore del Monastero e del Collegio di educazione delle suore Salesiane. Divenuto prevosto di Quinzano lottò strenuamente contro il laicismo e l'anticlericalismo. I giornali liberali del tempo ce lo descrivono nelle fredde mattine d'inverno con la lanterna in mano aggirarsi per le vie del paese per sorvegliare i fedeli e specialmente le ragazze che frequentavano numerosissime gli Esercizi spirituali di categoria e le Missioni al popolo. Le carte della Questura d'altro canto, denunciano le apprensioni dei liberali di fronte al rigoglioso sviluppo degli Oratori maschile e femminile. È stato scritto di lui che «per le sue due principali doti, cioè carità e dottrina, si meritò la stima di tutti, e la sua morte fu universalmente deplorata e compianta». Tribolato ma ricco di apostolato fu il parrocchiato di don Adamo Cappelletti (3 settembre 1881 - 10 maggio 1905). Nato a Verolanuova il 13 agosto 1846 aveva frequentato il Collegio di Lovere entrando poi nel Seminario di Brescia, dove si distinse fra i migliori negli studi e per la pietà. Ordinato sacerdote nell'aprile 1868, fu per alcuni mesi curato a Dello passando poi nel 1869 parroco a Bargnano e nel 1877 arciprete e vicario foraneo di Corticelle Pieve. Il 13 Settembre 1881 veniva nominato prevosto a Quinzano d'Oglio. Qui trovava un ambiente politicamente acceso e molti problemi aperti specie sul piano economico e sociale. Zelante e intelligente egli cercò di potenziare la vita religiosa attraverso gli Oratori, le associazioni, le Missioni del 1886, i corsi di predicazione ma, al contempo, affrontò con coraggio la situazione sociale e politica fondando la Società Operaia Cattolica d Mutuo Soccorso, una specie di Consorzio agrario, una Cassa Rurale e le leghe del lavoro, facendosi promotore anche di un piccolo stabilimento tessile che prese il nome di «Tessitura coperte Jacquard». Al contempo favoriva l'inserimento dei cattolici nella vita pubblica lottando contro Io strapotere zanardelliano. Tali attività gli attirarono persecuzioni e calunnie. Nel 1898 la Società operaia cattolica fu soppressa e la bandiera sequestrata. Lo stesso don Cappelletti vittima di una calunnia fu imprigionato dal 20 agosto 1883 al 28 gennaio 1884 e soltanto più tardi, per confessione della stessa calunniatrice, completamente riabilitato. La sua azione tenace e intelligente valse a rafforzare a Quinzano fede e costumi, e a isolare e circoscrivere l'elemento anticlericale che andava prendendo sempre più piede. Se nel giugno 1892 la stessa amministrazione si era data da fare per la presenza delle Ancelle della Carità nell'ospedale locale, l'anno seguente il prevosto doveva protestare per la limitazione alla presenza di un sacerdote nell'ospedale stesso. La vita religiosa si arricchì nel 1898 della Confraternita del Preziosissimo sangue e nel 1904 di quella della B.V. del Carmine. Assai frequentata la dottrina cristiana tenuta per le donne nelle chiese di S. Rocco e di S. Giuseppe e per gli uomini nella parrocchiale. Rimase viva anche una tradizione francescana. Soppresso il convento nel 1810 la fratellanza di S. Francesco erettavi passò alla chiesa parrocchiale. Sebbene soppressi i Terziari francescani non vennero meno. Anzi nel 1883 essi erano ancora numerosi e nel 1887 salivano a 131 e il 20 novembre 1888 vennero riuniti in una regolare Congregazione. Essa ebbe forte impulso nel 1912 da p. Ireneo da Meda. Nel 1938 gli iscritti risultavano 64 dei quali due soli uomini.


Nel 1897 non mancarono momenti di tensione per il grave scorno subito dall'arciprete per aver accettato che il parroco della Mottella amministrasse il battesimo ad un bambino Vertua di Quinzano, padrino l'on. Zanardelli. Nonostante l'insorgere di un attivo anticlericalismo liberale e poi socialista, rimasero vive fino a pochi decenni fa sentite tradizioni popolari. Processioni frequentate e luminarie in circostanze particolari anche in singole contrade (Madonna del Patrocini in vicolo della Pieve, Stimmate di S. Francesco alla cascina Convento, S. Gaetano da Thiene in Campana Vecchia, l'Assunta al Torricello). Numerosi ancora i legati non solo nella parrocchiale ma anche in S. Giuseppe e in S. Rocco. Caratteristiche, oltre a quelle del Corpus Domini, le processioni di S. Urbano e di S. Gottardo, partenti l'una dalla chiesa di S. Giuseppe, l'altra da quella di S. Rocco e confluenti nella parrocchiale. Un segno dello zelo di don Cappelletti furono le numerose vocazioni che si svilupparono sotto la direzione spirituale e il rafforzarsi, d'altro canto, del movimento cattolico. La sua opera fu continuata validamente da mons. Giulio Donati (25 marzo 1905 - 10 luglio 1947). Nato a Ospitaletto nel 1867, fu educato dal rigido mons. Rizzi. Alunno di mons. Pietro Capretti, ordinato sacerdote il 10 novembre 1889 fu per quattro anni curato a Pontoglio e, a soli 26 anni, parroco a Tavernole sul Mella dove si distinse subito per lo zelo sacerdotale e per la capacità realizzatrice. A lui si deve la fondazione della Banca S. Filastrio e la costruzione della nuova parrocchiale del paese valtrumplino. Promosso prevosto di Quinzano, egli raccolse e potenziò l'eredità spirituale e pastorale di don Cappelletti. Pietà e predicazione furono i caposaldi della sua azione sacerdotale mentre fu instancabile nel promuovere le associazioni e le istituzioni sociali e di apostolato. A lui si deve un nuovo oratorio maschile, i restauri della Parrocchiale, del Santuario della Madonna della Pieve e dell'abside di S. Rocco. Fu custode rigido dei costumi, infaticabile all'altare, nel confessionale, sul pulpito, lasciando il ricordo in tutti del suo zelo e della sua integrità di costumi. Pio, diligente e attivo don Giulio Donati (1905-1947) ravviva la vita religiosa, cura gli edifici sacri, svolge intensa attività culturale e sociale. Apre gli oratori: femminile (1906) affidato nel 1910 alle suore Ancelle, e maschile (1907) e promuove l'Unione Cattolica del lavoro. Fonda la Società di Temperanza (antialcoolica) e si batte strenuamente contro la bestemmia. Fonda la Pia Unione delle Madri Cristiane. Nell'ottobre 1924 inaugura un nuovo oratorio maschile. Fonda una nuova biblioteca cattolica, una corale e nel 1926 il bollettino parrocchiale "La famiglia parrocchiale" al quale seguiranno "La Fiamma" e "Il Buon Pastore". Dopo la corale nascono una filodrammatica, un circolo della Gioventù Cattolica Italia, il Gruppo Donne (1927) e uomini di Azione Cattolica (1930). Promuove un particolare culto della B. Stefana Quinzani, ottenendo una insigne reliquia, le erige un altare in S. Rocco, promuove feste nel Centenario della morte. L'1 gennaio 1905 veniva eretta all'altare della Madonna del Carmine la Ven. Confraternita della B.V. del Carmine. Continuerà fino al II dopoguerra la Confraternita del S.S. Sacramento con sede nella Disciplina. Nel 1963 il bollettino parrocchiale "Il Buon Pastore" si trasformerà ne "II Segno" e finalmente nel 1971 in "La Pieve" che vive tuttora. Intensa l'organizzazione del movimento cattolico nelle più diverse espressioni specie dell'Azione Cattolica, della Società di M.S. ed altre rilevanti proposte da varie parti. Oltre a restauri e abbellimenti di chiese nel 1929-1930 don Giulio Donati promosse la completa decorazione della chiesa parrocchiale. Sotto il parrocchiato di mons. Ruggeri (1947-1972) vengono fuse nuove campane (1949), viene incoronata la Madonna della Pieve (21 novembre 1954) il cui affresco viene restaurato ed esce come già s'è detto il bollettino parrocchiale "La Pieve" (1972). Attivo è il parrocchiato di don Franco Bertoni (1972-1984). Oltre a vari restauri viene costruito il nuovo grandioso oratorio (inaugurato il 13 ottobre 1974), restaurata la facciata della parrocchiale (1974), riorganizzata la biblioteca parrocchiale (1976), restaurato il Santuario della Madonna del Patrocinio (1976), il campanile della Pieve (1980), e di tutta la chiesa plebanale (1981), il complesso del cimitero (1983), l'installazione della Radio Pieve (1982) e restaurate alcune santelle. Purtroppo nel 1994 viene abbattuta l'antica chiesa di Montecchio. Il suo successore don Bruno Messali (dal 1984) restaura la canonica (1984), l'organo (1985), il campanile (1985) e poi la chiesa di S. Rocco (1985), la chiesa di S. Giuseppe (1997). Particolarmente attivi negli anni '80, il gruppo dei volontari e quello della sofferenza, con sostegni alle cooperative e ad altre iniziative. Vivaci espressioni di contestazione espresse con ciclostilati si verificarono nel 1970-1971. È del 1973 sotto il parrocchiato di don Franco Bertoni la costruzione del nuovo oratorio e del grande palazzetto dello Sport secondo un progetto preparato fin dal 1969 ed inaugurato il 13 ottobre 1976 da mons. Ruggeri. Vengono riparati i tetti della chiesa, restaurati e poi eseguiti numerosi restauri alle chiese e agli affreschi e alle pale degli altari. Nel 1982 viene installata Radio Pieve, nel 1983 viene ritrovato l'antico fonte battesimale della Pieve. Nel giugno 1996 la parrocchia salutava le ultime suore ancelle presenti in loco.




NATIVITA' di M. V., CHIESA PLEBANALE (La PIEVE). È fra le più antiche chiese della Bassa pianura bresciana. Ad essa doveva appartenere un frammento di pietra bianca con un ramo da cui si dipartono caulicoli esterni, murato sulla parete terminale della navata a sinistra dell'abside dell'attuale pieve. L'abside del resto, come esiste attualmente, viene fatta risalire alla fine del sec. XII assieme a parte della parete orientale della chiesa. Il rinvenimento del basamento della vasca battesimale nell'attigua cappella ottagonale dedicata a S. Giovanni B. (oggi sagrestia) ha suggerito a Sandro Guerini di spostare dal sec. XII verso i sec. X - XI l'abside stessa della chiesa «sia per la tipologia bizantineggiante e con elementi anche carolingi degli affreschi interni (purtroppo molto deperiti e difficilmente leggibili), sia per il particolare tipo di decorazione ad archetti passanti sull'esterno, che si avvicina a quella molto antica del battistero di Biella». Come ha scritto Gaetano Panazza tale "abside semicircolare è di un bellissimo cotto rosso porpora. Per renderlo più brillante i mattoni erano colorati di rosso, come si può vedere ancora in alcuni dei conci più larghi posti ad intervalli e piuttosto lunghi disposti a corsi perfettamente orizzontali, intercalati da alto strato di calce. Inoltre i mattoni presentano la solita martellinatura che va da sinistra a destra. Dolcissimo è l'incurvarsi dell'abside che si innesta al muro terminale della Chiesa in modo da rammentare un poco quello mirabile dell'abside centrale del Duomo di Cremona [...]. Ma quello che maggiormente interessa quest'abside è il partito dei fornici alti e stretti e divisi da esili pilastrini; partito che rammenta quello tanto più sviluppato e raffinato delle chiese cremonesi della fine del sec. XII quali S. Lorenzo e S. Michele; influenzato forse dal ricordo dei barbacani nelle torri dei Castelli. Nello scomparto centrale (forse soltanto in questo anche in origine) si apre l'altissima monofora centrale (affiancata da due laterali) con doppia strombatura liscia; anche la monofora nelle proporzioni, nella lenta inclinazione della strombatura, nel garbo della parte arcuata dove i mattoni si dispongono a ventaglio e il profilo esterno assume una leggerissima forma acuta, rammenta finestre di costruzioni cremonesi e ci serve a dare una datazione approssimativa a questo frammento della Chiesa romanica». Le due monofore laterali poi sono state ampliate con quella centrale nella forma più prossima a quella originaria. La chiesa, secondo l'opinione di alcuni, dovette avere con tutta probabilità tre navate come sembrano confermare basamenti di pilastri ritrovati nel 1982. Nel sec. XIV la chiesa venne allungata. Un nuovo prolungamento ebbe luogo nel sec. XV. Il Pizzoni colloca nel 1560 la costruzione di un "monumento" o sepolcreto dei sacerdoti promosso o solo fatto restaurare dal curato G.P. Baselli. Nel 1565 il vescovo Bollani in visita pastorale trovò la chiesa "inabitabile ed incomoda" del tutto bisognosa di riparazione e abbandonata in un cimitero per di più aperto agli animali. Di ciò parlò agli "homines" della comunità e tali furono le pressioni che due anni dopo si pose mano a restaurarla. Al 1567 soltanto, infatti, dovrebbe riferirsi la iscrizione su mattone infissa nella parete sud sulla quale si legge: PRINCIPIV / REHEDIFICATIO / ECCLESIE SVB / REVE° DN PRE / STEFA° DEBER TALOS D. SALO / MENS AUGUSTI / MDC7. "Sia riedificata del tutto con gli altari e gli ornamenti" ordinava mons. Pilati nel 1572. Ma nel 1580 nella sua visita apostolica S. Carlo B. la trovava ancora "piccola ed incomoda con un altare". Probabilmente per spronare i fedeli a restaurare la chiesa veniva nel 1589 concessa un'indulgenza di 10 anni, il giorno della Natività. Nel 1594 il prevosto Manzini adempiendo ad un legato del suo antecessore fece restaurare il muro della chiesa. La riedificazione dei sec. XVI - XVII ha conservato parte dei muri e affreschi della chiesa precedente specie a O e S mentre venne completamente ricostruita la parete N. Restauri vennero ordinati da S. Carlo Borromeo, altri vennero ordinati nel 1594 dal card. Morosini. La chiesa venne restaurata (dalla ditta Daniele Pizzamiglio per le strutture edili e dall'ENAIP di Botticino per le tele) dall'agosto 1980 al settembre 1982. Nel febbraio 1986 vennero rubati due ovali (cm 30 x 40) raffiguranti Gianfrancesco Conti detto lo Stoa e Giovanni Planerio e una statuetta della Madonna situata sull'altare dell'Angelo Custode e S. Antonio di Padova. Entrando sulla controfacciata si trovavano ancora affreschi votivi quattrocenteschi ed il segno di un contrafforte all'antico campanile incorporato nella chiesa. Sul lato sinistro della porta principale è dipinta una Madonna tra due santi (forse i Ss. Faustino e Giovita) con lacerti di una lunga iscrizione gotica sotto i suoi piedi che secondo l'opinione di Tommaso Casanova potrebbe appartenere, insieme a S. Giorgio e il drago che la affianca sulla parete meridionale, al sepolcro di lanes Fregoso capitano veneto che avrebbe abitato e sarebbe morto a Quinzano. Sulla parete meridionale si incontrano subito a destra affreschi votivi di S. Rocco, di un Santo Evangelista. Datato 17 novembre 1558 un affresco raffigurante un devoto inginocchiato ecc., con la parete originaria a forma di L di costruzione quattrocentesca, innestata poi nella nuova muratura della parete sud nella riedificazione dei sec. XVI-XVII. Sempre a sinistra un quadro a olio su tela raffigurante i S.S. Diego d'Alcalà e Giacomo della Marca già nel convento di S. Maria delle Grazie. Già attribuito a Gerolamo Rossi è invece opera di uno sconosciuto pittore di Pontevico come suggerisce la firma: "F. Antonius Ricca / e Pontevico / propria industria / 1689". Il primo altare è dedicato all'Angelo custode raccolto in una ancona forse del Bianchi di Pralboino (sec. XVII) e a S. Antonio da P. ai piedi di Gesù bambino. Sull'altare che segue, una tela rappresenta la Madonna celebrata dai profeti o l'Albero di Jesse già attribuito a Camillo Rama (la firma Camillus Peregi venne interpretata come "Io Camillo feci") ma che Tommaso Casanova ha ristabilito come opera di Camillo Pellegrini, vicario a Quinzano e dilettante pittore come dimostrano altre sue opere a lui attribuite a Quinzano, a Pralboino ecc. La tela, secondo Tommaso Casanova, potrebbe essere stata la tela dell'Immacolata concezione del convento di S. Maria. L'abside è dominata dal solenne Pantocrator del sec. XI-XII riapparso nei restauri del 1982. Scendendo nella prima campata l'Annunciazione di Piergiacomo Barucco (1582 c. - 1630) firma "A... Barugus Facie. 1609") forse già nella cappella dell'Immacolata di S. Maria delle Grazie del convento francescano. Scendendo sul lato sinistro è stato posto il grande quadro dell'Annunciazione. Come ultimo altare è stato collocato quello che fino ai restauri del 1982 era l'altare maggiore con la pala della Natività della B.V. opera anch'essa di Camillo Pellegrino forse in collaborazione con L. Mombelli. Accanto alla chiesa a Settentrione sorgeva l'antico battistero del quale è stata trovata parte della vasca ricavata in un grande blocco di Botticino delle dimensioni di cm 137 x 124 e dello spessore di circa 66.5. Come ha scritto Sandro Guerini «la grossa pietra approssimativamente parallelepipeda, prima di essere impiegata per il battistero, faceva parte della trabeazione di un monumentale edificio romano, poichè sul fronte orientale più lungo, sotto il piano dell'antico pavimento, presenta una lavorazione semplicissima, ma grandiosa, con fregio liscio, abaco, gola rovescia e coronamento. La faccia superiore - quella appunto che era a livello del pavimento - sui bordi è molto levigata e consumata dai passi di coloro che a lungo l'usarono; da ciò si arguisce appunto che tale faccia fosse a livello del vecchio pavimento o forse un poco, ma non troppo, rialzata, a mo' di gradino. Negli scavi sono anche emerse tracce della vecchia pavimentazione, realizzata con grossi ciottoli di fiume. Al centro del blocco è scavato con notevole precisione uno spazio cilindrico, a forma di catino, del diametro di cm. 55,5 e della profondità di cm. 38; sul fondo, un altro cavo cilindrico più piccolo, del diametro di cm. 9 e della profondità di cm. 28,5, attraversa tutta la pietra e forma lo scarico. Sulla faccia superiore della pietra si scorge la traccia di un altro blocco completamente cilindrico sia all'esterno che all'interno, che costituiva la vasca battesimale, mentre il masso che c'è rimasto formava il basamento. Questa pietra (che per ora non è stata rintracciata) aveva lo spessore di cm. 34, un diametro interno (quello corrispondente al fondo) di cm. 55,5 ed uno esterno di cm. 123,5; ignota ci è l'altezza, che però doveva oscillare intorno al metro. I due elementi erano saldati al piede con un intonaco finissimo, formato da calce e polvere di mattone ben macinata. La grossa vasca era infine affiancata da quattro colonnine che sostenevano un tetto, formando una specie di ciborio; la traccia dei quattro basamenti, grosso modo quadrati (cm. 19 x 19), ma con un leggero smusso in corrispondenza del punto di tangenza con la vasca, è pure conservata nella pietra di fondo, dove si possono vedere anche le tracce delle quattro spine di piombo (cm. 6 x 6 h. cm. 7) che fissavano le colonne al piede. La tipologia del fonte battesimale che possiamo così ricostruire, è unica nel Bresciano e il manufatto si può datare al X-XI secolo per la presenza del piccolo tempietto superiore a quattro colonnine che si avvicina ai cibori degli altari romanici. Purtroppo, la mancanza di un minimo frammento della decorazione e delle colonne (qualcosa forse emergerebbe se si sollevasse l'intero pavimento) ci impedisce per ora una datazione precisa. Ci troviamo comunque di fronte al più antico fonte di tutto il bresciano». Il Pizzoni ricorda una lapide posta nel 1540 nella "antichissima capeletta" di S. Giovanni Battista in memoria di Antonio Pavesi. La chiesa ha servito in seguito e serve ancora oggi come sacrestia della chiesa della "pieve" e del Santuario della Madonna del Patrocinio. La cappella di forma ottagonale ora divenuta sagrestia, venne poi dedicata a S. Giovanni Battista e decorata con affreschi nei quali qualcuno ha visto la mano di Lattanzio Gambara ma che sarebbe del tardo '600 o inizi del '700. Il Battistero veniva negli atti della visita apostolica di S. Carlo B. registrato come "ampio e antico" e nel quale si benediceva "solennemente l'acqua battesimale".


PARROCCHIALE S.S. FAUSTINO E GIOVITA. Alla chiesa "senza cura" cioè "sussidiaria" si accenna nel catalogo dei benefici ecclesiastici del 1410. Era già provvista di un beneficio sacerdotale del valore di 16 lire e di un beneficio clericale di 11 lire. Fu ricostruita nel 1427 perchè minacciante rovina. Restauri sono segnalati nel 1438. Restauri alla torre ebbero luogo nel 1464. Altri restauri vennero promossi nel 1483. Nel 1485 venne eretto a spese degli scolari di Giovanni Conti l'altare a S. Nicolò come loro protettore. Della chiesa dà notizia il Nassino che annota come nel 1496 o 1497 la chiesa a spese del Comune venne ingrandita e "alzata e posta sopra li arconi" che sono al presente. Lo stesso Nassino sottolinea come, per ordine del duca di Calabria, venne rialzata nel 1483 la torre per offrire un punto di osservazione oltre le mura del castello. Il 2 ottobre 1501 venne interdetta perchè, a quanto scrive Agostino Pizzoni, vi si amministravano i sacramenti benchè non fosse consacrata. La consacrazione ebbe luogo il 2 gennaio 1502. Opere di restauro venivano decise il 10 ottobre 1518, e nel 1529 la chiesa veniva arricchita di una cappella dedicata a S. Pietro Martire adornata poi di un quadro di Camillo Pellegrini. Allo scarso concerto di campane nel 1541 venne aggiunta una campana e nel 1564 un'altra ancora ma nel 1580 S. Carlo B. troverà la torre in rovina. Gli atti della visita apostolica di S. Carlo B. (29 giugno 1580) impongono la provvista di un conveniente Battistero e lo spostamento dall'altare di S. Nicolò del corpo del poeta G.F. Conti detto Quinzano Stoa che fu posto ai piedi dell'altare stesso. I limitati provvedimenti del visitatore fanno supporre che la chiesa fosse in buone condizioni.


Nel 1604 venne ricostruita la torre. Nel 1623 veniva eretto il nuovo battistero così da permetterne la nuova consacrazione deliberata il 10 giugno 1625 e testimoniata da una iscrizione. Nel 1669 sotto il parrocchiato di don Giovanni Capello veniva costruita la navata meridionale della chiesa, alla quale venne aggiunta nel 1671 la navata settentrionale e nel 1682, la sagrestia nuova. Nel 1730 venne aggiunta una nuova campata. Nel 1752, 1774, 1820 venivano compiuti lavori di conservazione della facciata. Nel 1786 venne riparata la parte superiore della Torre che era stata distrutta da un incendio; nel 1787 venne provvista di un nuovo concerto di campane. Più massicci gli interventi eseguiti nel 1801, 1802 quando vennero rinnovati, con l'intervento oltretutto dell'arch. Carlo Donegani, dello scultore Salterio ecc., la soasa dell'altare maggiore, l'altare di S. Nicolò, e restaurate e indorate cornici, ritinteggiata la chiesa, opera questa che fu ripetuta nel 1828. Nel 1829 su disegno dell'ing. Giuseppe Gandaglia vennero aggiunti nuovi ambienti sul lato orientale della torre completati solo nel 1928. Nel maggio 1840 il vescovo visitatore mons. Carlo Domenico Ferrari trovava la chiesa in ottimo stato e tenuta con lodevole decoro. Opere alla facciata vennero compiute nel 1896. Luigi Gamba di Rezzato rifece in marmo di Botticino il basamento in pietra. Opere di abbellimento e indoratura vennero eseguite nel 1889 - 1891 su progetto dell'arch. Carlo Chimeri. Per l'occasione vennero sistemati gli otto finestroni e le finestre del coro e laterali, muniti di vetri colorati e della vetrata a mosaico della facciata (un angelo che conduce il Bambino alla Chiesa), lavori eseguiti dalla vetreria dell'Istituto Artigianelli di Brescia. Sempre nel 1891 la ditta Ghilardi e C. di Bergamo rinnovava il pavimento e il falegname Fusari costruiva la bussola della porta maggiore. La chiesa venne completamente decorata nel 1929 - 1930 in vista del centenario della morte della Beata Stefana Quinzani. La decorazione venne affidata a Giuseppe Trainini, gli stucchi alla bottega Peduzzi, gli affreschi ai pittori Cesare Secchi di Milano, Giuseppe Mozzoni, Atzori e Giovanni Bevilacqua. Il 29 settembre 1941 il vescovo mons. G. Tredici consacrava l'altare maggiore. Ampi restauri vennero compiuti su iniziativa del prevosto don Bruno Messali nel 1995 - 1996. Ivo Panteghini registra nell'Inventario diocesano la «splendida facciata della prima metà del Settecento» che rivela nei ritmi dei volumi e nell'equilibrio compositivo il progetto di un valente architetto. «Le superfici, scrive, sono scandite su due registri da un cornicione marcapiano ad andamento spezzato e sagomato. Il registro inferiore chiude le tre navate, mentre quello superiore è di semplice parata; infatti si innalza sopra il corpo della Chiesa dando slancio verticale al fronte della stessa. Lo spazio così creato è compensato da modiglioni a rinfianco, da acroteri piramidali e da grandi vasi marmorei fioriti. Le superfici sono movimentate da paraste d'ordine corinzio, tra le quali si aprono nicchioni, privi di statue. Ulteriore movenza alla facciata è data dalla sagomatura dei fianchi e del corpo di mezzo, che sporgendo sembra essere un invito all'ingresso; questo è segnato da un artistico portale in botticino dalla semplice struttura architravata coronata da un timpano ricurvo e ribassato. I portalini laterali, anch'essi architravati sono invece conclusi da un timpano classico, triangolare. Una finestra triloba si apre nell'ordine superiore coronato, ancora una volta, da un frontone ricurvo e ribassato sul quale si innestano le statue del Redentore e dei Patroni di ottima fattura settecentesca. Sul lato destro dell'abside si innalza la possente torre campanaria. Gigantesco pilastro a pianta quadra cimato da un padiglione con aperture a bifora. È coevo alla Chiesa; mal si accorda architettonicamente, il sopralzo apportato successivamente e costituito da alta torretta ottagonale e da una svettante guglia piramidale». Quanto all'interno, Giovanni Cappelletto ha rilevato che poche sono le chiese che conservano ancora la pianta a tre navate, aderendo più rigidamente alla tradizione basilicale, come la grande parrocchiale di Quinzano, tutta giocata sull'ampio ritmo delle cinque campate appoggiate su possenti pilastri cruciformi che le reggono con archi a tutto sesto. La navata centrale è a botte, quelle laterali a volte a crociera. Con la modifica operata con l'allungamento di due nuove campate compiuto agli inizi del '700, ha rilevato Ivo Panteghini, la prima campata fu chiusa da balaustre trasformandosi così da una parte in zona presbiterale e dall'altra dando origine alle due cappelle laterali. Rimase immutato il presbiterio vero e proprio a pianta rettangolare che si prolunga in una abside emiesagonale. Le opere decorative in stucco sono costituite da grandi lesene corinzie che abbellendo i pilastri della navata maggiore reggono una trabeazione a fregi ed un cornicione a mensole. I lesenotti dei sottarchi sono invece decorati da capitelli ionici a volute trasverse da cui pendono festoni fioriti. Gli affreschi della volta del fondo raffigurano i S.S. Faustino e Giovita, la B. Stefana Quinzani e il Cristo, opera, quest'ultima, di Giuseppe Mozzoni. Sulle pareti del presbiterio ai lati figurano gli Evangelisti di Vittorio Trainini, Angeli di Cesare Secchi e il Buon Pastore di Cesare Secchi. Sulla controfacciata è dipinto un grande affresco del sec. XVI raffigurante l'apparizione dei S.S. Faustino e Giovita sulle mura di Brescia nel 1438. È coperto, in parte, dalla grande bussola costruita dal falegname locale Fusari nel 1891 assieme alle quattro porte laterali. Sulla parete destra entrando si presenta una notevole e bella tela raffigurante l'Ultima Cena, firmata "Octavius Amigonus Fac MDCXXXXIII, da Ottavio Amigoni (1606 - 1665), cioè proveniente come pensa T. Casanova dalla chiesa del Monastero. Nel quadro dell'Amigoni, discepolo di Antonio Gandino, echeggiano i toni e la maestria del Veronese. Sempre a destra stanno due tele dedicate a S. Antonio di P. di Carlo Baciocchi. Quella raffigurante il santo che riattacca la gamba ad un giovane è firmata e datata 1660. L'altra raffigura S. Antonio che ridona la vista ad un cieco. Seguono due confessionali forniti da Giulio Gandaglia nel 1829 ed ora restaurati ed assemblati in un unico grande doppio confessionale. In legno di noce, sono ornati di intagli e festoni. Il primo altare di destra è dedicato ora all'Immacolata e prima alla Madonna del Rosario o del Carmelo. Come rileva Ivo Panteghini l'altare è databile attorno ai primi trenta-quarant'anni del diciottesimo secolo. Mensa ed ancona sono impostate secondo linee concave. Il paliotto è abbellito da una specchiatura centrale in commesso marmoreo su fondo nero di paragone. Ornati fitomorfi in breccia versicolori incorniciano una cartella raffigurante un'Assunta. Lateralmente si dispongono le paraste con ornati fioriti e modiglioni sagomati. L'ancona s'imposta su lesene e colonne a tutto tondo di ordine corinzio. La trabeazione è abbellita da un innesto di teste di cherubino e si conclude con un fastigio modanato e spezzato cimato da valva. L'altare è completato da due opere statuarie attribuite alla scuola dei Callegari. Esse raffigurano le sante Apollonia e Lucia. Tale altare era adorno di una pala raffigurante la Madonna del Rosario di Antonio Gandino il vecchio (che qualcuno ritiene di famiglia quinzanese); la pala è stata poi sostituita da una statua della Madonna di Lourdes. Segue l'altare detto di S. Anna: secentesco, è parzialmente edificato in marmo e parzialmente in legno intagliato e dorato. Di pregio la mensa che presenta le solite linee, costituite da una grande specchiatura centrale cui si affiancano paraste e modiglioni. È pregevole anche per la presenza di tarsie marmoree geometrizzanti a cornice della grande riquadratura in marmo rosso venato. L'ancona è databile alla prima metà del diciassettesimo secolo, opera di Gian Giacomo Massente e forse è stata reimpiegata per la costruzione dell'altare; difatti ben poco si accorda con la titolarità dell'altare la splendida statua dell'Angelo custode sistemata tra le sezioni spezzate del timpano ricurvo e ribassato. Le colonne corinzie presentano i soliti fregi a grappoli attorti, tipici del periodo assegnato. La Comunità lo fece erigere nel 1630 in adempimento di un voto per il quale si impegnava per la celebrazione annua di una Messa solenne in onore di S. Anna coll'intervento delle Autorità locali. La pala raffigura la Madonna col Bambino in gloria, S. Anna e Stefana Quinzani. È opera attribuita dal Guazzoni a Gian Giacomo Pasino Rosignolo, datata 1630 ma forse poi rimaneggiata. Nel 1630 Stefana Quinzani non era ancor stata innalzata all'onor degli altari, poiché ciò avvenne l'anno 1729 o 1730. Ma era già tale l'alto concetto che i Quinzanesi avevano della santità di Lei che attribuivano anche alla Sua intercessione la liberazione dalla peste. Accanto allo stemma municipale, in fondo al quadro, trovasi l'iscrizione: «VOTUM COMUNITATIS QUINTIANI / CAUSA PESTIS / ANNO 1630 DIE 24 / IULII / GRATIA OBTENTA EST». Cioè: «VOTO DELLA CO MUNITA / DI QUINZANO / PER CAUSA DELLA PESTE / ANNO 1630 GIORNO 24 / LUGLIO / GRAZIA OTTENUTA». Sotto la pala sono custodite le reliquie donate alla chiesa dal prevosto don Giovanni Capello. L'altare venne restaurato nel 1693 e poi di nuovo dagli artigiani Liborio Castelvedere e dal figlio Luigi nel 1896 - 1898. Nella cappella che affianca il presbiterio, che ha sostituito quella dedicata nel 1529 a S. Pietro Martire il cui quadro (opera di Camillo Pellegrini e che a sua volta forse aveva sostituito un affresco cinquecentesco oggi in canonica) è ora nella chiesa di S. Giuseppe, venne nel 1900, su disegno di don Nember, riadattato l'altare precedente e dedicato a S. Giuseppe. L'altare, come segnala Ivo Panteghini «è una sobria ed elegante struttura della seconda metà avanzata del diciottesimo secolo, interamente costruita in marmo di Carrara e brecce policrome. L'imponente ancona s'innalza sopra un alto zoccolo ornato da formella mistilinea. Le quattro colonne che la costituiscono sono binate e poste su piani sfalsati. I capitelli corinzi dorati fungono da supporto ad una trabeazione spezzata. Il cimiero propone un attico con l'innesto degli attributi simbolici del santo titolare, ed un piccolo timpano ricurvo e ribassato». Nella nicchia che ha sostituito la pala è stata posta il 19 marzo 1909 con grande solennità una statua di S. Giuseppe acquistata da Antonio Sibella nel 1908 da una ditta di S. Ulderich (Tirolo) e in un primo tempo destinata alla chiesa dedicata al santo. L'altare maggiore riferibile al tardo '700, "si struttura, come scrive Ivo Panteghini, su eleganti linee convesse e mosse, ed è impreziosito da filettature e ornamentazioni in bronzo dorato. Il Paliotto presenta un riquadro centrale in diaspro di Sicilia ornato da una lobatura in verde antico [...]. Alti sovralzi inquadrano l'elegante tempietto del tabernacolo, con colonnini e frontone ricurvo e ribassato, sopra il quale s'innalza l'articolata cupoletta a padiglione. La porticina del tabernacolo (sec. XVIII) è centinata e sbalzata con la riproduzione a forte rilievo della Deposizione. L'altare con le attuali balaustre che dovrebbero risalire ai primi anni dell'800 vennero restaurati dal marmista Bonifacio di Brescia nel 1917. La pala raffigurante il Redentore tra i S.S. Faustino e Giovita (olio su tavola cm 143 x 126) un tempo fu attribuita al Moretto o alla sua scuola; viene dalla critica più recente invece assegnata a Floriano Ferramola, come opera dell'ultimo decennio della sua vita e perciò da situarsi attorno al 1525. Tolta la staticità delle figure, la pala è pregevole. I Santi si staccano con vigore dall'azzurro paesaggio dello sfondo ed il Cristo, con il bianco panneggio ha una maestà dolce e vigorosa assieme, mentre su tutte le figure è soffusa una tristezza propria dei tempi travagliati che il pittore visse. La pala venne restaurata nel 1801 dal pittore Gerolamo Romani. La cornice attuale risale al 1802, venne disegnata da Carlo Donegani eseguita da Martino Pasquelli e indorata da Lorenzo Bianchi. Dello scultore Stefano Salteria al quale vennero corrisposte, l'8 ottobre 1802, 1275 lire, sono con tutta probabilità le statue della fede e della speranza che affiancano la soasa, il medaglione della carità, il bassorilievo del martirio dei S.S. Faustino e Giovita e gli angeli. Sulla cantoria di sinistra è stata posta di recente la pala (olio su tela cm 180 x 230) un tempo nella Disciplina raffigurante la B.V. col Bambino in gloria e i S.S. Bernardo e Martino e disciplini, donne e uomini nei loro sai caratteristici, attribuita da qualcuno al Bagnatore e da altri a Luca Mombello e da Tommaso Casanova accostata a quelle di Camillo Pellegrini e con la scritta: Ad laudem gloriosae - Virginis Mariae Sancto - rumque Bernardi et Mar - tini Societas Disciplina - torum erexit - die X novembris M.D. LXXXVIIIJ. Nel presbiterio segue la cantoria con l'organo alla quale ne fa riscontro un'altra sul lato opposto. Ambedue furono costruite nel 1839 dall'artigiano quinzanese Giulio Gandaglia con l'assistenza di Carlo Donegani. Gli intagli sono opera del Sorbi; l'indoratura del quinzanese Liborio Castelvedere.


Circa l'organo ricerche accurate di Tommaso Casanova hanno appurato come fino agli inizi del sec. XVII non sia esistito organo fisso, fino a quando entro il 1612 venne collocato uno strumento fisso costruito da Giacinto Gatti di Brescia mentre la cassa venne realizzata da Ludovico Manenti. Primo organista fu un don Federico. Lo strumento venne sostituito da un altro costruito nel 1649-1650 da Ercole Valvassore. Su di esso suonò tra gli altri dal 1665 al 1669 Orazio Polaroli. Riparazioni vennero compiute nel 1682 e nel 1690 da Bartolomeo Antegnati ultimo forse della celebre famiglia. L'organo venne poi ricostruito secondo attribuzioni postume nel 1787 dai Serassi di Bergamo, ma tale ipotesi è messa in dubbio dal Casanova. Venne, invece, sicuramente rinnovato dopo il 1837 ed entro il 1840 da Angelo Amati di Pavia. Nel 1839-1840 il falegname Quinzanese apprestava la nuova cantoria decorata da intagli eseguiti da Sorbi ed indorati da Liborio Castelvedere sotto la direzione dell'ing. Donegani. Nuove riparazioni eseguiva l'Amati nel 1840 mentre nel 1884 Luigi Parietti di Bergamo, allievo del Serassi vi compiva una notevole riforma. Ritoccato nel 1910-1911 da don Cesare Sora e da Ferruccio Pedrini e poi nel 1928-1930 da Giuseppe Franceschini di Crema, migliorato da Domenico Vergine di Seniga nel 1946, venne affiancato nel 1965 da un organo elettronico.


Il pulpito attuale, disegnato nel 1835 da Giovanni Cherubini e verniciato e indorato da Cesare Crescini, ha sostituito quello costruito nel 1626-1627. «L'opera, annota Ivo Panteghini, è in legno laccato e dorato ed in puro stile neoclassico. Il pergamo di forma poligonale è bordato da intagli a greca ed ha tre riquadrature dipinte con scene tratte dal nuovo testamento; esse sono separate da formelle con trofei dorati e ad intaglio raffiguranti oggetti liturgici e simbolici. Colonne doriche sostengono il capocielo dorato con fascia e a cassettoni con girali». Nella cappella che affianca a sinistra il presbiterio sorge l'altare un tempo dedicato al S.S. Sacramento o del Preziosissimo Sangue mentre dal 1900 con adattamenti, dovuti al sacerdote don Nember, è dedicato al S. Cuore di Gesù, raffigurato in una statua probabilmente proveniente da una bottega tirolese. Scendendo nella navata laterale sinistra della chiesa, si incontra l'altare dedicato a S. Nicolò da Bari che vi è raffigurato assieme forse ai S.S. Silvestro e Gerolamo, ai piedi della Vergine con il Bambino. Un altare a S. Nicolò venne costruito fin dal 1485 a spese degli scolari di Giovanni Conti da Gandino fra i quali vi fu il celebre Quinzano Stoa. L'attuale altare ha sostituito nel 1802 il precedente molto più modesto e venne costruito da Martino Pasquelli su disegno di Carlo Donegani. L'ultimo altare è dedicato a S. Francesco Saverio. Sembra che sia stato costruito fin dai primi decenni del sec. XVIII. L'altare viene definito da Ivo Panteghini nell'Inventario diocesano: "Dal punto di vista artistico è quello di maggior rilievo della Chiesa. Risulta costituito da una mensa marmorea e da un'ancona lignea. La mensa è ornata da tarsie policrome su fondo nero di paragone. L'ornato è tutto tratto dal mondo vegetale e reso con verismo e sapienza compositiva. La presenza del limone tagliato, l'impiego della pietra di lapislazolo, gli elementi naturalistici resi con cura e tecnica raffinata, accostano l'opera a quelle conosciute della bottega dei Corbarelli. La datazione può essere giustificata dal fatto che le linee architettoniche su cui è impostato il paliotto sono tipiche di altari di piena epoca barocca. L'ancona è anch'essa un capolavoro di arte d'intaglio, avvicinabile alle produzioni degli scultori clarensi Olmi, degni allievi di Giacomo Faustini". L'indoratura è opera di Giuseppe Spada di Cremona (1755) che l'anno seguente eseguì il tronetto delle reliquie. Come indica Giovanni Gandini la pala è opera di Ferdinando Del Cairo, e venne benedetta il 3 dicembre 1712, per committenza, come suppone Tommaso Casanova, di don Giovanni Pietro Zopetti, lo stesso che sarebbe rappresentato in entrambe le tele quinzanesi dedicate a S. Francesco Saverio. Nel Battistero: un Battesimo di Gesù di ignoto autore del sec. XVIII, tela poi rimaneggiata. Nella chiesa parrocchiale è stato collocato un Calvario statuario (un Crocifisso, con ai piedi, l'Addolorata, S. Giovanni ev. ed inginocchiata la Maddalena). Non risulta da alcun documento il nome dello scultore. Felice Murachelli sottolinea come a questo gruppo ligneo si siano ispirati Beniamino Simoni e forse lo stesso Andrea Fantoni di Rovetta. Il restauro è stato eseguito nella bottega Poisa di Brescia nel 1983. Nel 1992 vennero rinnovati ad opera della ditta CBM di Coste di Maser (TV) i confessionali ai lati degli altari di S. Giuseppe e del S. Cuore. Nuove vetrate disegnate da Federico Bellomi di Verona e realizzate dalla ditta GIBO pure di Verona raffiguranti La Nascita, il Miracolo di Cana, la Morte, la Risurrezione, la Pentecoste e il Giudizio Finale vennero poste nel 1994.


Della torre campanaria vi è una prima documentazione nella cronaca di Pandolfo Nassino che registra l'iscrizione "hoc opus f.f. comune quinciani 1464". Il Nassino soggiunge che venne poi innalzata "per scoprire lontano" per ordine del Duca di Calabria nel 1483 ad opera dei "marengoni" Antonio Bevelagua, Iacomo Veza, Zambello Tocagni di Quinzano. Venne poi completamente ricostruita nel 1604-1607 da "Maestro Nicolò Alberghino" comasco, e coperta con lastre di piombo, sostituite da altre nel 1890 e ancora da lastre di rame nel 1982. Sempre in sagrestia figura una bella tela con un Crocefisso (cm.167x198) restaurato nel 1987 da Romeo Seccamani. Il bancone centrale è del secolo XIX, l'armadio per i calici della parete di sinistra è del sec. XVIII. Dello stesso secolo è il grande armadio. Sul bancone centrale è stato posto il leggio un tempo nel coro. Disegnato da Francesco David nel 1812, venne eseguito dal quinzanese Bartolomeo Gandaglia e per gli intagli da G. Carlo Ronchetti; raffigura su uno dei lati Davide che brandisce la testa di Golia e sull'altro, il trasporto dell'arca dell'Alleanza. All'indoratura provvide nel 1812 Angelo Poisa di Brescia. Interessanti sono le poltrone di stile impero con intagli dorati, velluti rossi, ecc. Interessanti inoltre due portaceri (sec. XVIII-XIX) che l'inventario Panteghini riferisce alla struttura di candelieri scomparsi, opera di Carlo Ferrazzoli, due angeli tedofori del sec. XVIII, una Croce da Via Crucis del sec. XIX.


In canonica sono conservati una bella Madonna col Bambino, una S. Apollonia (del sec. XVIII), una Natività (sec. XVIII). Provenienti dalla chiesa del convento di S. Maria delle Grazie, soppresso nel 1810, sono due bei quadri ovali opera di Giovanni Antonio Zadei raffiguranti l'uno Davide e Golia l'altro Giuditta e Oloferne commissionati per la veneranda scuola dell'Immacolata Concezione ed eseguiti nel 1758.


MADONNA DEL PATROCINIO. La leggenda vuole che la Madonna sia apparsa su un fico e abbia pianto. In effetti si tratta dell'espandersi e dell'intensificarsi della devozione popolare per un affresco quattrocentesco dipinto sulla parete occidentale della chiesa battesimale di S. Giovanni Battista, poi trasformata in sagrestia. Davanti all'immagine che qualcuno ha attribuito addirittura a S. Luca, dovette sorgere un altare e poi una piccola cappella. È ad essa che accenna, probabilmente, monsignor Cristoforo Pilati nella sua visita del 1572 quando ordina che venga sostituita la pietra sacra con un'altra più conforme alle disposizioni ecclesiastiche, all'altare di S. Maria nell'oratorio situato nel cimitero della pieve. Comunque una ricostruzione definitiva ebbe luogo nel 1599 in seguito a precise disposizioni del vescovo Gian Francesco Morosini emesse nella visita pastorale del 1594, e per opera del curato Castelnuovo, benemerito di altre opere compiute nel cimitero. Una lapide ricorda questo intervento radicale con le parole: «Sacellum hoc B.M.V. / elemosinis restauratum / MDXCIX». Da altre visite pastorali sappiamo che nel santuarietto si celebrava quotidianamente. A quanto scrive il Gandini nel suo "Alveario cronologico" alla fine del '600 la chiesa "a stucco, oro e pittura" era dedicata all'Annunziata "per li molti miracoli e devozione del luogo dal popolo della terra ed esteri con grande venerazione visitata". Ma la devozione vivissima che ha sempre circondato quest'Immagine è dimostrata dai numerosissimi ex voto che coprivano le pareti del santuario e l'andito adiacente. Sono semplici ma parlanti documenti delle numerosissime grazie attribuite alla Madonna della Pieve che nel sec. XVIII incominciò ad essere anche invocata come la Madonna del Patrocinio. Ma ancor più lo è la folla di devoti che sfila si può dire in continuità e specialmente la domenica o vi s'accalca la seconda domenica di novembre che è la festa del santuario. L'invocazione «Madona de la Pief» diventa spessissimo sulla bocca dei quinzanesi invocazione confidente ed accorata. Opere nuove (stucco, indoratura e affreschi) vennero compiute da don Cesare Bertolotti, inaugurate il 21 novembre 1886. All'inizio del '900 i due intagliatori Ottavio e Gaetano Bergamaschi eseguirono una soasa per il Santuario, in sostituzione di quella secentesca coeva quindi degli stucchi che ancor oggi possiamo ammirare. Nel 1937 ad opera del prevosto Donati si ebbe una nuova sistemazione dell'interno, nella parte del presbiterio: nuova cancellata, nuovo dipinto "copri Madonna" etc. Almeno quattro volte, sottolinea Angelo Locatelli, in questo secolo a partire dal 1906, la chiesa è stata rivestita di nuovi intonaci. Alla fine degli anni '30, su richiesta del Donati, la commissione vescovile d'arte sacra diede la sua approvazione al "progetto di decorazione" del pittore Giuseppe Trainini in quanto nel rispetto delle "linee architettoniche di detta chiesa" e corrispondenti "allo stile dell'epoca". Nuove opere furono compiute nel 1942 quando, come anticipo di un voto per la guerra incombente, furono rinfrescate (come ricorda una iscrizione «Virgini - totius Ecclesiae patronae - dicatum - restauratisque figures - S. Francisci et S. Catharinae Italie patronorum - AD. MDCXLII») le pitture interne e le figure esterne a lato della porta raffiguranti già fin dal seicento i patroni d'Italia S. Francesco e S. Caterina. Il prevosto mons. Ruggeri fece nuovi restauri per l'anno mariano 1954 togliendo la soasa opera di Ottavio Bergamaschi, che a sua volta aveva sostituito la grossolana e pesante soasa secentesca sostituendola con una nuova della Bottega Poisa, e asportando la massiccia cancellata fatta costruire nell'ottocento da certo Antonio Sibella e ponendo vetrate dipinte. Altri restauri seguirono dal marzo 1975 al maggio 1976 per iniziativa di don Franco Bertoni che portarono al restauro da parte di Scalvini e Casella della venerata immagine della Madonna che allatta e del santuarietto ad opera di Mario Cirimbelli. Un incendio causato dai ceri votivi e scoppiato la notte tra il primo e il due novembre 1987 rovinò la decorazione che venne completamente restaurata, per iniziativa del prevosto don Messali. I restauri vennero inaugurati il 31 maggio 1988.


Come registra l'Inventario diocesano: la facciata ha una semplice impostazione a capanna è coronata da un frontone. Sopra il pronao a colonne tuscaniche con volta a crociera si apre una finestra serliana, mentre l'interno è costituito da un'unica navata con copertura a padiglione e pianta rettangolare ed ha un presbiterio anch'esso rettangolare ricoperto a padiglione. Le pareti dell'interno sono lisce, prive di lesene. L'unico movimento è dato da un cornicione aggettante che segna il punto d'innesto delle volte. La balaustra che precede l'altare sembra essere opera recente eseguita in botticino, con specchiature in seravezza. Probabilmente è coeva alla cancellata, datata 1894. La mensa invece è tipica opera della prima metà del settecento, lavorata a commesso. La specchiatura centrale presenta una cartella con l'effigie della vergine, incorniciata da racemi e fogliami in marmi policromi. Il fondo è in nero di paragone. L'ornato a commesso è ripreso sulle paraste, chiuse lateralmente da modiglioni a rinfianco. L'ancona in legno dorato, che racchiude il venerato affresco rinascimentale, fu eseguita nel 1954 dalla bottega bresciana dei Poisa. Essa si struttura secondo modalità barocche in un ampio panneggio di fondo retto da putti che funge da fondale e due angeli genuflessi, resi nell'atto di sorreggere la cornice. Sull'apice troneggia una colomba nimbata.


S. ROCCO. Eretta forse nel 1479-1480 per voto della Comunità emesso durante l'imperversare della peste del 1478 su terreno appartenente a diversi proprietari e particolarmente al nob. Alessandro Ugoni, risultava, a quanto annotò Pandolfo Nassino, grande "poco manco" dell'attuale presbiterio ma non nell'altezza. Dal 1504 al 1514 la chiesa venne ricostruita e nel 1540-1541 affrescata da pittori tra i quali compaiono Gian Francesco Farinelli e il quinzanese Gian Francesco Pavesi. Altri affreschi votivi portano la data del 1551. La chiesa venne praticamente ricostruita, come indica un'iscrizione in data 20 maggio 1504, ritrovata nell'aprile 1987 in lavori di restauro compiuti dalla ditta Daniele Pizzamiglio che correggerebbe quanto ha annotato il Nassino «del 1505 fo principiata la seconda giesia grande, fo ruinato ditta Capella et principiato la giezia grande, quale al presente se celebra li divini offici» che potrebbe indicare forse la fine dei lavori. Come sottolinea Angelo Locatelli, questi lavori riguardavano, quasi certamente, solo l'ampliamento dell'estensione e non dell'altezza già, comunque, compiuta ai tempi del Nassino. Infatti il primo gennaio 1513 i quinzanesi «trovandosi immersi in tanti travagli», come raccontava il Pizzoni nel 1640, fecero voto «di accrescere la fabrica della Chiesa di Santo Rocco, dando ogni libertà, e autorità di trova denari, e bisognando, vendere ancora beni publici». In quell'anno nel dicembre, venne edificata anche una prima torre. Alla prima metà dell'800, commissionata dapprima al Vantini e poi semplificata, è da ascriversi, scrive ancora il Locatelli, la stessa armonica facciata dell'edificio. La chiesa era officiata dai Disciplini del Corpo di Cristo. Nell'ottobre del 1540 Gianfrancesco Farinelli del fu Bernardino dipinse la cappella del Calvario su commissione di Luca Pianeri. Il massaro di quest'ultimo, Bertolì (o Bertolino) detto De Libra e i signori Antonio Benedetto e Giovanni Degna di Roccafranca furono i finanziatori della cappella di S. Gottardo eseguita dallo stesso Farinelli. La cappella dei «quattro doctori» venne invece dipinta da uno sconosciuto pittore quinzanese, Gian Cristoforo Pavesi di Giacomo sotto la direzione del nonno paterno Agostino, che «non have de sua faticha niente salvo de comprar il colori». Altri affreschi vennero eseguiti nel 1551 e seguenti. Il vescovo Bollani nella visita del 1565 la trovava "buona e chiusa". In occasione della peste del 1577 oltre a istituirvi la Compagnia del S. Rosario venne emesso voto di "ridurre la chiesa in miglior stato", che venne adempiuto nel 1581. Appartiene a quest'ultimo periodo, con tutta probabilità, pure il rifacimento della volta che venne affrescata il secolo successivo. In effetti l'anno precedente S. Carlo B. aveva trovato la chiesa piccola, con due altari (il maggiore ed un altare alla B.V. fuori la chiesa). Già però vi era stata trasferita dalla chiesa di S. Faustino la Confraternita del S.S. Rosario. Nel 1673 viene posta sull'altare la veneratissima statua della Madonna del Rosario la cui festa ricorre, con solenne processione, la seconda domenica di ottobre. Nei sec. XVII e XVIII le famiglie Padovani, Zoppetti, Pianeri si prendono cura di diversi altari che trasformano e abbelliscono. Nel 1797-1798 la chiesa si arricchisce di alcune tele provenienti dal soppresso convento francescano di S. Maria delle Grazie. Altri quadri vi trovano collocazione nel 1810-1811 con la soppressione del convento delle Dimesse. Il 14 agosto 1839 Rodolfo Vantini presenta il progetto di una rinnovata facciata, peraltro non completamente realizzato. Restauri alla chiesa, alla sagrestia e alla casa annessa vengono compiuti nel 1930. Nel 1937-1939 vengono alla luce nel presbiterio affreschi secenteschi, viene restaurato l'altare di S. Gottardo tolto nel 1900, ed eretto l'altare alla B. Stefana Quinzani. Opere di sistemazione vengono compiute ancora nel 1940-1941. Nel settembre 1986 vengono avviati i lavori del restauro del campanile ai quali seguono quelli della chiesa. Ampi restauri presero il via il 25 agosto 1986 per iniziativa del prevosto don Bruno Messali.


La chiesa che si presenta con una semplice facciata solo in parte ingentilita dal Vantini, presenta, secondo quanto ha scritto Adriano Peroni, un interno ad un'unica navata fiancheggiata da quattro cappelle che mentre richiama ancora per la partizione in corrispondenti archi traversi i tipi di origine "rustica", elabora nelle singole campate della volta un gioco di vivaci motivi geometrici di rettangoli, ottagoni, cerchi, che culmina, con maggiore complessità, nella campata centrale. Le origini di una simile concezione sempre secondo il Peroni vanno ricercate nell'architettura manieristica milanese, e, ancora più puntualmente, in quella cremonese e particolarmente riferite ad Antonio Campi. Gli affreschi secenteschi della volta richiamati in vita dai restauri operati nel 1947 da Giuseppe Trainini sono di buona fattura. Raffigurano sul frontone il Padre Eterno, l'Annunciazione, ai quali fanno corona Patriarchi (Mosè, Geremia, Davide, Isaia, ecc.) e santi (S. Pietro ap., S. Andrea ap.) santi martiri (Firmo e Rustico) e altri santi (Vincenzo Ferreri, Carlo B., Francesco d'Assisi), sante vergini e martiri (Barbara, Lucia, Caterina d'Alessandria) ecc. Sulla volta del presbiterio G. Giacomo Rosignolo ha dipinto (1618) l'Incoronazione di Maria (al centro), l'Annunciazione con Dio Padre (archivolto), Santi, Angeli e Cariatidi (lunette). Sulla controfacciata ai lati della porta centrale stanno a destra un quadro raffigurante due santi francescani, a sinistra, un altro raffigurante due sante francescane (S. Chiara, S. Margherita da Cortona?). Ambedue i quadri provengono dal convento. Sulla parete destra si ammira la bella tela (olio su tavola, cm. 180 x 90) raffigurante Gesù flagellato alla Colonna chiamato dal popolo il "Signore della Provvidenza". Attribuito da qualcuno al Bagnatore, è opera del pittore veronese Domenico Ricci detto il Brusasorci (firm. Dominici Riciy). Segue l'altare di S. Gottardo con un affresco del Santo, opera di Giovanni Francesco Farinelli rimasto dei quattro che ornavano gli altari laterali e che forse rimangono occultati dalle pale su essi poste. È affiancato da altri santi sulle pareti della cappella (S. Firmo e S. Giovanni Battista). La cappella venne restaurata nel 1939 da Vittorio Trainini su ordine esplicito del vescovo mons. Giacinto Tredici. Accanto alla porta laterale di destra un affresco raffigurante la Madonna con il Bambino è stata da alcune guide attribuito al Moretto. Sulla porta è collocato un quadro (già del Convento) raffigurante probabilmente il martirio in massa di francescani in Giappone. Segue l'altare dell'Angelo Custode di patronato della famiglia Zoppetti il cui stemma è raffigurato sulle paraste del paliotto adorno di foglie d'acanto e sulla bella pala raffigurante l'Angelo Custode opera di Ferdinando del Cairo (1718). Ai lati dell'altare sono due affreschi raffiguranti due sante, una delle quali è S. Caterina d'Alessandria. Segue l'altare della Madonna del Rosario (olio su tela cm. 295 x 195) con pala raffigurante l'Incoronazione della B.V. fra santi, con ai piedi inginocchiati i S.S. Domenico e Caterina da Siena e angeli che presentano bambini. È attribuita, per assonanza con altre opere (specie quella dell'Immacolata della Chiesa di S. Francesco in Brescia), a Grazio Cossali (1563-1629). L'ancona, seguendo gli studi di T. Casanova è opera di Ludovico qd. Manento Manenti di Gabiano (1612), indorata da Lucio Guadagno (1615). Il paliotto commesso marmoreo e sculture della Madonna col Bambino e due angeli è uno dei più belli di Quinzano. Sulla parete laterale destra del presbiterio sta una grande pala del Giudizio Universale (cm. 300 x 220) attribuita dalla critica solitamente a Gerolamo Rossi (1547-1614); essa è opera invece come dall'iscrizione rettamente letta da Angelo Locatelli, di Giovanni Giacomo Pasini Rosignolo. La firma infatti suona: «Jo. Iacobus Pasinus Rosi / Soreginensis Pinxit Anno / Sal. 1620» che significa «Giovanni Giacomo Pasino Rosignolo (dal nome del padre) soresinese, dipinse nell'anno di salvezza 1620». Sull'altra parete di sinistra sempre di G.G. Pasini Rosignolo sta una tela del 1622, raffigurante la Madonna col Bambino, i S.S. Domenico e S. Caterina da S. e i Misteri del Rosario. Bello in marmi policromi l'altare maggiore dominato da una nicchia occupata dalla ricordata statua della veneratissima Madonna del Rosario (1673). Documenti ritrovati da Giuseppe Gerbino e Giuseppe Fusari hanno permesso di assegnare ad Andrea Callegari e al 1759 le due statue di S. Rocco e di S. Sebastiano che affiancano l'altare maggiore. Scendendo lungo la parete di sinistra si incontra l'altare di S. Carlo B. raffigurato in una pala di ignoto del sec. XVIII con S. Firmo. Segue il grande organo la cui cassa preziosa fa pensare, a T. Casanova, alla bottega dalla quale è uscita la soasa del santuario della Ceriola di Montisola. Lo strumento secondo qualcuno è di Tommaso Maiarin, secondo Casanova di Ercole Valvassori ma potrebbe essere anche un Antegnati. Sul fianco destro della porta laterale è un dipinto votivo del sec. XVI raffigurante la Madonna col Bambino. Sulla porta è una tela secentesca raffigurante l'estasi di S. Antonio da P. Segue una campata realizzata come suggerisce un mattone nel 1504 con l'altare dedicato alla B. Stefana Quinzani. La mediocre e amorfa pala attuale di G. Tomé (1937), ha sostituito quella piena di colore del pittore quinzanese Vincenzo Bertoglio. Nell'ultima campata aggiunta intorno al 1580 è posta una pala raffigurante la Madonna col Bambino, S. Antonio di P. e S. Francesco Saverio che sbarca nelle Indie. Su tela (cm. 305 x 135) secondo P. Guerrini attribuita ad Antonio e da Bruno Passamani ad Angelo Paglia. Ma Tommaso Casanova suppone con buoni argomenti che la pala commissionata da don Giovanni Pietro Zopetti come indica la dedica, e che sarebbe raffigurato come committente, sia stata dipinta almeno una decina di anni prima di quella della parrocchiale da Ferdinando Cairo. La chiesa conservava, secondo la "Guida" del Paglia, un Gonfalone del Rosario opera di Lattanzio Gambara. Il campanile alto e slanciato fu costruito, come indica la scritta, "Anno Iubilei 1600 C.Q." e finito nel 1604, per iniziativa del Comune. Elegante, in uno stile complesso ed elaborato è, secondo Adriano Peroni, forse l'unico esempio dell'ultima fase dell'architettura rinascimentale bresciana. Sopra una zona di fusto liscio si ripetono quattro ripiani modanati, in cui l'architetto dimostra la stessa tendenza alle variazioni decorative, già vista nell'interno della Chiesa. Anch'esso, sottolinea ancora il Peroni "ribadisce l'impressione di una provenienza dell'architetto della zona cremonese-cremasca, data la palese affinità con il più grande e più noto esempio della parrocchiale dei SS. Fermo e Rustico di Caravaggio". Lo stile ha fatto pensare a moduli cremonesi di Antonio Campi o a G.B. Trotti detto il Malosso. È invece opera di Nicolò Alberghino. Due campane vennero fuse nel 1760 e una terza dal Soletti nel 1817. Annessa alla chiesa e diventata curaziale è la casa che una tradizione invalsa recentemente dice essere quella "della beata Stefana Quinzani" e dove avrebbero abitato i genitori della beata prima di trasferirsi a Orzinuovi dove la beata in effetti nacque. Probabilmente nel 1910 il prevosto don Giulio Donati vi fece porre un quadro della beata con l'iscrizione: «BEATAE STEPHANAE QUINTIANAE DE SCHIANIS / ORATIONE, EXTASI, PROPHETIA, MIRACULIS / JESU XRTI CONNUBIO ET STIGMATIBUS CLARAE / CLARIORI VIRTUTIBUS / OBIIT AN. M.D.XXX». L'effigie è stata di recente restaurata. Vi è inoltre murata un'altra epigrafe che dice: «Abitarono questa casa fino al novembre 1456 / i coniugi / Lorenzo e Savia Sciani / per esimie virtù formati / col dar alla luce il 4 febbraio 1457 / la / Beata Stefana Quinzani / fulgida gloria in Orzinuovi dove nacque / a Soncino dove visse operò e morì da santa / di Quinzano donde coll'origine trasse il nome / con cui passa illustre nella storia».


S. GIUSEPPE, nel rione Borgo. Come ha ricordato Paolo Guerrini: "la chiesa di S. Giuseppe di Quinzano è una delle prime manifestazioni bresciane del culto verso questo santo, devozione popolare che nasce e si propaga sotto influenze francescane con caposaldo nel vicino convento di S. Maria delle Grazie. Venne iniziata nel 1511 per voto di peste e già nell'agosto 1513 vi veniva posta una campanella. Venne terminata nel maggio 1514, come ricorda A. Pizzoni che scrive: «sotto l'anno 1514 il mese di maggio ebbe la sua perfezione la Chiesa dedicata ai Santi Gioseffo, Fabiano e Sebastiano e S. Antonio nel Borgo da Borgo per voto già fatto molti anni fa per la peste, ritrovandosi arciprete Giacomo Martinengo, protonotario apostolico, deputati Antonio Biziolo, medico, Andrea Trappa, Bernardino Rumengo, Agnolino Basello, Cristoforo Piacenza". Il riferimento alla peste potrebbe essere il 1478 e nell'erezione della chiesa si potrebbe presumere una gara di devozione oltre che di atavica rivalità ed emulazione fra il rione Borgo dove la chiesa sorse e quello di Mercato che aveva per la stessa ragione fatto costruire una cappella a S. Rocco. La chiesa venne poi dedicata ai S.S. Fabiano e Sebastiano e a S. Antonio abate. Nel 1565, nella sua visita, il vescovo Bollani annotava che non possedeva beni, era amministrata dal comune, veniva tenuta chiusa ma era in buon stato ("est bona"). Nel 1576 venne eretta la torre. S. Carlo B. nel 1580 trovava la chiesa "decente", con tre altari. L'ampia navata con quattro cappelle ripete lo stesso schema della chiesa di S. Rocco. Entrando, a destra, si vede una tela raffigurante S. Pietro Martire qui trasportata dalla chiesa parrocchiale per far spazio alla statua di S. Giuseppe. Segue un affresco raffigurante S. Filippo N. (sec. XVIII). Risalendo nella navata il primo altare è dedicato ai Santi Francescani. Vi è una bella pala in una ancona lignea settecentesca attribuita un tempo a Camillo Rama ma da T. Casanova assegnata a Camillo Pellegrini di Cigole ma quinzanese di elezione raffigurante S. Francesco che consegna il cordone a S. Chiara e S. Antonio ed, inginocchiati, i Santi patroni del terz'ordine francescano fra cui S. Lodovico re di Francia, S. Elisabetta d'Ungheria ed altri famosi personaggi. Il secondo altare è dedicato alla Circoncisione o al Nome di Gesù e porta il monogramma Jesus di S. Bernardino, opera, come annota Giovanni Gandini, di Camillo Pellegrino. L'ancona secondo il Casanova dovrebbe essere opera di Gian Giacomo Manente. Affianca l'altare una nicchia con la statua di papa S. Urbano, un tempo veneratissimo dalla popolazione del Borgo. Sull'altare maggiore sta una pala raffigurante "Il sogno di S. Giuseppe" raccolta in una bella soasa. È attribuita da qualcuno a Pietro Rosa, discepolo di Tiziano di cui echeggia l'abilità compositiva e coloristica. Altri invece la dicono di scuola morettiana mentre Giuseppe Fusari propende per Luca Mombello. È opera molto bella, forse di G.G. Manente, di forte disegno e di morbido colore offerta dalla famiglia Planeri nel 1570 con questa dedica: «DEO OPTIMO MAXIMO / DIVO IOSEPH PETRUS ET / JOANNES PLANERI / FRATRES Q. D. LUDOVICI / OPUS HOC DICARUNT / MDLXX». Sulla parete sinistra è il Gonfalone di S. Giuseppe (sec. XIX); su quella destra l'organo costruito nel 1806 da Alessio Rosa, riformato nel 1884 da Luigi Parietti di Bergamo. Nella figura di S. Giuseppe, il Casanova ha individuato il ritratto del medico Giovanni Pianeri. Particolarmente bella la mensa in marmo variegato. Scendendo lungo la parete di sinistra si incontra l'altare della Natività con pala di Gian Giacomo Pasini Rosignolo, raccolta in una ancona lignea di Gian Giacomo Manente. Il paliotto marmoreo porta al centro S. Antonio ab. Sul lato destro sta una teletta raffigurante S. Caterina da Alessandria che protegge Quinzano dalle truppe ostili. Sulla porta laterale sinistra figura la seguente scritta: «TEMPLUM HOC MDXVI AEDIFICATUM / FIDELIUM PIETAS EXORNAVIT / MDCCCLIV». Segue un affresco con S. Luigi Gonzaga del sec. XVIII. Ultimo sulla parete di sinistra è un quadro dedicato al Preziosissimo sangue con Gesù, S. Paolo e S. Maria Maddalena ed ai piedi l'offerente del quadro che proviene da un altare della parrocchia ora dedicato al Sacro Cuore di scuola morettesca. Sul campanile semplice ma elegante eretto nel 1830 a sostituzione di quello originario del 1576 stanno tre campane: una fusa da Giovanni Crespi di Crema nel 1847, le altre due senza indicazione della fabbrica ma con la data 1799.


DISCIPLINA. Eretta probabilmente nel sec. XIV dalla Confraternita dei Disciplini su terreno del Comune venne gestita dalla Confraternita stessa. Il campaniletto venne eretto nel 1712 come ricorda un mattone su cui si legge l'iscrizione: «1712 giorno 1 giugno - Giacomo Antonio Piozzi priore». Nel sec. XIX la casa adiacente divenne, come si legge su una sbiadita scritta, «Casa della fabbriceria e congregazione di Carità». La chiesa è a tre navate divise da sei colonne di ordine toscano, di cui due sono incassate nelle pareti di fronte all'entrata. Fu affrescata da Bellanda nel 1645 per il coro e 1646 per la navata come ricorda la scritta al centro del soffitto con motivi e momenti della passione di Gesù, fra i quali gli angeli che recano simboli quali la scala, la lancia, i flagelli, il fazzoletto della Veronica, i dadi, la corona di spine, la tunica, torce, bastoni. Sulle pareti laterali sono affrescate scene della passione: Gesù davanti ai sommi sacerdoti Anna e Caifa, Pilato che si lava le mani, Ecce homo. Sull'altare era fino a pochi anni fa la già ricordata pala ora esposta sulla cantoria di sinistra della chiesa parrocchiale.


LA "MADONNINA" O "MADONNA DELLA ROSA" ALLE MALGHEROSSE. Si trova vicino alla cascina Malgherosse, sulla strada fra Verolavecchia e Monticelli d'Oglio e sorse probabilmente per comodità delle popolazioni sparse nelle cascine della zona. In luogo esisteva nel 1485 un oratorio dedicato a S. Pietro. Nella visita del Pilati del 1572 è citata come «Ecclesia S. Mariae a Valgarosse» e si ricorda che ha una casetta nella quale abita un solo eremita e nient'altro. «Non vi si celebra se non qualche volta per devozione». Il Pilati ordina una nuova pietra sacra e un nuovo messale e che venga tenuta chiusa. Nelle visite pastorali del primo seicento è ricordata semplicemente come "cappella campestre". Nulla di notevole rilevano i vescovi nel loro passaggio: segno che la chiesetta era ben tenuta. Agli inizi del 700 vi si celebrava festa il terzo giorno dopo Pasqua. Cadente tuttavia agli inizi dell'800 fu nel 1826 causa di contrasti fra la Fabbriceria di Quinzano, che si apprestava a restaurarla, e Paolo Betti proprietario della cascina e della campagna circostante comperate nel 1817 dai Martinengo da Barco. Appurata la proprietà, la chiesetta venne abbattuta e ricostruita nel 1854 «in onore della B. Maria Vergine» come ricorda una lapide sulla parete sinistra. Nel 1891 il vescovo mons. Corna Pellegrini comandava di compiere nuove opere di restauro. La chiesetta fu detta anche la "Madonnina dei Cò" per la vicina presenza di questa famiglia e di sacerdoti ad essa appartenenti che vi celebravano. Ma si deve ad un devoto sacerdote, don Bortolo Ferretti di Quinzano d'Oglio (26 novembre 1879 - 8 aprile 1953) il momento più fortunato di questa chiesetta. Egli ne curò il decoro e la devozione con amore impareggiabile, richiamando vere folle di fedeli specie l'8 settembre, festa titolare. Con amore e con solerzia creò tutto attorno un bel giardino, che rende la chiesetta, con il piccolo campanile, uno degli angoli più suggestivi della zona. Gli ultimi restauri sono così ricordati da una epigrafe incisa in pietra di Botticino: «Questa chiesa / dedicata alla "Natività di Maria", / venne completamente fatta restaurare / dal quinzanese Marco Cavalli / che offriva, generosamente, in memoria / della. moglie Paola Fappani / nell'anno 1984 / essendo prevosto don Bruno Messali». Vi esiste una piccola tela con Madonna in trono con il Bambino. La Madonna tiene in mano un libro e una rosa.


VISITAZIONE AL CASTELLETTO. Costruita dai Martinengo, venne dedicata alla Visitazione della B.V. ad Elisabetta. L'altare era adorno di una pala di Camillo Pellegrini di Cigole della quale l'attuale sarebbe una copia. Il Pizzoni nel 1640 la dice ben officiata. Venne di nuovo restaurata nel 1976.


La CAPPELLA della CASA DI RIPOSO costruita nel 1974, funge da cappella dell'oratorio.


SCOMPARSE:


CHIESA E CONVENTO DI S. MARIA DELLE GRAZIE. Secondo il Nassino la chiesa venne principiata il 23 aprile 1467 su terreno di tale Giuseppe Ferrandi per iniziativa del beato Amedeo Menez de Silva, a ciò pregato da "nobili bressani de la terra de Quinzano e dall'arciprete Tedoldo Paratico colpiti dalla sua santità e dalla sua predicazione". Una bolla di Paolo II del 3 novembre 1467 autorizzava la costruzione confermata poi con altra del 15 aprile 1468 avendo il vicario generale di Brescia, Battista Maggi, rifiutato l'esecuzione della prima. Un documento del 20 gennaio 1470 sostiene che il beato Amedeo avrebbe avuto dal duca di Milano "denari per Quinzano". Chiesa e convento vennero terminati intorno al 1485, e nel 1487 vi si tenne il capitolo provinciale. Nello stesso convento i frati Amadeiti o Zoccolanti tennero nel 1520 e nel 1525 il loro capitolo generale. Il Convento tornò alla ribalta della cronaca quando nel 1568 Papa Pio V, con la Bolla "Beati Christi Salvatoris" ordinò la fusione dei frati Amadeiti con gli Osservanti. Il 25 maggio, infatti, 25 o 30 frati del convento di Quinzano "accompagnati da un gran numero di secolari, con armi, scacciarono il P. Guardiano (degli Osservanti) con la compagnia sua per cui il Vescovo di Brescia e il Padre Provinciale scomunicarono cinque di quei frati. Nel 1580 il convento ebbe la visita di S. Carlo B., che trovò la chiesa "sufficientemente decente e con molti altari", nel 1603 in occasione del Capitolo provinciale vi eseguirono celebri musiche fra Lodovico Viadana e Giacomo Moro. Notevolmente ampio, il convento aveva due chiostri con dormitori e logge superiori. Aveva ben tre campanili e un campaniletto (di cui, molto probabilmente, uno per le ore). Nella piazza della chiesa si teneva una fiera molto frequentata poi vietata nel '700 per frequenti fatti di banditismo. Nel 1794 vi compì il noviziato p. Maurizio Malvestiti. Venne soppresso nel 1810 dalle leggi napoleoniche. In suo luogo venne costruita una grande cascina. La chiesa, come rilevava alla fine del sec. XVII il Gandini nel suo Alveario, era ad una sola navata con "arco a volta e nove altari" con la spaziosa piazza davanti. Era ricca di quadri e di affreschi. Francesco Paglia nella sua guida indica: «un'opera di S. Diego fatta p. mano di Girolamo Rossi, ed un'altra operetta in cui è dipinta la B. Verg.e col Bambino fatta dal Moretto a' elezione de SSri Padovani. Le pitture fatte sul muro di d.o Altare della Concezione sono di mano del Romanino, come pure li quattro Evangelisti, la Natività, e la fuga in Egitto, sono pure dello stesso Romanino». Una pala raffigurante il Crocifisso era opera di Camillo Pellegrini di Cigole ma naturalizzato quinzanese. Dello stesso Pellegrini sarebbe stata, secondo il Casanova, la pala dell'altare della Concezione oggi nella chiesa della Pieve riproducente l'Albero di Jesse, adornata poi da un'ancona di Luca Mombello. Come ha dimostrato Tomaso Casanova l'organo era uscito nel 1585 dalla celebre bottega di Graziadio Antegnati. Lo stesso Casanova dubita che sia poi lo stesso di S. Rocco, trasportatovi secondo la tradizione nel 1810 alla soppressione del convento.


CHIESA E CONVENTO DELLE DIMESSE. Fondati nel 1611 per iniziativa dell'arciprete don Vincenzo Manzini con il titolo di Oblate del SS. Sacramento ebbe la sua prima sede posta tra le attuali via Matteotti e via Pieve e avente come lato maggiore, a N, tutta la lunghezza di via Fratelli Cervi. L'arciprete del tempo, Vincenzo Manzini constatò, per le Dimesse: "l'essere talvolta derise il camminare scalze, et abitare come al silvestre, le esortò al non questuare, et al mutare l'Abitazione come seguì con la compra del luogo in questo Castello". Si trattava, sostiene il Locatelli, del "luogo attualmente occupato dalle scuole medie, già abitazione di Gianfrancesco Conti detto Quinziano Stoa; nello stesso luogo venne ospitato, nel 1580, il cardinale Carlo Borromeo (poi santificato) durante la sua visita apostolica. Il trasferimento delle dimesse nella nuova dimora avvenne il 25 novembre di un anno posto tra il 1612 (ma più presumibilmente verso il 1614 o 1615) e il 1616. "In questo luogo dunque vennero ad habitare venendovi la prima volta condotte dall'Arciprete Manzino con il Clero e Populo della terra processionalmente con giubilo universale il giorno di S. Caterina V. e M.". Con il consenso del vescovo Marino Giorgi il convento venne ampliato. Il convento ebbe conferma o definitiva erezione canonica il 22 dicembre 1643 dal vescovo Vincenzo Giustiniani e ancora nel 1687 dal vescovo Bartolomeo Gradenigo. Oltre ad intense pratiche devote e a vivere in perfetta clausura si proponevano di aiutare il Pubblico e attendere alle Schole della Dottrina Cristiana ogni festa oltre che in parrocchia in S. Rocco e in S. Giuseppe. La direzione era tenuta dall'arciprete e da un rettore laico che doveva tutelare e sovrintendere agli interessi spirituali e materiali del collegio che comprendeva la scuola e l'educandato. La soppressione, alla quale tentarono, di opporsi nel 1809 e 1810 il viceprefetto di Verolanuova e il podestà di Quinzano, venne decretata l'11 settembre 1811 e le 16 Dimesse vennero sfrattate e il Collegio soppresso. Il Podestà di Quinzano riuscì ad ottenere la conservazione della chiesetta per la celebrazione della messa alle scolaresche mentre in seguito il convento verrà acquistato dal Comune che lo pagherà in alcuni anni, con numerose rate. Nel 1886 la chiesetta venne trasformata in teatro comunale, poi in cinema fino a quando nel 1987 venne ristrutturato e adibito a sala pubblica.


MADONNA DI MONTECCHIO O MADONNA DELLA ROSA. Si trovava sopra un avvallamento (donde Montecchio dal lat. "monticulus") poco distante dalla strada da Quinzano a Borgo S. Giacomo a O del paese. Una singolare tradizione popolare ha voluto attribuire a questa vetusta chiesetta il ruolo di prima chiesa della zona. In verità si tratta soltanto di un ospizio medioevale, o di una chiesa votiva con annesso un cimitero medioevale eretta, come chiesa sussidiaria, per comodità delle popolazioni disperse nella campagna. Il Panazza la ascrive alla seconda metà del sec. XII. Essa presentava un'«abside suddivisa da lesene in tre scomparti e con il cornicione decorato da un fregio in cotto formato da grossi denti di sega fra due file di mattoni disposti in senso orizzontale, motivo molto comune nelle costruzioni del cremonese». «Della chiesa medioevale, scriveva sempre il Panazza, non rimane che l'abside semicircolare e la parete settentrionale, che però venne usata come parete della chiesa settecentesca eretta a fianco dell'antica; la facciata invece e il lato S furono distrutti e la navata trasformata in portico. La chiesa era in cotto come tutte le costruzioni della "bassa" bresciana e del territorio cremonese. Nel mezzo della parete S vi è una lesena che doveva sorreggere l'arcone traverso e sostenente il tetto a capanna. Nella lesena è incastrato un frammento di antica lapide: S.B. Hic tacet pleac... miserabilis ev... cui segue una riga indecifrabile. L'abside con la sua calotta si presenta ancora intatta nell'interno con le tre monofore molto strette a doppia strombatura liscia; l'esterno invece in parte è distrutto, in parte vi sono addossate la sacristia e una casa colonica, non solo, ma è coperta di calce in modo che non è possibile neppure esaminarne la struttura muraria. Le lesene non giungevano fino al cornicione ma terminavano un po' più sotto con un'ampia gola». Una testimonianza di queste trasformazioni si trova negli atti della visita del Pilati nel 1572. Il visitatore ordina, infatti, che si distrugga l'altare a sera della costruzione e che l'altro situato dall'altra parte sia chiuso con un muro e con balaustre in forma di oratorio, dopo di che concedeva la licenza di celebrare. Lo stesso Pilati soggiungeva che la chiesa di Montecchio aveva un legato disposto da Aloisio Martinengo di 50 ducati da dare ad un cappellano per la messa quotidiana e che accanto alla chiesa vi era una piccola casa per un eremita che vi abitava. Confermano la viva devozione che la chiesa suscitò in passato i numerosi affreschi votivi dipinti sulla parete esterna e nell'interno dell'abside con date come 1490, 1501, 1557, 1575, 1606, 1646, 1765. Il vescovo Bollani comandava che venissero tolti gli altari esistenti fuori della chiesa, venisse fatto il pavimento, tolti i candelabri di ferro e impedita l'entrata ai buoi e ad altri animali. Nel 1597 l'arciprete Manzini otteneva un'indulgenza di tre anni come annota il Pizzoni «all'heremitaggio di Montecchio detto ancora di S. Maria della Rosa». La Madonna benediceva ancora qualche tempo fa da un grazioso quadro settecentesco con il Bambino che teneva in mano una rosa e che avrebbe sostituito quella dipinta da Camillo Pellegrini di Cigole. Vi si celebrava soprattutto il secondo giorno di Pasqua. Gravi danni compirono le intemperie dell'inverno 1946-1947; altri seguirono in seguito, specie da quando venne a mancare un custode. Il complesso venne completamente e malauguratamente demolito il 18 agosto 1974.


S. PIETRO alle MALGHEROSSE. Citata in documenti del sec. XV ma molto antica e forse anche di fondazione monastica se non addirittura longobarda.


S. AMBROGIO. Cappella. Doveva sorgere, secondo l'opinione di T. Casanova, là dove è oggi il "Casino di Emanuele" a O del paese e aveva terreni presso l'attuale cascina S. Ambrogio, passati poi al chiericato della Pieve e infine assorbiti nel beneficio parrocchiale. È nominata ancora nel 1410. Negli atti della visita pastorale del vescovo Bollani (1565) figura già completamente distrutta. Ad una cappella assieme a quelle del Battistero e del piccolo santuario distinte dalla chiesa plebanale accennano gli atti della visita di S. Carlo (1580). Ma di essa finora non si conosce la dedicazione.


ORATORIO DETTO "La PALAZZINA" ricordato nella visita del vescovo M. Giorgi del 1672. Scomparse sono pure la cappella della B.V. del Rosario dell'ex ospedale e quella dell'Immacolata già dell'oratorio femminile.


CIMITERO. Il cimitero è fra i pochissimi che si sono conservati nel centro abitato nonostante le ordinanze napoleoniche. Il 12 febbraio 1559 il Consiglio generale del Comune si premurava che il cimitero venisse tenuto chiuso "per proteggerlo dagli animali". Cresciuto accanto alla chiesa plebanale venne trovato in stato di abbandono e aperto agli animali dal vescovo Bollani nella sua visita pastorale. Nel 1604 perciò, per iniziativa del curato Castelnuovo, venne circondato di muri e vi vennero costruiti il portichetto e la casetta del custode o eremita. Il portichetto venne poi dipinto con scene di martiri di un certo valore. Negli anni '30 Giuseppe Mozzoni dipingeva nell'arcata più meridionale un affresco raffigurante "Gesù nell'orto degli ulivi". Sul cimitero, lungo la cinta meridionale, ha attirato devozione particolare la cappella con il Calvario le cui statue sono oggi nella parrocchiale, cappella che T. Casanova individua nel "sacellum" eretto da Cipriano Baselli restaurato nel 1560 dal nipote don Pietro e al quale si accenna agli atti della Visita di S. Carlo B.


SANTELLE. Fra le santelle spicca quella dei MORTI ABBANDONATI circondata di viva devozione e di leggende. Sorge nella campagna a sud del paese dedicata alla Madonna, a S. Anna, S. Antonio di Padova e alla B. Stefana Quinzani, ed eretta nel 1633 in ringraziamento della scomparsa della peste, della fame e della guerra, come ricorda un'iscrizione incisa in cotto che suona: «Qui fame qui bello, qui tandem a peste fuere Aediculam grati hanc composuere Deo, Et memores carorum, quorum hic ossa quiescunt Hac pietate colunt, quos coluere prius Mille, et sexcenteno, terdeno atque teruno Urbano Octavo munus agente Petri». Caduta in stato di abbandono venne nel 1661 ricostruita e affrescata da un Giuseppe Bellanda che vi dipinse la Madonna e i S.S. Anna e Antonio di P. Essendo pressochè di nuovo diroccata, la santella fu ricostruita nella forma attuale nel 1699 come dice un'altra interessantissima iscrizione troppo lunga per esser qui trascritta.


LA MORT. Sorge in località omonima che sarebbe, secondo la tradizione, stata colpita dalla peste del 1630. Angelo Locatelli la ritiene la più antica del territorio dedicata alla Madonna Addolorata ed è stata restaurata negli anni '80.


S. FAMIGLIA di via ALMARIA restaurata nel 1979 con tela del quinzanese Mario Cirimbelli.


DEl BUONGIARDINO sulla strada per Cremona, con figura di S. Giuseppe, Madonna col Bambino, S. Maria Crocifissa Di Rosa. Restaurata recentemente.


DEL CONVENTO. Addossata alla cascina omonima dedicata alla Madonna delle Grazie affrescata sul timpano esterno (un frate con bandiera crociata) e sulla parete frontale interna (un frate inginocchiato davanti alla Madonna, il B. Amedeo Menez de Silva fondatore del Convento nel 1467). Contiene lapidi di tombe un tempo nella chiesa.


MADONA degli ALPINI già detta della Vertua. La nuova intitolazione è dell'aprile 1985 ed è dovuta ai restauri offerti dagli alpini in congedo.


S. GAETANO in località Mezzullo a S del paese sulla strada consorziale "Recardusio". Costruita agli inizi del '900 con piccola pala raffigurante il santo, firmata A. Zuccari 1908 cioè Arnaldo Zuccari (1861-1939), ora nella canonica. Nella santella ossa provenienti probabilmente dal "Dos dei morcc". Riparata nel 1933 e ristrutturata nel 1996.


PERSONAGGI:


Quinzano conta molti personaggi più o meno illustri e noti. Fra i religiosi domenicani spiccano le figure di fra Guglielmo da Quinzano (sec. XIII), di p. Serafino Cavalli (1522-1578), generale dell'Ordine, predicatore, Paolo da Quinzano (sec. XVI) inquisitore, Vincenzo Patina (1498-1581) filosofo, teologo, predicatore, Pietro Seleri o Sceleri (sec. XVI), inquisitore generale a Pavia, l'arcivescovo Giulio Pavesi (1504-1571) nunzio apostolico, arcivescovo di Sorrento, Girolamo Zoppetti (1562-1640) professore di teologia, predicatore e inquisitore, Stefano Conforti (n. 1487) acclamato predicatore.


Fra i gesuiti è rilevante la figura di G.B. Vertua (1655-1738) maestro di teologia e visitatore apostolico. Fra i religiosi francescani: Giovanni B. Patina, celebre predicatore, Antonio Amighetti, professore di teologia e predicatore; Angelo Maria Bosio, verseggiatore, professore di teologia; p. Amelio Blesio, Giov. B. Calzavacca, scrittore di cose teologiche; Illuminato Calzavacca, letterato e verseggiatore; Antonio da Quinzano, autore di opere ascetiche; Stefano da Quinzano, verseggiatore.


Fra i religiosi carmelitani scalzi si distinsero: p. Stefano Conforti (1480-1572) oratore e studioso di teologia e morale; Clemente Mazzola, generale dell'Ordine.


Fra i cappuccini è da ricordare p. Francesco da Quinzano (m. nel 1668) missionario nei Grigioni.


Sacerdoti secolari di notevole dottrina furono il can. G.B. Planerio (1445-1505), don Gianfrancesco Patina (1496-1540) autore di egloghe, di un trattato sull'amicizia, don Andrea Trappa (1523-1580), don Girolamo Conforti (1523-1590) giurista e poeta latino, don Giov. Pietro Baselli (1610) studioso di storia bresciana e di letteratura, Giovanni Pietro Zoppetti (1655-1738) studioso di morale e diritto, Gabriele Planeri (1498-1573) colto nelle lingue classiche, Stefano Tomasoni (1899-1987) a lungo professore di Teologia nel seminario di Brescia, Eridano Torri (1943-1996) pioniere dei mezzi di comunicazione sociale nella diocesi di Brescia.


La borgata vanta un buon numero di letterati e insegnanti apprezzati ai loro tempi quali: Giacomo Conti (1437-1529) per 60 anni maestro di grammatica e lettere, i suoi figli Domizio Celio (1498-1557) e Gianfrancesco (1487-1557) conosciuto col nome di Quinzano Stoa autore di molte opere di poesia latina, di tragedie, commedie, satire; Pietro Planerio (1501-1584), Giacomo Massimo (1522-1592), Bartolomeo Teanio (1512-1598) poeta, Giuseppe Giardino (1512-1599), Giovanni Bondioli (1589-1672), Girolamo Padovani (1733-1803) autore di racconti, sonetti ecc.


Coltivarono il diritto ed esercitarono la magistratura Marco Planerio (1455-1498), Alessandro Patina (sec. XVI), Marcantonio Rossi (sec. XVI), Cecilio Conforti (1525-1606), don Girolamo Conforti (1528-1590), G.B. Vertua (sec. XIX), Luigi Bertoglio (sec. XIX). Lasciarono cronache e diari interessanti Bono Planerio (1398-1484), p. Illuminato Calzavacca (1625-1682), Giovanni Planerio, il medico Giovanni Gandino (con il suo Alverio) e soprattutto Agostino Pizzoni (1582-1646), autore dell'Istoria di Quinzano, Giuseppe Nember (1752-1815) e Pierino Gandaglia. Un ampio cronicon parrocchiale ha lasciato il prevosto don Giulio Donati (1949). Noto negli studi storici è il nome di Angelo Locatelli. Contributi storiografici hanno offerto don Giacomo Bassini ( + 1944), don Angelo Galotti, Pietro Sora, Pietro Gandaglia, Angelo Locatelli, Tomaso Casanova. Nella matematica si distinse il monaco benedettino Serafino Baselli ( + 1630).


Fra i cultori di musica quinzanesi si distinsero soprattutto Giovanni Bondioli domenicano, zio e forse primo maestro di Biagio Marini; Giovanni Maria Pizzoni (1569-1637) direttore di cappella, Gabriele Maria Piozzi (1740-1804) compositore ed esecutore, don Antonio Ferrari (1848-1911) arpista e direttore di cappella. Di famiglia quinzanese trapiantatasi ad Alfianello è il musicista don Pietro Gnocchi.


Nutrito il numero di apprezzati medici fra i quali Maffeo Conti (1470-1521), Cornelio Planerio (sec. XVI), Girolamo Conforti (1519-1595), Giovanni Baselli (1526-1611), Benedetto Patina (1534-1577), il conte Bartolomeo Padovani, Giovanni Planerio (1509-1600), Giulio Francesco Cremezzani (1696-1733), Stefano Gnocchi, Luigi Mantova igienista instancabile.


Urbanista fu nel sec. XIII Bernardo da Quinzano. Fra gli architetti: Martino da Quinzano (sec. XV), Giulio Valotti (1881-1953). Scultori: forse di Quinzano è Jacopo Confortis operante in Bergamo (sec. XV). A Quinzano è nato lo scultore Giacinto Bardetti che ha lasciato opere a Roma e al Vittoriale.


Non sono mancati pittori dimenticati, sconosciuti agli studiosi, come Gian Francesco Pavesi (sec. XVI), il Calzavacca, Carlo Trappa (1651-1729), Francesco David (fine sec. XVIII), Vincenzo Bertoglio (1878-1964), Giacomo Olini (1918 - viv.). Si dubita dell'origine quinzanese di Antonio Gandino. Abile disegnatore fu l'ing. Giuseppe Gandaglia.


Presepisti più volte premiati sono i fratelli Martinelli. Tra i fotografi si è fatto un buon nome Gerelli. Fra gli artigiani del legno furono Giulio e Giuseppe Gandaglia (sec. XVII), Ottavio Bergamaschi; del ferro, i Voltolini. Tra gli imprenditori si ricordano soprattutto, oltre a Luigi Ciocca, trapiantatosi a Quinzano da Milano, il figlio Giuseppe, Tomaso Nember che fu il creatore della fortuna di Jesolo, i Tosoni, gli Scanzi, i Calzoni e Jolanda Tosoni. Momenti di celebrità ebbe l'aeronauta Baronio.


Deputati al parlamento il conte Giulio Padovani, l'on. Italo Nicoletto, il sen. Gino Torri, il sen. Franco Tirelli. Consiglieri della Regione Lombardia: Franco Torri, Vittorio Sora e Mario Fappani (ambedue assessori). Assolutamente inventato il beato Lantherio Calzavacca elencato da B. Faino come uno dei martiri del Pozzo di S. Afra in Brescia.


ARCIPRETI PREVOSTI. Alberto (1278), Crescimbene De Gislis (1346), Giovanni de Barberis (1407), Bettino da Gussago (1426), Angelo Ziani di Venezia (1427), Tedoldo da Paratico (1455), Bernardino da Parma (1474), Cristoforo Foresti di Solto (1493), Sebastiano Buoncompagni (1504), Angelo Zane (m. dic. 1563), Angelo Rolo di Verona (1564 - rin. 5 dic. 1564), Stefano Bertazzoli di Salò (5 dic. 1564), Antonio Scaino di Salò (1572), Fabiano Gavazzoni bergamasco (m. nel dic. 1580), Annibale Gaetano di Guastalla (m. sett. 1586), Vincenzo Manzini di Rimini (ott. 1586 - 22 nov. 1617), Pompeo Zamboni di Montichiari (10 nov. 1617 - febb. 1624), Giov. B. Lazzaroni di Rovato (17 ag. 1624 - sett. 1631), Gianfrancesco Fiorentini (12 ott. 1631); Giov. B. Alghisi di Bassano (ott. 1632 - 18 giu. 1638), Giovanni Capello di Pontoglio (13 nov. 1658 - m. 14 apr. 1722), Paolo Carleschi di Bassano (28 apr. 1722 - 20 ott. 1738), Apollonio Busi di Brescia (16 mag. 1738 - m. 25 dic. 1772), Andrea Zanetti di Brescia primo col titolo di prevosto (26 febb. 1773 - m. 27 mag. 1801), Stefano Gussago di Ghedi (19 febb. 1803 - m. il 13 ag. 1815), Giuseppe Zanni di Brescia (22 sett. 1815 - m. 4 mar. 1828), Giacomo Magrograssi di Bogliaco (3 giu. 1828 - 31 gen. 1861), Giacomo Marini di Carpenedolo (25 mar. 1861 - m. 11 mag. 1881), Adamo Cappelletti di Verolanuova (15 nov. 1881 - m. 10 mag. 1905), Giulio Donati di Ospitaletto (10 lug. 1905 - lug. 1947), Giovanni Ruggeri di Verolanuova (1947 - rin. 1972), Franco Bertoni (1972-1984), Bruno Messali (dal 1984).


AGENTI, PODESTA', PRIMI DEPUTATI, SINDACI. Agenti o sindaci, 1797-1803: Nember Giuseppe (storico); Peroni Francesco; Contratti Giuseppe; Desiderati Luigi; Pavia Carlo; Peroni Francesco, podestà (1803-1815); Nember Vincenzo, 1° deputato (1815-1816); Valotti Antonio, 1° deputato (1816-1817); Cirimbelli Francesco, 1° deputato (1818-1819); Nember Francesco, 1 ° deputato (1820-1821); Padovani Luigi, 1° deputato (1821-1822); Peroni Bartolomeo, 1° deputato (1822-1842); Peroni Bortolo, 1° deputato (1842-1855); Trappa Carlo, 1° deputato (1855-1858); Peroni G. Paolo, 1° deputato (1858-1859); Padovani Giulio, 1° deputato (1859). Sindaci: Amilcare Scanzi (28 giu. 1945), Giovanni Orizio (25 lug. 1945), Carlo Dalla Rosa (21 mar. 1946), Paolo Domenico Sora (4 febb. 1947), Italo Nicoletto (10 giu. 1951), Lorenzo Tassi (1 ag. 1952), Carlo Bossini (10 giu. 1956), Angiolino Volpi (6 dic. 1964), Gaetano Galli (28 ag. 1975), Antonio Fappani (23 mar. 1979), Gino Torri (19 sett. 1980), Eugenio Forcella (9 sett. 1985), Vittorio Sora, Franco Tirelli.