OFFICINA Rivadossi

OFFICINA Rivadossi

L'«Officina Rivadossi» è, nello stesso tempo, falegnameria e studio di scultura. Svolge la propria attività a Monteclana di Nave (Bs), ai piedi del Monte Conche. All'inizio, quando nel 1920 Clemente Rivadossi (4-10-1895 - 28-10-1976) apre la sua bottega, non vi lavora che lui, artigiano sensibile e intelligente; ugualmente abile nel trattare il legno (che conosce perfettamente) e il ferro. Dalle sue mani escono solidi attrezzi agricoli e mobili per le case, banchi e pulpiti per le chiese. Quando sono in grado di farlo, entrano nella bottega, uno alla volta, quattro dei suoi otto figli: prima Francesco (26-4-1932 - 24-8-1985) e Giuseppe (8-7-1935), poi Renzo (10-4-1943) e Ottavio (16-1-1947), che riconoscono nel padre il loro maestro. Nel 1958, dopo il servizio militare, il figlio Giuseppe colto e geniale - imprime alla bottega un nuovo impulso, concentrando l'attività sulla produzione di mobili, anzi, sulla «creazione» di mobili, che via via si differenziano sempre più da quelli esistenti, e non soltanto per la particolare e caratteristica lavorazione, ma specialmente per la singolarità delle forme; cosa, questa, che conferisce al manufatto un inconfondibile carattere artistico, in cui, però, tutto è studiato per ottenere la massima funzionalità. Con la prima mostra d'arte (1967, Lumezzane San Sebastiano, Centro culturale), e specialmente con la seconda (1968, Brescia, Galleria del Cavalletto), giunge la notorietà e fioccano le ordinazioni, a cui Giuseppe fa fronte avvalendosi della preziosa collaborazione dei fratelli Renzo (pittore vigoroso) e Ottavio (esperto disegnatore) e di altre persone (una trentina). Nel 1976 la falegnameria diviene «Officina Rivadossi». La sua produzione è duplice: da un lato, le opere in cui la creatività di Giuseppe si esprime compiutamente in tutta la sua originalità, dall'altro, dove l'originalità è contenuta e calibrata su altre esigenze. Il tutto è caratterizzato, oltre che dal sapiente uso del legno, da alcune particolarità: l'impiego degli incastri a vista, bloccati da spinotti, l'assenza di viti, la smussatura degli spigoli, la solidità delle masse e la «morbidezza» delle superfici, ma - specialmente - da un'impronta «romanica», che rende tutto molto rassicurante e suggestivo. Le opere più note sono: le «Grandi madie», le «Custodie di primavera», il «Blocco Galla», le «Arche», i «Grandi campi», i leggii, i tavoli e i porta-quadri, assemblati con barre e manicotti filettati, le sedie dalle svariatissime forme. Il tutto è contrassegnato con nomi curiosi, insoliti e suggestivi: «...della siepe», «...della selva». «...della Verna», «...dell'anacoreta», ecc. Grande la notorietà raggiunta da queste opere, attraverso una trentina di mostre su invito in Italia e all'estero. La televisione italiana e quella tedesca hanno dedicato all'«Officina Rivadossi» alcune trasmissioni. Molte le opere sparse ovunque, nelle collezioni private e in quelle pubbliche, anche fuori dall'Europa. (La «Galleria d'Arte Moderna» di New York, ne possiede tre, acquistate nel 1973). Di Giuseppe Rivadossi e della sua «Officina» si sono occupati noti critici d'arte: Elvira Cassa Salvi, Giannetto Valzelli, Luciano Spiazzi, Giovanni Testori, Rossana Bossaglia, Marcello Venturoli, Elio Mercuri, Gianfranco Bruno, Pier Carlo Santini, ecc.