MAIRANO (2): differenze tra le versioni

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Verso la fine dell'800 Mairano visse anni difficili e di grande povertà: la popolazione fu provata dalla fame e dalla pellagra. In soccorso dei pellagrosi, nel 1897 venne aperta una cucina economica, che ospitò in un solo anno 32 pellagrosi. Una certa ripresa si registrò nel primo dopoguerra. Nel 1920, infatti, venne dato il via alla sistemazione del centro, che culminò nel 1933-34 con il restauro della sede municipale, su progetto dell'arch. Guerrini. Lo stesso architetto negli anni Venti rinnova il cimitero. Nel frattempo, con R.D. del 18 ottobre 1927, erano stati aggregati a Mairano i Comuni di Brandico e di Longhena; il primo si distaccherà poi nel 1946, il secondo nel 1948. Nel 1931, ancora su progetto del'arch. Vincenzo Guerrini, veniva restaurata la facciata della chiesa parrocchiale, completata con una scalinata e basamento in pietra e coronata di un nuovo attico, contemporaneamente alla costruzione della nuova canonica a lato della chiesa. Nel secondo dopoguerra veniva coperto il vaso Gattinardo e costruito un vasto edificio scolastico. Nel 1988 venne avviato il recupero del centro con la ricostruzione completa del municipio (inaugurato nel 1990) e la messa in programma di una serie notevole di opere pubbliche, la cui ultimazione è prevista nei prossimi anni. Mairano è presente nello sport calcistico provinciale con la U.S. Mairano, che nel 1976 si era fusa con la Trenzanese, formando la "Tre-Mairano", unione non durata però a lungo. Nel 1983, infatti, si è ricostituita l'U.S. Mairano che nel 1990 militava nel campionato provinciale di seconda categoria. Una proficua collaborazione tra Comune e Parrocchia aveva creato nel 1981 il "Palio delle contrade" e l'"Autunno Mairanese" , manifestazioni ottimamente riuscite fino al 1985, poi azzoppate da eccessi di campanilismo e di polemiche a sfondo politico, che si sta cercando di rivitalizzare e rilanciare. Nel 1983 per iniziativa del maestro Dino Gregorio venne costituito un Museo della Civiltà contadina. ECCLESIASTICAMENTE il territorio mairanese fece dapprima parte della Pieve d'Izio, oggi Pievedizio. Forse per l'impraticabilità del terreno, dovuta alle paludi e alle lame, nei secoli IX-X Mairano e Pievedizio stesso passarono con Capriano nell'ambito della Pieve di S. Pietro di Azzano, alla quale Papa Alessandro III riconfermava, con bolla del 10 agosto 1175, fra i vari possedimenti, anche la chiesa di S. Geraldo "in castro Ma(i)rani", oltre le cappelle di S. Andrea e dei SS. Gervasio e Protasio a Mairano e quelle di S. Martino de Guto e di S. Maria a Pievedizio. S. Andrea fu probabilmente la prima chiesa parrocchiale di Mairano e la dedicazione proviene quasi certamente dalla pescosità delle lame e delle rogge, numerose nel territorio. Questa chiesa però non sorgeva sul luogo dell'attuale parrocchiale, ma in aperta campagna; su tale luogo sorgeva invece un ospizio o xenodochio, dedicato probabilmente a S. Giacomo Apostolo e poi a S. Cristoforo, il cui culto ad un certo punto sostituì quelli precedenti. Nel catalogo dei beni ecclesiastici del 1410 è citata la chiesa di S. Gervasio, che possiede due benefici del rispettivo valore di una e due lire. Invece nel catalogo del 1532 viene registrata come chiesa parrocchiale quella di S. Andrea, la cui assegnazione veniva fatta dal Capitolo della Cattedrale. È opinione di Paolo Guerrini che poi, enucleandosi sempre di più l'abitato intorno al castello, il parroco abbia abbandonato l'antica cappella campestre di S. Andrea e sia andato a risiedere in paese, probabilmente presso il suddetto ospizio dedicato prima a S. Giacomo e poi a S. Cristoforo, dove però nel 1540 era già stata ricostruita "per comodità del popolo" la chiesa dei SS. Gervasio e Protasio, titolo che poi diventò "di S. Andrea e dei SS. Gervasio e Protasio". Gli atti e relazioni delle visite pastorali dei vescovi di Brescia che hanno inizio nel 1540, ci offrono molti dati interessanti. La prima visita fu compiuta da Mons. Annibale Grisonio il 6 ottobre 1540; il visitatore annota che la parrocchia porta il titolo dei SS. Gervasio e Protasio Martiri e che le anime di Mairano erano 450. Il vescovo Domenico Bollani, nel 1565, dice che la chiesa di S. Andrea è ancora diroccata; mentre nel 1573 Mons. Cristoforo Pilati parla di una chiesa campestre col titolo di S. Andrea che sembra far capire sia stata, almeno in parte, restaurata. Nel 1573, oltre all'altar maggiore, ve n'era un altro dedicato alla Madonna. Il 1580 registra la celebre "visita di S. Carlo", che però non venne personalmente a Mairano, ma vi mandò Mons. Girolamo Arabia, il quale constatò che in chiesa vi erano quattro altari e inoltre vi era una sagrestia e la casa parrocchiale annessa. Nel 1594 venne a Mairano Mons. Giandomenico Diedo, vescovo di Crema, il quale lasciò una nota piuttosto singolare: "Da tempi remoti la chiesa di Mairano ha due campane, ma vi è una lite tra la parrocchia ed il comune circa le spese da farsi per queste due campane". Si può però pensare che il diverbio sia stato presto superato, in quanto nel 1601 il vescovo Mons. Marino Giorgi scriveva che tutte le spese per la manutenzione - ordinaria e straordinaria - della chiesa venivano ripartite tra il parroco, i nobili del paese ed il Comune, un terzo per ciascuno. Gli atti di questa visita elencano gli altari: il maggiore, l'altare del SS. Sacramento, l'altare dell'Immacolata Concezione; non viene menzionato il quarto. Nel 1630, per voto fatto durante la peste, il Comune fa erigere un altro altare in onore dei Santi Rocco e Cristoforo. Lo stesso vescovo M. Giorgi, nel 1601, ordinava anche di ampliare di quattro cubiti la cappella dell'altar maggiore. Nel 1672 l'unica chiesa che risulta esistente nel territorio della parrocchia di Mairano è quella di S. Andrea, in mezzo al paese. Risultando però questa chiesa troppo piccola e cadente, verso la fine del sec. XVII e agli inizi del secolo XVIII si impose il problema di edificare una nuova chiesa. Un disegno a penna acquarellata del coro della parrocchiale, con la licenza di edificazione, datati 5 maggio 1695 e giacenti presso la Biblioteca di Breno, potrebbe indicare la data d'inizio della costruzione o ampliamento della chiesa esistente. L'impulso decisivo alla costruzione venne dal parroco don Paolo Mazzola (1693-1721) e si può pensare che l'opera fosse terminata nel 1735, quando venne dato il via alla costruzione della torre, terminata nel 1747. Queste date sono apparse con chiarezza nel 1968, durante i lavori di restauro, all'interno del cupolino. Altre date (1743-1744), oltre che confermare i tempi della costruzione, hanno permesso, con la loro ubicazione, di puntualizzare negli anni menzionati l'altezza raggiunta. È stata trovata anche un'altra iscrizione all'esterno, su uno dei riquadri sottostanti la cella campanaria, ma nessuno è riuscito a decifrarla perchè ormai del tutto illeggibile. Tutte queste date sono però rozzamente incise nell'intonaco, per cui sono fatalmente destinate a scomparire. Le misure della torre sono le seguenti: altezza dalla base alla cella campanaria: m. 40; dalla base della cella campanaria al cupolino: m. 14,90; altezza cupolino: m. 5,20; basamento Croce: m. 1; Croce: m. 3,90; altezza complessiva: m. 65. È ritenuta una delle più belle della Bassa Bresciana. Una tradizione locale vuole che per costruirla sia stata aperta una apposita fornace e che nei giorni festivi la popolazione facesse una catena per il trasporto dei mattoni. Un fulmine il 7 maggio 1968 danneggiò seriamente la torre, ma non fu che il colpo di grazia, giacché si trovava in condizioni disastrose. I lavori di restauro subito ordinati con solerzia dal parroco don Luigi Bonomini (1950-1979), vennero affidati in un primo tempo all'ing. dott. Co. Antonio Lechi di Brescia; in seguito alla sua rinuncia per motivi non dipendenti dalla sua volontà, passarono poi all'ing. Gino Zappa di Ghedi. I lavori furono eseguiti dalla ditta Ubaldo Panizza di Trenzano nello stesso anno 1968. Restauri alla chiesa vennero progettati nel 1873-76 dall'arch. Antonio Tagliaferri ed eseguiti nel 1881. Nel 1919, per lo zelo di don Girolamo Pavanelli, venne eseguita la decorazione dai pittori Giuseppe e Vittorio Trainini, cui seguì finalmente la consacrazione della chiesa, effettuata il 16 ottobre 1920 da mons. Giuseppe Rovetta, ex-abate di Montichiari e vescovo di Cassano Jonio. Un'iscrizione posta sulla controfacciata della chiesa, sopra la bussola, ne consacra la memoria: "Templum hoc - anno 1881 restauratum - nunc digne exornatum - Jos. Rovetta - Ep. Cassanen. - die 16 octobris 1920 - consacravit". Nel 1930-31, su disegno dell'architetto Vincenzo Guerrini di Bagnolo Mella, venne rinnovata completamente la facciata, che, conservata nelle sue linee primitive, venne completata con una scalinata e basamenti di pietra e coronata con un nuovo attico. Nel 1953, per opera del parroco don Luigi Bonomini, la chiesa venne finalmente dotata di uno splendido pavimento marmoreo. Radicali lavori di restauro vennero infine compiuti per iniziativa del parroco don Amatore Guerrini, sostenuto da un gruppo di validi collaboratori, dal 1982 al 1990 così scanditi: 1982-83: restauro completo del tetto della chiesa; 1983: restauro delle vetrate (n. 12) e dei lampadari in legno (ditta Poisa); 1984: nuova porta centrale della chiesa, nuova grande vetrata sulla facciata, raffigurante la vocazione di S. Andrea, su disegno di don Luigi Salvetti; 1985 restauro facciata della chiesa; 1986: rifacimento completo della sagrestia, sistemazione delle cantorie (con nuovi lavori in legno scolpito e dorato sugli specchi della ditta Poisa di Brescia); 1987: rifacimento integrale intonaci e tinteggiatura dei lati nord e ovest della parrocchiale, restauro confessionali; 1988: costruzione della cappella invernale-feriale; 1989: restauro lato sud (rifacimento integrale intonaci e tinteggiatura); 1990: restauro degli affreschi dei Trainini, ad opera del pittore Albino Ranesi di Gavardo, nuovo affresco nella cappella del battistero. Con il parrocchiato di don Girolamo Pavanelli si ebbe una rivitalizzazione della vita cristiana in termini più aggiornati. Il 27 novembre 1921 venne eretta regolarmente la Congregazione del Terz'Ordine Francescano, riattivata poi nel 1941, riorganizzata nel 1947, quando venne eretta anche la Congregazione Maschile. Accanto si sviluppò l'Azione Cattolica, fiorirono gli oratori. Nel 1982, col parroco don Guerini, venne ricostruito dalle fondamenta il teatro parrocchiale. Negli anni '80, anche la canonica subiva radicali interventi di restauro. L'interno della chiesa. Molto bello è l'altare maggiore, opera - secondo Sandro Guerini - di artisti rezzatesi. Il paliotto, forse di Vincenzo Baronzini, presenta una ricca decorazione a commesso, composta da foglie e fiori policromi ed è quasi identico a quello della chiesa di S. Gaetano a Brescia. La parte migliore della decorazione sono però il medaglione marmoreo, con la rappresentazione del martirio di S. Andrea Ap., e due statuette in botticino, sopra il tabernacolo, raffiguranti gli apostoli Pietro e Paolo, opera di Antonio Callegari. Le piccole statue fremono di vita e hanno l'immediatezza dei modelletti conservati nella Pinacoteca Tosio Martinengo. La datazione del complesso è assegnata al 1742 dall'epigrafe dietro il tabernacolo, che suona "D.O.M. Pietas Co: Vincentii Buccelleni - MDCCXXXXII". L'opera pittorica più significativa della chiesa è la pala, di Angelo Paglia, ascrivibile - sempre secondo Sandro Guerini - al 1725-30. È ad olio su tela, di cm. 200 x 165, con tela centinata, firmata in basso a sinistra (Angelus Palea/F). Il dipinto raffigura il martirio di S. Andrea ed è costruito sui due grossi pali della Croce del martirio che si intersecano sullo sfondo. La bianca figura del Santo domina il punto focale della tela e spicca sullo scuro del fondale, innalzandosi anche illuministicamente sugli altri personaggi. La luce scende dall'alto, a destra dell'osservatore, al modo dei dipinti di Francesco Paglia - del quale qui è vivissimo il ricordo - ma pure alle spalle si trova una sorgente luminosa contro la quale si stagliano alcune figure che sembrano strettamente imparentate con i pitocchi del Ceruti. Sul secondo altare a destra c'è una significativa pala di Enrico Albricci raffigurante la morte di S. Giuseppe (olio su tela, cm. 278 x 227). Il panneggiare ricco e mosso, ma anche 'cartaceo' nelle figure di Giuseppe e di Gesù, fa da contrasto - secondo un modo di fare tipico dell'Albricci, che alterna nello stesso quadro episodi di grande compiutezza formale a momenti di estrema semplicità e di pressapochismo - con il vestito della Madonna, realizzato con schematici piani. Evidenti richiami al Pittoni nella figura di S. Giuseppe, vicina a quella di S. Andrea Avellino morente, e al Pollazzo nel quadro di S. Nazaro a Brescia (nell'immagine del Cristo che alza l'indice al cielo) offrono indicazioni per la datazione di questo dipinto, che si potrebbe porre intorno al 1750. L'organo è stato costruito dalla ditta Serassi di Bergamo nel 1844. Dal 1982 al 1986, sempre per iniziativa del parroco don A. Guerrini, vennero acquisite alla chiesa varie statue in legno, opera della Ditta Demetz figlio, della Val Gardena, come quelle dell'Immacolata, dei 4 Evangelisti, di S. Giuseppe, del S. Cuore, della Pietà. Sono tutte alte cm. 150.
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Verso la fine dell'800 Mairano visse anni difficili e di grande povertà: la popolazione fu provata dalla fame e dalla pellagra. In soccorso dei pellagrosi, nel 1897 venne aperta una cucina economica, che ospitò in un solo anno 32 pellagrosi. Una certa ripresa si registrò nel primo dopoguerra. Nel 1920, infatti, venne dato il via alla sistemazione del centro, che culminò nel 1933-34 con il restauro della sede municipale, su progetto dell'arch. Guerrini. Lo stesso architetto negli anni Venti rinnova il cimitero. Nel frattempo, con R.D. del 18 ottobre 1927, erano stati aggregati a Mairano i Comuni di Brandico e di Longhena; il primo si distaccherà poi nel 1946, il secondo nel 1948. Nel 1931, ancora su progetto del'arch. Vincenzo Guerrini, veniva restaurata la facciata della chiesa parrocchiale, completata con una scalinata e basamento in pietra e coronata di un nuovo attico, contemporaneamente alla costruzione della nuova canonica a lato della chiesa. Nel secondo dopoguerra veniva coperto il vaso Gattinardo e costruito un vasto edificio scolastico. Nel 1988 venne avviato il recupero del centro con la ricostruzione completa del municipio (inaugurato nel 1990) e la messa in programma di una serie notevole di opere pubbliche, la cui ultimazione è prevista nei prossimi anni. Mairano è presente nello sport calcistico provinciale con la U.S. Mairano, che nel 1976 si era fusa con la Trenzanese, formando la "Tre-Mairano", unione non durata però a lungo. Nel 1983, infatti, si è ricostituita l'U.S. Mairano che nel 1990 militava nel campionato provinciale di seconda categoria. Una proficua collaborazione tra Comune e Parrocchia aveva creato nel 1981 il "Palio delle contrade" e l'"Autunno Mairanese" , manifestazioni ottimamente riuscite fino al 1985, poi azzoppate da eccessi di campanilismo e di polemiche a sfondo politico, che si sta cercando di rivitalizzare e rilanciare. Nel 1983 per iniziativa del maestro Dino Gregorio venne costituito un Museo della Civiltà contadina.
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ECCLESIASTICAMENTE il territorio mairanese fece dapprima parte della Pieve d'Izio, oggi Pievedizio. Forse per l'impraticabilità del terreno, dovuta alle paludi e alle lame, nei secoli IX-X Mairano e Pievedizio stesso passarono con Capriano nell'ambito della Pieve di S. Pietro di Azzano, alla quale Papa Alessandro III riconfermava, con bolla del 10 agosto 1175, fra i vari possedimenti, anche la chiesa di S. Geraldo "in castro Ma(i)rani", oltre le cappelle di S. Andrea e dei SS. Gervasio e Protasio a Mairano e quelle di S. Martino de Guto e di S. Maria a Pievedizio. S. Andrea fu probabilmente la prima chiesa parrocchiale di Mairano e la dedicazione proviene quasi certamente dalla pescosità delle lame e delle rogge, numerose nel territorio. Questa chiesa però non sorgeva sul luogo dell'attuale parrocchiale, ma in aperta campagna; su tale luogo sorgeva invece un ospizio o xenodochio, dedicato probabilmente a S. Giacomo Apostolo e poi a S. Cristoforo, il cui culto ad un certo punto sostituì quelli precedenti. Nel catalogo dei beni ecclesiastici del 1410 è citata la chiesa di S. Gervasio, che possiede due benefici del rispettivo valore di una e due lire. Invece nel catalogo del 1532 viene registrata come chiesa parrocchiale quella di S. Andrea, la cui assegnazione veniva fatta dal Capitolo della Cattedrale. È opinione di Paolo Guerrini che poi, enucleandosi sempre di più l'abitato intorno al castello, il parroco abbia abbandonato l'antica cappella campestre di S. Andrea e sia andato a risiedere in paese, probabilmente presso il suddetto ospizio dedicato prima a S. Giacomo e poi a S. Cristoforo, dove però nel 1540 era già stata ricostruita "per comodità del popolo" la chiesa dei SS. Gervasio e Protasio, titolo che poi diventò "di S. Andrea e dei SS. Gervasio e Protasio". Gli atti e relazioni delle visite pastorali dei vescovi di Brescia che hanno inizio nel 1540, ci offrono molti dati interessanti. La prima visita fu compiuta da Mons. Annibale Grisonio il 6 ottobre 1540; il visitatore annota che la parrocchia porta il titolo dei SS. Gervasio e Protasio Martiri e che le anime di Mairano erano 450. Il vescovo Domenico Bollani, nel 1565, dice che la chiesa di S. Andrea è ancora diroccata; mentre nel 1573 Mons. Cristoforo Pilati parla di una chiesa campestre col titolo di S. Andrea che sembra far capire sia stata, almeno in parte, restaurata. Nel 1573, oltre all'altar maggiore, ve n'era un altro dedicato alla Madonna. Il 1580 registra la celebre "visita di S. Carlo", che però non venne personalmente a Mairano, ma vi mandò Mons. Girolamo Arabia, il quale constatò che in chiesa vi erano quattro altari e inoltre vi era una sagrestia e la casa parrocchiale annessa. Nel 1594 venne a Mairano Mons. Giandomenico Diedo, vescovo di Crema, il quale lasciò una nota piuttosto singolare: "Da tempi remoti la chiesa di Mairano ha due campane, ma vi è una lite tra la parrocchia ed il comune circa le spese da farsi per queste due campane". Si può però pensare che il diverbio sia stato presto superato, in quanto nel 1601 il vescovo Mons. Marino Giorgi scriveva che tutte le spese per la manutenzione - ordinaria e straordinaria - della chiesa venivano ripartite tra il parroco, i nobili del paese ed il Comune, un terzo per ciascuno. Gli atti di questa visita elencano gli altari: il maggiore, l'altare del SS. Sacramento, l'altare dell'Immacolata Concezione; non viene menzionato il quarto. Nel 1630, per voto fatto durante la peste, il Comune fa erigere un altro altare in onore dei Santi Rocco e Cristoforo. Lo stesso vescovo M. Giorgi, nel 1601, ordinava anche di ampliare di quattro cubiti la cappella dell'altar maggiore. Nel 1672 l'unica chiesa che risulta esistente nel territorio della parrocchia di Mairano è quella di S. Andrea, in mezzo al paese. Risultando però questa chiesa troppo piccola e cadente, verso la fine del sec. XVII e agli inizi del secolo XVIII si impose il problema di edificare una nuova chiesa. Un disegno a penna acquarellata del coro della parrocchiale, con la licenza di edificazione, datati 5 maggio 1695 e giacenti presso la Biblioteca di Breno, potrebbe indicare la data d'inizio della costruzione o ampliamento della chiesa esistente. L'impulso decisivo alla costruzione venne dal parroco don Paolo Mazzola (1693-1721) e si può pensare che l'opera fosse terminata nel 1735, quando venne dato il via alla costruzione della torre, terminata nel 1747. Queste date sono apparse con chiarezza nel 1968, durante i lavori di restauro, all'interno del cupolino. Altre date (1743-1744), oltre che confermare i tempi della costruzione, hanno permesso, con la loro ubicazione, di puntualizzare negli anni menzionati l'altezza raggiunta. È stata trovata anche un'altra iscrizione all'esterno, su uno dei riquadri sottostanti la cella campanaria, ma nessuno è riuscito a decifrarla perchè ormai del tutto illeggibile. Tutte queste date sono però rozzamente incise nell'intonaco, per cui sono fatalmente destinate a scomparire. Le misure della torre sono le seguenti: altezza dalla base alla cella campanaria: m. 40; dalla base della cella campanaria al cupolino: m. 14,90; altezza cupolino: m. 5,20; basamento Croce: m. 1; Croce: m. 3,90; altezza complessiva: m. 65. È ritenuta una delle più belle della Bassa Bresciana. Una tradizione locale vuole che per costruirla sia stata aperta una apposita fornace e che nei giorni festivi la popolazione facesse una catena per il trasporto dei mattoni. Un fulmine il 7 maggio 1968 danneggiò seriamente la torre, ma non fu che il colpo di grazia, giacché si trovava in condizioni disastrose. I lavori di restauro subito ordinati con solerzia dal parroco don Luigi Bonomini (1950-1979), vennero affidati in un primo tempo all'ing. dott. Co. Antonio Lechi di Brescia; in seguito alla sua rinuncia per motivi non dipendenti dalla sua volontà, passarono poi all'ing. Gino Zappa di Ghedi. I lavori furono eseguiti dalla ditta Ubaldo Panizza di Trenzano nello stesso anno 1968. Restauri alla chiesa vennero progettati nel 1873-76 dall'arch. Antonio Tagliaferri ed eseguiti nel 1881. Nel 1919, per lo zelo di don Girolamo Pavanelli, venne eseguita la decorazione dai pittori Giuseppe e Vittorio Trainini, cui seguì finalmente la consacrazione della chiesa, effettuata il 16 ottobre 1920 da mons. Giuseppe Rovetta, ex-abate di Montichiari e vescovo di Cassano Jonio. Un'iscrizione posta sulla controfacciata della chiesa, sopra la bussola, ne consacra la memoria: "Templum hoc - anno 1881 restauratum - nunc digne exornatum - Jos. Rovetta - Ep. Cassanen. - die 16 octobris 1920 - consacravit". Nel 1930-31, su disegno dell'architetto Vincenzo Guerrini di Bagnolo Mella, venne rinnovata completamente la facciata, che, conservata nelle sue linee primitive, venne completata con una scalinata e basamenti di pietra e coronata con un nuovo attico. Nel 1953, per opera del parroco don Luigi Bonomini, la chiesa venne finalmente dotata di uno splendido pavimento marmoreo. Radicali lavori di restauro vennero infine compiuti per iniziativa del parroco don Amatore Guerrini, sostenuto da un gruppo di validi collaboratori, dal 1982 al 1990 così scanditi: 1982-83: restauro completo del tetto della chiesa; 1983: restauro delle vetrate (n. 12) e dei lampadari in legno (ditta Poisa); 1984: nuova porta centrale della chiesa, nuova grande vetrata sulla facciata, raffigurante la vocazione di S. Andrea, su disegno di don Luigi Salvetti; 1985 restauro facciata della chiesa; 1986: rifacimento completo della sagrestia, sistemazione delle cantorie (con nuovi lavori in legno scolpito e dorato sugli specchi della ditta Poisa di Brescia); 1987: rifacimento integrale intonaci e tinteggiatura dei lati nord e ovest della parrocchiale, restauro confessionali; 1988: costruzione della cappella invernale-feriale; 1989: restauro lato sud (rifacimento integrale intonaci e tinteggiatura); 1990: restauro degli affreschi dei Trainini, ad opera del pittore Albino Ranesi di Gavardo, nuovo affresco nella cappella del battistero. Con il parrocchiato di don Girolamo Pavanelli si ebbe una rivitalizzazione della vita cristiana in termini più aggiornati. Il 27 novembre 1921 venne eretta regolarmente la Congregazione del Terz'Ordine Francescano, riattivata poi nel 1941, riorganizzata nel 1947, quando venne eretta anche la Congregazione Maschile. Accanto si sviluppò l'Azione Cattolica, fiorirono gli oratori. Nel 1982, col parroco don Guerini, venne ricostruito dalle fondamenta il teatro parrocchiale. Negli anni '80, anche la canonica subiva radicali interventi di restauro. L'interno della chiesa. Molto bello è l'altare maggiore, opera - secondo Sandro Guerini - di artisti rezzatesi. Il paliotto, forse di Vincenzo Baronzini, presenta una ricca decorazione a commesso, composta da foglie e fiori policromi ed è quasi identico a quello della chiesa di S. Gaetano a Brescia. La parte migliore della decorazione sono però il medaglione marmoreo, con la rappresentazione del martirio di S. Andrea Ap., e due statuette in botticino, sopra il tabernacolo, raffiguranti gli apostoli Pietro e Paolo, opera di Antonio Callegari. Le piccole statue fremono di vita e hanno l'immediatezza dei modelletti conservati nella Pinacoteca Tosio Martinengo. La datazione del complesso è assegnata al 1742 dall'epigrafe dietro il tabernacolo, che suona "D.O.M. Pietas Co: Vincentii Buccelleni - MDCCXXXXII". L'opera pittorica più significativa della chiesa è la pala, di Angelo Paglia, ascrivibile - sempre secondo Sandro Guerini - al 1725-30. È ad olio su tela, di cm. 200 x 165, con tela centinata, firmata in basso a sinistra (Angelus Palea/F). Il dipinto raffigura il martirio di S. Andrea ed è costruito sui due grossi pali della Croce del martirio che si intersecano sullo sfondo. La bianca figura del Santo domina il punto focale della tela e spicca sullo scuro del fondale, innalzandosi anche illuministicamente sugli altri personaggi. La luce scende dall'alto, a destra dell'osservatore, al modo dei dipinti di Francesco Paglia - del quale qui è vivissimo il ricordo - ma pure alle spalle si trova una sorgente luminosa contro la quale si stagliano alcune figure che sembrano strettamente imparentate con i pitocchi del Ceruti. Sul secondo altare a destra c'è una significativa pala di Enrico Albricci raffigurante la morte di S. Giuseppe (olio su tela, cm. 278 x 227). Il panneggiare ricco e mosso, ma anche 'cartaceo' nelle figure di Giuseppe e di Gesù, fa da contrasto - secondo un modo di fare tipico dell'Albricci, che alterna nello stesso quadro episodi di grande compiutezza formale a momenti di estrema semplicità e di pressapochismo - con il vestito della Madonna, realizzato con schematici piani. Evidenti richiami al Pittoni nella figura di S. Giuseppe, vicina a quella di S. Andrea Avellino morente, e al Pollazzo nel quadro di S. Nazaro a Brescia (nell'immagine del Cristo che alza l'indice al cielo) offrono indicazioni per la datazione di questo dipinto, che si potrebbe porre intorno al 1750. L'organo è stato costruito dalla ditta Serassi di Bergamo nel 1844. Dal 1982 al 1986, sempre per iniziativa del parroco don A. Guerrini, vennero acquisite alla chiesa varie statue in legno, opera della Ditta Demetz figlio, della Val Gardena, come quelle dell'Immacolata, dei 4 Evangelisti, di S. Giuseppe, del S. Cuore, della Pietà. Sono tutte alte cm. 150.
  
  

Versione attuale delle 14:26, 2 nov 2021

MAIRANO (in dial. Mairà, in lat. Mairani)

Borgata a SO di Brescia, 1 km. circa ad O della strada provinciale Brescia-Quinzano-Cremona, a km. 16,9 dalla città, a 96 m. sul livello del mare. Ha una superficie comunale di 11,34 kmq.. È lambita a E dalla seriola Molina. Comprende la frazione Pievedizio a N. Le cascine rilevanti sono Babbiò, Canino, Feniletto, Godi (i Gucc), S. Francesco, Tesette. In dialetto suona Mairà, in latino Mairani. Il nome attuale Mairano appare nel XII secolo; ma il 'Liber Potheris' reca ancora la dizione Mairana. Secondo qualcuno il nome deriva dalla voce prelatina 'mara' o 'marra', che indica un terreno paludoso; altri fa rilevare il tema 'ai', di origine celticogallica, che significherebbe acqua in gran quantità. L'Olivieri invece lo fa derivare dal nome personale romano 'Maiorius', donde poi Maiorianus e Mairano. Secondo il Tozzi potrebbe derivare invece da un 'Marius' (nome che ricorre in due epigrafi), donde Marianus che è il primo nome ufficiale che appare in un documento del X secolo (inventario dei beni del Monastero di S. Giulia a Flero: anni 905-906 col. 714). Comunque il nome indicherebbe il 'fundus' o latifondo di un ricco signore di nome Marianus o Marius. È del resto, quanto si verifica per altre località della zona (come Pompiano, Comezzano, ecc.). Gli abitanti della zona si chiamano Mairanesi. Erano: 450 nel 1540; 730 nel 1570; 700 nel 1580; 450 nel 1601; 690 nel 1609 (di cui 225 utili e 118 famiglie); 600 nel 1665; 550 nel 1672; 590 nel 1699; 583 nel 1703; 603 nel 1714; 560 nel 1715; 648 nel 1728; 600 nel 1729; 654 nel 1741; 672 nel 1742; 650 nel 1754; 640 nel 1767; 661 nel 1813; 986 nel 1873; 1090 nel 1881 (1519 con Pievedizio); 1300 nel 1921 (2200 con Pievedizio); 1987 nel 1951 (2697 con Pievedizio); 1514 nel 1961 (2214 con Pievedizio); 1382 nel 1971 (2032 con Pievedizio); 1309 nel 1981 (1991 con Pievedizio); 1250 nel 1983 (1997 con Pievedizio). Al 31 dicembre 1989 gli abitanti del territorio comunale erano 2017, di cui 1386 a Mairano e 631 a Pievedizio.


Il territorio fu abitato da popolazioni preistoriche ancor prima del 2000 a.C.. Nei Musei di Brescia si conserva infatti un'ascia in pietra verde levigata, proveniente da Mairano e che indica l'esistenza di popolazioni preistoriche dedite alla caccia e anche alla pesca, data l'esistenza di vaste zone paludose, come indicano anche i nomi di cascine (fra cui Godi, in dialetto "Gucc", per indicare i guadi delle numerose rogge) e il nome primitivo stesso di S. Maria di Guto, titolo primitivo della pieve di Pievedizio, nomi derivanti dal vastissimo 'vadum' che si estendeva da Lograto ad Azzano e comprendeva le lame (= paludi) che hanno dato il nome al santuario di S. Maria delle Lame (o della Lama). La parte più fertile del territorio, ma anche quella paludosa, venne interessata dalla vasta centuriazione romana, cioè dalla divisione di terre date in premio ai legionari romani. Secondo gli studiosi più accreditati, da Mairano a Scarpizzolo passava il trentesimo decumano della centuriazione stessa. Ciò avallerebbe anche l'esistenza di un 'fundus' di un certo Maioranus o Marius, nome quest'ultimo che ricorre in alcune epigrafi bresciane, fra le quali una trovata a Bagnolo Mella. Il suffisso "ano" indicherebbe esso stesso l'esistenza di un fondo agrario particolarmente rilevabile per l'incrocio in luogo dei "limites", ossia i confini della centuriazione. Di rilievo sono i ritrovamenti archeologici di epoca romana. Nel 1828 veniva donato al Museo Romano un frammento di lapide dedicatoria a "Caius Caesar divi filius pontifex consul imperator" trovato a Pievedizio: l'iscrizione è dedicata a Ottaviano ed è databile tra l'assunzione del consolato (43 a.C.) e l'adozione del titolo di imperatore (40 a.C.). Nel 1882, in un'ortaglia del conte Calini, emergeva una mano votiva (h. 0,12 x 0,75) di Giove Sabazio in bronzo, decorata da simboli di animali vari. Il 30 aprile 1883, a Vallabio, in una proprietà del conte G.B. Maffoni, vennero alla luce alcuni vasi cinerari e monete, che furono poi donati al Museo Romano. Infine, nel 1945 venivano collocati nel parco di palazzo Calini alcuni interessanti pezzi, fra i quali uno con la figura di Attis, racchiusa entro una nicchia centinata. Vi possedette beni il Monastero di S. Giulia, individuati da studiosi fra i quali il Pasquali in quella "Curte Mariano" che compare in un documento del 905-906, con due case, tre caminate (con questo nome si indicava nell'alto medioevo la casa-abitazione dotata di camino per il fuoco), 150 moggi di terra arabile, vigna, selva per l'allevamento di 100 porci, un mulino. I prebendari erano nove. Lo stesso documento cita anche una 'curie Gutus', ma gli studiosi più recenti vi vedono più Goito mantovano, che i Godi di Bagnolo o di Pievedizio. Il 12 aprile 1059 il prete Ingezone di Pieve Terzani (Cremona) lascia, tra gli altri, alcuni beni nel territorio di Corticelle e di Mairano al Monastero di Leno. Vi si accenna al castello di Mairano. Rapporti intercorrono fra Mairano e i Monasteri dei SS. Cosma e Damiano e di S. Chiara. Presenti anche i monaci cluniacensi, come attestano l'esistenza nel territorio del culto di S. Martino e di S. Antonio Abate e il nome della roggia Benedettina (oggi chiamata "Bellettina"). Furono questi monasteri che continuarono, come indica l'esistenza della roggia Benedettina, l'opera di bonifica già iniziata in epoca romana. Bonifica che fu poi continuata dai Chizzola, dai Calini, dai Nigolini, dagli Stella, dai Confalonieri e da altri; sarà portata a compimento però soltanto negli anni 1920-21 con l'intervento dei Ministeri dei Lavori Pubblici e dell'Agricoltura che fecero eseguire nella zona dei comuni di Azzano Mella, Torbole Casaglia, Lograto, Mairano e Maclodio opere poderose e definitive. Come aveva fatto parte di un vasto pago, il territorio mairanese entrò a far parte della Pieve d'Izio. Forse, come opina il Guerrini, il nome deriva da quello che fu per eccellenza il simbolo cristiano: il pesce, di cui dovevano essere ricche le acque sorgive e stagnanti della zona. La parola 'pesce', in greco, la più antica lingua ufficiale della Chiesa, è 'ictus' e le cinque lettere sono le iniziali delle parole (sempre in greco) "Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore", che è un'autentica professione di fede; ecco spiegato il perchè della diffusione di questo simbolo anche ai nostri giorni. L'ipotesi, suggestiva ma solo fantastica, immaginerebbe il simbolo del pesce scolpito o dipinto sulla facciata o sul portale della chiesa, l'italianizzazione del nome (Plebs de ictio, Pieve d'iczio, Pieve d'Izio, e finalmente Pievedizio) e perfino il perchè della dedica della prima chiesa mairanese a S. Andrea Apostolo, il pescatore di Galilea diventato patrono dei pescatori. In realtà gli studiosi di toponomastica, pur nella perplessità, propendono ormai tutti per una interpretazione di composizione con un nome di luogo o di persona, quale un Oditius o un Iccius. Il 9 settembre 1148, sostando nel Monastero di Leno, Papa Eugenio III con la bolla "Aequitatis" confermava al Capitolo della Cattedrale, assieme a molte altre, la cappella di S. Andrea Apostolo in Mairano ("in Mairano Sancti Andreae Apostoli"), già assegnata dal suo antecessore Papa Onorio. Il 10 agosto 1175 Papa Alessandro III, confermava con un'altra bolla, scritta da Ferentino ai canonici della Cattedrale di Brescia, il rapporto tra la cappella di S. Andrea in Mairano e il Capitolo stesso della Cattedrale. Subito dopo, però, lo stesso Papa Alessandro III, con la bolla datata da Venezia (Rialto) il 2 agosto 1177 e indirizzata a Rufo, arciprete di Azzano, toglieva al Priore cluniacense di Provaglio d'Iseo, che aveva seguito l'imperatore Federico Barbarossa nella lotta contro la Chiesa Romana e i Comuni lombardi ad essa alleati, tutti i diritti che erano stati concessi sulla chiesa di S. Maria di Pievedizio, restituendoli alla Pieve di S. Pietro di Azzano, matrice della cappella di S. Andrea di Mairano, che divenne poi parrocchia autonoma intorno al secolo XV. Nella bolla vengono citate la Chiesa di S. Geraldo "in castro Ma(i)rani", la cappella dei SS. Gervasio e Protasio, la cappella di S. Andrea e inoltre la cappella di S. Martino de Guto e quella di S. Maria "de Piuvidicis". Senonchè la cappella di S. Andrea si trova ancora confermata al Capitolo della Cattedrale dalla bolla di Papa Urbano III, da Verona, del 10 dicembre 1186. Questa cappella di S. Andrea, contesa in seguito tra la Pieve di Azzano e il Capitolo, verrà poi assegnata alla prima col canone annuo di un denaro e di una candela ai canonici. Il Guerrini suppone che il trasferimento del centro pievatico sia stato imposto dalla natura paludosa e malsana del territorio di Pievedizio, poi bonificato specialmente dai monaci cluniacensi. Il paese vero e proprio si formò poi intorno ad un castello, che, in dimensioni ridotte (m. 70 x 10), sorgeva al centro del paese, a sud dell'attuale piazza. In alcuni documenti si accenna anche a una cinta muraria, poi completamente distrutta. La borgata andò assumendo sempre più importanza, come indicano i numerosi personaggi mairanesi che compaiono nel Liber Potheris Brixiae e in altri documenti fino al sec. XII. Nel 1173 Trento da Mairano era uno dei sette consoli di Brescia, lodati per aver riportato giustizia, progresso, concordia e per aver istituito il Mercato Nuovo. Nel 1180 è ricordato Trucaro da Mairano, nel 1184 Presbiter è consule di giustizia del Comune di Brescia; nel 1191 si menziona Proteceslao, nel 1200 Graziadio, nel 1198 Lanfranco q. Trento (teste in un atto siglato a Castelcaleppio). Tra i numerosi Mairanesi presenti in città, sono da citare: nel 1219 Egidio, Protenzolo e Retemundo, presenti nella determinazione dei confini di Volpino; ancora Protenzolo, console della giustizia a Brescia; Benvenuto, che nel 1277 è uno dei nove eletti per un'inchiesta sui beni comunali occupati abusivamente in città nelle Chiusure e sul monte Denno; nel 1238 Alberto, che è console di Brescia durante l'assedio di Federico II e con fra Alberico da Gambara ideatore del piano regolatore di Brescia; nel 1292 Pietro e Federico, che sono sapienti nel Consiglio dei Centro, convocati contro i "malesardi"; e altri ancora. L 'estimo di Gian Galeazzo Visconti registra Mairano nella "Quadra de Capriano cum Mayrano" ed è, dopo Castelmella, tra i comuni di maggiore estimo. Nel 1406-1409 hanno beni in Mairano Bartolomeo Prandoni, Crescimbene q. Zuchino (o Zucho), Giovannino Fisogni, gli eredi di Marco Peschiera e Venturino de Suarre (o Luarre), obbligati in quanto nobili a versare tributi alla signoria di Pandolfo Malatesta. Sotto il Malatesta, Mairano divenne centro di una Quadra comprendente Flero (con Contegnaga), S. Zeno Naviglio, Brandico, Ognato, Pievedizio, Frontignano, Barbariga, Longhena, Bargnano, Castelgonelle, Castelmella, Onzato, Verziano. Capoquadra rimase poi anche sotto la Repubblica Veneta. Fra i nobili rurali che compaiono in Mairano negli estimi dal 1426 al 1498, si registrano Giovanni Sala, Pietro e Cristoforo de Varentonibus, Giovanni Antonio q. Belanda, Battista e fratelli Beduschi, Bertazzolo e Antonio Girelli, Antonio q. de Brixianis, Maffeo Anderboni. Rilevanti beni possiede nel secolo XV Giorgio Feroldi q. Giacomo q. Giorgio. Nel 1438, durante l'assedio del Piccinino a Brescia, si distingue Cabrino Girelli da Mairano "bombarder", che nel giorno di S. Lucia uccise al Roverotto ben 19 nemici (in quel giorno glorioso per Brescia furono lui e i suoi compagni a spaventare e mettere in fuga il Piccinino e non i SS. Faustino e Giovita, miracolosamente apparsi solo nelle scuse del capo delle sconfitte truppe viscontee, che se ne fuggì dicendo di essere venuto a combattere con gli uomini e non con i Santi). Le sue alte benemerenze furono sempre riconosciute e ricompensate dal Comune di Brescia, che gli assegnò la nobiltà e addirittura un sussidio straordinario in vecchiaia. La Repubblica Veneta poi, confermando l'importanza assunta da Mairano, lo costituiva centro di un Vicariato. Come vicario veniva inviato un nobile della città di Brescia, il quale durava in carica per due anni. Il Vicariato si chiamò poi Quadra. Tra i momenti più difficili della storia di Mairano sono da segnalare quelli vissuti nell'ottobre del 1453, quando, alla notizia delle stragi compiute dalle truppe francesi a Pontevico, Mairano consegnò spontaneamente il suo castello a Francesco Sforza. Qualche mese dopo, la Quadra di Mairano otteneva dalla Repubblica di potersi governare da sé; ma non potè impedire nel 1473 che venissero staccati Flero e S. Zeno Naviglio, che furono inclusi nella Quadra di Bagnolo Mella. Ciò fu dovuto, forse, ad uno spiccato spirito di indipendenza dei Mairanesi, che alla fine del '400 trascinarono, per questioni particolari, la città davanti ai tribunali di Venezia.


Già almeno dal secolo XIV possedevano beni a Mairano i Chizzola di Erbusco, che agli inizi del sec. XVII, con Ferdinando (nato nel 1605) comperarono da Lucio Feroldi una casa. Nel 1687, oltre alla casa, i Chizzola possedevano anche 461 piò di terra. Verso la metà del '700 la casa e parte dei beni vennero acquistati dal conte Diogene Valotti. Questa casa, passata attraverso il matrimonio al nobile Lelio Valotti, fu poi venduta nel 1926 ai Tinti. La presenza nobiliare che si è maggiormente protratta nel tempo è quella dei conti Calini, che si è estinta agli inizi degli anni 1980 con la morte della contessina Camilla, la quale ha disperso in una serie di lasciti privati il patrimonio familiare, senza curarsi di lasciare un'istituzione o un'iniziativa che permettessero di fissare un ricordo duraturo della sua famiglia e del suo nome. Altra famiglia nobiliare presente almeno fin dal sec. XV è quella dei Feroldi, che vi ebbero proprietà e un palazzo al quale accennava già nel 1517 Giorgio Feroldi, scrivendo di un "casezato" (nel quale Fausto Lechi individua ancora l'attuale casa Tinti), a cui facevano capo 225 piò di terra. Ad una casa padronale non ancora finita si riferiva nel 1588 un altro Giorgio Feroldi. La casa e le proprietà passarono poi al figlio Lucio e da questi a Vincenzo, con il quale i Feroldi scomparvero da Mairano. Il "catastico bresciano" di G. da Lezze (1609/1610) ricorda altri nomi nobiliari: Merini, Prandoni, Borgondii, Peschera e cita anche i nomi dei contadini principali dell'epoca: Penzandelli, Marizoni, Caiadi, Antonelli, Bernardi, asserendo che a Mairano c'erano "1563 piò di buon terreno, di cui i migliori valgono 400 L. e producono 2 some di frumento a piò", con ottima produzione di pane, vino, legna e lino, con grano e vino superiori al fabbisogno. Sulla fine del sec. XVII vennero creati i Monti delle Biade. In sostanza Mairano visse da vicino le vicende militari, politiche ed economiche della Repubblica Veneta e, come quasi tutto il territorio bresciano, venne infestato, specie nei secoli XVI-XVII da malfattori e banditi. Un Gerolamo Bona di Mairano (secondo altri però è di Brescia), acceso giacobino, all'arrivo degli Austro-Russi nel 1799, venne imprigionato e trasferito in Dalmazia. Durante il dominio napoleonico venne costruito il nuovo Cimitero, benedetto il 10 febbraio 1811 e poi ampliato nel 1853. Nel 1815 Mairano assorbiva anche il Comune di Pievedizio e, poco dopo, entrava a far parte del distretto di Bagnolo Mella. Il 24 marzo 1848 un grosso contingente di truppe austriache in ritirata si acquartierò tra Mairano e Brandico. Con delibera del Consiglio Provinciale del 23 aprile 1884, veniva staccata da Mairano e aggregata al Comune di Lograto la cascina Vallabiò.


Verso la fine dell'800 Mairano visse anni difficili e di grande povertà: la popolazione fu provata dalla fame e dalla pellagra. In soccorso dei pellagrosi, nel 1897 venne aperta una cucina economica, che ospitò in un solo anno 32 pellagrosi. Una certa ripresa si registrò nel primo dopoguerra. Nel 1920, infatti, venne dato il via alla sistemazione del centro, che culminò nel 1933-34 con il restauro della sede municipale, su progetto dell'arch. Guerrini. Lo stesso architetto negli anni Venti rinnova il cimitero. Nel frattempo, con R.D. del 18 ottobre 1927, erano stati aggregati a Mairano i Comuni di Brandico e di Longhena; il primo si distaccherà poi nel 1946, il secondo nel 1948. Nel 1931, ancora su progetto del'arch. Vincenzo Guerrini, veniva restaurata la facciata della chiesa parrocchiale, completata con una scalinata e basamento in pietra e coronata di un nuovo attico, contemporaneamente alla costruzione della nuova canonica a lato della chiesa. Nel secondo dopoguerra veniva coperto il vaso Gattinardo e costruito un vasto edificio scolastico. Nel 1988 venne avviato il recupero del centro con la ricostruzione completa del municipio (inaugurato nel 1990) e la messa in programma di una serie notevole di opere pubbliche, la cui ultimazione è prevista nei prossimi anni. Mairano è presente nello sport calcistico provinciale con la U.S. Mairano, che nel 1976 si era fusa con la Trenzanese, formando la "Tre-Mairano", unione non durata però a lungo. Nel 1983, infatti, si è ricostituita l'U.S. Mairano che nel 1990 militava nel campionato provinciale di seconda categoria. Una proficua collaborazione tra Comune e Parrocchia aveva creato nel 1981 il "Palio delle contrade" e l'"Autunno Mairanese" , manifestazioni ottimamente riuscite fino al 1985, poi azzoppate da eccessi di campanilismo e di polemiche a sfondo politico, che si sta cercando di rivitalizzare e rilanciare. Nel 1983 per iniziativa del maestro Dino Gregorio venne costituito un Museo della Civiltà contadina. ECCLESIASTICAMENTE il territorio mairanese fece dapprima parte della Pieve d'Izio, oggi Pievedizio. Forse per l'impraticabilità del terreno, dovuta alle paludi e alle lame, nei secoli IX-X Mairano e Pievedizio stesso passarono con Capriano nell'ambito della Pieve di S. Pietro di Azzano, alla quale Papa Alessandro III riconfermava, con bolla del 10 agosto 1175, fra i vari possedimenti, anche la chiesa di S. Geraldo "in castro Ma(i)rani", oltre le cappelle di S. Andrea e dei SS. Gervasio e Protasio a Mairano e quelle di S. Martino de Guto e di S. Maria a Pievedizio. S. Andrea fu probabilmente la prima chiesa parrocchiale di Mairano e la dedicazione proviene quasi certamente dalla pescosità delle lame e delle rogge, numerose nel territorio. Questa chiesa però non sorgeva sul luogo dell'attuale parrocchiale, ma in aperta campagna; su tale luogo sorgeva invece un ospizio o xenodochio, dedicato probabilmente a S. Giacomo Apostolo e poi a S. Cristoforo, il cui culto ad un certo punto sostituì quelli precedenti. Nel catalogo dei beni ecclesiastici del 1410 è citata la chiesa di S. Gervasio, che possiede due benefici del rispettivo valore di una e due lire. Invece nel catalogo del 1532 viene registrata come chiesa parrocchiale quella di S. Andrea, la cui assegnazione veniva fatta dal Capitolo della Cattedrale. È opinione di Paolo Guerrini che poi, enucleandosi sempre di più l'abitato intorno al castello, il parroco abbia abbandonato l'antica cappella campestre di S. Andrea e sia andato a risiedere in paese, probabilmente presso il suddetto ospizio dedicato prima a S. Giacomo e poi a S. Cristoforo, dove però nel 1540 era già stata ricostruita "per comodità del popolo" la chiesa dei SS. Gervasio e Protasio, titolo che poi diventò "di S. Andrea e dei SS. Gervasio e Protasio". Gli atti e relazioni delle visite pastorali dei vescovi di Brescia che hanno inizio nel 1540, ci offrono molti dati interessanti. La prima visita fu compiuta da Mons. Annibale Grisonio il 6 ottobre 1540; il visitatore annota che la parrocchia porta il titolo dei SS. Gervasio e Protasio Martiri e che le anime di Mairano erano 450. Il vescovo Domenico Bollani, nel 1565, dice che la chiesa di S. Andrea è ancora diroccata; mentre nel 1573 Mons. Cristoforo Pilati parla di una chiesa campestre col titolo di S. Andrea che sembra far capire sia stata, almeno in parte, restaurata. Nel 1573, oltre all'altar maggiore, ve n'era un altro dedicato alla Madonna. Il 1580 registra la celebre "visita di S. Carlo", che però non venne personalmente a Mairano, ma vi mandò Mons. Girolamo Arabia, il quale constatò che in chiesa vi erano quattro altari e inoltre vi era una sagrestia e la casa parrocchiale annessa. Nel 1594 venne a Mairano Mons. Giandomenico Diedo, vescovo di Crema, il quale lasciò una nota piuttosto singolare: "Da tempi remoti la chiesa di Mairano ha due campane, ma vi è una lite tra la parrocchia ed il comune circa le spese da farsi per queste due campane". Si può però pensare che il diverbio sia stato presto superato, in quanto nel 1601 il vescovo Mons. Marino Giorgi scriveva che tutte le spese per la manutenzione - ordinaria e straordinaria - della chiesa venivano ripartite tra il parroco, i nobili del paese ed il Comune, un terzo per ciascuno. Gli atti di questa visita elencano gli altari: il maggiore, l'altare del SS. Sacramento, l'altare dell'Immacolata Concezione; non viene menzionato il quarto. Nel 1630, per voto fatto durante la peste, il Comune fa erigere un altro altare in onore dei Santi Rocco e Cristoforo. Lo stesso vescovo M. Giorgi, nel 1601, ordinava anche di ampliare di quattro cubiti la cappella dell'altar maggiore. Nel 1672 l'unica chiesa che risulta esistente nel territorio della parrocchia di Mairano è quella di S. Andrea, in mezzo al paese. Risultando però questa chiesa troppo piccola e cadente, verso la fine del sec. XVII e agli inizi del secolo XVIII si impose il problema di edificare una nuova chiesa. Un disegno a penna acquarellata del coro della parrocchiale, con la licenza di edificazione, datati 5 maggio 1695 e giacenti presso la Biblioteca di Breno, potrebbe indicare la data d'inizio della costruzione o ampliamento della chiesa esistente. L'impulso decisivo alla costruzione venne dal parroco don Paolo Mazzola (1693-1721) e si può pensare che l'opera fosse terminata nel 1735, quando venne dato il via alla costruzione della torre, terminata nel 1747. Queste date sono apparse con chiarezza nel 1968, durante i lavori di restauro, all'interno del cupolino. Altre date (1743-1744), oltre che confermare i tempi della costruzione, hanno permesso, con la loro ubicazione, di puntualizzare negli anni menzionati l'altezza raggiunta. È stata trovata anche un'altra iscrizione all'esterno, su uno dei riquadri sottostanti la cella campanaria, ma nessuno è riuscito a decifrarla perchè ormai del tutto illeggibile. Tutte queste date sono però rozzamente incise nell'intonaco, per cui sono fatalmente destinate a scomparire. Le misure della torre sono le seguenti: altezza dalla base alla cella campanaria: m. 40; dalla base della cella campanaria al cupolino: m. 14,90; altezza cupolino: m. 5,20; basamento Croce: m. 1; Croce: m. 3,90; altezza complessiva: m. 65. È ritenuta una delle più belle della Bassa Bresciana. Una tradizione locale vuole che per costruirla sia stata aperta una apposita fornace e che nei giorni festivi la popolazione facesse una catena per il trasporto dei mattoni. Un fulmine il 7 maggio 1968 danneggiò seriamente la torre, ma non fu che il colpo di grazia, giacché si trovava in condizioni disastrose. I lavori di restauro subito ordinati con solerzia dal parroco don Luigi Bonomini (1950-1979), vennero affidati in un primo tempo all'ing. dott. Co. Antonio Lechi di Brescia; in seguito alla sua rinuncia per motivi non dipendenti dalla sua volontà, passarono poi all'ing. Gino Zappa di Ghedi. I lavori furono eseguiti dalla ditta Ubaldo Panizza di Trenzano nello stesso anno 1968. Restauri alla chiesa vennero progettati nel 1873-76 dall'arch. Antonio Tagliaferri ed eseguiti nel 1881. Nel 1919, per lo zelo di don Girolamo Pavanelli, venne eseguita la decorazione dai pittori Giuseppe e Vittorio Trainini, cui seguì finalmente la consacrazione della chiesa, effettuata il 16 ottobre 1920 da mons. Giuseppe Rovetta, ex-abate di Montichiari e vescovo di Cassano Jonio. Un'iscrizione posta sulla controfacciata della chiesa, sopra la bussola, ne consacra la memoria: "Templum hoc - anno 1881 restauratum - nunc digne exornatum - Jos. Rovetta - Ep. Cassanen. - die 16 octobris 1920 - consacravit". Nel 1930-31, su disegno dell'architetto Vincenzo Guerrini di Bagnolo Mella, venne rinnovata completamente la facciata, che, conservata nelle sue linee primitive, venne completata con una scalinata e basamenti di pietra e coronata con un nuovo attico. Nel 1953, per opera del parroco don Luigi Bonomini, la chiesa venne finalmente dotata di uno splendido pavimento marmoreo. Radicali lavori di restauro vennero infine compiuti per iniziativa del parroco don Amatore Guerrini, sostenuto da un gruppo di validi collaboratori, dal 1982 al 1990 così scanditi: 1982-83: restauro completo del tetto della chiesa; 1983: restauro delle vetrate (n. 12) e dei lampadari in legno (ditta Poisa); 1984: nuova porta centrale della chiesa, nuova grande vetrata sulla facciata, raffigurante la vocazione di S. Andrea, su disegno di don Luigi Salvetti; 1985 restauro facciata della chiesa; 1986: rifacimento completo della sagrestia, sistemazione delle cantorie (con nuovi lavori in legno scolpito e dorato sugli specchi della ditta Poisa di Brescia); 1987: rifacimento integrale intonaci e tinteggiatura dei lati nord e ovest della parrocchiale, restauro confessionali; 1988: costruzione della cappella invernale-feriale; 1989: restauro lato sud (rifacimento integrale intonaci e tinteggiatura); 1990: restauro degli affreschi dei Trainini, ad opera del pittore Albino Ranesi di Gavardo, nuovo affresco nella cappella del battistero. Con il parrocchiato di don Girolamo Pavanelli si ebbe una rivitalizzazione della vita cristiana in termini più aggiornati. Il 27 novembre 1921 venne eretta regolarmente la Congregazione del Terz'Ordine Francescano, riattivata poi nel 1941, riorganizzata nel 1947, quando venne eretta anche la Congregazione Maschile. Accanto si sviluppò l'Azione Cattolica, fiorirono gli oratori. Nel 1982, col parroco don Guerini, venne ricostruito dalle fondamenta il teatro parrocchiale. Negli anni '80, anche la canonica subiva radicali interventi di restauro. L'interno della chiesa. Molto bello è l'altare maggiore, opera - secondo Sandro Guerini - di artisti rezzatesi. Il paliotto, forse di Vincenzo Baronzini, presenta una ricca decorazione a commesso, composta da foglie e fiori policromi ed è quasi identico a quello della chiesa di S. Gaetano a Brescia. La parte migliore della decorazione sono però il medaglione marmoreo, con la rappresentazione del martirio di S. Andrea Ap., e due statuette in botticino, sopra il tabernacolo, raffiguranti gli apostoli Pietro e Paolo, opera di Antonio Callegari. Le piccole statue fremono di vita e hanno l'immediatezza dei modelletti conservati nella Pinacoteca Tosio Martinengo. La datazione del complesso è assegnata al 1742 dall'epigrafe dietro il tabernacolo, che suona "D.O.M. Pietas Co: Vincentii Buccelleni - MDCCXXXXII". L'opera pittorica più significativa della chiesa è la pala, di Angelo Paglia, ascrivibile - sempre secondo Sandro Guerini - al 1725-30. È ad olio su tela, di cm. 200 x 165, con tela centinata, firmata in basso a sinistra (Angelus Palea/F). Il dipinto raffigura il martirio di S. Andrea ed è costruito sui due grossi pali della Croce del martirio che si intersecano sullo sfondo. La bianca figura del Santo domina il punto focale della tela e spicca sullo scuro del fondale, innalzandosi anche illuministicamente sugli altri personaggi. La luce scende dall'alto, a destra dell'osservatore, al modo dei dipinti di Francesco Paglia - del quale qui è vivissimo il ricordo - ma pure alle spalle si trova una sorgente luminosa contro la quale si stagliano alcune figure che sembrano strettamente imparentate con i pitocchi del Ceruti. Sul secondo altare a destra c'è una significativa pala di Enrico Albricci raffigurante la morte di S. Giuseppe (olio su tela, cm. 278 x 227). Il panneggiare ricco e mosso, ma anche 'cartaceo' nelle figure di Giuseppe e di Gesù, fa da contrasto - secondo un modo di fare tipico dell'Albricci, che alterna nello stesso quadro episodi di grande compiutezza formale a momenti di estrema semplicità e di pressapochismo - con il vestito della Madonna, realizzato con schematici piani. Evidenti richiami al Pittoni nella figura di S. Giuseppe, vicina a quella di S. Andrea Avellino morente, e al Pollazzo nel quadro di S. Nazaro a Brescia (nell'immagine del Cristo che alza l'indice al cielo) offrono indicazioni per la datazione di questo dipinto, che si potrebbe porre intorno al 1750. L'organo è stato costruito dalla ditta Serassi di Bergamo nel 1844. Dal 1982 al 1986, sempre per iniziativa del parroco don A. Guerrini, vennero acquisite alla chiesa varie statue in legno, opera della Ditta Demetz figlio, della Val Gardena, come quelle dell'Immacolata, dei 4 Evangelisti, di S. Giuseppe, del S. Cuore, della Pietà. Sono tutte alte cm. 150.


Particolarmente in venerazione è il Santuario della Madonna della Lama (o delle Lame), le cui origini sono probabilmente da collegarsi con la diffusione della devozione alla Madonna di Caravaggio nei secoli XVII-XVIII, anche se non è da scartare del tutto l'ipotesi che si tratti di una cappella sorta dapprima al centro di un lazzaretto, durante una delle tante e terribili epidemie di peste. Ipotesi che potrebbe essere avvalorata dal fatto che l'edificio sta al centro di una rotonda delimitata ora da pianticelle ornamentali, su un'area mappale ben tracciata in aperta campagna e un tempo a circa trecento metri dalla vecchia strada che congiungeva Mairano con Longhena e Dello. In principio la località era costituita da terreni paludosi, le "lame", poi bonificati; purtroppo però il terreno è comunque umidissimo e deteriora ogni lavoro in tempi estremamente brevi. La rotonda è oggi tagliata a mezzo dalla nuova strada provinciale, che se da un lato ha reso più accessibile il santuario, lo rende anche molto disturbato. Agli inizi vi era una semplice santella, che aveva rozzamente dipinta sul muro l'apparizione della Madonna ad una giovinetta; di questo dipinto si trovarono tracce nei lavori di restauro del 1958. Nel 1705 l'immagine venne coperta con un'altra dipinta ad olio su tela e firmata "Rizzardo Leonsini - anno 1705", raccolta in una preziosa cornice di legno settecentesca. Fu questa l'immagine più a lungo venerata, alla quale nel 1855 si facevano due processioni per devozione. L'immagine, di scarso valore artistico, ma di grande valore affettivo, fu rubata nel 1977; la cornice, abbandonata dai ladri in aperta campagna, è stata recuperata e restaurata e oggi si trova nella sagrestia della parrocchiale a custodire una nuova icona della "Madonna della Lama", di spirito più mairanese, dipinta da don Luigi Salvetti e destinata in un futuro più o meno prossimo ad essere l'icona di un santuario rinnovato. Crescendo la devozione, fu costruito davanti alla santella un portico poggiante su pilastri e delimitato da un muricciolo di cinta. Ma essendo esso diventato di notte ricettacolo agli zingari e di giorno, specie in caso di pioggia, comodo rifugio agli uomini e agli animali, con relativo discapito per il raccoglimento e il rispetto dovuto ad un luogo sacro, fu deciso negli anni cinquanta di chiudere il porticato con muri, così da creare un vero e proprio grazioso tempio. Il santuario risulta in tal modo costituito da una piccola navata rettangolare e da un piccolo presbiterio sormontato da una cupoletta. Nel 1958 furono fatti al santuario nuovi e radicali restauri: fu rifatto il tetto, il pavimento, i banchi e il vecchio altare in legno, logoro e senza pregi, fu sostituito con uno di marmo; furono pure restaurati il quadro e la soasa settecenteschi e rimossa la pesante cancellata in ferro che impediva l'accesso e la visuale del presbiterio. Nel 1970 il santuario fu ridipinto a nuovo internamente ed esternamente e venne sostituito il portale gravemente manomesso dai vandali con un nuovo e robusto portale di sicurezza in ferro e cristallo, che riproduce il disegno delle inferriate delle finestre. Dopo il furto del quadro, avvenuto nel 1977, ad un anno di distanza venne fatta eseguire una tempera sulla parete, riproducente lo stesso soggetto (l'apparizione di Caravaggio - pittore L. Salvetti). Nel 1981 si mise mano ancora ad un restauro completo, con il rifacimento di quasi tutti gli intonaci interni ed esterni, la costruzione di un marciapiede intorno al sacro edificio nel tentativo - purtroppo vano - di allontanare un po' di più l'umidità, la ridipintura integrale interna ed esterna ad opera del decoratore Francesco Begni da Carpenedolo, il completamento della siepe ornamentale, portata in tale data a circondare tutta la rotonda. I lavori furono resi possibili dalla generosità dei F.lli Cacciamali, che li dedicarono alla memoria della loro madre defunta nel 1974 e continuarono con altre opere anche in seguito. Attualmente il santuario corre non pochi rischi per il progetto dell'allargamento della strada provinciale; si spera in un atteggiamento ragionevole che consenta di riprogrammare tutta la zona del santuario, a beneficio della memoria, della devozione e anche della sicurezza di chi lo frequenta. A tale cure ha sempre corrisposto la viva devozione dei fedeli, che accorrono devotamente a pregare, specie al sabato, nel mese di maggio e in occasione della festa annuale che si celebra il lunedì di Pasqua con Messa solenne all'aperto e nel giorno anniversario dell'apparizione di Caravaggio (26 maggio). Negli annali del Santuario sono rimaste annotate le feste solenni celebrate nel 1911 e documentate da una stampa del tempo, che riproduce l'immagine dell'apparizione della Madonna di Caravaggio con la seguente didascalia: "Festeggiando solennemente per voto del popolo l'anniversario della incoronazione della Madonna della Lama di Mairano - 17 aprile 1911".


Una cappella dedicata a "Maria SS. Immacolata" e destinata alle funzioni infrasettimanali, soprattutto del periodo invernale, venne costruita negli anni 1987/88 e benedetta solennemente dal vescovo ausiliare Mons. Olmi il 13 marzo 1988. Nata come esigenza di avere un locale ridotto per alcune funzioni particolari, il progetto iniziale è andato via via precisandosi e continuamente migliorando, fino a concretizzarsi nell'idea di lasciare un ricordo particolarmente significativo della celebrazione dell'anno mariano 1987/88. La cappella è dotata di una serie di opere moderne efficacemente collocate. Vi dominano la figura di Cristo Redentore (una bella statua, proveniente dalla Val Gardena, alta cm. 150), il tabernacolo (col Cristo trionfatore sul peccato e sulla morte e dodici angeli disposti a raggiera intorno alla Croce) e l'altare, altro notevole lavoro della Val Gardena, che pur mantenendo Cristo al centro del discorso, comincia a sviluppare anche il tema mariano della cappella. Il Natale, raffigurato al centro, con due angeli solenni e musicanti ai lati, presenta infatti, con l'inizio della storia della salvezza, il titolo più grande di Maria: quello di "Madre di Dio" a lei consacrato dal Concilio di Efeso. L'ambone, con i simboli dei quattro evangelisti, completa gli arredi del presbiterio; è pure un lavoro dell'artigianato gardenese. Cinque vetrate, eseguite su disegno di don Luigi Salvetti, arricchiscono di colori la chiesetta, proponendo il discorso mariano, che svolge il tema: "Maria, Madre dell'uomo del nostro tempo, lo scuote con le sue apparizioni, lo invita alla conversione e alla preghiera, lo rassicura che la storia è guidata da Dio e non dall'uomo e perciò avrà una conclusione gloriosa; camminando con Lei e nella Chiesa non dovremo temere alcun male". La prima vetrata, tra le due porte d'ingresso, è introduttiva e propone l'Annunciazione; tre vetrate raffigurano le principali apparizioni del nostro tempo (Lourdes, Fatima, Medjugorje); la quinta raffigura il trionfo del Cuore Immacolato di Maria, promesso a Fatima ed espresso nel segno di pace ("Mir" in russo).


Nel Cimitero, in comune con Pievedizio e costruito nel 1810, ampliato e abbellito nel 1892, raddoppiato nel 1927 e di nuovo ampliato nel 1970, è da segnalare la cappella centrale, voluta all'interno come luogo di culto e di sepoltura dei sacerdoti e all'esterno come monumento per i caduti della prima guerra mondiale. Si spiega così lo stile fastoso e celebrativo della facciata, che risale al 1927: colonne a fascio, lapide col bollettino della vittoria, un'altra lapide con il nome dei caduti. In alto, nello stesso 1927, Vittorio Trainini aveva dipinto un bell'affresco (la Patria che veglia il soldato caduto, con a lato due angeli maestosi con la candela accesa in mano). Questo dipinto, distrutto dalle intemperie e dalle infiltrazioni d'acqua, fu sostituito nel 1981 da una Deposizione di Giacomo Olini, che però ebbe vita breve per le infiltrazioni d'acqua non debitamente eliminate. Dal 1984 fa bella mostra di sè un mosaico di Giacomo Trombini, di 10 mq., che presenta il Cristo Risorto come seme e garanzia di futura risurrezione per l'uomo.


Sono scomparse la chiesa dedicata a S. Gervasio, nominata in atti del 1410, e quella di S. Rocco, cui accenna la visita pastorale del vescovo Bollani del 1565. Nessuna traccia, naturalmente, è sopravvissuta dell'antica cappella di S. Andrea, della quale non si conosce nemmeno l'esatta ubicazione. C'è ancora, ma è del tutto inservibile e praticamente irrecuperabile (è andato disperso tutto l'arredamento, tra cui tre tele settecentesche) la chiesa dedicata a S. Carlo Borromeo, legata al palazzo Valotti-Tinti e ancora segnalata nell'annuario diocesano del 1966; si tratta, probabilmente, dell'oratorio edificato dal nob. Ferdinando Chizzola, di cui esiste disegno e atto notarile sotto la data 21 aprile 1745 e dedicato a S. Giovanni Nepomuceno. Cinquecentesca è la casa Chizzola, poi Valotti e poi Tinti, che Fausto Lechi descrive come una "nobile costruzione col muro in cotto a vista in ogni sua parte, compreso il portale; essa richiama il palazzo Bertazzoli di Bagnolo Mella. Anche nell'interno, verso il cortile, è ugualmente in cotto: ha un bel porticato con pilastri in muratura e sopra una strana loggia ad arcate larghe, aeree, architravate. Delle sale non esiste che quella principale a mattina dell'androne, col suo bel camino in pietra del sec. XVI e con cenni di pitture che può darsi ancora esistano sotto lo strato di calce dato alle pareti. Una sala più piccola, con camino barocco, vi è anche nel lato di sera". In frazione Pievedizio sorge il maestoso castello o villa dei Soncini (v. Pievedizio). Ogni cinque anni (1990 - 1995 - ecc.) si celebrano le Feste Quinquennali, dedicate alla Madonna del Rosario e un tempo anche a S. Luigi; di solito è la settimana a cavallo tra settembre e ottobre. La Festa Patronale si celebra a S. Andrea Apostolo, il 30 novembre e la domenica più vicina. Dura ormai da dieci anni la tradizione di offrire alla popolazione, la sera del 30 novembre, un concerto di musica classica e religiosa, eseguito nella chiesa parrocchiale da una delle più rinomate corali bresciane. Oltre al citato Cabrino Girelli "bombarder", resero noto Mairano fuori del paese P. Accursio da Mairano, cappuccino, predicatore e guardiano (morto a Trenzano nel 1802); P. Andrea da Mairano, pure cappuccino, predicatore e missionario per oltre trent'anni (morto ad Alvegnino nel 1801). Discendenti da Cabrino Girelli sono le sorelle Elisabetta e Maddalena Girelli, apostole infaticabili e restauratrici della Compagnia di S. Angela. Di Mairano è il pittore Igino Maffia (v.), affermatosi nel 1923 a Lecco con una esposizione personale del "Paesaggio manzoniano" che fu una grande sorpresa artistica per coloro che intervennero quell'anno a Lecco per la celebrazione centenario del grande scrittore lombardo. Igino Maffia visse modestamente tra scuola e famiglia, ma fu un educatore e un artista di squisita bontà. Vivi ricordi hanno lasciato a Mairano Antida Cernigliaro (Napoli 1934 - Mairano 1962), insegnante elementare, laureanda in lettere, morta in concetto di santità, e il padre suo, dott. Giuseppe Cernigliaro, medico in luogo dal 1938 e ricordato per la sua straordinaria generosità. A quest'ultimo è stata dedicata, il 9 luglio 1978, una lapide e un medaglione dello scultore Bertoli.


L'ECONOMIA. Assolutamente prevalente nei secoli fu l'attività agricola, in continuo sviluppo grazie alle opere di bonifica e alla creazione di una sempre più fitta rete di rogge, fra le quali la Bellettina (Benedettina), la Conta, la Bottirola, la Chizzola, la Pesarda o Pezzarda, la Poncarale, la Gattinarda, la Pola (poi Manerbia), ecc. e il moltiplicarsi delle cascine. Oggi la straordinaria bontà della terra (è di sicuro tra le più fertili della pianura Padana) ha specializzato gli agricoltori nella produzione di ortaggi e soprattutto di radici dolci e di meloni. Nel 1750 vi erano, oltre a proprietari terrieri e contadini, un falegname, un maniscalco, un prestinaio, un macellaio. Esisteva anche un solo mulino, a due ruote. Nel tempo, la produzione si è sempre basata su cereali, foraggi (soprattutto il trifoglio) e sull'allevamento del bestiame (bovino e suino). Fino a non molti anni fa, era sviluppata anche la produzione di bozzoli. Un'altra produzione che risultava sviluppata per il passato è la produzione di vino. Sempre per il passato, vi erano un caseificio e tre essiccatoi. Fino almeno al sec. XVII vi veniva coltivato il lino. Presenti ancora nel 1898 le risaie, apportatrici di malattie e perciò regolate da particolari leggi e norme, tuttavia largamente disattese. Le ultime bonifiche vennero intraprese nel 1921, in seguito ad un decreto-legge del 14 giugno di quell'anno, che classificava di prima categoria 1.018.400 ettari nel comune di Mairano, che entrarono nel piano riguardante le paludi Chiodo, Biscia e Prandona. Il territorio di Mairano, con quello di Longhena, Orzinuovi e Verolanuova, fu tra i più frequentati dai cacciatori e preferito per la caccia al capanno. Un segno del progresso economico fu l'istituzione della Unione Bancaria Nazionale (attiva dal 1927 al 1932) e poi, nel 1938, di una filiale della Banca S. Paolo. Oggi, in paese, esistono una fabbrica di macchine agricole, una di pipe (Gardesana Pipe), officine meccaniche, un'acciaieria, falegnamerie. L'industria maggiore è la Carrozzeria dei F.lli Cacciamali, con oltre cento operai, che fabbrica pullman e pulmini scolastici. Incremento al miglioramento agricolo venne dal "Club 3P", fondato nel 1959, che nel 1972, per la sua attività, ebbe il premio nazionale "Quadrifoglio".


PARROCI: Gambara conte Uberto, di Verolanuova, vescovo di Tortona e cardinale, rin. 1530 circa. Calini nob. Girolamo, canonico della Cattedrale, rin. al nipote, circa 1530-1540. Calini nob. Costanzo, di Mairano, 1540-.... Calini nob. Pietro, di Mairano, ....-1565. Lorenzi Domenico, bresciano 1565-1576. Merici Girolamo, di Brescia, 1576-1581 (passò canonico a S. Nazzaro, indi arciprete di Bagnolo dal 1601 al 1603). Maggini o Mazzini Bernardo, 1581-1602. Martinelli G. Battista, di Gabbiano, 1602-1610. Crotta Florio, di 1611. Maghella Lorenzo, di Ostiano, 1611-1629. Damiani Benedetto, di Mairano, 1629-1660. Cagiada Giulio, di Mairano, 1660-1693. Mazzola Paolo, di Trenzano, 1693-1721. Piovani Marcantonio, di Gambara, 1721-1731. Mazzola Pietro, di Trenzano, 1731-1778. Simoni Ignazio, di Pralboino, 1778-1801. Zanola Giuseppe, di Nigoline, 1801-1809. Pelizzari Angelo, di Bagolino, 1809-1811. Tessadri Francesco Antonio, di Carpenedolo, 1811, rin. subito. Colosio Giuseppe M., di Botticino Mattina, 1812-1823. Manelli Giuseppe, di Isorella, 1823-1855. Rodolfi Giacomo, di Bogliaco, 1855-1879. Spinoni Ferdinando, di Pontevico, 1880-1884. Brunori Giovanni, di Tignale, 1884-1912. Pavanelli Girolamo, di Brescia, 1912-1926. Roncalli Bartolomeo, di Orzinuovi, 1927-1949. Tomasoni Antonio, di Castelcovati, sett.-dic. 1949. Bonomini Luigi, di Fiesse, 1950-1979. Guerini Amatore, di Gardone V.T., 1979-....