LONATO

Versione del 23 apr 2018 alle 22:59 di Pgibe (Discussione | contributi) (una versione importata: Import Volume 07)

(diff) ← Versione meno recente | Versione attuale (diff) | Versione più recente → (diff)

LONATO (in dial. Lonà, Lonàt, Lunàt, in lat. Lonati)

Grosso centro agricolo-industriale nella zona sud-occidentale dell'anfiteatro morenico del lago di Garda. L'abitato più antico raccolto attorno alla Rocca, alla torre civica e alla cupola del Sortino, come città fortificata si estende sulle pendici meridionali del monte Rova, dal quale si domina la pianura e a NE la sponda meridionale del Garda. E' a m. 175-188 s.l.m. Dista da Brescia 23 km.,da Verona 44 km., da Desenzano 6 km. Ha una sup. compl. di 68,61 kmq. Più recentemente la borgata si è sviluppata a SE verso la pianura in direzione della ferrovia Milano-Venezia e a NO lungo la strada che la collega con la Gardesana Occidentale. L'abitato è attraversato dalla Padana Superiore. Più a S scorre l'autostrada Serenissima. Le frazioni più importanti sono Sedena a N, Maguzzano a NE, Esenta a S presso il canale alto Mantovano, Castel Venzago e Centenaro a SE. I centri abitati più rilevanti del comune sono: Bettola, Campagna di Sotto, Castel Venzago, Centenaro, Madonna della Scoperta, S. Cipriano, Maguzzano, S. Tommaso, Sedena, Fossa, Cominello, Drugolo, Maloco, Broderna, Salera, S. Polo. Lo stemma del comune è un leone rampante d'argento rivolto a sinistra con due chiavi nelle zampe sopra il quale son tre gigli rovesciati (concessi da Luigi XII nel 1509) in campo azzurro e lo scudo è sormontato dalla corona civica. Un tale stemma coi gigli rovesciati fa pensare a un'origine somigliante a quello dello stemma di Bedizzole, dove però è la corona rovesciata sopra i gigli di Francia. Un decreto municipale del 7 luglio 1865 ristabiliva lo stemma municipale in un piccolo leone rampante; ma con suo decreto del 9 gennaio Napoleone, con la conferma di Francesco I, ridava a Lonato il primitivo stemma con il leone rampante.


La dizione Lonà corrisponde al dialetto gardesano. Secondo qualcuno il nome potrebbe derivare da un supposto nome etrusco Leuna, secondo altri dal lat. lunatus nel senso di territorio a forma di arcata come la luna. Il Guerrini vede in questo senso la configurazione del territorio fin dal pagus romano, in quanto il territorio gira ad ampio arco intorno a Desenzano. Lo Gnaga lo vede, invece, distendersi ad arco intorno al castello. In effetti il territorio, come ha affermato l'Olivieri, è rimasto entro gli stessi confini dell'antico pago latino senza nessuna spezzettatura; forma da Drugolo a Centenaro e alla Madonna della Scoperta, presso S. Martino della Battaglia, come un grande semicerchio lunare, che abbraccia il bacino inferiore occidentale del lago di Garda. Il pagus, osserva ancora l'Olivieri, trasformato nella pieve, è rimasto nella sua integrità territoriale poichè il comune e la parrocchia di Lonato hanno ancora i medesimi confini, salvo alcune lievissime modificazioni esterne (Drugolo ed Esenta). P. Guerrini è in un secondo momento ricorso invece al latino onesatum facendo derivare il nome (come Ognato, Onsato, Oneda ecc.) da una estesa superficie di ontani (in dial. onès). Altri ancora come Amalia Lorenzoni Viola si è riferita alla radice celto-ligure "lona" che indica frana, caverna, avente in sè l'idea di avvallamento o depressione di terreno con ristagno d'acqua (lone, nelle montagne liguri e trentine). «La voce nizzarda lona corrisponde poi a pozze, piccola laguna, e quella provenzana ha il significato di pantano. Infatti tutta la toponomastica del comune lo conferma con i nomi delle sue località», e con l'esistenza, un tempo diffusa ma ancor oggi evidente, a S. Pietro, Centenaro, Polada (ora prosciugata) Lavagnone e S. Cipriano, di piccoli stagni intermorenici. Il suffisso in ato di Lonato ha valore stativo (come per Castegnato), e cioè dà il significato di raggruppamento di abitazioni in mezzo alle lone, cioè alle paludi. Ottavio Rossi cita senza dire il sito, una lapide in cui veniva ricordato un Publio Emilio Lunato, del tempo di Traiano, dal quale sarebbe derivato il nome della borgata. Il nome ha assunto diverse forme come: Lionam (nel 774 e nell'887), Leonium, Leunado (nel 977), Lunatus (1109), Lunadium, Lunatus (1167), Lonadus e Leonadus (1184), Lonadum, Leonadum, Leonatum dal sec. XV in poi.


I primi uomini apparvero nel territorio lonatese intorno alle "lone" cioè ai laghetti morenici e vicino agli acquitrini delle ondulazioni e delle colline in tempi antichissimi. La zona specie a N di Lonato venne, infatti, popolata da antichissime popolazioni che si stanziarono in vallette su piccoli stagni, usufruendo dapprima di piccoli ripari e poi di palafitte. Sono state individuate, nella zona una dozzina di località preistoriche, con segni di vita del paleolitico e musteriano, cioè agli albori della vita umana, e poi via via del mesolitico, del neolitico specie dell'età del Bronzo. Insediamenti del mesolitico vennero trovati recentemente in località Case Vecchie. In località S. Polo sono state trovate tracce di antichi abitanti che qui vissero nel mesolitico a partire dalla metà del VI millennio a.C.. I rinvenimenti di selci lavorate per circa un migliaio di manufatti, cento dei quali sono strumenti (grattatoi, lame denticolate, punte a dorso...) sono decisamente numerosi. Dunque i primi abitanti di Lonato risalgono a 7-8000 anni fa. Nel 1985 venne rinvenuta un'ascia che per dimensioni, tecnica e lavorazione, può essere attribuita al paleolitico inferiore, quindi a 250.000 anni fa o al periodo acheuleano cioè d'età attorno a 80/100.000 anni fa. Si tratterebbe nella prima ipotesi del più antico manufatto mai rinvenuto in terra bresciana. Dal rinvenimento di una stazione palafitticola in località Polada (v.) ha preso il nome una specifica fase della preistoria italiana denominata, "cultura della Polada" che è attestata anche nell'ex bacino lacustre di Lavagnone, della Palude Lunga nella torbiera di Cattaragne e altrove. Caratteristica fra le altre di questa cultura sono i vasi ad ansa di terracotta grigia. Contrariamente a quanto si riteneva anche sull'attuale Rocca (che veniva fatta risalire intorno al Mille d.C.) vennero alla luce recentemente abbondanti reperti dell'età del bronzo. A questa epoca risale una parte della ceramica rinvenuta che ha le caratteristiche del tipo Polada. Allo stesso periodo è stato attribuito anche uno spillone che in un primo momento si riteneva medioevale o romano ma che risale all'età del bronzo. Ciò confermerebbe come circa due millenni fa, probabilmente attorno al VII- VIII secolo a.C., una comunità preistorica abitò questi pendii e sarebbe estremamente interessante procedere all'effettuazione di una adeguata campagna di scavi. Più tardi, ai margini di una strada preistorica che percorreva la collina morenica, si formò un villaggio che andò nei secoli successivi ampliandosi prima per l'arteria militare Brescia-Verona che lo lambiva (antico tracciato cenomane) e successivamente congiungendosi con la grande via Gallica che portava da Bordeano ad Aquileia (e che passava da Sedena - Val Sorda e Maguzzano, nel cui territorio vennero prelevate due colonne miliari ora al museo di Brescia) e precisamente sul decumano Rezzato-Lonato e sul cardine parallelo Lonato-Carpenedolo-Acquafredda. Al flexum di Sedena, dove la strada si incrociava con quella per Vobarno e con quella militare che raggiungeva Scovolo, sorse invece a difesa della strada un luogo fortificato, mentre più in là, ai piedi della collina sulla quale sorse poi S. Zeno, venne stabilita una mansio, per la sosta dei viaggiatori. Le "betulae" (Bettole), a poche centinaia di metri, ne danno certa conferma. Nel 1971 in due zone distinte vennero trovate alcune tombe di epoca «gallica» che costituiscono la prima testimonianza tangibile di presenze di tali popolazioni a Lonato. La prima tomba venuta alla luce in seguito allo smottamento di una scarpata in località Brodena è stata recuperata poi, su autorizzazione della Sovrintendenza alle antichità, da un gruppo di archeologi dilettanti del luogo. Si tratta con ogni probabilità di una tomba di guerriero, dato che sono stati ritrovati, con lo scheletro, una spada, il pugnale e le bardature dei foderi di queste due armi, oltre alla bordatura in metallo dello scudo circolare. Inoltre sono stati recuperati bracciali e fibule di bronzo ben conservati e di grande bellezza. La seconda tomba invece è stata scoperta in viale Roma, ai bordi di una cava di sabbia abbandonata. Anche qui è stato recuperato un vasetto di epoca gallica. Peraltro si pensa che nelle vicinanze ci siano altre tombe che dovrebbero essere portate alla luce. Una necropoli preromana venne scoperta anche alla Palude Lunga. Gli insediamenti si susseguirono e si stabilizzarono sotto il dominio di Roma. Nel territorio venne rinvenuto parecchio materiale di età romana fra cui lapidi. Sono rilevanti parecchie iscrizioni a Giove (una scoperta nel 1973 è dovuta ad un voto di un Epinio Trebis), a Valentiniano e Valento, (trovate a Monterosco e a Maguzzano), a Traiano Decio, (trovata a Maguzzano). In località Fornace dei Gorghi sono venute alla luce nel 1986 due fornaci di epoca romana collocate nel primo periodo imperiale tra il 15 e la fine del II secolo d.C. Il Cenedella (seguito dallo Zambelli e avvalorati da tradizioni locali) propendeva a credere che il primo nucleo del paese, o almeno quello romano, fosse su Monte Mario ad un km dall'attuale abitato dove egli nel 1816 vide una lapide che non potè però leggere e oggetti anche di rame simili a quelli visti in musei romani. Ritrovamenti recenti hanno confermato a Monte Mario come a Pozze Colombare e in altri luoghi l'esistenza di insediamenti romani. Pur non accettando la iscrizione, cui accenna la Caprioli, dedicata ad un Caio Mario figlio di Publio Fabio Quinto, a Monte Mario venne trovato nel marzo 1814 (oltre a numerose tegole ed embrici) un "bellissimo mosaico", che rivela l'esistenza di una ricca abitazione. Nel territorio venne trovato anche un sarcofago, senza dire delle molte monete, specie del periodo imperiale, ivi rinvenute. Quello che appare certo, dalle diverse fonti che abbiamo sotto mano, è che l'attuale centro non corrisponde a quello antichissimo a cui si riferiscono i primi documenti storici. Secondo lo storico lonatese J.A. Cenedella, l'ubicazione di Lonato antica si deve ricercare più a N dell'attuale di circa un km e questo è confermato come ha egli scritto «dai molti ruderi che si scoprono quando si fanno escavazioni per piantare gelsi o si fanno fossi». La tradizione del resto è concorde nell'affermare che il centro dell'antico paese era oltre l'attuale chiesa di S. Zenone e che si trovava presso un'altra chiesa posta nelle vicinanze di un castello delle cui mura si trovano ancora le «pietre assai grosse». Il Cenedella prosegue dicendo che queste opinioni tradizionali si possono desumere dal ritrovamento di molti materiali della stessa chiesa che fu distrutta nel 1339 e da un muro romano. C'è stato anche chi ha ritenuto che nella Lugana, Claudio II avesse sconfitto nel 268 i Goti e chi ancora ha ritenuto che a Venzago e nella Lugana sia avvenuta, nel 313 d.C., la battaglia nella quale innalzando la croce, vista in visione, Costantino sconfisse clamorosamente Massenzio distruggendone l'esercito. Nel IV secolo i missionari del Vangelo, forse inviati dal vescovo di Verona, S. Zeno, portarono fra le sparse popolazioni delle lone e delle colline la buona notizia. In onore del santo sulla collina, nel sec. V a distanza da Sedena e dalla "mansio", veniva eretta al grande vescovo una chiesa intorno alla quale sorsero case e vennero erette mura assieme ad un piccolo castello. Fu questa la sede della pieve di Lonato, che allargò la sua giurisdizione religiosa come sede del fonte battesimale e di un collegio di sacerdoti ad una zona più vasta, divenendo sede anche di magistrature locali, di difesa e di mercati e che andò via via soppiantando la prima a Monte Mario già forse distrutta in scorrerie di barbari. Fotografie aeree eseguite da Eugenio Rocco, hanno messo in evidenza nella zona di Colombare e delle Pozze, precisamente nel pianoro che si estende a N della zona archeologica di epoca romana e ai piedi della collina sulla quale sorge l'antica chiesa di San Zeno, le linee perimetrali di un grande edificio con abside. Giustamente L. Lucchini si è chiesto se sia esistita nel luogo una antichissima chiesa paleocristiana. Niente si può dire se non per testimonianze indirette o generiche della situazione del territorio sotto Teodorico, durante le guerre di Narsete ecc. La leggenda vuole che, passato il territorio di Lonato al dominio longobardo, nel sec. VIII vi fossero edifici di notevole valore come dimostrano frammenti pubblicati da Panazza e Tagliaferri. Del resto un frammento di scultura del VII secolo murato sulla fronte della Casa del Podestà conferma la leggenda. La tradizione suggerisce che il sito sia stato specie nella Lugana terreno di caccia anche del re Desiderio. Il primo documento che ci parla di Lonato in modo certo è l'atto di donazione fattone da Carlo Magno ai monaci di Tours il 16 luglio 774, e d'allora in poi il suo nome ricorre con notevole frequenza nei contratti fra curie vescovili, monasteri e abbadie. La fine del sec. VIII vide altre rovine per opera degli Unni che, sconfitti da Sigifredo nella Selva Lugana, assediavano poi il vincitore nel Castel di Venzago, l'uccidevano e davano fuoco a tutto il territorio vicino. Segno della dominazione longobarda è il nome di Centenaro, derivato dalle centene riguardanti il numero degli uomini atti alle armi e dal fatto che le sculdascie longobarde formate di cento fare (gruppi di famiglie) erano governate da un "centenaro". Sono di origine longobarda anche i nomi di Gazzo, Venzago. Di una antica "curtis Malochi", in contrada Fochini, vi è testimonianza in documenti del 1260 e un Turrellus, che vende terra a certo Castiano, dichiara di vivere "lege longobarda". Il Cenedella assicura che don Antonio Barroni lasciò copie di una iscrizione sepolcrale di Ansvaldo, gasindo di Agilulfo re dei Longobardi, il quale morì il 12 aprile 614 e ordinò di essere sepolto nella chiesa di S. Giovanni Battista. L'antica pieve di S. Zeno, come scrive nella sua opera P. Andrea Parolino, doveva comprendere anche quella più antica di S. Giovanni Battista: "Si deve anco credere - si legge nel Parolino - che vi fosse la chiesa di S. Gio. Batta unita alla Collegiata, come si vede dal sigillo del Capitolo in cui si contengono li SS.ti Zenone e Gio. Batta Protettori". Il primo documento che accenna a Leunado è il diploma di Carlo Magno del 16 luglio 774 che donava al monastero di S. Martino di Tours alcune terre bresciane fra le quali comparve quella di Lionam. Nel 977 Berta badessa del monastero di S. Giulia, permutava con Riccardo da Lonato alcune terre anche in Lunado e nell'887 Carlo il Grosso riconosceva il possesso del monastero di S. Giulia.


Tra le località del comune che ebbero la loro parte, talvolta cospicua negli antichi tempi, nella storia bresciana in genere e lonatese in particolare, conviene citare Castel Venzago e Drugolo, mentre dal lato religioso sono da segnalare Maguzzano e la Madonna della Scoperta. Castel Venzago, di antichissima costruzione, che la tradizione vuole distrutto dagli Unni ai tempi di Sigifredo conte di Brescia nel secolo IX, fu tosto ricostruito ed in seguito distrutto dalle milizie bresciane di ritorno dal soccorso di Ferrara, le quali, secondo quanto narra l'Odorici «dato l'assalto alla rocca la abbatterono dalle fondamenta» nel 1241. Il castello di Drugolo, ebbe come primo proprietario storico un certo Rataldo Averoldo al quale, secondo il Cenedella, fu donato nel 962 da Ottone I di Germania reduce dall'incoronazione romana. L' Averoldo veniva in pari tempo investito «dei proventi e diritti di Padenghe e Maguzzano per cui la famiglia Averoldi prese il nome di Averoldi Padengoli. Oscura è l'origine del nome di Maguzzano che deriva la sua importanza storica dal celebre convento del quale pure è ignota la data di fondazione e che dall'inizio continuò ad ingrandirsi in seguito a donazioni che si facevano di terre e luoghi devastati. Più tardi nel 916 il monastero fu incendiato e poi dai padri riedificato fino a raggiungere nel 1581 l'estensione attuale. Un monastero femminile esisteva nella località oggi detta della Madonna della Scoperta ma che nel sec. XII si chiamava Fontana Coperta. Il monastero era in collegamento e soggetto alla canonica di S. Paolo di Venzago. Più sicura è la presenza e l'estendersi dell'opera dei monaci benedettini, per l'instaurazione di monasteri quali quello di S. Zeno di Verona, il Monastero di Santa Giulia di Brescia, il Monastero locale di S. Maria di Maguzzano, il Monastero femminile di S. Maria di Fontana coperta (la Scoperta), la Badia Vallombrosana di S. Vigilio di Lugana e le case religiose di S. Paolo, di S. Cipriano di Castel Venzago e altre minori di cui restano i nomi nelle varie frazioni del territorio lonatese. Lo stesso culto di S. Martino, di S. Zenone, di S. Giulia come ha scritto P. Guerrini, sono indice sicuro delle benefiche influenze del monachismo anche in questo territorio che, essendo in gran parte stato assegnato al Monastero di S. Zeno a Verona è passato sotto la giurisdizione ecclesiastica del Vescovo della vicina città. Il ripetersi poi di incursioni militari, il bisogno di più rapidi commerci che portarono ad abbandonare l'antica strada per una nuova, fece sì che il centro si spostasse più a S sulle pendici più meridionali del colle Rova che offriva maggiori garanzie di difesa. Se è provato, dallo Schiapparelli e da altri, che il conclamato diploma di Berengario del 13 maggio 909, che permetteva a Lupo e Troiolo Volongo e Ponfilo Landerna di erigere mura e torri, è un falso storico, tuttavia si può presumere che dove è oggi la rocca siano sorte fin dal sec. X fortificazioni a difesa contro le invasioni ungare. E recenti ritrovamenti confermano l'ipotesi. Nei secoli XI e XII ebbero successivamente in Lonato diritti i Vescovi di Verona, i Conti di Montichiari e il Comune di Brescia. Fermatosi sul Garda il 23 settembre 1184, Federico Barbarossa concedeva al vescovo di Verona Teobaldo ampi diritti su territori bresciani fra cui quelli di Lonato e di Maguzzano. Gli storici vogliono Lonato schierato in campo imperiale e ghibellino. Ciò che sembra sicuro è che il Barbarossa trovò già formato da tempo il comune lonatese tanto che ai consoli Boniolo Tonso e Giovanni Bono, presentatisi a lui a nome dei «devoti e fedeli uomini di Lonato», l'Imperatore conferma fra l'altro i privilegi avuti, probabilmente già codificati in statuti. Pur estendendosi e moltiplicandosi nel territorio nuovi centri abitati, la sede della pieve rimase invece per secoli ancora sul colle di S. Zeno dove, sembra proprio nel sec. X, la primitiva chiesa dedicata al santo vescovo venne secondo la tradizione distrutta e poi riedificata per essere ricostruita nel sec. XII nella forma attuale. Nel 1184 essa è nominata assieme al "vecchio castello" e altre pertinenze, nella bolla con la quale Papa Lucio III conferma i beni patrimoniali della pieve di S. Zeno. Nel sec. XIII Lonato è una delle pedine nella lotta fra Guelfi e Ghibellini. Giovanni Casaloldo nel 1213, rifiutando la pacificazione ristabilita fra le fazioni del vescovo di Brescia Alberto di Reggio (o di Rezzato) si fortifica in Lonato, molestando Brescia, tanto che il vescovo, in forze della carica di podestà conferitagli per mantenere la pace si vede costretto a ordinare a Lotaringo Martinengo di scacciare Alberto di Casaloldo da Lonato, indebitamente occupato. Si vuole che i Casaloldo vi abbiano avuto prevalenza anche decenni più tardi quando nel 1237 si schierarono con Federico, richiamando su di loro le ire di Ezzelino da Romano. Si accenna inoltre che nel 1267 circa vendette dei paesi della Valtenesi e circa cinquant'anni dopo, nel 1317, nuovi stermini siano avvenuti nelle guerre di Cangrande della Scala contro Cavalcabò. Ma sono illazioni di notizie storiche più generiche e senza riferimenti specifici. Intanto nel territorio erano andati formandosi altri gruppi fortificati come Venzago e Drugolo. Fino al sec. XIV Lonato risultò un insieme di piccoli borghi o ville abbastanza fortificati gravitanti sulla pieve di S. Zeno mentre nel borgo nuovo, sul colle Rova venne forse eretta a comodità della popolazione una chiesetta alla quale venne probabilmente posto il fonte battesimale come sembra indicare la dedicazione a S. Giov. B. Il ripetersi delle guerre e al contempo l'imporsi dell'organizzazione dei comuni rurali prevalenti sul sistema feudale, portarono alla creazione di un centro sempre più fortificato appartenente alla signoria degli Scaligeri, alla quale anche Brescia era passata nel 1332 per conquista di Mastino della Scala , mentre nel 1337 se la assicurò Azzone Visconti. Vengono evocate nel 1339, ancora una volta su informazioni storiche generiche, le imprese famigerate di Lodrio Visconti, che ribelle ad Azzone, signore di Milano, rifugiatosi a Verona, al servizio degli Scaligeri postosi al comando di una compagnia di S. Giorgio, e spalleggiato da Rinaldo Giver (detto "il manerba"), dal conte Lando, e dal duca Guarneri di Ursinger (che si dichiara "nemico di Dio, di pietà e di misericordia") nel febbraio 1339, fra nevi altissime, saccheggiò il monastero di Maguzzano, e distrutto il borgo di Lonato, assediò il castello, lo conquistò sterminando cose e persone. Il secentesco Parolino con ampollosità degna del tempo ha scritto che «nemici tagliarono a pezzi grandi, piccoli e mezzani ritrovati nella terra e nel Castello, incendiando case e distruggendole fino a' fondamenti». Con le case furono abbattute le fortificazioni e la chiesa stessa. Il Parolino soggiunge che le ossa trovate intorno alla chiesa di San Zenone, gli staffili di ferro, i triboli, i giavellotti ed altre armi di quel tempo dimostrano come i lonatesi difesero se stessi e «l'onor del principe». Lo stesso soggiunge che Azzone Visconti, non avendo saputo difendere i lonatesi li compensò con diploma del 3 marzo 1339 ordinando la ricostruzione del castello e delle mura. Alla morte dell'arcivescovo Giovanni Visconti (5 ottobre 1354) e in seguito alla divisione dello stato visconteo tra i suoi tre nipoti, Lonato con Brescia, la Riviera di Salò e le valli vennero assegnate a Bernabò Visconti. In tal modo la rocca e la borgata rimanevano esposti più di altre località alle continue guerre e scaramucce fra Scaligeri e Viscontei. Nel 1362 infatti nelle campagne fra Lonato e Montichiari si scontrarono gli eserciti scaligero e visconteo e questo ebbe la peggio. Caposaldo avanzato della Signoria viscontea, Lonato fu spesso al centro di scontri e di passaggi di truppe. Il 4 luglio 1362 nei suoi pressi le truppe di Bernabò Visconti, alleato ai Gonzaga, venivano sconfitte da quelle guidate dal conte Lando. Ciò permetteva a Cansignorio della Scala di entrare in Lonato, ancora in parte diroccato, di compiere riparazioni e scavare una cisterna. Successa a Cansignorio, morto senza figli, Beatrice della Scala, detta Regina, moglie di Bernabò Visconti, occupa Lonato e parte del Veronese, e dispone la ricostruzione e riparazione delle mura e della rocca. Come scrive A. Marini, Lonato è così trasformato in vera e propria fortezza, difeso dalla Rocca, cinto di forti mura munite di undici torrioni, in tre dei quali si aprono tre porte: la porta Corlo, che mette tuttora sulla strada per Gavardo e una volta per Brescia; la porta Clio, che mette sulla strada per Verona; la porta Stoppa, così detta perchè chiusa dai Veneziani, che metteva sulla strada per Mantova e Cremona. La Cittadella ebbe due porte e la Rocca tre: una per l'entrata, la seconda per il passaggio dal I al II quartiere, la terza per il soccorso. Il 12 aprile 1384 Regina della Scala conferma agli abitanti di Lonato tutti i privilegi ed esenzioni da tributi concessi da Azzone Visconti nel 1339 e da Giovanni Visconti nel 1348 a sollievo dei danni, saccheggi ed incendi sofferti dal Comune per parte delle bande tedesche. Questa deliberazione prova ancora una volta gli immensi danni subiti dai lonatesi nella distruzione del 1339 e le spese ingenti che dovettero sostenere per la riedificazione del paese. Alla riedificazione delle mura di Lonato contribuirono, secondo un ordine di Luchino Visconti, con buoi e carri anche i calcinatesi. Una pergamena dell'archivio di Calcinato del 27 ottobre 1379 registra una convenzione per la quale gli abitanti di Calcinato potevano in caso di pericolo trasferirsi con le robe e le persone in Lonato, impegnandosi a montar la guardia alle mura e a contribuire alla conservazione della rocca e delle mura col pagamento di 25 fiorini d'oro da pagarsi metà a Pasqua e metà a Natale e al castello della Collina Rova, a poca distanza della nuova strada. Il Parolino con la solita enfasi descrive «il paese così ricostruito in bellissime contrade, con le sue graziose strade e cingendolo di mura, co' suoi baloardi all'usanza di quel tempo, e con la sua profonda fossa all'intorno, con tre porte, cioè quella del Corlo, del Clivio e la Cremonese». Dette mura misuranti oltre due miglia, furono munite di undici torrioni, di alcuni dei quali però non esistono più tracce, perchè demoliti al principio del 1800 per allargare le porte. E da qualcuno ritenuta di quest'epoca anche la Cittadella, un vero articolato di strade e di caserme, anch'essa con le sue mura, porte e torri, difesa avanzata della Rocca retrostante. Conviene credere, è stato anche scritto, che anche i Visconti abbiano subito fatto, o almeno restaurato, questa Rocca, adattandola a propria dimora, perchè poco tempo dopo, e cioè il 4 agosto 1346, in essa ebbero luogo le orgie degli Estensi, dei Polentani e dei conti di Sanvitale per festeggiare Isabella del Fiesco, moglie di Luchino, la quale insieme all'«inverecondo corteggio» ritornava da Venezia, ove si era recata sotto pretesto di un voto, in effetti, per incontrarsi nel viaggio con Ugolino Gonzaga. La Rocca, situata sulla parte più alta del colle, è ancora oggi divisa in due parti, una più alta dell'altra, munita di forti mura e cinta di altissime fosse. Sembra che ancora ai Visconti Lonato deve il suo primo acquedotto. L'acqua fu derivata dalla Bagnola, distante oltre duemila metri dal paese e portata prima ad una fontana posta nel centro della piazza e poscia ad altre due per maggior comodità dei cittadini. Fra tante illazioni e supposizioni è certo che i Visconti anche a difesa orientale del proprio dominio rafforzarono o riedificarono, secondo i più dopo il 1339, Lonato nel luogo dove è oggi proteggendolo con mura e porte e ricostruendo una vera e propria cittadella e Rocca suddivisa in due zone una superiore e una inferiore. In più i Visconti posero in Lonato un capitano, segno di un'importanza particolare. Nel nuovo complesso fortificato venne trasferita anche la pieve o parrocchia. Sotto i Visconti Lonato ebbe certo statuti e privilegi particolari. Tra l'altro, con Asola, la Valcamonica e la Riviera, Lonato ebbe nel 1384 il privilegio di imporre contributi anche ai "cives" di Brescia, ad eccezione dei soli eredi Segala. Dall'ottobre 1354 Lonato con Brescia e la Riviera di Salò venne assegnato a Bernabò Visconti e nel 1362 fu al centro delle lotte fra i Visconti e Cansignorio della Scala e nei suoi pressi l'esercito milanese ebbe la peggio. Nel timore che Verona e altre città si ribellassero nel 1387 Gian Galeazzo Visconti rinforzava e muniva di truppe la Rocca. Ma l'Aguto, per conto degli antiviscontei, evitando Lonato, riusciva a raggiungere Calcinato e Calcinatello ed a sconfiggere nei pressi di Bedizzole le truppe viscontee. Per tenere saldamente la città nel 1390 Gian Galeazzo Visconti ordinava che si sgombrassero le fosse, che circondavano le mura, dagli alberi. Nel riaccendersi, sotto il governo di Gianmaria Visconti, delle lotte fra Guelfi e Ghibellini, Nicolò d'Este, marchese di Ferrara, mossosi in aiuto dei Ghibellini, riuscì il 12 agosto 1403 ad occupare Lonato, con 1500 fanti e altrettanti cavalieri, e a farne la base per marciare su Brescia. Caterina Visconti nel 1403 rafforzava il castello facendo costruire la cinta muraria a mezza costa. Divenuto signore di Brescia Pandolfo Malatesta, per tenersi fedeli i Gonzaga, il 17 febbraio 1404 Caterina Visconti cedeva a Francesco Gonzaga, per un debito di 60.650 lire imperiali, le terre di Lonato assieme a Castiglione delle Stiviere, Castelgoffredo e Solferino, serbando ai Visconti la signoria e salvato il diritto ai Visconti di riavere dal Gonzaga quei castelli all'atto in cui fosse restituita la somma. Di sua iniziativa nel 1407 Francesco Gonzaga faceva costruire nella rocca il baluardo detto Castel Mazzino. Il possesso da parte dei Gonzaga salvaguarda Lonato dalle distruzioni operate dal Malatesta, dopo la sua cacciata da Brescia e allo stesso modo non viene toccato dagli scontri tra lo stesso Malatesta e l'esercito dei Visconti. Il Gonzaga, anzi, approfitta di questa specie di neutralità per fortificare il settore occidentale della rocca, la ricostruzione di un baluardo o torrione munito di cannoni proponendosi anche di costruire nuovi alloggiamenti militari. Con lo stabilizzarsi del dominio Visconteo per opera di Gian Galeazzo e con la sua riorganizzazione, Lonato fu sede con Montichiari, Canneto e Asola, di un capitano che doveva garantire i confini orientali del dominio. Anche quando Gian Galeazzo ebbe a estendere il suo dominio su parte del Veneto, la linea del Garda lo interessò tanto da imporre nel 1390 al Comune di Montichiari di sgombrare dagli alberi le fosse da Lonato ad Asola. Di Lonato furono in tal modo per decenni, signori anche se a nome dei Visconti, i Gonzaga che l'1 gennaio 1412, per iniziativa del duca Giovanni Francesco, concedevano al Comune gli "Ordini circa il governo Lonatese" che come osserva il Lucchini costituiscono il testo più antico degli Statuti comunali lonatesi a noi pervenuti e che poi verranno confermati da Venezia il 17 settembre 1440. La vendita del Gonzaga al Comune dei beni che il Malatesta aveva confiscato ai Boccacci di Rivoltella non furono mai ripresi dalla famiglia.


La "questione del Venzago" interessò la vita socio-economico della Comunità Lonatese per quattro secoli con tre ordini di problemi: 1) quelli relativi alla giurisdizione territoriale che originarono una causa durata oltre cento anni fra Brescia e Lonato da una parte e la Magnifica Patria di Salò dall'altra; 2) i diritti di proprietà reclamati dai successori dei Boccacci sulla metà dei beni (quella acquistata dai Gonzaga); 3) le lotte fra antichi e nuovi originari circa il godimento del grande latifondo. Un manoscritto inedito di Lino Lucchini, "Storia del Venzago", tratta ampiamente questa pagina delle "vicissitudini" della proprietà lonatese, sulla scorta di documenti conservati presso l'Ateneo di Salò e l'Archivio storico del Comune di Lonato. I tre problemi che tanto travagliarono i lonatesi si possono riassumere nei termini che seguono. Il patrimonio del Venzago comprendeva tutta l'area che dalle colline sotto Brodena si estendeva alle attuali frazioni di Castelvenzago, Centenaro e Madonna della Scoperta e confinava con Castiglione delle Stiviere, Solferino, Pozzolengo, Cavriana e Desenzano del Garda. Va precisato che una prima metà (quella verso Desenzano) venne acquistata, con atto 8 giugno 1408, dal Conte Berardo Maggi mentre la seconda metà (quella verso Castiglione delle Stiviere), con atto 18 gennaio 1416, dal marchese Giovanni Francesco Gonzaga di Mantova. Tutto il vasto territorio venne rivendicato come parte di sua giurisdizione civile, penale e fiscale dalla Riviera di Salò la quale sosteneva che esso faceva parte della quadra di Campagna, con capoluogo Desenzano. La sentenza definitiva, del 3 dicembre 1550, dopo lunghissima disputa e produzione di montagne di documenti, diede sostanzialmente ragione alla Riviera di Salò. Caduta la Repubblica di Venezia, nel 1797, il Venzago si rese indipendente da Salò e venne incluso successivamente dal Governo Provvisorio Bresciano nel Cantone dei Colli, con capoluogo Lonato. La famiglia Boccacci, mentre non ebbe mai ad opporsi al tranquillo godimento dei beni acquistati dal comune di Lonato, con atto del 1408, stipulato con il Conte Maggi, contestò per lungo tempo il diritto di proprietà sulla parte venduta dal Marchese Gonzaga, finché si giunse ad una transazione per le parti nel 1454 col pagamento di 1500 ducati d'oro. Tuttavia un ramo cadetto dei Boccacci ottenne dalla Curia Romana una scomunica in data 12 marzo 1539 contro il Comune di Lonato che doveva restituire ai Boccacci i beni indebitamente posseduti. Per interessamento del governo veneto e la fermezza dell'Arciprete don Virgilio Cigno la scomunica venne rimossa il 9 luglio 1540. Il patrimonio del Venzago era enorme: si trattava di oltre 6000 piò di terra, suddivisa in 78 "collonelli" che avevano un'estensione media di 50 piò, con cascine, fienili e fabbricati vari. I "collonelli" venivano affittati ogni sette anni a seguito di pubblico incanto al quale erano ammessi i soli originari di Lonato, esclusi tutti gli altri "minni eccettuati". Da qui per secoli ebbero principio profonde discordie fra i lonatesi. Le liti erano fondate sul fatto che le famiglie più antiche, quelle originarie, ritenevano di escludere dal godimento delle rendite quelle di nuova immigrazione o "non originarie" Gli originari sostenevano che, essendo stati i loro antenati a sborsare i ducati d'oro per l'acquisto del bene ne conseguiva che essi soltanto avevano diritto a partecipare ai frutti, mentre i cittadini nuovi fondavano le loro pretese sul fatto che col passare dei secoli e particolarmente in occasione della famosa peste del 1630, le famiglie originarie antiche si erano praticamente estinte ed "i nuovi originari" avevano contribuito per centinaia d'anni agli oneri della ordinaria e straordinaria manutenzione ed al pagamento delle "gravezze" (tasse). Dovevano, dunque, essere eliminate le odiose discriminazioni fra cittadini di prima e di seconda serie. Le cause promosse davanti a giudici di ogni grado e giurisdizione furono infinite e si trascinarono per un secolo e mezzo finchè il Comune provvide a vendere i "collonelli" ai privati il giorno di S. Martino dell'anno 1798. Passato Gianfrancesco Gonzaga al servizio della Repubblica Veneta, questa lo riconfermò nel 1431 nel possesso di Lonato. Al Gonzaga, ribellatosi poi a Venezia, lo tolse, nel luglio-agosto 1440, Francesco Sforza nuovo condottiero veneto. A Lonato poi il Gonzaga rinunciò per sempre scambiandola con Ostiglia nel novembre del 1441 con il trattato di Cavriana o di Cremona, pubblicato il 10 dicembre 1441. A Lonato, Venezia, con ducale del 30 aprile 1442, concesse i medesimi diritti che aveva goduto sotto i Gonzaga. Incorporato nel territorio bresciano, Lonato, per qualche tempo, mal sopportò la sudditanza bresciana anche se a distogliere l'attenzione da queste rivalità sopravvenne a Lonato nel settembre 1449 una tremenda pestilenza. Passato il Gonzaga alla causa dei Visconti, Lonato costituì per anni una spina nel fianco alle truppe venete che avevano occupato Brescia al comando del Gattamelata. Da Lonato il Gonzaga occupava i passi per la Riviera di Salò e per la Valsabbia, obbligando Venezia a soccorrere le sue truppe con viveri e armi trasportate con barche attraverso il Garda. Lonato viene occupato anche dal Piccinino che ne fa la base di azioni sul Garda fino a Riva e pur fatto prigioniero dallo Sforza al servizio di Venezia riesce ad evadere e a fortificarsi nella Rocca di Lonato. Per conquistarla nel 1440 le truppe venete sempre al comando dello Sforza devono battere in breccia la rocca che si arrende. Il 16 agosto 1440, conclusa la pace tra Venezia e i Visconti, Lonato passa alla Serenissima. Nel 1441 il Piccinino per conto dei Visconti riesce a ricuperare la rocca e si appresta ad utilizzarla per battere il nemico ma quando s'accorge della preponderanza delle truppe venete è costretto a ritirarsi su Montichiari, affrontando nel giugno la completa sconfitta. Con la nuova pace siglata a Brescia il 20 novembre 1441 il duca Gonzaga è costretto a rinunciare definitivamente, assieme ad Asola e a Peschiera, anche a Lonato. E da Venezia Lonato non si separerà più fino al 1797.


Riassicurandosi il dominio di Lonato, Venezia conferma, il 17 settembre 1440, gli statuti che un anno dopo hanno anche la sanzione del doge Francesco Foscari. Ad essi verranno portate aggiunte nel 1492, nel 1506, e l'8 maggio 1637 con la "Terminazione" di Alvise Zorzi. Stampati in prima edizione il 22 settembre 1655, ristampati l'1 gennaio 1677 e nel 1721, verranno modificati e completati con i "capitoli e disciplina per il governo della comunità di Lonato" approvati dal Senato Veneto il 15 maggio 1794. Sotto Venezia Lonato viene affidato per la giurisdizione civile ad un podestà, mandato da Brescia e con sede nel palazzo in Cittadella (ora sede della Fondazione U. Da Como), mentre il governo militare (rocca, porte e fosse e soldati) viene affidato ad un provveditore. Tuttavia a custodia della Rocca rimane per alcuni decenni un castellano. L'importanza assunta da Lonato è data anche dalla creazione di una podesteria minore. Il podestà, affiancato da un conestabile, ha giurisdizione civile e penale senza però pene di sangue ma con licenza di "far dar la corda". A Lonato viene inoltre mandato anche un provveditore che deve custodire la terra durante la notte. Il Cenedella registra: con ducale in data 30 aprile 1448 in cui si ordina al capitano di Brescia «che il podestà che verrà eletto per Lonato sia perito in leggi ed uomo dotto offrendosi detto comune dargli per mercede 18 fiorini d'oro al mese, mentre per il passato non ne dava che 12. Detto ducale ordinava inoltre al conestabile di Lonato, il quale si faceva passare per detto comune il fieno per 14 cavalli laddove non ne teneva che quattro, di restituire il di più avuto per fieno da scontarsi sull'onorario ora stabilito». Per quanto durassero ancora le lotte, Lonato aveva una relativa quiete, sebbene fosse gravato dalle somministrazioni di viveri e di foraggi alle armate venete che transitavano continuamente. Il comune ricorreva per questo al Doge, che era Francesco Foscari, il quale assolveva l'amministrazione di lire 140, pure lasciandole a carico la spesa del fieno per la cavalleria e ordinava a «Nicolò Canali capitano di Brescia di mandare a Lonato 250 sacchi di miglio (che allora surrogava il frumentone) ad ogni sua richiesta». Nella nuova campagna militare iniziata nel 1452 tra Venezia e il ducato di Milano nel marzo dell'anno seguente Lonato subì un terribile saccheggio da parte del generale Piccinino al servizio di Venezia. Furono tali le "robbarie et dishonestà compiutevi" che il cronista Soldo si rifiutò di darne un resoconto particolareggiato perchè per «lo puzore se machiaria il libro». Per soccorrere i disgraziati lonatesi si raccolsero elemosine in tutto il Bresciano e il Veronese. Tuttavia, conclusasi il 9 aprile 1454 la pace di Lodi, Venezia beneficiò largamente Lonato. In seguito provvide a fortificare ulteriormente la rocca che con quella di Peschiera garantiva la tranquillità dell'importante mercato di Peschiera e al contempo salvaguardava il libero passaggio dal Bresciano e dalla Riviera al Veneto, fra il lago e le terre dei Gonzaga, infidi per Venezia e causa di controversie e di preoccupazioni per la Serenissima. Per ingraziarsi i marchesi di Mantova, con provvisioni del 6 novembre e 21 dicembre 1491 il comune concederà loro di estrarre vino da Lonato. L'operosità lonatese veniva spesso guastata dal flagello della peste portata dalle milizie di passaggio. Di più, nel 1477, anche le campagne vennero investite da nugoli fittissimi di cavallette che distrussero seminati e piante lasciando un orribile fetore. Nella circostanza i Lonatesi ricorsero a S. Pantaleone facendo voto di fargli cantare annualmente una messa nella cappella a lui dedicata nelle vicinanze del Corlo. Quando nel maggio 1482 scoppia la guerra tra Venezia e il Duca di Ferrara, la rocca viene rafforzata e alloggia, pur di passaggio, le truppe venete al comando di Francesco Secco, condottiero milanese. Lonato rimane comunque saldamente in mano veneta, soccorso nell'agosto 1483 da uomini usciti da Brescia. Nel 1485 vi si ferma il duca di Calabria. Continua tuttavia ancora la fronda a Brescia e nel 1488 le insegne del podestà vengono sfregiate da ignoti. Anni nuovamente duri e travagliati si susseguirono dal 1509 al 1516 durante la guerra fra Spagna Francia e Impero. Davanti all'avanzata dell'esercito francese guidato da Luigi XII, Lonato, abbandonata in fretta dai veneti nel maggio 1509, il 28 maggio accoglie il re di Francia in viaggio per Peschiera per incontrarsi con l'imperatore Massimiliano che si fermò, si dice, ben 16 giorni e concesse ai Lonatesi di porre nello stemma i tre gigli di Francia. Lonato rimase per qualche anno in mano ai francesi nonostante il tentativo di ritorno compiuto dai Gonzaga sostenuti da un loro partito e da una sommossa anti francese, organizzata nel 1510, che viene sedata con la forza e che finisce con la distruzione, a quanto scrive il Cenedella. di un intero quartiere del paese. Il Cenedella senza specificare la data inserisce in questa vicenda una specie di "Vespri" lonatesi. Racconta che "una domenica di sera dopo le sacre funzioni ritirandosi in compagnia le giovani alle loro case seguite e anche accompagnate da alcuni giovanotti, succedeva che ad una di queste venisse da alcuni militari francesi acquartierati in Lonato fatto qualche scherzo od anche usato qualche insulto. La giovane resistette e si ritirò nella sua casa in Borgo Clio. I nostri giovani ne presero le difese e si azzuffarono coi francesi con grande impegno. Dalla zuffa a braccia si passava dai nostri al coltello e dai francesi alle armi, indi crescendo il furore si incominciò dalle finestre coi sassi e poi cogli archibugi e si finì colla morte di molti dei nostri e di parecchi francesi". I consoli lonatesi recatisi a Milano furono ricevuti da Luigi XII il quale conosciuto l'avvenimento, memore delle attenzioni ricevute durante la sua permanenza nella nostra località e della modifica concessa allo stemma della comunità, condonò questo eccesso e non derivò al comune che la spesa di riordinare alcune case che in quell'occasione erano state demolite. Alla dominazione francese nel 1512 segue quella degli imperiali che il 5 marzo consegnano Lonato ai Gonzaga, non senza aver prima compiuto nuove spogliazioni e soprusi. I Gonzaga per sollevare le finanze della borgata, con decreto del 26 ottobre, aprono ai forestieri che sono però obbligati, al pari dei lonatesi, alle spese ed alle imposte straordinarie. Nell'aprile 1513 Lonato per assicurarsi la protezione dei Gonzaga, accoglie con grande onore Isabella d'Este duchessa di Mantova. Invece il mese seguente, fallita una nuova spedizione dell'esercito imperiale, organizzata allo scopo di liberare la Riviera dalle forze venete, la soldataglia si abbandonò a nuove devastazioni e razzie di bestiame, senza riuscire ad entrare in contatto con il nemico. Ritornato il 7 novembre 1515 in possesso di Venezia, altre truppe vi si accantonarono, abbandonandosi, nell'inazione, a nuovi disordini. Nel maggio 1516 le campagne lonatesi sono di nuovo invase dalle truppe imperiali, fino a quando caduta Brescia in mano dei veneti dovettero sloggiare definitivamente. Con la pace la borgata andò rifiorendo e sviluppandosi con l'aiuto degli stessi Gonzaga, che, certo nella speranza di non perdere sulla borgata la propria influenza, l'8 maggio 1520, rinnovava le esecuzioni di dazi e gabelle per biade vino e tutte le derrate portate sul mercato di Mantova. Ma anche Venezia cerca di accaparrarsi la simpatia e il sostegno di Lonato. Quando nel 1521 l'esercito franco-veneto procurerà gravissima spesa al Comune, il doge Antonio Grimani, con ducale del 22 settembre 1522, ordina che i comuni di Nave, Gavardo e Casaloldo e altri ancora contribuiscano a compensare il comune di Lonato delle spese sostenute. Altri momenti difficili per Lonato si verificano agli inizi del 1527 quando i Lanzichenecchi di Giorgio di Frundsberg, distruggono e incendiano tutte le case che incontrano fuori le mura. Nel 1528 le distruzioni si ripetono con il passaggio delle truppe del duca di Brunsvich. Due anni dopo sono le truppe dell'imperatore Carlo V a seminare dovunque "gran ruina". Ma non si tratta che di parentesi.


Dagli inizi del secolo XVI, infatti, si verifica un incremento demografico da portare nel 1530 gli abitanti di Lonato a 6000 (contro i 30 mila di Desenzano). Deciso è anche il progresso economico, civile e culturale. Smantellata in gran parte la rocca che diviene per lo più quartiere di "ordinanze di piano" la borgata registra un intenso sviluppo edilizio sia privato che pubblico. Nel 1538 essendo podestà Giovannino Bonini e procuratore veneto Nicolò da Muia, il comune acquistò, secondo quanto riferisce il Cenedella, togliendolo dai «libri provvisioni», macine per molini, pagò i medicinali per la popolazione povera che doveva averli gratuiti e il farmacista che aveva il suo onorario fin dal 5 luglio 1512 anno in cui il comune comperò la farmacia; inoltre furono eseguiti lavori di sistemazione della Seriola e si eresse un pubblico forno "onde i privati potessero fabbricarsi il pane cogli operai a ciò destinati dal comune". Via via veniva ampliata la chiesa parrocchiale (consacrata nel 1540), costruita quella di S. Antonio e ampliata quella del Corlo. Le chiese si arricchivano di opere d'arte. Nel 1555 era iniziata la costruzione della Torre Civica. In più si sopivano i contrasti fra le più ragguardevoli famiglie del luogo. Nel 1567 venne aperto il mercato mentre un consorzio di abitanti tentò di dividersi i beni trovando opposizione da parte del comune che, a sua volta, nel 1548 entrò in polemica con Brescia per poter cavare liberamente acqua dal Naviglio. Si svilupparono le opere di assistenza con la creazione di monti frumentari. Inorgogliti dallo sviluppo i lonatesi chiesero che la podesteria da minore venisse elevata a maggiore mentre con cavillosità continuavano a manifestare la poca sopportazione delle autorità di Brescia e i contrasti con la Magnifica Patria. Concreto e continuo fu il contributo di uomini e di denaro che Lonato diede a Venezia. Alla battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571) parteciparono ben nove lonatesi (Bernardino Stei, Paolo Rizzi, Paolo Zaghi, Giov. Ant. Pestoni, Giov. Giacomo Paganini, Battista Paganini, Giov. Giacomo Traina, Lauro Orlando). Per tutto il secolo XVI l'attività economica e edilizia andò di pari passo con la crescita culturale. Figure emblematiche del tempo sono l'arciprete Pier Francesco Zini il quale oltre a promuovere l'istruzione pubblica con l'istituzione di pubbliche scuole anche di grammatica fece di Lonato un cenacolo di cultura religiosa letteraria e filosofica al quale fecero capo i vescovi Gian Matteo Gilberti e Luigi Lippomano, il card. Reginaldo Pole e letterati e studiosi come il Conti di Quinzano, padre del celebre Stoa, il Priuli, il Flaminio, il Florimonte, il Patuzzi, il Senegala e altri e il grande editore Aldo Manuzio. A Lonato era poi giunto come medico condotto Giuseppe Pallavicini, amico di uomini egregi. Del cenacolo dello Zini fece parte anche l'agronomo Camillo Tarello, autore dei "Ricordi di agricoltura" ed uno dei maggiori promotori del progresso agricolo del '500. Si recitano commedie e viene istituita una specie di Accademia nella quale è presente anche il letterato e storico Elia Capriolo, pretore a Lonato. Se è azzardato sostenere che sia esistito presso Brodena anche un "ghetto" ebraico, è documentata però in Lonato, il 27 maggio 1597, l'attività di un Moisè Melis, banchiere, con il comune di Lonato che contrasse un debito di 360 berlingotti dando la garanzia sui molini della Seriola di pubblica proprietà. Uguale operazione e con lo stesso individuo, si dovette compiere il 6 giugno 1599 quando il comune volendo mettere in buon ordine ed allargare la farmacia contrasse un prestito di cinquecento scudi. Nel suo catastico del 1609 Giovanni Da Lezze così descriveva Lonato «Terra grossa situata in colle tutta cinta di muraglie all'antica di circonferenza di un miglio et più, con due porte una verso Brescia et l'altra verso il Desenzano, con una rocca nella sumità del colle che guarda il lago con una torre grande et forte, dove è posto l'horologio riguardante verso la piazza. Di circonferenza detta rocca di circa un quarto di miglia, et la torre separata da quella, et verso la piazza, come è detto in quadro è tutto di preda viva, et alta che scopre tutta la terra et campagna et anche lago. Nella rocca non vi sono case habitabili, ma tutte ruinate, anzi che in essa è formato un zardino per commodo dei provveditori, le chiavi del quale sono tenute da un zardinero, et della torre dal torresano che governa l'horologio.». Anche allora la popolazione di Lonato superava i 6000 abitanti, la maggior parte dei quali attendeva all'agricoltura non essendovi "né trafichi né mercantie". La terra però, se dobbiamo credere all'anonimo scrittore, era per la maggior parte sterile, «si cava però vini buoni et quantità dè fieni». I terreni appartenevano parte ai nobili bresciani Averoldi, Caprioli e Patuzzi ed in buona parte agli originari del luogo, fra i quali passavano per più agiati i Papa, i Cavalli, i Tarelli ed i Segulli. Nel 1612 allo scoppio della guerra per la successione del ducato di Mantova, Lonato vide il concentramento di forti contingenti di cavalleria e fanteria e ospitò il comandante dell'armata di terraferma Antonio Priuli già provveditore a Lonato. Nominato questi, nel 1618, doge, accolse con grande cordialità e solennità i rappresentanti di Lonato accorsi a rendergli omaggio. Nello stesso anno avvenne un terribile fatto. Scopertasi una congiura di Spagnoli, guidati dal marchese Bed. Mar., contro Venezia, sembra che alcuni siano stati murati vivi in una stanza della Rocca di Lonato. I loro scheletri vennero poi ritrovati nel 1822 da Giovanni Angelo Raffa. A ricordo il proprietario del tempo della Rocca Sivieri fece murare due lapidi. Gravi furono ancora i danni riportati da Lonato e dalla Rocca nel 1628 in occasione della guerra di Mantova. Pausa terribile fu la peste del 1630 che provocò la morte di un terzo della popolazione riducendo gli abitanti da 5600 a 1800 e le famiglie da 1224 a 972. Dopo la terribile peste Lonato riprese decisamente un sicuro cammino. La confraternita dei disciplini provvide a ridistribuire la terra ereditata, incentivò prestiti e concessioni, stimolò soci e guidò gli abitanti a riprendere il lavoro. Sul finire del '600 le famiglie benestanti, sia per motivi di sicurezza che per ragioni di prestigio, incominciarono a costruire all'interno delle mura segnando con ciò il passaggio da una civiltà solo contadina a quella urbana o mista. Gli Zambellini, gli Ongaro, gli Orlandini, i Girelli, i Papa, i Franceschini, i Tomasi, andarono a gara a costruire case belle e sontuose, ricche di stucchi e di affreschi per i quali chiamarono il Celesti e il Porta.


Una nuova parentesi al pacifico espandersi della vita sociale ed economica della borgata si ebbe nei primi anni del sec. XVIII durante la guerra di successione spagnola che videro schierati gli imperiali con a capo il principe Eugenio di Savoia, i francesi e gli spagnoli e neutrale la Repubblica Veneta. All'avvicinarsi degli eserciti il comune di Lonato decise l'11 luglio 1701 di restaurare i torrioni della porta e le mura mentre il 19 luglio le truppe tedesche del Savoia invadevano il territorio di Lonato, la Serenissima mandava truppe che il comune fu obbligato a mantenere. Gravi sono i disastri provocati dalle truppe tedesche specie nel 1703 che pur riuscendo a danneggiare porte e ponti levatoi non riescono a penetrare nell'abitato. Riparazioni e nuove fortificazioni vengono allestite negli anni seguenti e particolarmente nel 1704 per accogliere nel settembre 1705 sotto le mura di Lonato l'armata imperiale e quella ispano-francese. Mentre il gen. Vandome riesce ad occupare, con questa, Desenzano, il principe Eugenio invano chiede di entrare con gli imperiali in Lonato, incontrando il più assoluto diniego da parte del provveditore veneto. Contro i 12 cannoni degli imperiali, il tenente di artiglieria veneto ne schiera 16. Il provveditore anima i lonatesi alla resistenza, mentre vengono messe al sicuro le cose più preziose comprese 100 some di frumento. Intanto anche il Vandome comandante degli ispano-francesi ha installato 16 cannoni alla Porta del Corlo. Al diniego di aprire le porte, le artiglierie dei nemici colpiscono le difese di Lonato e rivolgono contro loro le artiglierie. Dopo una breve scaramuccia le armate lasciano le posizioni. Gli ispano-francesi si ritirano a Castiglione e il principe Eugenio ritira le sue truppe sulle alture alle spalle di Lonato. Al Doge spetta l'obbligo di lodare con una sua ducale del 17 settembre 1705 il provveditore tutti gli ufficiali e il popolo lonatese. L'anno seguente il 19 aprile 1706, le due armate si ritrovano sotto Lonato e si scontrano. Gli ispano francesi costringono l'armata del Savoia a ritirarsi a Gavardo. Mentre Lonato continua ad armarsi la guerra si sposta in Piemonte dove finisce sotto Torino con la vittoria il 7 settembre 1706 degli imperiali del principe Eugenio. Pochi anni dopo la guerra, nel settembre-ottobre 1711 una terribile moria colpisce quasi tutto il bestiame. Nonostante ciò, durante il '700 un nuovo flusso di ricchezza entra nelle casse comunali e anche dei privati; mentre un ulteriore aumento di popolazione e un incipiente sviluppo industriale specie con il filatoio e il salnitro rendono possibile la realizzazione dal 1731 al 1785 di uno dei più bei edifici del paese: il duomo. Abrogata il 7 giugno 1794 la distinzione tra Vecchi e Nuovi Originari e Forestieri dichiarandola "come da più numerarsi" si procedeva ad un rimpasto del Consiglio Generale composto da 106 consiglieri. Al contempo andavano diffondendosi le idee dell'enciclopedia e si formava nel 1791 per iniziativa di G.B. Savoldi una "Società di Giovani Signori" di impronta illuministica della quale fecero parte gli intellettuali della borgata. Sceso l'esercito francese nel marzo 1796, al comando di Napoleone, un contingente dello stesso al comando del Liptai il 28 maggio si schierò a N di Lonato, sulle alture del monte Rova in attesa di scontrarsi con l'esercito austriaco che aveva disposto la sua ala di sinistra alla porta del Corlo, quella di destra a S. Zeno e cannoni intorno alla Madonna di S. Martino. Alle ore 11 la truppa francese comparve, sotto la guida del Kil, sulla strada da Brescia a Lonato e incominciò a scaricare fuoco sugli austriaci, occupando la Colombera Savoldi e il Monticello di S. Martino. La pressione francese fu tale che costrinse gli austriaci a ripiegare sulle alture della Rova ma dopo due ore vennero stanati costringendoli a ripiegare sulla strada per Desenzano. Riorganizzati rientrarono poco dopo per Porta Clio. I francesi erano ormai convinti di una vittoria quando un certo Giacomo Dunquel detto tedeschino, sbirro di S. Marco, incontrati alcuni austriaci in piazza del Mercato li convinse a seguirlo sugli spalti della Rocca, da dove saliti con una scala ad una feritoia, presero a sparare sui francesi, suscitando fra loro grande spavento, che si aggravò quando altri austriaci presero a sparare da un'altura vicina alla porta del Corlo dal Grolo Uberti. Presi tra due fuochi i francesi sembravano destinati alla sconfitta più dura quando il gen. Augeran riuscì a riorganizzare il contrattacco dalla strada Cavallere e da quella di Moro-Schiappo gettandosi poi sugli austriaci appostati nel brolo Uberti mentre la lotta si faceva viva per le strade di Lonato. Sopraffatti dal numero gli austriaci ebbero la peggio. Si contarono 1200 i morti fra cui 300 circa francesi. Gli austriaci si rifugiarono nella fortezza di Peschiera, mentre francesi si accamparono per due giorni in Lonato, a carico della comunità che non mancò di protestare con provisione del 20 giugno 1796. Lonato tornò ad essere epicentro di combattimenti il 31 luglio, quando le truppe austriache del contingente guidato dal gen. Quosdanowich, che erano distese dalla rocca lungo la Valsorda fino a Carzago, alle 8 del mattino vennero decisamente attaccate dalle truppe francesi guidate da Napoleone stesso che riuscirono a snidarle dalle alture del Rova. Napoleone ordinò di inseguire il nemico verso Desenzano spostandosi da una posizione all'altra; mentre passava dal casino Resini al fienile Barichelli, corse pericolo di cadere in mano nemica e riuscì a salvarsi solo perchè nascosto sotto lo strame da un contadino di nome Pezzotti. Gli austriaci riorganizzatisi ritentano di riprendere il Monte Rova; salendo da S. Martino occupano le alture di Sale, mentre stanno piazzando un cannone in posizione tale da mettere in sicuro pericolo Napoleone ed i pochi francesi che sono con lui; un soldato francese, uscito dalle file, lo consiglia di mettere un cannone al casino Zambelli sul Monte Paradiso. Napoleone esegue e riesce a sbaragliare il nemico. Quando il mattino dopo durante la rivista delle truppe chiede del soldato e gli vien detto che è caduto colpito da palla nemica in combattimento non potrà non esclamare: «Soldati, egli era un prode» soggiungendo: «Se quella palla avesse colpito me, quel soldato avrebbe potuto rimpiazzarmi». Posto il quartiere generale al casino Resini, in Lonato, Napoleone prepara un attacco deciso spostando il grosso delle truppe a Desenzano e a Castiglione. Il 2 agosto, trovatosi in Lonato con pochi uomini, gli viene intimata la resa da parlamentari inviatigli dal gen. Oth che aveva scambiato la cupola del duomo di Lonato per quella di Montichiari dove era destinato. Napoleone risponde: "Dite al vostro generale che se entro otto minuti non si sarà arreso non concederò grazia a chicchessia" e immediatamente manda un contingente di duecento uomini al campo nemico per ricevere la resa del gen. Oth. Il giorno dopo, 3 agosto, una colonna austriaca guidata dal gen. Ocsky, giunta a Desenzano la sera prima, si dirige su Lonato dove riesce a far sloggiare la brigata di Pigeon, della divisione Massena. Napoleone, informato, accorre subito assieme a Massena e attacca frontalmente il piccolo corpo austriaco con due brigate mentre con un'altra manovra gli taglia la strada. Ocsky, vistosi tra due fuochi, si arrende con tutti i suoi. Il gen. Quosdonovich, pur avendo avuto ragione dei francesi viene a conoscenza della disfatta a Lonato del gen. Ocsky e credendo che tutta l'ala austriaca sia stata gettata al di là dell'Adige e di trovarsi da solo alle prese con l'esercito francese ordina la ritirata verso Trento. Nel dicembre 1796 la Rocca viene di nuovo occupata dalle truppe francesi del gen. Victor nonostante le proteste della Repubblica Veneta che accampa inutilmente la propria neutralità. Non curanti della stessa, i francesi ordinano restauri e riparazioni che si intensificano ancor più dopo che il trattato di Campoformio cede Venezia all'Austria e Lonato sembra assumere di nuovo importanza tanto che in un primo momento sembra che Napoleone voglia crearvi una fortezza. Scoppiata il 18 marzo 1797 la rivoluzione giacobina, Lonato fu tra i primi centri della provincia a cui il Governo provvisorio, instauratosi in Brescia, mandò suoi emissari. Il 20 marzo, con duecento armati, vi entrava il conte Francesco Gambara accompagnato da un frate domenicano il torinese Basilio Darico. Vennero suonate a festa le campane e abbattuta la colonna con il leone di S. Marco. Per trascinare alla rivoluzione il popolo venne promessa la divisione della terra, ma non sembra che la politica napoleonica e prima ancora rivoluzionaria, abbia avuto particolare fortuna a Lonato. Nello stesso giorno i due consoli Cristoforo Barzoni e Giacomo Franceschini si misero in contatto con le autorità venete a Verona. Mentre il giorno dopo veniva innalzato l'albero della libertà e il frate arringava la folla, un forte numero di "gogli" cioè fautori della Serenissima, con a capo i Peli, i Moreni e l'appoggio di gente di Calcinato, recando un leone di ferro si presentava in piazza, al grido di "Viva S. Marco, viva la religione, abbasso il governo bresciano" innalzava di nuovo la colonna con il leone acclamando ai consoli che riprendevano il loro ufficio. Nei giorni seguenti molti lonatesi si arruolarono con i controrivoluzionari che però non osarono attaccare i soldati francesi e giacobini di Francesco Gambara. Il 9 aprile, festa delle Palme, gran parte della popolazione, armatasi si portò in piazza. Il dott. G.B. Gerardi che aveva cercato di calmare gli animi e di evitare uno scontro venne abbattuto da uno dei Peli con una fucilata e finito a colpi di rivoltella, mentre una gran massa, al suono della campana a martello, si riuniva a Carpenedolo con insorti d'altri paesi decisi a marciare, con a capo il farmacista Sambinelli, contro Brescia. A Lonato veniva creato un nuovo governo: francesi e giacobini, fatti prigionieri, vennero rinchiusi nel palazzo municipale mentre i controrivoluzionari si dirigevano attraverso Ponte S. Marco su Brescia, in concomitanza con altre colonne. Raggiunto Rezzato i rivoltosi vennero respinti da un battaglione di bresciani polacchi e francesi e costretti a ripiegare su Ponte S. Marco, dove uccidevano il colonnello polacco Labruski ed erigevano una forte barricata. Sopraffatti al fianco da uno squadrone di cavalleria vennero uccisi in gran numero. Anche Lonato fu ripresa. Il comandante francese risoluto a bombardarla ne fu dissuaso dai consoli, che trattenne in ostaggio, dall'arciprete e da personalità del paese. L'1 maggio finalmente anche a Lonato veniva proclamato il Governo Provvisorio. Staccate dalla Riviera le terre di Arzaga, Bedizzole, Calvagese, Carzago, Desenzano, Maguzzano, Moniga, Padenghe, Pozzolengo, Rivoltella, Soiano e Venzago, riunite nel Cantone dei Colli, erano sottoposte a Lonato. Subentrata la Cisalpina al Governo provvisorio Bresciano, vi fu una lunga disputa fra i deputati perchè a capoluogo del Dipartimento del Benaco fosse designata Lonato. Per assicurare la sottomissione non solo di Lonato ma anche delle terre contermini il 14 novembre 1797 vi prendeva stanza il comando di una delle sette divisioni militari che risiedevano anche a Milano, Bologna, Ferrara, Mantova, Bergamo e Cremona. Il 15 giugno 1805 Napoleone, diretto a Verona, rivede Lonato mentre l'esercito francese si accampa a Montichiari. A Lonato è accolto dal clero, autorità e dalla banda, ma incontra ancora vivo il rimpianto di Venezia e il Tessadri nelle sue memorie racconta che il suonator di fagotto Paolo Leone Papa "alzando lo strumento ed il cappello" andava gridando: «Viva Napoleone, viva Napoleone». Ma nel gioco sempre più ampio della politica napoleonica e della sua strategia militare, anche Lonato cambia volto e la rocca passa dal Demanio che la affitta a privati. Instauratosi dopo la caduta di Napoleone il regno Lombardo Veneto, Lonato assume di nuovo posizione di rilievo come capoluogo del V Distretto della provincia di Brescia e come comune di prima classe. La borgata perde sempre più l'aspetto di una città fortificata. Nel 1823 la rocca viene messa all'asta e venduta nel 1827 a certo Angelo Raffa, mentre nel 1826 si incomincia ad abbattere le mura. Anni durissimi di carestia furono quelli del 1816-1817 cui seguì un'epidemia di tifo petecchiale. Per accogliere i colpiti venne approntato un ospedale di emergenza nell'ex convento dei Francescani Minori Osservanti. L'epidemia miete 60 vittime. Per venire incontro alle orfane delle epidemie e della miseria l'arciprete Gaspare Gaspari crea un orfanotrofio, affidato alle Canossiane e fonda un educandato. Nel 1834 e nel 1840 la borgata conobbe il peso di nuovi acquartieramenti di truppe austriache per le grandi manovre tenute nella brughiera di Montichiari. Nel giugno 1836 Lonato viene colpita dal colera che diffusosi rapidamente miete numerose vittime. Allo scoppio della rivoluzione, nel marzo 1848 e nella ritirata austriaca, contingenti di truppa austriaca si attestarono a Lonato e a Desenzano, dove non molto disturbate dalle colonne dei volontari, continuano a taglieggiare la popolazione spingendosi con scorrerie da Lonato, Montichiari e Desenzano a Carpenedolo, nella Valtenesi e a Salò. Solo il 4 aprile abbandonarono Lonato per riunirsi nella fortezza di Peschiera e in quelle del Quadrilatero. Lonato fu poi tra i primi centri del Bresciano ad organizzare, il 26 marzo, una rappresentanza municipale composta da capifamiglia possidenti e commercianti, dall'avv. Giorgio Savoldi, l'avv. Gian Luigi Gerardi, Pietro Panizza, l'avv. Lelio Gallinetti, il dott. Pio Gallinetti, l'avv. Luigi Arrighini, Giacomo Franceschini, Paolo Minelli, l'arciprete don Franco Codignola, il dott. Giuseppe Cavallari, don Rinaldo Pellizzari, don Emilio Gioetti ecc. La rappresentanza creò subito cinque comitati di amministrazione e corrispondenze di vigilanza e pubblica sicurezza, di opere pubbliche, acque e strade, militare, di sanità, annona, culto, istruzione pubblica e beneficenza. La folta presenza poteva far pensare ad una vampata di patriottismo. Ma quando nel giugno 1848 sostava a Lonato la Compagnia Pio IX, formata da studenti dell'Università di Pavia, tutte le porte si chiusero. Quando gli scontri tra gli eserciti nemici si moltiplicarono Lonato divenne uno dei centri dell'assistenza ai feriti e ammalati e centro di mistamento verso gli ospedali di Brescia. Più tardi, nell'agosto, Lonato e la sua campagna costituirono con Desenzano il campo dell'ultima resistenza dei volontari contro la preponderanza austriaca. Il 6 agosto la legione polacca del Kamiensky riuscì a respingere vittoriosamente un assalto a Lonato dove in un contrattacco vittorioso il Kamiensky venne ferito e dovette essere trasportato a Brescia. Pochi giorni dopo gli austriaci occuparono Lonato.


Gli anni che seguirono furono contrassegnati da nuove disgrazie ma anche da progressi. Nel 1849 probabilmente portato dalle truppe austriache reduci dall'assedio di Venezia, Lonato fu uno dei centri bresciani ad essere per primo colpito dal colera, ma due anni dopo salutava la costruzione della Galleria della ferrovia Milano-Venezia, che doveva portare un enorme sviluppo alla vita economica della borgata. Negli anni seguenti fra i Lonatesi più patriotticamente caldi si distinse lo studente Francesco Chinelli che con Pier Fortunato Calvi aveva cospirato per l'insurrezione del Cadore e che venne poi arrestato il 28 settembre 1953 a Pontedilegno sotto il falso nome di Pietro Giuli. Condannato dal giudizio di guerra austriaco, venne graziato il 25 gennaio 1857. La grazia al Chinelli coincise probabilmente con la visita a Lonato, l'11 gennaio 1857, dell'imperatore Francesco Giuseppe, accolto con entusiasmo specialmente dal popolo minuto. Ma che lo spirito patriottico serpeggiasse sempre più vivo lo dimostrarono ripetuti fatti di disobbedienza alle autorità austriache che andarono diffondendosi a Lonato come altrove specie dal febbraio 1859. Già dalla sera dell' 1 giugno, Lonato dovette avvertire, al sopraggiungere della guarnigione austriaca proveniente da Brescia, che la situazione andava precipitando. Il 14 vi fece la sua comparsa Garibaldi che però dovette precipitarsi a Virle Treponti dove i suoi volontari erano stati attaccati dagli Austriaci. Il 21 giugno la borgata venne raggiunta dalla III armata che tuttavia si spostò su Desenzano mentre vi si accampava la I e la IV divisione. Il 23 giugno anche la II divisione si attestava fra Lonato ed Esenta. Lo stesso giorno giungevano a Lonato re Vittorio Emanuele II e l'imperatore Napoleone III. Mentre l'imperatore proseguiva per Desenzano il re passò la notte in casa Raffa e pose il Quartier generale in casa Zambelli. Sarà nella estrema campagna di Lonato a Madonna della Scoperta che il giorno dopo si giocheranno la loro partita gli eserciti piemontese e quello austriaco. Gli storici anzi ritengono che l'esito della battaglia sia stato risolto alla Madonna della Scoperta. Veramente generosa e pronta fu l'opera di assistenza prestata dai Lonatesi ai feriti della battaglia di Solferino e S. Martino alla quale si può dire la popolazione aveva assistito direttamente. Mentre ancora ferveva la lotta, vennero mobilitati tutti i mezzi di trasporto, mentre chiese e case venivano trasformate in ospedali che servivano per il primo soccorso e lo smistamento verso la città e altri centri della provincia. Si distinsero fra tutti il dott. Sparolazzi, il chirurgo Riccardi, l'ing. Luigi Mascarini, la signora Elisa Farinati. Le speranze suscitate dalla battaglia del 24 giugno 1859 tramontavano con l'amara sorpresa dell'armistizio che lasciava il Veneto all'Austria. Il 9 luglio Lonato accoglieva il Quartier Generale Piemontese e il 13 settembre assisteva alla distribuzione, da parte del Gen. Mollard, comandante la III divisione italiana, delle onorificenze conferite dal re a coloro che si erano distinti in guerra. Trovandosi ai confini con il Veneto tra il 1859 e il 1866 Lonato fu centro dell'attività del Partito di Azione e degli irredenti veneti e trentini. Tra tutti si distinsero per attività politica, risvegliando la sorveglianza della Pubblica Sicurezza, Ferdinando Arrighi, il dott. Michele Angelo Torresini di Padova e medico condotto a Lonato dal 1859, Giovanni Boldrini, Giovanni Bruschi, i fratelli Giuseppe e Raimondo Pizzocaro e specialmente l'impiegato ferroviario Francesco Chinelli, già condannato dall'Austria. Luogo di ritrovo di garibaldini e mazziniani era l'Osteria del Cappello e il casino di lettura. Costoro diedero vita ad una Società emancipatrice sciolta però subito dall'autorità. Non poche volte, ma specialmente dopo i fatti di Aspromonte, a Lonato si sentirono grida di "Viva Garibaldi" e pare anche di "Morte al re". Segno di spirito patriottico oltre che filantropico nel 1862 veniva fondata la Società Operaia. A rinfocolare gli entusiasmi patriottici il 27 aprile 1862 Lonato ospitò Garibaldi, giunto per inaugurare il tiro a segno che raccolse molte adesioni anche dai paesi contermini. Il generale tornò il 25 giugno 1866 per organizzare, dopo la sconfitta di Custoza, in caso di attacco austriaco, la linea difensiva che proprio su Lonato doveva far perno e a Lonato Garibaldi si fermò intere giornate.


Lonato fin dal 1860 fu sede di Collegio elettorale. Dalle prime elezioni del 25 marzo 1860 espresse i seguenti deputati: Aleardo Aleardi (1860), Emilio Broglio (1861 e 1865), Gaetano Semenza (1867), Francesco Lorenzi (1867), Giovanni Luscia (1870), Marcello Cherubini (1874-1876-1880), Ulisse Papa (1882), Giov. Antonio Poli (1892), Bortolo Benedini (1895), Luigi Carpeneda (1897), Ulisse Papa (1899), Gaetano Bonoris (1900), Ugo Da Como (1904-1909-1913). Vivaci furono le polemiche fra liberali e clericali. Particolarmente attivi come intransigenti furono l'arciprete mons. Agostino Rodolfi che ebbe vivaci scontri con esponenti del liberalismo locale specie per la presenza di bandiere di associazioni in chiesa e Antonio Cerebotani presidente del Comitato Parrocchiale. Momenti di catalizzazione patriottica furono l'inaugurazione di una lapide a Garibaldi nell'ottobre 1885 con la semplice iscrizione.: «A Giuseppe Garibaldi / 11 ottobre 1885 / i Lonatesi». Nello stesso anno a sostegno dell'azione del partito zanardelliano veniva costituita l'Associazione democratica di Lonato. Ricordato per decenni fu il tremendo ciclone che investì Lonato il 14 maggio 1886 e che da Esenta colpì Malocco, Monte Mario, i Pre, ecc. sradicando alberi, demolendo case, fra cui la cascina Ambrosiana, sotto le cui rovine rimasero cinque vittime. Alla grave situazione economica e all'estrema povertà, si cercò di ovviare con l'emigrazione e con opere assistenziali. Solo il 22 aprile 1844 partiva da Lonato un gruppo di 118 uomini, reclutati da un certo Cenedella e diretto nell'America del N. Per venire in soccorso dei pellagrosi (nel solo 1898 se ne contavano ben 60) veniva organizzata una locanda sanitaria ed una cucina economica; per aiutare gli scolari poveri nel luglio 1897 si costituiva il Patronato Scolastico. Pur fra molta miseria e nelle difficoltà la borgata progredisce. Nel 1874 veniva addirittura ventilato il progetto di abbattere porte e mura, progetto avversato in Consiglio Comunale dai consiglieri Franceschini, Bondi e Rizzi. Nel 1880 è rifondata la Banda Musicale, mentre si intensifica la vita teatrale anche con rappresentazione di opere liriche. Nel 1881 specie per la munificenza del nob. Luigi Tommasi e più tardi, nel 1884, del dott. Alcibiade Gerardo è aperto in casa Zambelli l'asilo infantile, ampliato nel 1901 e poi ancora nel 1910. Lonato è inoltre fra i primi centri della provincia a provvedersi nel luglio 1888 della luce elettrica.


Agli inizi del secolo Lonato cambia completamente volto. Le corse automobilistiche del circuito di Brescia che in un primo progetto avrebbero dovuto attraversare Lonato, convinsero il Consiglio Comunale ad abbattere nel luglio 1906 Porta Verona, ex Porta Clio. Sospesi i lavori, nell'ottobre si decise la ricostruzione interrotta poi per la distruzione completa del cimelio storico. Contemporaneamente viene tolta la monumentale fontana esistente in piazza Vittorio Emanuele II e presso la quale era stato ucciso nel 1797 il dott. Savoldo e trasferita in località Lonatino, dove si trova oggi. In compenso nel 1905-1906 viene ampliato il cimitero. Nel 1908 è dato il via al nuovo Macello pubblico. La borgata nel novembre-dicembre 1913 è colpita da una grave epidemia di tifo e febbre petecchiale diffusasi soprattutto nel distaccamento militare. Per la sua posizione e importanza logistica Lonato ospitò spesso contingenti militari. Dopo la rotta di Caporetto fu centro di raccolta e di smistamento dei soldati e nella primavera 1918 del II Corpo d'armata, con a capo il gen. Albricci destinato in Francia, il cui comando ebbe sede nella villa De Riva dove sostò anche il re Vittorio Emanuele III, come ricorda una lapide posta il 20 ottobre 1924 che dice: «Qui sostò il 19 aprile 1918 S.M. il Re Vittorio Emanuele III - recando la sua augusta parola di incoraggiamento e di fede al Comandante Generale Albricci alle truppe impazienti di portare nelle terre di Francia le fortune della patria. In questa villa, dove fu ospite, prese le mosse per la Francia, nella primavera del 1918, il comando del II Corpo d'Armata le cui truppe conquistarono in quelle terre a prezzo di gloriosi sacrifici nuovi imperituri allori alle armi italiane». Furono 134 i caduti durante la I guerra mondiale che nel 1922 verranno ricordati con un monumento affidato allo scultore Luigi Contratti, inaugurato il 19 ottobre 1924 alla presenza del Duca di Pistoia. Contemporaneamente è inaugurata una lapide già menzionata per ricordare la partenza del II Corpo d'Armata per la zona di operazioni nella primavera 1918. Nel dopoguerra furono numerosi i problemi affrontati come quello del miglioramento della strada Lonato-Orzinuovi per la quale nel 1928 veniva costituito un apposito Consorzio. La vita politica non ebbe punte estremistiche, anche se il dibattito fu particolarmente vivace fra socialisti e popolari. Il fascio di Lonato fu il primo a costituirsi il 2 maggio 1920 e tra i pochi ad essere rappresentato al II Congresso dei fasci a Milano il 23 maggio. Il 20 agosto 1920 costituiva il suo direttorio. Non mancarono scontri con socialisti, specie di Desenzano e spedizioni punitive a Calcinato, a Sirmione e in Lonato stesso fra cui particolarmente grave quella dell' 1 maggio 1922. Presto si organizzarono due squadre d'azione «La più disperata» e la «Luigi Schena» presenti a Bagnolo M. Gardone V.T., Trento, Brescia. Da 15 nel 1922 i fascisti organizzati erano un centinaio nel 1925. Non mancarono violenze fasciste specialmente nel 1922 e 1923. Il 23 dicembre 1922 fascisti e socialisti si scambiarono bastonate e calci, nel maggio 1923 tornarono ancora a scontrarsi; collutazioni ebbero luogo il 23 luglio dello stesso anno. Seguirono anni di amministrazione normale che videro soprattutto risolti problemi di acquedotti e di scuole. Nel 1934 si inauguravano le scuole rurali di Bettola e Campagna e nel 1938 l'edificio scolastico del centro, al quale seguì quello di Maguzzano. La II guerra mondiale lasciò segni visibili anche negli edifici pubblici e le prime amministrazioni comunali dal 1946 in poi dovettero affrontare problemi per il riordino dell'asilo e il ripristino degli edifici comunali. Fra i primi segni di ripresa fu il ricollocamento delle campane sulla Torre Civica, la risistemazione degli uffici comunali, la pretura ecc. Nel 1947 venne avviato il Piano Tupini per la costruzione di nuove case. Il problema scolastico venne affrontato con decisione. Nell'anno scolastico 1951-1952 è istituito il corso della scuola media inferiore mista. All'assistenza dei lavoratori e alla promozione del mondo del lavoro viene dedicato nel febbraio 1953 un Circolo Acli. Negli anni Settanta è posto sul tappeto il problema del centro storico e nel contempo quello dell'edilizia popolare. Nel 1973 il problema del restauro e della valorizzazione della Rocca viene affrontato con decisione; nel 1975, inaugurata la nuova sede della scuola elementare del centro, cui segue nell'anno seguente la ricostruzione di quelle del Centenaro. Nel frattempo la cittadina si arricchisce di nuovi monumenti. Nel 1977 è eretto un monumento alle vittime degli infortuni sul lavoro, opera di Gino Ghioni. Negli anni Ottanta si sviluppano i complessi edilizi a Monte Mario, alle Pozze ed altri. Il problema della valorizzazione della Rocca, già affacciatasi con insistenza fin dal 1973, viene affrontato con decisione nel 1983 dalla ProLoco e fatto proprio in accordo con la fondazione "Ugo Da Como" da una Cooperativa di volontari. Pur ostacolati da vivaci polemiche un buon numero di cittadini ripuliscono e consolidano le mura, compiono scavi e realizzano un vasto parco botanico e pubblico. Nell'ottobre 1983 è inaugurata la nuova caserma dei carabinieri. Migliorati anche i servizi come l'impianto del metano (luglio 1985) e l'ampliamento dello scalo merci. A Lonato ha avuto sempre rilievo l'assistenza pubblica. Di un ospizio o xenodochio per pellegrini si parla già nel sec. XI. Un ospedale venne eretto nel 1453, rifabbricato poi nel 1577. Una funzione benefica svolse il Monte di Pietà. Rilievo ebbe poi dal 1600 l'ospedale creato dai Disciplini. Declassato nell'800 a infermeria, chiuso nel 1975 e fuso con l'ospedale di Desenzano mentre per Lonato veniva progettato un centro d'avanguardia per il recupero integrale dei mutolesi. Nel 1928 veniva costruito annesso all'ospedale un sanatorio capace di 28 letti, poi aumentati e in seguito trasferito alla villa dei Colli fuori l'abitato. Ad esso dedicò tutta la sua passione filantropica il dott. Gianfranco Papa. La villa dei Colli veniva creata ospedale provinciale specializzato in broncopneumo- tisiologia, capace di 180 posti; chiusa nel 1977, trasformata nel 1979 in una lungodegenza con servizio di recupero e di rieducazione funzionale, cui si aggiunsero un reparto di neurologia e uno di dermatologia. Il vecchio ospizio per anziani venne sostituito nel 1982 con una casa-albergo per autosufficienti. Su iniziativa della parrocchia un gruppo di volontari ha edificato in Sudafrica, a Ten Morcen, a 50 km da Pretoria un villaggio per anziani affidato ai Padri Stimatini di Verona. Nel 1968 inizia l'attività un efficiente gruppo Avis che raggiunge presto circa 200 soci con sede autonoma. Ad esso si aggrega un gruppo Aido. Tramontata invece un'altra iniziativa assistenziale: l'Orfanotrofio femminile, fondato per testamento dall'arciprete conte Gaspare Gaspari nel 1837 che da poche ospiti agli inizi ne accolse nel II dopoguerra più di cento.


ECCLESIASTICAMENTE Lonato fu pieve abbracciante un vasto territorio e gravitante su Verona. Diventa collegiata con centro nella chiesa di S. Zenone fino al sec. XIV e poi in quella di S. Giovanni Battista; con la bolla del 1184 Papa Lucio III, confermava all'arciprete di Lonato estesi possedimenti anche nel territorio di Maderno. Sempre numerosi fino al '700 furono i sacerdoti (nel 1730 salivano a 68) residenti in Lonato ed in alcune frazioni. Dalla pieve vennero staccate poi le parrocchie di Maguzzano e di Esenta (questa annessa alla Diocesi di Brescia) mentre restò sotto Brescia, Drugolo e dintorni. Recentemente a Madonna della Scoperta è stata costituita una parrocchia che ha preso la denominazione Scoperta-Vaccarolo (v.). Grandiosa realizzazione del parrocchiato di mons. Alberto Piazzi è il complesso parrocchiale del Centro Giovanile Paolo VI, con vaste sale per l'istruzione religiosa, teatro, campo sportivo, campi da gioco. Una delle spine dorsali della vita religiosa lonatese fu la Confraternita di Disciplina che ottenne il decreto vescovile di erezione nel 1385. Verso la fine del sec. XV, e più precisamente nel 1497 e nel 1498 aveva sede "al Pelagal" (l'attuale via Piedegallo), dove la Disciplina organizzò probabilmente un proprio ospizio e ospedale. L' 1 dicembre 1505 l'arciprete Andrea Ardese concedeva ai Disciplini la chiesa del Corlo dalla quale svolsero intensa azione religiosa e sociale specie attraverso attività caritative verso poveri, malati, ragazze da marito. Nel 1572 i Disciplini (aggregati nel 1588 alla Arciconfraternita romana del Gonfalone) crearono un nuovo ospedale che gestirono fino al 1797, amministrarono un vasto patrimonio di terreni e case e organizzarono, in occasione di pestilenze, specialmente nel 1630, lazzaretti e opere assistenziali.


CHIESE: rimane ancora la primitiva chiesa plebanale romanica dedicata a S. Zeno. La tradizione la vuole eretta nel sec. V e poi distrutta da eretici intorno al Mille e riedificata probabilmente nel sec. XII. La sua esistenza come "plebem S. Zenonis de Lundado" è testimoniata nella bolla di Papa Lucio III data in Verona il 10 ottobre 1184 con la quale venivano confermati i beni ad essa concessi dai vescovi di Verona. Di nuovo devastata nel 1339 da Lodrisio Visconti e subito restaurata; nel 1708 venne di nuovo restaurata all'interno con archi traversi appoggiati a semipilastri che dividono la navata in quattro campate. Secondo il Panazza l'edificio ad una navata con tetto a campana in vista e chiusa da un'abside semicircolare non si allontana dal semplice schema "tanto comune nella terra bresciana". L'esterno è stato toccato solo nella facciata. Bella l'abside in cui il Panazza trova una certa raffinatezza che fa pensare ad un influsso, sia pur debolissimo, della scuola veronese: raffinatezza data dalla dolcezza di passaggi tra i vari piani, dall'attenuarsi degli aggetti, dal numero degli specchi e dal rapporto dei pieni coi vuoti, nonchè dall'apparire della decorazione nei peducci e nei rettangolari capitellini delle lesene dove la tecnica appiattita e la composizione stessa dei caulicoli e delle testine non turbano l'esile verticalismo delle lesene. La chiesa è stata restaurata nel 1980-1981 dal gruppo alpini di Lonato e con l'aiuto di Papa Giovanni Paolo II che ha anche inviato un'immagine della Madonna di Cestokowa. Sviluppatosi il paese più a S lungo le pendici e ai piedi della collina Rova nel sec. XIV e, secondo la tradizione dopo le distruzioni del 1339, venne costruita anche una chiesetta dedicata a S. Giovanni Battista che andò via via soppiantando la vecchia chiesa di S. Zeno. Diventata insufficiente a contenere i fedeli, dal 1488 venne ristrutturata a pianta rettangolare con otto altari e consacrata il 15 ottobre 1540. Durante tutto il secolo la chiesa venne arricchita di notevoli opere d'arte quali il trittico del Licinio, le pale del Farinelli e del Marone, le statue del Balesini. Lo sviluppo intenso che Lonato ebbe nel secolo XVII dopo la peste del 1630 e agli inizi del sec. XVIII impose il problema di un nuovo ampliamento della chiesa parrocchiale. Nel 1648 venne concessa ai confratelli del SS. Sacramento la costruzione di una loro cappella che risultò sproporzionata e compromise la stabilità dell'edificio intero. In seguito si provvide a riparazioni fino a quando nel 1677 venne rilevata la assoluta necessità di costruire una nuova chiesa. Passarono ancora vent'anni prima che il progetto venisse ripreso e più di trenta prima che si deliberasse l'opera. Commissionato il progetto al lonatese Paolo Soratini questi lo stese nel 1732; dapprima contestato, sottoposto al giudizio dell'arch. G.B. Marcheta e finalmente accettato. Il 19 aprile 1738 il Gran Consiglio dava il via alla costruzione. Venne fatto appello alla collaborazione dei lonatesi che assieme a ben 68 sacerdoti originari del paese prestarono la loro opera di manovalanza nelle demolizioni e nella costruzione. Fin dal maggio 1739 venivano gettate le basi perimetrali e subito dopo alzati i muri. Sopravvennero presto difficoltà: si discusse sul posto dove innalzare il campanile, si fecero obiezioni sulla collocazione della sagrestia, si contestò l'onorario all'architetto, venne fatta opposizione, per via legale, all'abbattimento della cappella del SS. Sacramento. L'opera continuò, in capo a due anni erano terminati il campanile, la sagrestia il coro e i muri perimetrali fino al transetto. Senonchè le opposizioni continuarono e si rinfocolarono fin ad ottenere il 18 settembre 1743 da parte del capitano di Brescia Amarò Barbaro, la sospensione dei lavori. Demolite le accuse, ottenuta protezione a Venezia, rinnovati i deputati alla fabbrica, il 14 marzo 1750 il senato concedeva la sanatoria al fatto compiuto e i lavori poterono essere ripresi, con tenacia e determinazione, e per quanto ciclopici e costosi fossero nel 1759 la grandiosa chiesa era in grado di essere officiata e veniva portata a termine la grande facciata marmorea. Dopo alcuni anni di respiro e di rifiniture il 6 ottobre 1772 si diede il via alla costruzione della cupola che venne con immane lavoro finita in quattro anni e nel 1776 coperta di rame per opera del lattoniere Filippo della Rosa di Belluno. Nel frattempo l'arciprete Faustino Zambelli aveva fatto costruire l'elegantissimo altare maggiore e si avviava la costruzione degli altari del Santissimo e della Comunità. Infine il 6 dicembre 1778 il General Consiglio siglava con il pittore Giosuè Scotti il contratto per la decorazione del tempio. Il 22 ottobre 1780 il vescovo di Verona procedeva alla sua consacrazione. Dopo 42 anni e 12 giorni, degno di una grande città, il grandioso duomo era terminato. Come annota A. Piazzi: se la costruzione della chiesa fu veramente un'opera comunitaria e quindi il merito maggiore va attribuito alla massa dei lonatesi, non va dimenticata, tuttavia l'opera indefessa dell' amministrazione comunale, che sull'alto della facciata aveva collocato il suo stemma, il contributo determinante della parrocchia sotto la guida degli arcipreti Ludovico Fiocarini (1712-1745) e Faustino Zambelli (1751-1775), dei curati Andrea Greco (morto nel 1768), strenuo animatore dell'erezione della facciata e Giuseppe Agosti collaboratore alla direzione dei lavori, dei deputati alla fabbrica Giuseppe Apollonio, Paolo Panizza e Tomaso Tomasi, nonchè dei signori Carlo e Raffaele Savoldi che, nel periodo più difficile, avevano consentito una ipoteca sulle loro proprietà per ottenere un prestito dalla Comunità di Salò. Una menzione particolare ritengo la si debba riservare per il capomastro maggiore Antonio Inganni, interprete fedelissimo ed esecutore delle complesse strutture soratiniane, sempre presente sul lavoro, stimato e ascoltato dalle squadre degli operai e abile coordinatore dell'apporto improvvisato e confuso dei manovali volontari. Come ha documentato il Lucchini l'ingente somma occorsa per la costruzione, valutata sulle 450 mila lire planet, venne per due terzi ricavata dall'imposizione di un contributo forzoso al canone d'affitto che il comune riscuoteva dall'incanto delle proprietà comunali di Venzago. Un terzo venne raccolto con oblazioni volontarie, assenti quasi tutte le famiglie benestanti dilaniate da odi ed avversioni. Imponente e pur elegante, il duomo presenta notevoli aspetti architettonici. Come ha scritto A. Piazzi: «La facciata soratiniana del duomo di Lonato va ritrovata, osservando la facciata stessa idealmente mutilata delle parti laterali che ne mortificano lo slancio ascensionale così caro al nostro architetto e da lui non previste, come si può rilevare anche nel disegno contenuto nel suo ritratto che si conserva nel duomo. Nonostante ciò, si deve ammettere osservando la facciata, che le variazioni non sono sostanziali perchè lo spirito informatore di tutte le sue architetture è ancora presente, inconfondibile nelle spartizioni nette in senso orizzontale, nel frontone continuamente mosso e culminante nelle tipiche fumiere e nella presenza decorativa delle nicchie, caratteristiche di tutte le sue opere». Impreziosiscono l'architettura le trabeazioni, le colonne, i capitelli, le specchiature, le nicchie, le ornamentazioni che sono trattate con molta cura ed eseguite con sicura perizia. Come pure di buona fattura sono le quattro statue raffiguranti, da sinistra, S. Caterina, S. Zeno, S. Annone e S. Barbara. Al di sopra della finestra è scolpito un grande fregio con due angeli ad ali spiegate sopra le volute del frontalino spezzato in atto di reggere lo stemma del Comune di Lonato, con leone e gigli sormontati da una corona. Anche la facciata absidale posteriore del duomo, con la parte centrale convessa in corrispondenza dell'abside e con quella di sinistra incorporante l'elegantissimo campanile, ha un aspetto armonioso e piacevole. Sopra un alto zoccolo in pietra corre una parete in muratura, mossa da specchiature contenute entro un cornicione superiore al quale si appoggiano alte paraste terminanti in marmorei capitelli con foglie d'acanto stilizzate. Si aprono, nella costruzione, finestre con contorni di pietra e nicchie che racchiudono tre statue raffiguranti quella di sinistra Melchisedech, quella centrale un'allegoria della Chiesa (nella sinistra la croce e pendenti al polso le chiavi di S. Pietro, nella destra il calice e sul petto un fermaglio con un simbolo eucaristico) e quella di destra Mosè. Al centro è murata una lapide con la scritta «D.O.M. honori S. Joannis Baptistae Civitas leonatensium». Pur non grande come quella del Duomo di Brescia e rivestita di marmi come quella di Montichiari, la cupola è forse più di questa elegante ed armoniosa sia all'interno che all'esterno.


Maestoso ed imponente all'esterno, armonioso e suggestivo nell'interno, il duomo è ricco di opere d'arte. A chi entra a sinistra si presenta per primo l'altare di S. Rocco che secondo A. Piazzi sarebbe opera di Carlo Carra, con l'aggiunta di elementi del '700 fra cui il paliotto a tarsie di straordinaria austerità e severità d'impianto, la statuetta, che richiama i Calegari e il fastigio ornato di cornici e volute. La statua grande è probabilmente di un intagliatore bresciano degli inizi del '700. Segue l'altare del Rosario costruito nel 1660 da Carlo Carrà con paliotto molto semplice e austero, colonne e specchiature di breccia viola, alto fastigio fiancheggiato da angeli. Nella nicchia una statua della Madonna col Bambino con caratteri stilistici del barochetto austriaco della fine '700. Segue come terzo l'altare dedicato a S. Sebastiano con un bello e policromo paliotto a tarsia marmorea di artigianato bresciano; sopra la mensa due bellissime colonne tortili di rosso di Francia, che sostengono un frontone spezzato sul quale siedono due angeli che incorniciano una riquadratura a olio nella quale spicca un ovato a olio raffigurante S. Vincenzo Ferreri (o S. Domenico). La pala raffigurante S. Sebastiano e S. Fabiano (in ricco piviale violetto) e al centro S. Giacomo Maggiore è opera di Paolo Farinati del 1582. La pala fra le migliori del duomo venne restaurata nel 1971 da Scalvini e Casella di Brescia. Si entra poi nell'ampia crociera di sinistra nella quale sono disposti tre altari. Il primo è dedicato a S. Luigi dal 1772 dai suoi devoti. L'altare e la soasa sono di sobrio gusto barocco con marmi bianchi neri e breccia rosa, nel paliotto due colonne a capitelli corinzi e trabeazione ornata da angeli che affiancano una specchiatura marmorea nella quale in un ovato sembra essere raffiguranto S. Giobbe. La pala che raffigura S. Luigi ai piedi della Madonna è attribuita al Cignaroli. La crociera è dominata sul fondo dal grandioso altare del SS. Sacramento eretto verso la metà del Settecento dal trentino Teodoro Benedetti. Ha un ricco paliotto a forma di arca in marmi bianchi e verdi, intarsiati e scolpiti ad alto rilievo con specchiature al centro. Le quattro colonne della soasa sono in marmo verde, affiancate ai due lati da grandi statue in marmo raffiguranti S. Elia e Melchisedech che il Panazza attribuisce ad Antonio Calegari. Le statue sorreggono un frontone spezzato ai cui lati sono due angeli adoranti il simbolo dell'Eucarestia collocato fra le nubi in mezzo al frontone. La pala dell'Assunta che riecheggia quella del Moretto nel Duomo Vecchio di Brescia è per coerenza compositiva, delicatezza e funzione di colori fra le più belle opere di Pietro Marone (1548-1625). Il tabernacolo è considerato per l'eleganza della scultura e le ricchezze delle tarsie una delle opere più belle del duomo. Venne eseguito nel 1585 circa. Bellissimo è il sesto altare di sinistra eretto nel 1648 e rimaneggiato nel 1753. È dedicato alla visitazione della B.V. a S. Elisabetta raffigurata in una deliziosa pala dipinta nel 1748 da Pietro Perotti (1712-1776) allievo del Cignaroli e raccolta a sua volta in una elegantissima soasa marmorea con colonne di bianco rosso e nero impostate su due basi decorate di intarsi marmorei e portanti un frontalino spezzato che incornicia un ovato con il dipinto raffigurante S. Giuseppe di Giandomenico Cignaroli. Il paliotto è elegantissimo e ricco di colori nei marmi e nelle tarsie a fiori e uccellini. Il presbiterio è dominato dal grande altare. La mensa è sostenuta da sei volute di marmo mentre il paliotto racchiude, entro una ricca cartouche di ottone dorato e pietre dure, una mirabile specchiatura di lapislazzuli. L'abside è dominata dalla grande e suggestiva pala eseguita tra il 1749 e il 1751 da Giambettino Cignaroli e dedicata al titolare del Duomo S. Giovanni Battista, raffigurato mentre indica il Cristo. La cornice marmorea venne eseguita nel 1785. Il presbiterio è contornato dai banchi eseguiti nel 1727 dall'intagliatore bresciano Girolamo Foresti mentre le specchiature dell'ultimo dossale, impreziosite da un fregio di legno intagliato e le cimase appoggiate alla parete furono aggiunge nel 1748, all'inaugurazione del nuovo coro. I banconi, i dossali, gli inginocchiatoi, furono smontati, sistemati e rimontati nel 1970 dalla ditta Salandini di Lonato. Su una porta a destra del presbiterio sormontata dal ritratto del Soratini si accede alla grandiosa sagrestia ornata di grandi banconi dell'Ottocento e soprattutto dal trittico del pittore Licinio e da quattro grandi pale e quattro tele piccole. Il trittico del Licinio si compone di tre tavole, restaurate da Scalvini Casella nel 1979, ed è la più antica pala d'altare del pittore bergamasco-veneziano e la più importante del duomo di Lonato. È probabile che all'origine fosse un polittico. I colori sono squillanti, chiari, senza mezze-tinte, degni del migliore Rinascimento. Superba la figura del Risorto. Fortemente caratterizzate le espressioni dei soldati. Di tono leggermente minore la Vergine e il S. Giovanni Battista. Le quattro grandi pale con episodi della vita del Battista furono dipinte nella prima metà del Seicento da Giambattista Barca, mantovano, che tradisce gli influssi del Feti, del Veronese, del Tintoretto, del Bassano e di Giulio Romano. Le quattro tele più piccole sono opera di Giandomenico Cignaroli e della sua scuola. Tutte le tele furono restaurate dal Lonardi nel 1976. Nelle nicchie le statue lignee di S. Antonio Abate (sec. XV) e di S. Zeno (secolo XVIII). Nel soffitto è affrescato un piacevolissimo complesso decorativo con finte architetture a colori vivaci della seconda metà del Settecento. Sotto la volta del transetto di destra è stata posta una bella tela di G.B. Lorenzi (1741-1773) raffigurante "il trionfo della religione e l'eresia abbattuta", considerata fra le migliori opere del bravo allievo del Cignaroli. Ridiscendendo dal presbiterio ed entrando nella crociera di destra si incontra l'altare del Crocefisso realizzato nel sec. XVI dalla Confraternita del SS. Sacramento. Pur d'intonazione manieristica il paliotto in marmi variegati marrone e grigio nelle colonnine e policromi nelle specchiature, è di severa nobiltà cinquecentesca. Sulla mensa poggiano 4 colonne monolitiche di breccia chiara rosata. In alto, angeli scolpiti si affacciano dal timpano spezzato, nel quale è inserito un ovale con la figura di S. Margherita da Cortona. La tela è stata sostituita ai primi dell'800 da un bel Crocifisso affiancato dalla B.V. e da S. Giovanni di buona bottega artigiana. Il braccio della crociera di destra è dominato dalla mole dell'altare di S. Teodoro e rappresenta uno stupendo esempio dello sfarzo devozionale del XVIII secolo. Espressamente voluto dal General Consiglio come altare della comunità, d'impronta barocca, è opera dell'artista trentino Teodoro Benedetti. Il paliotto ha marmi bianchi, verdi e rossi, intarsiati e scolpiti ad altorilievo nelle fronde e porta al centro una corona che sovrasta una specchiatura quadrilobata sotto la quale si incrociano due palme del martirio. L'alzata della mensa racchiude l'urna con le reliquie del martire Faustino. Le quattro colonne monolitiche in marmo verde sorreggono un timpano spezzato sopra il quale stanno inginocchiati due grandi angeli in pietra ad ali spiegate. Due belle statue della Carità e della Fede, che il Panizza attribuisce ad Antonio Callegari, fiancheggiano le colonne. La grande pala, commissionata per voto del General Consiglio durante la peste bubbonica del 1574, si trovava sull'altare maggiore della chiesa precedente dove aveva sostituito le tavole del Licinio. È concordemente attribuita a Paolo Farinati (1524-1606), e forse portata a termine dal figlio suo Orazio. Raffigura S. Teodoro in ricco piviale rosso, che impetra dalla B.V. e dal Bambino soccorso per gli appestati. L'altro altare del braccio è dedicato a S. Bartolomeo e venne eretto dalla bottega dei marmisti bresciani Cantorni dopo il 1716 per lascito di Bartolomeo Ardese, ministro della Disciplina. Eleganti le tarsie marmoree del paliotto racchiuse in cornici nere arricchite di angioletti. La pala, dipinta nel 1741 da Antonio Leneti (o Elenetti) discepolo del Brentana (restaurata da Scalvini e Casella nel 1971), raffigura il martirio del santo ed è racchiusa in una soasa di colonne monolitiche di breccia grigia e rossa che sorreggono un timpano ricurvo e spezzato. Sul fianco sinistro dell'altare in una cappellina protetta da un ricco cancelletto settecentesco sta la vasca battesimale. Nella navata segue l'altare dedicato a S. Francesco raffigurato nella pala del primo '700 di scuola veronese assieme ai S.S. Francesco Saverio e Omobono. Semplice, non ricco di marmi variegati è il paliotto mentre le colonne e le paraste di breccia viola e bianca sostengono un timpano sagomato e spezzato ricco di originalità. L'altro altare è dedicato a S. Zeno. Ha un elegante paliotto in tarsie di marmi verdi, rossi bianchi e neri, due mensole sovrapposte sopra le quali sta un'urna per reliquie di squisita finezza, che il Piazzi propende ad attribuire ad Antonio Callegari o al Carboni. Quattro colonne e paraste in breccia variegata beige e grigia contornano la pala del santo che in piviale giallo-marrone benedice la figlia di Gallieno. Riempiono il quadro elementi architettonici e angioletti. La pala venne commissionata dal Comune nel 1710 al veronese Antonio Balestra. L'altare è stato ridotto alla forma attuale nel 1825 da certo Malacarne. L'ultimo altare di destra è dedicato a S. Nicola da Tolentino e frutto del voto della comunità per la cessazione della peste del 1636. Ha uno stupendo paliotto mentre la magnifica tela di Pietro Liberi è raccolta in una soasa di quattro colonne di brecce variegate e sormontata da un frontoncino spezzata con due angioletti. La pala raffigura Lonato (sotto le spoglie di una ricca patrizia) che supplica la Madonna delle Consolazioni per intercessione di S. Nicola da T. e due putti che sorreggono lo stemma di Lonato. Dipinta nel 1643, il pittore vi aggiunge nel 1662 la figura di S. Antonio. Il quadro venne restaurato nel 1987 da Benito Podio di Bologna. L'interno è reso vivo e prezioso anche dagli affreschi barocchi di Giosuè Scotti. Sotto la volta del presbiterio il pittore ha affrescato il trionfo di S. Giovanni Battista, portato sulle nubi da due angeli mentre Cherubini e Serafini, seduti ai lati sopra le nuvole, suonano diversi strumenti musicali. Efficaci e forse i suoi migliori sono gli affreschi della cupola. Negli otto tondi, intervallati da decorazioni a stucco, ha raffigurato nell'ordine: Mosè mostra il serpente di bronzo nel deserto; Gesù Cristo consegna le chiavi a S. Pietro; Mosè ed Aronne tra i morti israeliti; La risurrezione di Lazzaro; Il castigo di Osa per aver toccato l'Arca santa; Gesù e l'adultera; Eliodoro scacciato dal tempio; La caduta di S. Paolo sulla via di Damasco. Nei grandi pennacchi, sotto il tamburo, lo Scotti ha raffigurato tra nubi e voli di angeli e di putti i quattro Evangelisti. Nella volta della navata ha invece affrescato l'Assunzione e l'incoronazione della Vergine, contornata da figure angeliche volteggianti, completata da quattro tondi lobati con le quattro virtù cardinali. Un altro raffigura S. Zeno che benedice la figlia di Galieno ed un altro ancora il diacono S. Lorenzo che distribuisce i tesori ai poveri. Nei riquadri del catino dell'abside sono state eseguite a tempera le tre Virtù Teologali. Nella controfacciata sopra la bussola lo Scotti ha raffigurato Cristo che caccia i profanatori dal tempio. Numerose le reliquie del duomo fra cui preziosa quella della SS. Croce regalata nel 1710 da p. Felice Cherubini da Lonato. Altre opere vennero aggiunte in seguito. Nel 1787 venne posto il pavimento, nel 1788 costruita ad opera del falegname lonatese G.B. Inganni, la bussola della porta maggiore. Verso il 1818 venne portato a compimento il cupolino o lanterna e nel 1816 vi fu collocata sopra la grande statua di S. Giovanni Battista, opera degli artigiani locali Antonio Campra, Giuseppe Bontempi e Luigi Frera. Nel 1952 la statua venne dorata. Al 1839 risalgono le monumentali acquasantiere in marmo giallo e bianco con le grandi vasche monolitiche polilobate e scanalate, sormontate dalle statuette di S. Giovanni Battista e S. Zeno, mentre di poco anteriore è la stupenda vasca del Battistero al di sopra della quale si erge il grande coperchio in radica in forma di cupola a spicchi con tamburo poligonale. In quegli anni quindi e nei successivi, nella chiesa trovarono collocazione e sistemazione molti arredi e suppellettili già esistenti nella chiesa precedente ed altri nuovi furono approntati, come la nuova Macchina del Triduo commissionata all'architetto Leonardo Manza nel 1813 e inaugurata qualche anno più tardi. Ma soprattutto furono ricostruiti, spostati da una cappella all'altra e definitivamente sistemati dal 1825 al 1828 parecchi altari. Nel 1894 fu restaurato dalla ditta Porro-Maccarinelli l'organo, poi di nuovo revisionato nel 1924. Si addivenne a restauri nel 1953-1954, ripresi con vigore dal 1970 dall'arciprete don Alberto Piazzi. Nel giro di un decennio si restaurarono numerose pale e rinnovato il pavimento in marmo veronese (1979). Con sua bolla dell' 1 settembre 1980 Papa Giovanni Paolo II, erigeva la chiesa parrocchiale in Basilica minore. È stato giustamente scritto che «La chiesa parrocchiale di Lonato rappresenta indubbiamente una delle opere più importanti dell'architettura settecentesca nel territorio bresciano. La navata unica, nella quale si inseriscono continuamente le profonde cappelle laterali, la presenza del transetto che qui acquista insieme con la cupola una grande importanza per la nuova dimensione verso la quale si dilatano gli spazi interni, l'insieme della costruzione in cui piani e volumi si susseguono in una dialettica ben precisa e l'infinito barocco è raggiunto attraverso la somma di spazi finiti rivelano la visione di un artista ricco di tecnica, di esperienza, di equilibrio, che ha maturato una perfetta sintesi tra l'arte e la funzionalità dell'ambiente, tra l'ispirazione fantastica verso forme esuberanti del barocco qui accennate ma subito controllate e una concezione semplice dell'insieme che deve prevalere sul particolare in forza di una armonia ed eleganza globale». La visione poi dell'esterno, colta da una felice angolazione, consente di ammirare e gustare l'architettura dell'edificio quasi si trattasse di una grandiosa scultura.


In Lonato e nel territorio vi sono altre chiese. La cappella romanica dedicata a S. Cipriano è già nominata in una bolla di Papa Lucio III del 1184 e risale probabilmente al sec. XI. Restaurata nel 1722 quando venne edificato il campanile, a pianta rettangolare con unica navata e abside semicircolare, non presenta, secondo G. Panazza, elementi degni di nota salvo l'abside, spartita da sottili lesene che poggiano su di un alto basamento, in tre scomparti in ognuno dei quali si apre una monofora. Ad un km circa dalla cittadina su un poggio sorge la chiesa della Madonna di S. Martino di probabile origine longobarda e legata ai vari possedimenti che in Lonato e nella zona circostante ebbero il monastero di Tours e poi quelli di Leno, di S. Giulia ecc. Della chiesa si parla, tuttavia, espressamente soltanto in un documento nel 1184, la famosa bolla di papa Lucio III che riconfermava all'arciprete Riccardo e al capitolo canonicale i beni e diritti esistenti «iuxta cappellam S. Martini». Nella cappella era già in venerazione da secoli un'immagine della Madonna. Ma ad esaltare la devozione nella prima domenica di agosto 1614 avveniva uno strepitoso miracolo. La B. Vergine apparve ad una fanciulla muta, guarendola e imponendole di andare dall'arciprete per chiedergli che le venisse dedicata una nuova chiesa. Il fatto chiamò vere folle di fedeli anche dai borghi circostanti. L'arciprete di Lonato, chiesto regolare benestare al vescovo di Verona e al governo veneto, progettò erigervi un santuario più ampio. Le grazie si moltiplicarono e la venerazione si rinfocolò ma la peste del 1630 venne ad interrompere i progetti. Nuove grazie ottenute durante la pestilenza ne aumentarono ancor più la devozione tanto che il 9 ottobre 1635 la comunità faceva celebrare per un mese continuo una messa nella chiesa della miracolosa Madonna di S. Martino. Nel 1639 finalmente veniva iniziata la costruzione del santuario alla quale la comunità diede tutto il suo appoggio che apportò con stanziamenti, in denaro e legname, che si aggiunsero alle crescenti offerte dei fedeli. Nel 1675 la venerata immagine venne trasferita nel nuovo tempio con grande solennità. Fu durissima fatica trasportare la statua della Madonna, non riuscendo nessuno degli operai a smuoverla. Vi riuscì il solo arciprete ed il fatto è documentato da una tavola conservata ora in S. Zeno. Le cure dei lonatesi per il santuario sono testimoniate dalle spese fatte anche in seguito. Nel 1690 veniva costruito l'organo mentre altri restauri venivano compiuti in seguito. La venerazione poi è testimoniata da circa 300 ex voto conservati nella sagrestia, esposti in una mostra nel maggio 1972. Solennissima festa venne celebrata il 6 ottobre 1855, con solenni processioni dal santuario al duomo da qui al santuario, presente grandissima folla. La statua veniva poi restaurata nel 1883 da Luigi Ferrari di Verona. Solenne fu la celebrazione centenaria del 1914 alla quale furono presenti i vescovi di Verona, Brescia e Mantova. Nuovi restauri furono compiuti nel 1945 e più ancora dal 1965 al 1966 mentre la Madonna di S. Martino ebbe il suo trionfo durante la "peregrinatio Mariae" del 1947-1950. Dell'antichissima chiesa di S. Martino sono rimaste alcune strutture nella cascina omonima in cui due finestre in mattoni rossi a strombo con volta arcuata sono tipici delle chiese romaniche. Ancora visibile è anche l'abside con residui di affreschi. Il Cenedella affermava di aver visto anche un'acquasantiera. La chiesa di S. Maria del Corlo, nella piazza e quartiere omonimo pur di modeste dimensioni è fra le più care al cuore dei Lonatesi. Risale al sec. XIV (come confermano alcuni affreschi) probabilmente su terreno dell'arciprete di Lonato già nominato nella bolla di papa Lucio del 1184. La chiesa passava ai Disciplini nel 1505 che provvidero a conservarla e ad arricchirla di opere: nel 1576 costruirono il campanile e nel 1600 un ospedale. In più ornarono la chiesa di tele e di statue. Anche se ha addossato un anonimo edificio, la facciata si distingue per una certa eleganza, soprattuto per il bel portale del '500. Varcata la porta d'ingresso si presenta subito una lunga scalinata che porta al piano della chiesa a circa tre metri dalla sede stradale. La navata a pianta rettangolare presenta un insieme armonico, dominato da un arco trionfale maestoso e prezioso che apre lo sguardo sul presbiterio, dietro al quale, attraverso un'ampia apertura si accede al coro o meglio alla grande e solenne sala delle congregazioni. Entrando a metà navata si apre la cappella di S. Michele, affrescata si crede da Pietro Marone o dalla sua scuola. Da Pietro Marone venne firmata nel 1595 la pala raffigurante S. Michele, trafugata nel gennaio 1983. Gli affreschi raffigurano il Paradiso con il Cristo in gloria e la croce, il Purgatorio e l'Inferno. Verso la fine della navata si eleva la cassa dell'organo opera di G.B. Piantavigna (1602) arricchita da un organo di Costanzo Antegnati sostituito poi sulla fine dell'800 da uno strumento del Tonoli. Il presbiterio è profondo, dominato da un bell' altare in marmo commissionato nel 1710 a G.B. Rangheri e rifinito nel 1729 da Domenico Corbarelli che scolpiva le statue di S. Apollonio e S. Eurosia. Nella ricca soasa con le due deliziose colonne di breccia rosa e grigia, le specchiature in marmi policromi, le statue di angeli e di putti, domina la nicchia con la Madonna e il Bambino del 1736 coperta di prezioso manto. Nell'architettura dell'altare erano racchiuse tre piccole tele raffiguranti: nella lunetta superiore la Natività della Vergine e ai lati S. Lucia e S. Agata opere attribuite da qualcuno a G.B. Moroni da altri a Moretto e trafugate nel marzo 1976. Sulla sinistra del presbiterio si apre la sagrestia, di pianta rettangolare. Ha bei mobili del 1696 e del 1737, e un bel Crocifisso secentesco. Sulla destra del presbiterio si apre la sala delle Congregazioni, dove si riunivano i Disciplini, finita nel 1757, con stucchi semplici ma eleganti e tele raffiguranti la Croce, l'Assunta e la Via Crucis. Scendendo nella navata s'incontra la controcantoria, opera, come la cassa dell'organo, del Piantavigna. Poco oltre, a metà navata si apre la cappella della SS. Trinità costruita nel 1564 da certo Giovanni Mara Nadì, dipinta da un pittore di Asola (forse certo Orazio da Asola) che dipinse anche la pala sostituita nel 1703 con altra di Francesco Paglia. Ultima a destra è la saletta del Sepolcro, chiusa da robusta inferriata e con statue raffiguranti il Cristo morto, la Madonna, S. Giovanni e le donne, opera di Valentino Bolesini, dipinte da Pietro Maria Bagnadore. La chiesa, ai lati della porta d'ingresso, allinea interessanti affreschi trecenteschi riaffiorati nei restauri del 1950 di influsso veronese raffiguranti una serie di santi tra i quali si individuano S. Agnese, S. Giacomo, S. Maria Maddalena, S. Zeno, S. Giovanni Battista, S. Benedetta, S. Francesco, tutti di suggestiva semplicità. Inoltre la chiesa è ricca di stucchi e di affreschi. La quadratura del soffitto è opera del Bonometti (1600) mentre gli affreschi del presbiterio sono opere dei Gandini e in dieci quadri raccontano la vita della Vergine. La chiesa venne ultimamente restaurata nel 1950.


In grande venerazione fu sempre la chiesa di S. Antonio ab. costruita per devozione al santo da parte di una popolazione come quella lonatese che viveva allora prevalentemente di pastorizia e allevamento del bestiame, la tradizione la vuole collegata ad un miracolo avvenuto nei 1537 quando un giglio, posto davanti ad una statua di S. Antonio conservata in una santella presso le mura, appassito e ripiegato su se stesso, d'improvviso ritornò diritto e fresco, davanti agli occhi di alcuni soldati. L'arciprete di Lonato, Pietro Rodolfi, stese verbale trasmesso alla Curia vescovile. Il 17 gennaio poi fu un fiorire di miracoli anch'essi documentati. L'anno dopo, il 14, 16, 17 gennaio 1538 si fecero tre processioni e si incominciarono a raccogliere offerte per costruire una chiesa che custodisse la statua miracolosa. Dopo tergiversazioni la Curia veronese concedeva il 5 maggio 1558 il permesso di ricostruire accanto al campanile del 400 della chiesa precedente. La chiesa attuale si compone di tre corpi, piuttosto disarmonici ben distinti, di cui la navata centrale fu iniziata nel 1590 e portata a compimento nel 1601. Nel 1675 la chiesa fu concessa in uso alla confraternita del Suffragio che nel 1680 iniziò la costruzione di un secondo corpo della chiesa, l'attuale sacrario dei caduti. Agli inizi del 1700 i confratelli portarono a compimento la cappella che sorge sul lato sinistro: una mirabile costruzione barocca, non estranea ai modi e forse all'ispirazione dell'architetto Paolo Soratini. Distrutta la chiesetta della Madonna del Giglio la venerata immagine venne ospitata in questa chiesa. Dall'atrio, salendo un gradino, si accede alla parte più vasta della cappella che ha una pianta lobata e il settore centrale coperto da una elegante cupola ovale. Nei muri perimetrali sono inserite quattro nicchie. La confraternita del Suffragio operò fino alla sua soppressione. La chiesa di S. Antonio passò quindi in proprietà al senatore Ugo da Como quando entrò in possesso della casa del Podestà e dell'intera Rocca. Nel 1981 furono intrapresi lavori di consolidamento del campanile, nonchè il totale rifacimento del tetto della chiesa. Tradizionale, antica è la benedizione degli animali dalla scalinata della chiesa.


Una chiesa secentesca dedicata ai SS. Filippo e Giacomo, sede di Confraternite, venne dapprima adibita ad oratorio maschile e nel 1926 affidata alle suore Canossiane ad uso dell'orfanotrofio femminile che lo fecero restaurare ed abbellire. Di recente costruzione è invece la cappella delle Canossiane di buona capienza e unita alla loro casa. In venerazione fu tra le altre immagini murali anche quella della Madonna del cochino (forse nel senso di farabutto, canaglia) che si trova, restaurata nel 1984, sotto un portichetto in contrada del Corlo, circondata un tempo di ex voto, forse a ricordo dell'incendio provocato da truppe francesi nel 1509. Nel 1507 veniva eretto grazie a terreno donato da suor Placida Zavattina, un monastero di monache benedettine sotto il titolo di S. Maria della Vittoria con una chiesa dedicata a S. Defendio, rovinato ed abbandonato a seguito di guerre e alla peste del 1630. L' 11 giugno 1679 il Consiglio Comunale deliberò di restaurarlo e di insediarvi le Clarisse Cappuccine. Le pratiche si prolungarono e solo nel 1696 arrivò il nullaosta del Doge e il 18 aprile 1698 il decreto pontificio di erezione. Le prime due monache vi fecero ingresso nel 1700 accogliendo anche le prime novizie lonatesi e dei paesi vicini. Il Convento venne dedicato alla S. Croce e a S. Maria degli Angeli e delle S.S. Martiri Vittoria e Fortunina. Non essendo ancora finito, non venne concessa la clausura che arrivò soltanto il 7 agosto 1705. Nello stesso anno venivano stampate in Venezia e approvate dal vescovo di Verona le "Costituzioni" e il 6 gennaio 1707, il vescovo di Verona Gianfrancesco Barbarigo consacrava la chiesa. Per l'occasione venne posta una lapide. Il monastero fu soppresso nel 1810. Passato a privati, nel 1902 accolse le Suore Canossiane. Aveva due chiostri ma un'ala venne distrutta, con una porta della chiesa, dai bombardamenti del 1945.


Il convento della SS. Annunciata in località Filatoi, sulla strada Lonato-Montichiari, venne costruito secondo quanto scrive lo storico francescano Gonzaga come punizione imposta dal Papa per la distruzione del castello di Venzago avvenuta nel 1241. Il Consiglio Comunale il 25 aprile 1470 decise di erigerlo e provvide alla nomina dei deputati alla fabbrica. Alla costruzione finta nel 1485 seguì l'entrata dei frati Minori Osservanti. La costruzione della chiesa durò a lungo, completata con l'erezione del coro e della navata laterale con la cappella dell'Immacolata Concezione nel 1749, con quella della facciata nel 1754, grazie anche alla munificenza del card. Querini vescovo di Brescia. Soppresso l'8 luglio 1797, il convento passò in mani private e anche la chiesa riaperta per breve tempo nel 1822 venne trasformata in abitazioni civili. Lonato ebbe nel suo territorio non pochi monasteri e conventi. Il più antico è senz'altro il monastero benedettino di Maguzzano (v. Maguzzano). Altrettanto viene ritenuto quello di S. Paolo di Venzago. Molto noto il convento dei cappuccini di Drugolo (v. Drugolo). Altre chiese lonatesi sono invece scomparse. Presso l'attuale cascina di S. Martino sotto Brodena, a metà strada tra la cascina Slossaroli e la Croce di Venzago, sorgeva un'altra chiesa detta di S. Martino delle gere, perchè vicina a una sabbionaia. La chiesa è nominata ancora in documenti del 1522. Una chiesa dedicata a S. Pietro esisteva nella Cittadella. Di essa vi è ricordo in documenti del 1376 e del 1398 e fu forse del tutto abbattuta nel sec. XVI. Il Cenedella attestava che ai suoi tempi esistevano ancora avanzi nel muro dell'orto inferiore nella piazzetta della Cittadella, a mattina, ai piedi dell'altura su cui sorge la Rocca. Dove oggi sorge la cascina di S. Pantaleone esisteva fino alla prima metà del sec. XI una chiesetta dedicata allo stesso santo. Sorse probabilmente per voto durante la peste del 1466 e venne dedicata oltre che a S. Pantaleone anche a S. Cipriano. Era molto piccola ma attorniata di viva devozione come confermano i restauri avvenuti nel 1600, 1708, 1736, 1739. Trasformata in magazzino rovinò poi nel 1805. Un giglio ormai secco e d'improvviso rifiorito posto davanti ad un immagine della Madonna sul muro di un casello della dogana alla porta di Lonato, richiamò il 30 luglio 1707 tanta curiosità e devozione seguite da segnalatissime grazie e miracoli da convincere le autorità a costruire una chiesetta per accogliere l'immagine miracolosa che venne chiamata della Madonna del Giglio. Ne preparò il progetto l'arch. Soratini ma la realizzazione toccò a G.B. Montanari. Solennissime furono le processioni per il trasporto dell'immagine. Ridotto più tardi il santuario in un magazzino l'immagine fu trasferita nella chiesa di S. Antonio. Un'altra chiesa in via Tarello dedicata nel 1686 a S. Giuseppe e poi abbandonata venne recentemente trasformata in museo.


Su Lonato s'erge possente la Rocca che nelle strutture conserva ancora i baluardi del sec. XIV, rafforzata poi nel secolo seguente con opere di difesa contro l'artiglieria, la nuova arma che andava prendendo piede negli eserciti di quel tempo (1400). Infatti le opere, che racchiudevano caserme, pusterle, la cittadella, nonchè dimore principesche e sotterranei segreti, sono caratterizzate dalla struttura a gradoni e terrapieni, più idonei a sostenere gli assalti portati con la nuova tattica bellica. L'evolversi della tecnica degli armamenti rese superata la funzione delle difese e la Rocca perse la sua importanza alla fine del '700. Dopo essere stata smantellata e semidistrutta per ricavarne materiale da costruzione, la Rocca fu in parte restaurata dal Sen. Ugo da Como agli inizi del 1900. Della originaria struttura rimangono soltanto gli imponenti bastioni esterni con le murature a scarpata nella cinta interna. L'edificio interno fu trasformato in abitazione del senatore che raccolse notevole materiale storico artistico e archeologico ora conservato nella casa del Podestà. Nel 1980 furono restaurate le opere murarie del portale interno della rocca, fu messo in evidenza il fossato di difesa e venne installata una passerella in legno a mo' di ponte levatoio. Non mancano a Lonato palazzi e case di notevole valore architettonici. Quattrocentesca è la casa del Podestà, poi Da Como, ora sede della fondazione Ugo Da Como, sostanzialmente rifatta su disegno dell'arch. Antonio Tagliaferri nel 1912 su commissione del sen. Ugo Da Como, in forme neogotiche di gusto lombardo. Sulle pareti esterne sono inseriti o appesi frammenti architettonici e di iscrizioni, stemmi di famiglie lonatesi e in una nicchia una bella Madonna con Bambino in terracotta della prima metà del '400. La casa è divisa da due archi lievemente acuti in tre campate. La parte S è ancora l'originaria Casa del podestà, ricoperta di stemmi, ex voto, ecc. Le altre furono aggiunte. Tutto l'ambiente è stipato di mobili dal sec. XVI al XVIII, di oggetti (vasi, anfore ecc.) di sculture, di tele di ogni epoca. Numerosi i ritratti di personaggi lonatesi, bresciani e veneti. Il giardino interno si sviluppa su due ripiani raccordati da una scalinata sulla parete esterna della casa del Podestà, adorna di finestre a sesto acuto, di bifore con graffiti sull'intonaco e con una scala a giorno su colonne e mensoloni, che conduce al piano superiore (sul pianerottolo frammenti di mosaico pavimentale romano provenienti da Brescia); sono anche qui inseriti o applicati bassorilievi in marmo, terracotte, stemmi di varia epoca e di vari stili, palle in pietra, frammenti architettonici, sculture sparsi nelle aiuole dominate, una dal pozzo, l'altra dalla colonnetta moderna sostenente un leone alato che tiene fra le zampe lo stemma di Lonato. Dalla balconata del giardino per il declivio della collina, si discende alla sottostante Chiesa di S. Antonio, di cui si vede tutto il fianco N con il campanile. Dal secondo ripiano del giardino si accede alla torre trecentesca, ma molto restaurata, inserita nelle mura che recingevano, scendendo dalla Rocca, la città di Lonato sul lato orientale. Sul lato N di questa parte del giardino sono le due sale della Biblioteca collocate su piani sfalsati e raccordati da una scaletta interna proveniente da casa Ugoni a Brescia, contenenti una ricca collezione di libri di circa 40 mila volumi. All'interno di questi due locali che portano il nome di «Sala della Vittoria» e «Sala Bresciana» vi sono anche delle sculture fra cui la riproduzione in piccolo della «Vittoria di Brescia», un bozzetto per il monumento ad Arnaldo in una variante poi non eseguita, del Tabattini, ritratto di Jacopo Bonfadio, di Baldassare Castiglione, di Giulia Gonzaga, di Francesco Barbaro, di Mattia Lobel, inoltre statue, placchette in bronzo. Cinquecentesco è il palazzo Savoldi oggi Canale; decorato nei primi anni dell'Ottocento, dal pittore Pozzoli di Bedizzole con ottime inquadrature e affreschi, per iniziativa del magistrato G.B. Savoldi. Passò dai Savoldi al dott. Enrico Porro e poi ai Canale. Notevole nell'interno il portico a sei campate divise da belle colonne con capitelli jonici. Della primitiva costruzione è rimasto solo un bel salone a pian terreno che conserva la struttura cinquecentesca ma decorato nell'800. Documento di elegante e solida architettura del '600 è il palazzo Carpeneda di via Tarello, 18. Ha portale di pietra, e al piano terra, sette finestre con belle inferriate in ferro battuto e mensole di pietra. Al primo piano presenta sull'angolo un bel balcone sostenuto da mensoloni che danno tono di eleganza a tutta la facciata. Molto interessanti all'interno tre sale cariche di decorazioni a stucco di pieno barocco; con ovali di paesaggi in una e nell'altra, busti di personaggi, putti ecc. che fanno corona al medaglione centrale che raffigura il rapimento di Ganimede. In via Bazzani 6, sempre del '600, è il prospetto esterno abbellito da un portalino di pietra e balconcini in ferro battuto sui due piani. Pure ariosa è una loggia di sei vani, architravati. Settecentesca è invece casa Robazzi, ora Girelli, a classica pianta ad U con basso portico interno, e con la zona N arricchita di un sinuoso balconcino. Belle porte ed una sala decorata con motivi monocromi, neoclassici ed una medaglia ovale di pregio. In un saloncino vi è un bel camino del '500. Di fronte al palazzo Savoldi conserva ancora linee cinquecentesche casa Orlandini con loggetta d'angolo a cinque arcatelle sostenute da colonnette ioniche ed un bel balcone in ferro battuto sostenuto da mensole di pietra. Elegante è anche il portico interno di cinque campate a tutto sesto con colonne toscane. Del 1700 è palazzo Zambelli sede della Pretura (restaurato nel 1961). Sulla facciata esterna è stata murata una lapide ricordante la battaglia di S. Martino del 24 giugno 1859. Sempre settecentesco è il palazzo Gandolfini in via Girelli, sulla cui facciata esterna è stata apposta una lapide ricordante un fatto della prima guerra mondiale. Sul marmo è riportata la seguente scritta: «Qui sostò il 19 aprile 1918 S.M. il Re Vittorio Emanuele III recando la sua augusta parola di incoraggiamento e di fede al Comandante Generale Albricci alle truppe impazienti di portare nelle terre di Francia le fortune della patria». «In questa villa dove l'ospite prese le mosse per la Francia, nella primavera del 1918, il Comandante del II Corpo d'armata le cui truppe conquistarono in quelle terre a prezzo di gloriosi sacrifici nuovi imperituri allori alle armi italiane».


Elegante nella sua semplicità è il palazzo municipale costruito nel 1769 e ristrutturato nel 1938. La parete della sala del consiglio è adorna di una bellissima e grandiosa tela raffigurante la peste di Andrea Celesti (1637-1712) commissionata dal consiglio comunale nel 1632. Lonato è rappresentata a sinistra da una donna con diadema, al centro di altre due, che indica le insegne del comune. Al centro una grande piramide di santi attorno al Cristo e alla Vergine, a destra è una scena della peste. Caratteristico monumento lonatese è la torre civica detta anche torre maestra, iniziata nel 1555 e terminata nel 1590. È alta 55 m. e serviva anche di difesa. Aveva una cupola a cipolla, sostituita nel 1880 con una sopraelevazione ornata di merlatura. L'orologio a contrappesi in pietra fu installato nel 1773 da Domenico Crespi di Cremona. Altra caratteristica di Lonato è la colonna sormontata dal Leone di S. Marco simbolo della Repubblica Veneta. Atterrata nel 1797 venne poi ripristinata. Ubicata fino al 1924 sul lato SO della piazza venne in tale anno collocata di fronte al Palazzo Comunale.


L'istruzione pubblica già curata nel cinquecento con scuole di grammatica e di filosofia, ha avuto nuovo sviluppo nel sec. XIX con le scuole pubbliche e con il collegio e l'orfanotrofio tenuti dalle Figlie della Carità. Fin dal 1950 il Comune provvide ad istituire una scuola media, cui si aggiunse presto un Istituto Tecnico Industriale coordinato a quello di Brescia e indipendente dal 1975. Ad esso si aggiunse un Istituto Professionale di Stato per l'agricoltura mentre continua a funzionare l'Istituto Magistrale "Paola di Rosa", delle Ancelle della Carità. Centri culturali sono la fondazione Ugo da Como (v.) e la Biblioteca Comunale. In attesa di sistemazione è la collezione ornitologica prima nel monastero di Maguzzano, ricca di 1200 esemplari di avifauna europea ed acquistata dal Comune nel 1979.


Fra i lonatesi che si sono più distinti, specie culturalmente, si possono segnalare: Giacomo da Lonato, capitano di ventura nel comasco (1414) e nello spoletano (1433); Camillo Tarello, notissimo agronomo; Giorgio e Alberto della Balla, orefici e cesellatori; fra Arcangelo da Lonato musicista e scrittore; Andrea Parolino che lasciò notevoli memorie storiche su Lonato; Paolo Soratini, celebre architetto; Giovanni Battista Barichelli, archiatra del re di Napoli; Paolo Ceruti notaio, Piero Della Maestra professore di medicina; Giovanni Mapello, matematico; Leone Ongarino, giureconsulto; Francesco Paganino, giureconsulto; Giovanni Battista Pagani, letterato, amico di Manzoni; Gian Girolamo Pergami, medico; Riccardo da Lonato, predicatore apprezzato; Domenico Robacciolo, medico valente, Vittorio Barzoni, pubblicista famoso; Andrea Zambelli, professore di scienze politiche a Pavia; lacopo Attilio Cenedella, farmacista e storico di Lonato; Luigi Cerebotani, inventore; le sorelle Girelli, ricordate al cimitero con una tomba monumentale; Alcibiade Gerardi, filantropo; G.B. Gerardi, Michele Battista Gerardi, Luigi Gerardi. Recentemente scomparso è il dott. Gianfranco Papa, filantropo e amministratore pubblico. Tra gli arcipreti di Lonato si distinsero Pier Francesco Zini, G.B. Gentilini, Gaspare Gaspari, Alberto Piazzi ecc. e fra gli ospiti lonatesi il medico Giuseppe Pallavicini, il medico Giuseppe Pasqualigo, che pubblicò nel 1873 un pregevole volume: "Lonato e dintorni", il giurista Emilio Ondei, ecc.


Lonato fu testimone dello sport automobilitico fin dai primi anni del secolo ma nello sport più popolare si fece largo prima di tutto il calcio che raggiunse dignità nel 1957 con l'A.C. Lonato, divenuta poi Pejo Lonato, poi ancora A.C. Lonato e infine, A.C. Feralpi (campionato di II categoria) partecipa a sei campionati con un totale di 150 atleti di età dai 9 ai 30 anni. Attiva è anche l'A.S. Fulmine (campionato di III categoria). Povero il ciclismo che solo sporadicamente ha organizzato gare. Alcuni appassionati hanno fondato il Gruppo Sportivo Podisti. Nel 1970 venne organizzato il Centro Giovanile Karatè Club Lonato. Recente è la Bocciofila Casella e Bonetti. Nell'ambito del Centro Giovanile Paolo VI è stato organizzato nel 1974 il Lonato Baseball Club, e il tennis Club Lonato. Fin dal 1975 in località Campagnoli operò l'autocross La Piana, mentre nel 1985 venne inaugurato in località La Basia il Centro Concaverde per il tiro al piattello. Rimandata invece o accantonata l'idea di creare un grande autodromo. Lonato è il centro di gare di bocce (iniziate nel gennaio 1985 dalla società "Cavallino rampante") che sono considerate fra le più importanti d'Italia. I centri sportivi più attivi sono la Palestra Paolo VI, il Centro Olimpia del C.O.N.I. e il centro di avviamento alla pallacanestro.


ECONOMIA. L'agricoltura ha avuto sempre prevalenza nell'economia lonatese fin dai tempi preistorici come prova l'aratro trovato a Lavagnone nel 1979. A favorirla nella zona pianeggiante ha servito fin da tempi lontanissimi una buona rete di irrigazione innervata intorno alla Lonata costruita nel 1365, al canale Serio, alla seriola Cantrina. Espressione del progresso agricolo fu certo la figura di Camillo Tarello, agronomo e agricoltore, appassionato studioso e autore del "Ricordo di agricoltura" del sec. XVI. La solenne commemorazione del Tarello tenutasi a Lonato nell'ottobre 1900 fu un'occasione per ribadire la necessità del progresso agricolo della zona. Nello stesso periodo il dott. Pietro Schena di Lonato, veterinario a Bagnolo M., fu tra i primi a sperimentare l'incrocio del toro Simmenthal con varietà nostrane. Si è poi aggiunto il tanto discusso consorzio di bonifica della Morena che comprendeva un'estensione di 2515 ettari (pari a 7500 piò), poi ridotto da opere di urbanizzazione. Formatosi nel 1963, rimasto inattivo per alcuni anni, riprese vita nel 1978. L'agricoltura ha avuto nel II dopoguerra un forte incremento con l'allargarsi dell'irrigazione anche a pioggia. Negli anni Settanta vennero irrigati 400 ettari nella zona dell'Alto Agro mentre si procedette alla cementazione dei canali del Consorzio della Roggia Lonato. Ma non sono del tutto scomparsi dal territorio di Lonato angoli agresti non ancora toccati dalla pianificazione agricola, ricchi di frutti selvatici e anche di prelibati funghi e tartufi specie quelli neri e anche detti "trifole" cioè il "Tuber magnatum Pico". In auge fin dai tempi molto antichi la coltivazione della vite, in cui si distinsero nei primi anni del '900 i Girelli e altri produttori. Ampio anche se recente è stato lo sviluppo della cantina dell'Azienda agricola Canova, capace di 400 mila litri. Rilanciata ultimamente è stata la floricoltura specie nel vivaio di Gianfranco Paghera di ben 100 mila mq., considerato uno dei migliori esempi di architettura paesaggistica d'Italia, che crea giardini non solo in Italia ma anche nel Medio Oriente per gli emiri arabi, oltre che in America e in Europa. Anche il settore della frutta ha avuto notevole sviluppo specie dopo che i tre fratelli valtellinesi Mitta Lindo avviarono a Monte Falcone una grande azienda per la produzione di mele. Nel 1972 venne scelta una zona di 1100 ettari per il ripopolamento e la cattura della selvaggina. Numerose le iniziative associative per il progresso agricolo. Negli anni Ottanta del sec. XIX venne promossa la "Società Agraria Marco Tarello". Nel 1900 è tentata su iniziativa del dott. Etto Preni la costituzione di una cattedra ambulante di agricoltura che invece trovò terreno fertile a Salò. Una sezione della Cattedra venne istituita per deliberazione dell'Amministrazione provinciale solo nel 1926. Nel contempo si tennero parecchie conferenze agricole e zootecniche, mentre l'arciprete don Ogheri favoriva l'opera di P. Giovanni Bonsignori e dell'on. G.M. Longinotti. Sempre nel 1970 presso le suore Canossiane è avviata una scuola agricola femminile collegata con l'Istituto Professionale femminile di Brescia. Allo sviluppo agricolo ha provveduto il centro di Assistenza Tecnico Agrario (C.A.T.A.) di Lonato - Bedizzole - Calcinato fondato nel 1963, che riuscì a promuovere nel breve giro di una decina d'anni alcune modernissime stalle sociali, una scuola di agraria, avviando iniziative per la valorizzazione dei vini tipici. Sviluppo quasi inaspettato ha avuto a partire dagli anni Sessanta la cooperazione agricola nei più vari tipi: trasformazione (Garda Latte), zootecniche (Serenissima, Garda Carne), acquisto e servizi (Comab, Agricam); altre sono in gestazione, fra cui, di primaria importanza, la Comazoo (mangimificio ed essicatoio). Oggi l'agricoltura lonatese si basa in prevalenza sulla produzione di uva, cereali, foraggi, sull'allevamento del bestiame e su numerose aziende avicole. Non sono mancate nel passato iniziative di tipo industriale. Sotto la repubblica veneta Lonato fu un centro per la produzione del salnitro usato per la confezione della polvere da sparo. Fin dal 1726 esistette a Lonato una filanda comunale, detta "il filatoio" ceduta poi nel 1829 ai privati. Venne chiusa nel 1971, una delle ultime a cessare l'attività in provincia. Nel 1873 dava lavoro a circa 100 dipendenti. Nell'800 venne costruita una nuova filanda con 400 fornelli e che nel 1873 impiegava 77 operai. Un altro prodotto industriale che ebbe fortuna nell'800 fu la torba cavata in 4 località a E e a S della borgata per complessivi 24 ettari di terreno. I cavatori Rossi, Scotti e Carella cedevano verso il 1870 le loro torbiere alla Società Anonima Milanese del combustibile che continuò la sua attività ancora per decenni. Nella seconda metà dell'ottocento vennero aperte anche 4 tessitorie, una piccola fabbrica di fiammiferi, frantoi per l'olio e distilleria di liquori. Sostenuta fu sempre l'edilizia. Per ridare respiro all'economia lonatese nell'aprile 1909 veniva fondata una Società fra commercianti e industriali col nome "Risveglio" avente come scopo di appoggiare ed iniziare il risveglio commerciale ed industriale di Lonato e di cui fu nominato presidente onorario Ugo Da Como. Come primo risultato fu l'avvio della mostra zootecnica, cui s'aggiunsero altre attività, sfociata poi nell'attuale grande fiera di gennaio. Il vero lancio industriale di Lonato si ebbe solo negli anni Cinquanta quando nacque la più grossa impresa siderurgica la "Feralpi", ferriera di grande dimensione fondata nel 1958 da Carlo Pasini e da Giacomo Fantinelli. Nel 1985 aveva un fatturato di 144 miliardi. Seguiva nel 1962, la fondazione da parte di Giovanni Busi di Nave delle Acciaierie di Lonato per la produzione di ferro tondo per cemento armato. Nel settore della ceramica ebbe iniziale sviluppo, ma poi si è arenata, la Lurano Mosaico. Oggi si contano nel settore delle industrie siderurgiche e metallurgiche fabbriche di lettini, seggioloni e carrozzine, alcune aziende per la lavorazione del legno (mobilifici), delle materie plastiche, e per la fabbricazione di materiali per edilizia (tegole, mattonelle, solai prefabbricati). Nel settore tessile sono attive una filanda di seta ed un calzificio. Un'industria di prodotti dietetici, falegnamerie ed officine meccaniche completano il quadro economico locale. Una certa importanza ha il movimento turistico. L'attività bancaria è iniziata nel 1872 da una locale Banca Popolare Agricola presto scomparsa. Oltre al Credito Agrario Bresciano (che ha rinnovato la sua sede nel febbraio 1981) e la Cariplo (la filiale venne inaugurata nel giugno 1926); nell'agosto 1983 venne aperto uno sportello della Cassa Rurale di Padenghe. Sempre attiva l'attività nell'antichissima pieve. Il mercato settimanale da tenersi il sabato "come al solito" veniva confermato da una ducale del 17 settembre 1440. Nel 1558 si concedeva mercato libero, permesso poi ritirato. Un ordine dell' Avogador Pietro Zeno del 23 agosto 1569 trasportava il giorno di mercato dal sabato al lunedì. Per privilegio del duca di Mantova, in data 5 marzo 1512, veniva confermata la fiera di S. Francesco (per 5 giorni di seguito). Si aggiunsero poi le fiere di S. Antonio dal 17 al 19 gennaio, di S. Giovanni Battista (dal 20 al 24 giugno) e della Madonna del Giglio la prima domenica di ottobre, cui più tardi si aggiunse quella del 12 aprile (S. Zenone). Nel 1909 per iniziativa di Francesco Gallina era avviata la fiera di S. Rocco, riservata soprattutto al bestiame alla quale nel 1911 si aggiunse una mostra zootecnica biennale. Ma il lancio più imponente dell'attività commerciale si ebbe nel 1959 con la fiera di S. Antonio ab. (17 gennaio) iniziatosi con una sagra dei trattori agricoli e mostra delle vetrine. Nel 1961 il lancio pubblicitario con un manifesto riproducente la ruota dentata che macina una spiga di frumento a rappresentare lavoro e progresso, rafforzò lo sviluppo e l'importanza della fiera. Dopo aver via via registrato l'esposizione di bestiame bovino selezionato, la fiera andò arricchendosi sempre più di stands e di manifestazioni di ogni genere, coprendo più giornate e assumendo carattere regionale. Declassata in seguito ad ambito provinciale, continuò a svilupparsi. Da 20, nel 1959, gli espositori salirono a 300 nel 1977, a 451 nel 1982. Da poche migliaia agli inizi nel 1979, i visitatori erano saliti a 30 mila. Tra gli ultimi problemi per lo sviluppo economico è stato posto nel 1982 il potenziamento dello scalo merci, l'unico nel tratto Rezzato-Verona per una vasta zona agricolo-industriale. Impulso è venuto al turismo dalla Pro Loco. È stato apprestato un Lido (1981), vengono organizzate gare gastronomiche, passeggiate ippiche ed altre varie attrattive e manifestazioni.