GAMBARA Uberto (5)

GAMBARA Uberto

(Brescia, 23 gennaio 1489 - Roma, 14 febbraio 1549). Cardinale; figlio di Gianfrancesco e di Alda Pio da Carpi; fratello della poetessa Veronica e di quattro anni più giovane di lei. Sembra che sino ai 20 anni sia stato uomo d'armi, sebbene a 10 anni fosse già investito di benefici ecclesiastici. Gli si imputa di avere nel 1507, a 13 anni, usurpata la prepositura di Verolanuova e la cappellania di S. Giacomo. Il 26 ottobre 1511 veniva nominato da Gastone di Foix "economo regio" sui beni della commenda di S. Antonio e dell'arcidiaconato di Crema. Nel 1516 fu accanto a Icardo nella difesa di Brescia, che abbandonò poi per godere la prepositura di Palazzolo e tutti i benefici ecclesiastici e contro il volere del padre abbracciò la carriera ecclesiastica. Già nel 1515 il re d'Aragona brigava presso il papa per ottenergli la sede vescovile di Brescia, come coadiutore del vecchio vescovo Paolo Zane e più tardi il decano di Bressanone scriveva all'agente imperiale a Roma per farlo nominare vescovo di quella città tedesca, essendo il giovane prelato Gambara nelle buone grazie dell'imperatore Carlo V. Recatosi a Roma entrò nella corte di Leone X che lo creò protonotario apostolico e lo usò, nel 1521, per impadronirsi di Modena togliendola ad Alfonso, duca di Ferrara. Egli tentò di comperare il tradimento di un tedesco, Rudolph Hell, che doveva aprire alle truppe pontificie le porte del castello di Trialto, ma questi palesò la trama. Fu poi nunzio in Portogallo e legato sotto papa Adriano VII in Francia (1523) per la famosa Lega di Cognac ed in Inghilterra con papa Clemente VII, alla corte di Enrico VIII, dove dovette destreggiarsi tra gli spinosi problemi degli inizi delle scisma. Nel frattempo Lodovica di Savoia, madre di Francesco I, gli aveva procurato nel 1525, dopo avergli brigato per ottenere il vescovado di Vienne in Francia, il vescovado Vapitense. Nel 1525 otteneva il beneficio di S. Nazaro, mentre nel 1526 succedeva al parmigiano Barozzi nell'ufficio di Uditore della Camera Apostolica. Nel 1527 dopo essere stato governatore a Bologna fu nunzio papale alla corte di Inghilterra. Il 16 settembre 1527 ebbe da parte del Card. Wolsey l'incarico di recare a Roma al Pontefice Clemente VII allora prigioniero, la nota protesta sottoscritta da quattro cardinali. Parimenti il 15 dicembre 1527 fu latore della lettera del Card. Wolsey al papa Clemente VII, nella quale il Cardinale chiedeva d'essere nominato per il tempo della prigionia papale, vicario generale pontificio, con i più ampi poteri, sperando con questo di poter sciogliere con l'autorità delegata il matrimonio di Enrico VIII con la consorte Caterina, onde impalmare Anna Bolena. L'8 maggio 1528 veniva nominato vescovo di Tortona, mentre poco dopo veniva nominato vice delegato del card. Innocenzo Cybo a Bologna, dove si trasferì con la sorella, la poetessa Veronica e il potente fratello Brunoro che qui involerà a fastose nozze agli inizi del 1529 con Virginia Pollaroli, vedova di Rannuccio Farnese, figlio di Paolo III. Nominato nel 1529 di nuovo governatore di Bologna venne quasi subito imputato di aver tentato di far uccidere il duca di Ferrara. Nel 1530, da Clemente VII, venne inviato Nunzio all'Imperatore Carlo V in Germania, in condizioni ancora più gravi e delicate. Il 15 gennaio 1531 s'incontrò a Liegi con Carlo V che a Uberto ed a sua sorella Veronica, signora di Correggio, indirizzò varie lettere e diplomi di privilegi. L'operosità sua in quel delicato periodo di storia europea segnato dal conflitto politico fra Francia ed Impero, dalla lotta antiromana della riforma protestante, dai primi piani di una riforma cattolica della Chiesa, fu di grande rilievo. Il 19 dicembre 1539 veniva da Paolo III, nominato cardinale con il titolo prima di S. Silvestro "in capite", poi di S. Martino ai Monti (23 marzo 1541), di S. Apollinare (15 febbraio 1542), di S. Crisogono (17 ottobre 1544). È fuori di dubbio che a questa nomina si sia opposta gran parte del S. Collegio. Il Card. Agostino Trivulzio ebbe con il papa un colloquio piuttosto animato nel corso del quale il Gambara, fu dal cardinale definito "persona infame". Sembra che il pontefice contrapponesse giustificazioni ritenute piuttosto vaghe: "Sua beatitudine rispose parole generali volendo scusarlo ch'aveva servito lungamente la sede apostolica et pareva ch'avesse mutata vita et non poteva mancare di proporvelo volendo quasi per le sue parole inserir che gli cardinali suoi dovevano dargli il voto in favor o contra secondo che gli paresse." Il Pastor opina che la nomina del Gambara fosse dovuta all'imperatore Carlo V, a Pier Luigi Farnese ed alla sorella Costanza; la documentazione prodotta, giustifica ampiamente questa ipotesi. Già in data 24 febbraio 1539, dieci mesi prima che il Gambara ricevesse il cappello cardinalizio, Nino Sernini (Nino da Cortona) con sua lettera al Card. Ercole Gonzaga informava: "Intendo che il Sig. Pier Luigi et la Signora Costanza hanno dato grandissima battaglia a Nostro Signore (il papa) acciò che facesse cardinale l'Abbate di Farfa et il Gambaro et credo che il Sig. Gio Battista Savello habbia fatto il medesimo per il figliolo. "Eloquente, sottilmente mordace ed atta più che mai ad illuminarci sull'opinione che membri influenti del Sacro Collegio avevano del Gambara, è una lettera che il 10 dicembre 1539 il Cardinale di Ferrara Ippolito d'Este scriveva al Card. Ercole Gonzaga di Mantova: "Ieri a caccia con madama (Costanza) ov'era il predetto Pier Luigi per molti ragionamenti ne nacque uno sopra quel che si diceva di cardinali futuri a questo tempore, compresi dal suo parlar che Nostro Signore (il Papa) è inclinato molto a sfrodarne una fornata tosto et quelli che secondo lui sono in procedimento sono il protonotario Gambero... Questo nostro Gambero è stato tanto al fuoco et ha tanto retrogradato che al fin se Dio non ci aiuta, di negro lo vedrem rosso." Paolo III dopo avergli conferito il galero lo chiamò subito a far parte del consiglio segreto composto anche dai cardinali Ardinghello, Sfondrato, Capodiferro, e dopo il 1546 dal Card. Crescenzio, tutti legati alla casa Farnese e considerati uomini di fiducia del papa e del cardinale nipote. Il Cardinal Uberto Gambara nel 1542 viene nominato legato pontificio a Piacenza. Nel 1539 fu Vicario di Roma. Dal 27 maggio 1542 fino al 5 marzo 1544 fu legato di Parma e Piacenza. In tale incarico brigò per dare le città ai Farnese, parenti del papa. A Piacenza, nella sua qualità di Legato aveva emanato (il febbraio 1543) un decreto di riforma di carattere amministrativo che suscita ammirazione degli storici fra cui Emilio Nasali Rocca. A Piacenza lasciò opere edilizie notevoli. Continuò le opere di fortificazione, costruendo alti bastioni ed aprendo la porta verso il Po intitolata ai Farnese, ma sulla quale pose anche il suo stemma. Aprì inoltre un'ampia via detta Gambaresca. Il fallimento della politica in favore dei Farnese, la tragica fine del principe Pierluigi Farnese avvenuta a Piacenza il 10 settembre 1547 sembra gli abbiano alienato il favore del papa e segnato il suo tramonto. A Paolo III che lo allontana da corte e gli nega la fiducia sembra che il Gambara replicasse: "Insegnai bene al papa ed a Pier Luigi come dovessero tenersi lo stato, ma non per questo insegnai già che facessero il principe senza guardie." Il 2 marzo 1548 il Card. Uberto Gambara rinunciava al vescovato di Tortona a favore del nipote Cesare. A Tortona era comparso una volta sola, nel maggio 1538 in occasione del passaggio nella città di Paolo III diretto a Nizza. Governò la diocesi attraverso vicarie generali fra cui dal 1546 fu il bresciano mons. Leonardo Terzi Lana, poi ausiliare a Piacenza e infine vescovo a Buda in Dalmazia. Comunque sembra abbia coperto, lo stesso, incarichi di rilievo in Francia nel 1547 e a Genova. Ebbe un beneficio a Quinzano e nella pieve di Montichiari mentre rinunciò al beneficio di Verolanuova nel 1541 in favore del giovanissimo nipote Agostino. Ebbe pure in commenda abazie a Verona, Correggio, Brescia, Acquanegra e Cremona. Nel 1534 aveva ottenuto la erezione a Collegiata di Verolanuova. Amico di letterati e letterato egli stesso, lasciò per testamento alla Corte Papale un libro "Directorium Inquisitorum». Nell'antica libreria Capponi esisteva un suo "Discorso a Paolo III". Fu grande amico di Giammatteo Giberti, Datario di Clemente VII e vescovo di Verona, di Federico Fregoso, piissimo arcivescovo di Salerno, di Marcello Cervini che fu poi papa Giulio III e di molti altri prelati sostenitori entusiasti della riforma cattolica, sano movimento di rinascita religiosa che sboccò nel Concilio di Trento. Fra gli amici si contano lo storico fiorentino Francesco Guicciardini e il famoso letterato veneziano Pietro Bembo. Da Roma le sue ceneri nel 1569 vennero traslate a Brescia e tumulate nella chiesa maggiore delle Grazie, dove gli venne eretto un monumento a mezzo busto sul lato destro del presbiterio con la seguente epigrafe latina che tradotta in italiano dice: "A. Uberto Gambara Cardinale di S.R.C. negli ardui tempi dei papi Leone X, Clemente VII) e Paolo III per molte ed importanti legazioni egregiamente compiute benemerito della Chiesa Cattolica Vicario della S. Sede; il monumento che per testamento gli aveva eretto il fratello Brunoro essendo stato rimosso per riparazioni del tempio, Giambattista Gambara, alla perenne memoria di tanto suo antenato restituì più ornato l'anno 1624. Egli visse anni 60 giorni 18, morì in Roma l'anno 1549 al 10 di febbraio. In quel luogo, nel quale le ceneri del Cardinale Uberto Gambara da Roma trasportate l'anno 1560 si conservavano, l'anno 1800 collocate più avanti (verso l'altar maggiore), Vincenzo Gambara eresse questo monumento a sue spese". Il Guerrini lo dice "di carattere altero, iracondo e superbo" condotto alla carriera ecclesiastica non per vocazione, ma per ambizione, ma lo dice anche "principe largo e splendido" che alla corte dei Farnese e della Francia brillò per qualità eminenti. L'Alberti ne fa gli elogi come uomo di stato; il Cellini lo disprezza per il suo dialetto rude; Corso Donati, scrivendo di lui al Machiavelli, sottolinea: "s'egli avesse avuto l'animo più quieto, sarebbe stata più felice la sua memoria". Lorenzo Tacchella sostiene che il Card. Uberto Gambara riassunse in sè i pregi ed i difetti del suo tempo. Nello spirito di un'epoca infausta per la Chiesa egli operò con il senno dei più, e se vi fu biasimo, se egli si alienò le simpatie del S. Collegio lo si deve solo alla sua impulsività e temerarietà, e che «non fu peggiore di altri, anche se di altri apparve peggiore» A Pralboino è raffigurato, in una tela del Moretto, vestito da cardinale, posta su di un altare della parrocchiale. Il padre aveva lasciato per testamento l'impegno agli eredi di far eseguire tale opera; che dapprima in S. Maria, fu poi qui collocata, anche per interessamento della contessa Eleonora Gambara Griffoni. In S. Maria ne esiste una copia.