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'''GÀMBARA (in dial. Gàmbara, in lat. Gambara)'''
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'''GAMBARA (in dial. Gàmbara, in lat. Gambara)'''
  
 
Grossa borgata situata nella pianura delimitata dai fiumi Mella e Chiese, prima che confluiscano nell'Oglio. L'abitato si trova sulla destra del fiume Gambara. Tale fiume ha origine nel territorio di Ghedi, quindi attraversata la campagna di Leno e di Gottolengo entra nel territorio del comune in un avvallamento che ha fatto pensare all'antico letto del Chiese, e sfocia nell'Oglio presso Volongo. È a 51 metri s.l.m., con una superficie di kmq 31,13. Dista 34 km. da Brescia Centri abitati del comune sono Gambara e la frazione Corvione a NE del capoluogo. Abitanti (Gambaresi): 1500 nel 1566; 1100 nel 1573; 1264 nel 1597; 900 nel 1610; 970 nel 1634; 1000 circa nel 1641; 980 nel 1653; 1000 circa nel 1668; 1694 nel 1755; 1621 nel 1762; 1660 nel 1778; 1637 nel 1785; 1843 nel 1805; 2139 nel 1832; 2285 nel 1850; 2138 nel 1853; 2400 nel 1858; 2562 nel 1861; 2689 nel 1871; 2722 nel 1881; 3122 nel 1901; 3555 nel 1911;4600 nel 1924; 4633 nel 1931; 4774 nel 1936; 5779 nel 1951; 5831 nel 1952; 5806 nel 1954; 4339 nel 1961 (di cui popolazione attiva 1641; agricoltura 840, industria 361, edilizia 108, commercio 115); 4232 nel 1971 (di cui occupati in agricoltura 447, commercio 150, industria 879, altri (artigiani e impiegati 175); 4251 nel 1981. Dal 1929 al 1950 facevano parte del comune di Gambara anche Fiesse e Cadimarco. Agli abitanti sono stati affibbiati i nomignoli di "liscù" o "danàcc". Un'alabarda ritrovata nel 1908 in una cava di ghiaia del Corvione di Gambara, oggi al museo di storia naturale di Brescia, viene assegnata alla fase iniziale dell'età del bronzo. È perfino inutile rilevare come Gambara si trovi tra il castellaro di Gottolengo e l'area che vide il massimo sviluppo della cultura di Remedello. Reperti preistorici vennero esposti alla mostra della preistoria della Lombardia tenuta a Milano nel 1962 ed ora al museo romano di Brescia. Sono: torques, armillae e un amuleto egiziano rinvenuti in tombe galliche. Altri reperti sono stati trovati in località Pendéc nelle Campagne dopo il cimitero. Ritrovamenti preistorici ebbero luogo anche nel campo Panesella e al Dos de Grom, località che si trovano ora in territorio di Volongo al confine con Gambara. Abbondanti sono le prove della presenza romana nel territorio. Lo confermano la stele funeraria del seviro Sex Catius, della tribù Fabia, murata all'esterno del Santuario della Madonna della Neve e l'altra ancora con la dicitura Hostil, la lapide di P. Attilio con dedica a Giove (Iovi p. Atili Pagan) che viene da qualcuno ritenuta elemento di un tempietto dedicato a Giove; l'ara cilindrica di Lucio Clodio della tribù Fabia, trovata nel 1972 sul sagrato della parrocchiale con embrici e sesquipedali; frammenti di iscrizioni e bassorilievi al castello. Resti di tombe romane con anfore sono state trovate alla cascina Lotte sulla vecchia strada che, seguendo il corso del fiume, univa Gambara a Gottolengo. Testimonianze romane (tombe con suppellettili) sono state trovate pure in località Saviore nel 1967, a Corvione, vicino al Rino verso Volongo, ai Cappuccini nel 1981, alla cascina Finiletto nel 1930 e ai Pendec. Eco di così lontani insediamenti è anche la leggenda della "cavra d'or" che sarebbe sepolta nel territorio. Senza aderire all'opinione di chi vede Gambara molto vicina o addirittura sorta sulle rovine di Bedriaco, il famoso vicus sulla via Postumia, teatro delle due battaglie combattute tra Ottone, Vitellio e Vespasiano nel 69 d.C., è presumibile che un vicus o un pagus sia esistito a Gambara o nei pressi. Tale vicus si potrebbe identificare anche con Corvione che nell'epoca romana pare fosse chiamato con altro nome e probabilmente con quello di Vernico, oggi cascinale situato alla periferia del comune verso Remedello, vicus forse appartenente a un nobile, o a un legionario, Varrone (Varronis vicus - vico di Varrone). Sull'antico vicus sorse poi, intorno al VI secolo, la Pieve cristiana di Corvelione o Corvione, corte regia, presso l'attuale Brescia-Parma, detta la Plebs Undecim Basilicarum, dal numero delle cappelle la medesima, e cioè di S. Salvatore in Corvione, di S. Maria e di S. Pietro Apostolo in Gambara, S. Donato in Remedello Sotto, S. Lorenzo di Remedello Sopra, S. Lorenzo martire in Fiesse, S. Giovanni Evangelista in Casalromano, S. Michele in Carzago presso Canneto, S. Bartolomeo e S. Donnino in Fontanella e di S. Benedetto e S. Maria in Buzzolano. Corvione venne poi, forse fin dall'epoca barbarica, oscurato gradualmente dal nuovo centro sorto sulla destra della Gambara, e che ebbe come cappella la chiesa di S. Maria, in seguito denominata S. Maria ad Nives. Tombe dell'epoca barbarica sono state ritrovate presso il Roccolo, non lontano dal cimitero di Corvione, e vi è chi vede l'origine del nome di Gambara dalla dominazione dei Longobardi (sec. VI) tra i quali era tradizionale e sacro il nome di Walchiria Gambara, patrona insigne, che, secondo le indicazioni dello storico Paolo Diacono d'Aquileia, veniva ritenuta madre di quei primi condottieri bellicosi, Ibor e Azone, capostipiti di quelle tribù che nel secolo VI si stabilirono in Italia. Nel 776 i Franchi di Carlo Magno nella loro marcia di avvicinamento a Gambara, che era allora un piccolo ducato longobardo, distrutto Monticelli Ripa d'Oglio, passarono l'Oglio ove sino a pochi anni fa esisteva un guado, e assalirono Volongo. Poi si riversarono su Gambara che fu distrutta. Il Conte Suppone intorno all'865 donava i beni di Gambara e Corvione alla badia benedettina di Leno, anche se il Malvezzi attribuisce la donazione, o nuove donazioni, a re Desiderio. Nel 936 l'abate di Leno Uberto investiva del feudo di Gambara una famiglia, secondo alcuni discendente da certo Ancilao, o Ansilaus, o Alimanus, venuta dalla Baviera o dalla Svevia, che aveva portato con suoi soldati o parenti valido aiuto al monastero nelle ripetute invasioni ungare. Da costui sarebbe derivata la famiglia nobile dei Gambara. Già nel 958 esisteva la "corte" di Gambara, quando Berengario vi riconfermava i diritti del Monastero di Leno, sotto la cui influenza rimase per molto tempo e che vi compì bonifiche, fondando probabilmente anche la cappella di S. Pietro intorno alla quale sorse poi il nuovo centro abitato. La giurisdizione ecclesiastica venne tuttavia più volte rivendicata dal vescovo di Brescia in contrasto con gli abati di Leno. Alla prima dieta di Roncaglia, nel 1154, il vescovo di Brescia Raimondo sottopose alla dieta e all'imperatore Federico Barbarossa la controversia che aveva con il Monastero di Leno per la giurisdizione sulle due chiese di Gambara, S. Maria e S. Pietro. Il papa Adriano IV con la curia romana aveva già risolto la controversia a favore del vescovo Raimondo il quale, per affermare i propri diritti vescovili, compiva verso il 1163 la visita pastorale alle chiese di S. Maria e di S. Pietro Apostolo in Gambara, consacrandole ambedue, amministrando la cresima e concedendo la perdonanza. L'imperatore, che oltretutto nel 1158 aveva dato alle fiamme il paese di Gambara, sentenziò in senso contrario al papa e la controversia si protrasse a lungo. Nel 1195 il vescovo affidava al prevosto di S. Alessandro in città e a Gerardo di Pavone di raccogliere testimonianze sulla controversia per avvalersene contro l'imperatore. Nello stesso 1195 il vescovo Giovanni II ordinava ai due preti della chiesa di S. Maria che i "fratres" (canonici) fossero limitati al numero di otto le sostanze della chiesa non consentivano il mantenimento di un numero maggiore. Le chiese di S. Maria e di S. Pietro erano amministrate da monaci e chierici viventi in comunità, alcuni dei quali parteggiavano per il vescovo da cui avevano la giurisdizione in spiritualibus, altri per l'abate di Leno dal quale avevano la giurisdizione in temporalibus. Con la decadenza del Monastero di Leno la famiglia dei Gambara (altrimenti chiamati Capitanei de Gambara), si impadronì di gran parte del territorio di Gambara, e ciò le venne contestato dal comune di Brescia che vi operò una forte penetrazione economica. E' infatti il Liber Potheris della città di Brescia che porta numerosi riferimenti a Gambara e a Corvione. Gambara e il suo castello fu più volte coinvolta in assedi e guerre. Nel 1237 fu distrutta dalle truppe di Federico II, che stava muovendo contro Brescia. La tradizione vuole che da Gambara, come da Pralboino e da Montichiari, l'imperatore abbia portato via quei prigionieri che sacrificò sotto le mura di Brescia.  Nel 1258, al tempo delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, questi ultimi spalleggiati da Ezzelino da Romano e dai suoi feudatari Buoso da Dovara e Uberto Pallavicino, dopo aver preso e saccheggiato Volongo, si diressero su Gambara ove sconfissero i loro avversari. Fu chiamata l'infausta giornata di Gambara poiché rimasero prigionieri Cavalcano Sala, vescovo e podestà di Brescia, il podestà di Mantova, il vescovo e il podestà di Verona, nonché il legato pontificio arcivescovo di Ravenna. Nel 1319-20 venne incendiata e rasa al suolo dai Guelfi guidati da Gilberto da Correggio. In effetti i Guelfi si vendicavano soprattutto della pretesa supremazia rivendicata dai Gambara di orientamento ghibellino e tendevano a riaffermare la supremazia del Comune di Brescia. I Gambara, infatti, si erano andati rafforzando anche attraverso compere a volte imponenti. Il 5 gennaio 1371 Federico Gambara dividendosi con i fratelli Pietro e Gerardo i beni famigliari estesi in varie località della provincia, diventava padrone unico di tutti i possedimenti situati in Gambara. Nel 1382 comperava altri 1000 piò terra sul territorio gambarese, pigliava possesso della seriola Gambarella e del Redone, vi piantava nel 1386-1394, anche in contrasto col comune di Gambara, segherie e molini, ed allargava le sue proprietà in Leno e Pralboino. Il 29 marzo 1395 il comune di Gambara acquistava da Marco Lavellongo il mulino con le sue acque e alcuni fondi contigui in località, oggi, Mugliècc. Nel 1397 il papa Bonifacio IX confermava il conte Federico Gambara nel possesso dei beni del Corvione spettanti alla Mensa del Duomo con l'annuo canone di L. 20. Federico, sempre ghibellino e schierato con i Visconti, il 25 aprile 1404 otteneva dal Duca di Milano l'esenzione di tasse e tributi sui suoi beni feudali. Nell'anno 1406, concordava la pace tra i Visconti e Pandolfo Malatesta, Gambara fu costretta a passare sotto il dominio di quest'ultimo. Nell'anno successivo però si dimostrò ostile alla Signoria di Pandolfo e pertanto verrà risottomessa con la forza come altri paesi ribelli. Nel maggio 1427 Gambara venne occupata dalle truppe del Carmagnola e i rappresentanti del comune furono tra i primi a giurare fedeltà a Venezia. 11 13 ottobre 1436 il papa Eugenio IV riconfermava gli atti possessori e le investiture avute dalla casa Gambara nel territorio del Corvione, di ragione della Mensa del Duomo di Brescia per l'annuo livello di L. 20. Il vasto feudo dei Gambara, di oltre 2500 piò di terreno, si conserverà sotto la signoria veneta come una proprietà privata. Ucciso dai gambaresi il conte Federico, nel 1451 i suoi beni - che erano stati requisiti - furono restituiti al nipote Brunoro Gambara. Questi il 21 dicembre 1464 si accordò con gli "uomini di Gambara" per una importante permuta: da essi accettava il possesso di 207 piò di terra in contrada Salvelongo (oggi Cappuccini) e ben specificati diritti d'acqua lungo la Seriola, dove aveva dei fondi, e in cambio cedeva al comune il Mulino sulla Seriola, da cui il comune stesso avrebbe tratto per secoli un sicuro reddito. Ai primi di luglio del 1438 Gambara fu tra le prime località ad essere occupate dal Piccinino, proveniente dal cremonese. Da Gambara nel giugno 1441 il Piccinino partì per scontrarsi con le truppe dello Sforza a Cignano, mentre Marsilio e Brunoro Gambara si facevano convincere a sottoporsi a Venezia. Il 6 luglio 1441 il territorio di Gambara fu concesso in premio a Marsilio Gambara, ma Brescia ottenne il 10 luglio 1448 di poter mandare un suo vicario. Nella nuova campagna militare tra Venezia e Milano nel 1452 Gambara fu occupata nel giugno dai milanesi. Con il rassodarsi del dominio veneto Gambara divenne vicariato minore e poi vicariato maggiore. Brescia cercò di favorire in ogni modo il paese di Gambara, opponendosi decisamente nel 1457 al vescovo di Bergamo che accampava diritti sui benefici ecclesiastici che erano già stati degli Umiliati come appare dalle Provvisioni dell'8 novembre 1464. Contrastò pure la famiglia dei Gambara che si erano praticamente impadroniti del paese. Tuttavia la potente famiglia ancora nel 1610 avrà giurisdizione in civile et criminale, purché non per fatti di sangue. Pur non avendo sul territorio diritti feudali, i Gambara vi accamparono continuamente, se non diritti, una loro egemonia anche con continua prepotenza, tanto che i nobili bresciani che tutti gli anni erano nominati quali vicari del paese, sistematicamente si rifiutavano di accettare la carica e pagavano l'ammenda relativa. Per questo il posto restò vacante fuorché quando si trovava l'uomo energico che veniva e comandava in nome del consiglio generale della città, e ciò con grande dispetto dei Gambara. Dai Gambara derivarono famiglie minori, tra cui quella dei Ghibellini o Gibellini a ricordo di quello che fu sempre lo schieramento politico della nobile famiglia. Travagliati anche per Gambara furono i primi decenni del '500 e specie l'aprile 1512 che vide il passaggio delle truppe francesi al comando del de La Palisse, il maggio 1513 quando venne occupata dai Veneti e il capitano Bartolomeo Alviano vi pose la sede del suo comando con l'esercito, e il 16 marzo 1516 quando l'imperatore Massimiliano I vi concentrò il suo esercito prima di prendere la via per il Tirolo. Grandi rovine vi seminò sul finire dell'estate del 1529 l'esercito imperiale. Al seguito di Lucrezio e Nicolò Gambara, alcuni gambaresi nel 1571 parteciparono alla battaglia di Lepanto. Nel 1580 venne posta fine con una transazione a una annosa contesa tra il comune di Gambara e quello di Gottolengo per l'acqua della Gambarella. Riaccesesi col tempo nuove ostilità tra i due comuni per l'interpretazione da dare ad alcuni punti della suddetta transazione sanzionata dal Consiglio dei Dieci, veniva fatta una nuova e, per allora, definitiva transazione nel 1741. Altre truppe stazionano a Gambara durante la guerra per il ducato di Mantova dal settembre 1629 al giugno 1630. Sono in gran numero, Spagnoli e Tedeschi, essendo Gambara località di confine con il mantovano. I nuovi invasori pretendono contribuzioni, depredano, bruciano, costringendo la popolazione a fuggire con roba e animali verso la città e nei paesi vicini. Nel luglio 1630, mentre il paese è in balia dell'esercito imperiale, si accerta il primo caso di peste. Il nuovo flagello ridurrà alla metà circa il numero degli abitanti. Gli appestati vengono sepolti prima nel cimitero intorno alla parrocchiale, poi negli orti e lungo la Gambara, e in seguito, fino all'esaurirsi del morbo, in località Gandone, dove ora sorge il cimitero. Nell'inverno 1701-1702 durante la guerra di successione spagnola Gambara subì gravi danni per il passaggio delle truppe imperiali al comando del principe Eugenio di Savoia. Gli anni successivi furono molto duri per le privazioni, le miserie, le imposte dovute alla guerra contro i Turchi e alla moria di bestiame. Nel 1800 vi pose il quartier generale il generale Suchet, comandante il centro dell'Armata d'Italia al servizio di Napoleone. Col passaggio delle truppe francesi nuove tasse e taglieggiamenti colpiscono i gambaresi che devono in ogni modo contribuire nella quasi totalità al mantenimento dei nuovi conquistatori. Inoltre sensibile è la partecipazione alla campagna di Russia voluta dall'imperatore dei francesi. Ciò impoverì ulteriormente il paese, ostacolando la realizzazione di alcune opere già progettate a beneficio dell'agricoltura. Il colera nel 1836 e poi nel 1855 fece diverse vittime, ma altri guai, e in particolare requisizioni, vennero dai rivolgimenti politici del '49 e nelle seguenti guerre del Risorgimento. Presenti nelle campagne d'Africa alla fine dell'800 e, nel 1911, in Libia, i gambaresi nella Grande Guerra pagarono un contributo di ben 76 caduti, ricordati sul monumento eretto nel 1919. I primi sintomi della resistenza si avvertono all'inizio del 1944 quando la classe del 1925 nella quasi totalità non risponde al bando di arruolamento nella Repubblica di Salò. Tra il settembre e il dicembre 1944 è ospite clandestino della canonica di Gambara, presso l'amico prevosto Don Giovanni Barchi, il parroco di Bozzolo don Primo Mazzolari, ricercato dai nazifascisti, che tiene le fila del movimento resistenziale della zona e, nell'ozio forzato, dà l'avvio ad alcune sue opere. La guerra si conclude con l'episodio tragico di Cavezzo il 29 aprile 1945, dove tra i partigiani consociati restano sul terreno, vittime dello scontro con una colonna tedesca in ritirata, quattro gambaresi. Durante l'ultimo periodo di guerra molte famiglie gambaresi prestano aiuto e assistenza e rifugio ai prigionieri alleati e ai numerosi sbandati. In questa azione si distingue particolarmente la canonica, più volte rifugio di ricercati. Il prevosto Barchi inoltre attraverso le pagine del Bollettino Parrocchiale aveva tenuto per tutto il tempo della guerra una fitta corrispondenza con i militari gambaresi sparsi su tutti i fronti e nei campi di prigionia. I soldati a loro volta avevano scritto di frequente al loro prevosto. Esiste in tal senso una interessante collezione di circa 10.000 lettere, testimonianza di attaccamento e di fiducia dei soldati lontani ai loro pastori. L'ultimo conflitto mondiale oltre agli indescrivibili disagi, porta nelle famiglie parecchi lutti: 36 sono i caduti ufficialmente ricordati.
 
Grossa borgata situata nella pianura delimitata dai fiumi Mella e Chiese, prima che confluiscano nell'Oglio. L'abitato si trova sulla destra del fiume Gambara. Tale fiume ha origine nel territorio di Ghedi, quindi attraversata la campagna di Leno e di Gottolengo entra nel territorio del comune in un avvallamento che ha fatto pensare all'antico letto del Chiese, e sfocia nell'Oglio presso Volongo. È a 51 metri s.l.m., con una superficie di kmq 31,13. Dista 34 km. da Brescia Centri abitati del comune sono Gambara e la frazione Corvione a NE del capoluogo. Abitanti (Gambaresi): 1500 nel 1566; 1100 nel 1573; 1264 nel 1597; 900 nel 1610; 970 nel 1634; 1000 circa nel 1641; 980 nel 1653; 1000 circa nel 1668; 1694 nel 1755; 1621 nel 1762; 1660 nel 1778; 1637 nel 1785; 1843 nel 1805; 2139 nel 1832; 2285 nel 1850; 2138 nel 1853; 2400 nel 1858; 2562 nel 1861; 2689 nel 1871; 2722 nel 1881; 3122 nel 1901; 3555 nel 1911;4600 nel 1924; 4633 nel 1931; 4774 nel 1936; 5779 nel 1951; 5831 nel 1952; 5806 nel 1954; 4339 nel 1961 (di cui popolazione attiva 1641; agricoltura 840, industria 361, edilizia 108, commercio 115); 4232 nel 1971 (di cui occupati in agricoltura 447, commercio 150, industria 879, altri (artigiani e impiegati 175); 4251 nel 1981. Dal 1929 al 1950 facevano parte del comune di Gambara anche Fiesse e Cadimarco. Agli abitanti sono stati affibbiati i nomignoli di "liscù" o "danàcc". Un'alabarda ritrovata nel 1908 in una cava di ghiaia del Corvione di Gambara, oggi al museo di storia naturale di Brescia, viene assegnata alla fase iniziale dell'età del bronzo. È perfino inutile rilevare come Gambara si trovi tra il castellaro di Gottolengo e l'area che vide il massimo sviluppo della cultura di Remedello. Reperti preistorici vennero esposti alla mostra della preistoria della Lombardia tenuta a Milano nel 1962 ed ora al museo romano di Brescia. Sono: torques, armillae e un amuleto egiziano rinvenuti in tombe galliche. Altri reperti sono stati trovati in località Pendéc nelle Campagne dopo il cimitero. Ritrovamenti preistorici ebbero luogo anche nel campo Panesella e al Dos de Grom, località che si trovano ora in territorio di Volongo al confine con Gambara. Abbondanti sono le prove della presenza romana nel territorio. Lo confermano la stele funeraria del seviro Sex Catius, della tribù Fabia, murata all'esterno del Santuario della Madonna della Neve e l'altra ancora con la dicitura Hostil, la lapide di P. Attilio con dedica a Giove (Iovi p. Atili Pagan) che viene da qualcuno ritenuta elemento di un tempietto dedicato a Giove; l'ara cilindrica di Lucio Clodio della tribù Fabia, trovata nel 1972 sul sagrato della parrocchiale con embrici e sesquipedali; frammenti di iscrizioni e bassorilievi al castello. Resti di tombe romane con anfore sono state trovate alla cascina Lotte sulla vecchia strada che, seguendo il corso del fiume, univa Gambara a Gottolengo. Testimonianze romane (tombe con suppellettili) sono state trovate pure in località Saviore nel 1967, a Corvione, vicino al Rino verso Volongo, ai Cappuccini nel 1981, alla cascina Finiletto nel 1930 e ai Pendec. Eco di così lontani insediamenti è anche la leggenda della "cavra d'or" che sarebbe sepolta nel territorio. Senza aderire all'opinione di chi vede Gambara molto vicina o addirittura sorta sulle rovine di Bedriaco, il famoso vicus sulla via Postumia, teatro delle due battaglie combattute tra Ottone, Vitellio e Vespasiano nel 69 d.C., è presumibile che un vicus o un pagus sia esistito a Gambara o nei pressi. Tale vicus si potrebbe identificare anche con Corvione che nell'epoca romana pare fosse chiamato con altro nome e probabilmente con quello di Vernico, oggi cascinale situato alla periferia del comune verso Remedello, vicus forse appartenente a un nobile, o a un legionario, Varrone (Varronis vicus - vico di Varrone). Sull'antico vicus sorse poi, intorno al VI secolo, la Pieve cristiana di Corvelione o Corvione, corte regia, presso l'attuale Brescia-Parma, detta la Plebs Undecim Basilicarum, dal numero delle cappelle la medesima, e cioè di S. Salvatore in Corvione, di S. Maria e di S. Pietro Apostolo in Gambara, S. Donato in Remedello Sotto, S. Lorenzo di Remedello Sopra, S. Lorenzo martire in Fiesse, S. Giovanni Evangelista in Casalromano, S. Michele in Carzago presso Canneto, S. Bartolomeo e S. Donnino in Fontanella e di S. Benedetto e S. Maria in Buzzolano. Corvione venne poi, forse fin dall'epoca barbarica, oscurato gradualmente dal nuovo centro sorto sulla destra della Gambara, e che ebbe come cappella la chiesa di S. Maria, in seguito denominata S. Maria ad Nives. Tombe dell'epoca barbarica sono state ritrovate presso il Roccolo, non lontano dal cimitero di Corvione, e vi è chi vede l'origine del nome di Gambara dalla dominazione dei Longobardi (sec. VI) tra i quali era tradizionale e sacro il nome di Walchiria Gambara, patrona insigne, che, secondo le indicazioni dello storico Paolo Diacono d'Aquileia, veniva ritenuta madre di quei primi condottieri bellicosi, Ibor e Azone, capostipiti di quelle tribù che nel secolo VI si stabilirono in Italia. Nel 776 i Franchi di Carlo Magno nella loro marcia di avvicinamento a Gambara, che era allora un piccolo ducato longobardo, distrutto Monticelli Ripa d'Oglio, passarono l'Oglio ove sino a pochi anni fa esisteva un guado, e assalirono Volongo. Poi si riversarono su Gambara che fu distrutta. Il Conte Suppone intorno all'865 donava i beni di Gambara e Corvione alla badia benedettina di Leno, anche se il Malvezzi attribuisce la donazione, o nuove donazioni, a re Desiderio. Nel 936 l'abate di Leno Uberto investiva del feudo di Gambara una famiglia, secondo alcuni discendente da certo Ancilao, o Ansilaus, o Alimanus, venuta dalla Baviera o dalla Svevia, che aveva portato con suoi soldati o parenti valido aiuto al monastero nelle ripetute invasioni ungare. Da costui sarebbe derivata la famiglia nobile dei Gambara. Già nel 958 esisteva la "corte" di Gambara, quando Berengario vi riconfermava i diritti del Monastero di Leno, sotto la cui influenza rimase per molto tempo e che vi compì bonifiche, fondando probabilmente anche la cappella di S. Pietro intorno alla quale sorse poi il nuovo centro abitato. La giurisdizione ecclesiastica venne tuttavia più volte rivendicata dal vescovo di Brescia in contrasto con gli abati di Leno. Alla prima dieta di Roncaglia, nel 1154, il vescovo di Brescia Raimondo sottopose alla dieta e all'imperatore Federico Barbarossa la controversia che aveva con il Monastero di Leno per la giurisdizione sulle due chiese di Gambara, S. Maria e S. Pietro. Il papa Adriano IV con la curia romana aveva già risolto la controversia a favore del vescovo Raimondo il quale, per affermare i propri diritti vescovili, compiva verso il 1163 la visita pastorale alle chiese di S. Maria e di S. Pietro Apostolo in Gambara, consacrandole ambedue, amministrando la cresima e concedendo la perdonanza. L'imperatore, che oltretutto nel 1158 aveva dato alle fiamme il paese di Gambara, sentenziò in senso contrario al papa e la controversia si protrasse a lungo. Nel 1195 il vescovo affidava al prevosto di S. Alessandro in città e a Gerardo di Pavone di raccogliere testimonianze sulla controversia per avvalersene contro l'imperatore. Nello stesso 1195 il vescovo Giovanni II ordinava ai due preti della chiesa di S. Maria che i "fratres" (canonici) fossero limitati al numero di otto le sostanze della chiesa non consentivano il mantenimento di un numero maggiore. Le chiese di S. Maria e di S. Pietro erano amministrate da monaci e chierici viventi in comunità, alcuni dei quali parteggiavano per il vescovo da cui avevano la giurisdizione in spiritualibus, altri per l'abate di Leno dal quale avevano la giurisdizione in temporalibus. Con la decadenza del Monastero di Leno la famiglia dei Gambara (altrimenti chiamati Capitanei de Gambara), si impadronì di gran parte del territorio di Gambara, e ciò le venne contestato dal comune di Brescia che vi operò una forte penetrazione economica. E' infatti il Liber Potheris della città di Brescia che porta numerosi riferimenti a Gambara e a Corvione. Gambara e il suo castello fu più volte coinvolta in assedi e guerre. Nel 1237 fu distrutta dalle truppe di Federico II, che stava muovendo contro Brescia. La tradizione vuole che da Gambara, come da Pralboino e da Montichiari, l'imperatore abbia portato via quei prigionieri che sacrificò sotto le mura di Brescia.  Nel 1258, al tempo delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, questi ultimi spalleggiati da Ezzelino da Romano e dai suoi feudatari Buoso da Dovara e Uberto Pallavicino, dopo aver preso e saccheggiato Volongo, si diressero su Gambara ove sconfissero i loro avversari. Fu chiamata l'infausta giornata di Gambara poiché rimasero prigionieri Cavalcano Sala, vescovo e podestà di Brescia, il podestà di Mantova, il vescovo e il podestà di Verona, nonché il legato pontificio arcivescovo di Ravenna. Nel 1319-20 venne incendiata e rasa al suolo dai Guelfi guidati da Gilberto da Correggio. In effetti i Guelfi si vendicavano soprattutto della pretesa supremazia rivendicata dai Gambara di orientamento ghibellino e tendevano a riaffermare la supremazia del Comune di Brescia. I Gambara, infatti, si erano andati rafforzando anche attraverso compere a volte imponenti. Il 5 gennaio 1371 Federico Gambara dividendosi con i fratelli Pietro e Gerardo i beni famigliari estesi in varie località della provincia, diventava padrone unico di tutti i possedimenti situati in Gambara. Nel 1382 comperava altri 1000 piò terra sul territorio gambarese, pigliava possesso della seriola Gambarella e del Redone, vi piantava nel 1386-1394, anche in contrasto col comune di Gambara, segherie e molini, ed allargava le sue proprietà in Leno e Pralboino. Il 29 marzo 1395 il comune di Gambara acquistava da Marco Lavellongo il mulino con le sue acque e alcuni fondi contigui in località, oggi, Mugliècc. Nel 1397 il papa Bonifacio IX confermava il conte Federico Gambara nel possesso dei beni del Corvione spettanti alla Mensa del Duomo con l'annuo canone di L. 20. Federico, sempre ghibellino e schierato con i Visconti, il 25 aprile 1404 otteneva dal Duca di Milano l'esenzione di tasse e tributi sui suoi beni feudali. Nell'anno 1406, concordava la pace tra i Visconti e Pandolfo Malatesta, Gambara fu costretta a passare sotto il dominio di quest'ultimo. Nell'anno successivo però si dimostrò ostile alla Signoria di Pandolfo e pertanto verrà risottomessa con la forza come altri paesi ribelli. Nel maggio 1427 Gambara venne occupata dalle truppe del Carmagnola e i rappresentanti del comune furono tra i primi a giurare fedeltà a Venezia. 11 13 ottobre 1436 il papa Eugenio IV riconfermava gli atti possessori e le investiture avute dalla casa Gambara nel territorio del Corvione, di ragione della Mensa del Duomo di Brescia per l'annuo livello di L. 20. Il vasto feudo dei Gambara, di oltre 2500 piò di terreno, si conserverà sotto la signoria veneta come una proprietà privata. Ucciso dai gambaresi il conte Federico, nel 1451 i suoi beni - che erano stati requisiti - furono restituiti al nipote Brunoro Gambara. Questi il 21 dicembre 1464 si accordò con gli "uomini di Gambara" per una importante permuta: da essi accettava il possesso di 207 piò di terra in contrada Salvelongo (oggi Cappuccini) e ben specificati diritti d'acqua lungo la Seriola, dove aveva dei fondi, e in cambio cedeva al comune il Mulino sulla Seriola, da cui il comune stesso avrebbe tratto per secoli un sicuro reddito. Ai primi di luglio del 1438 Gambara fu tra le prime località ad essere occupate dal Piccinino, proveniente dal cremonese. Da Gambara nel giugno 1441 il Piccinino partì per scontrarsi con le truppe dello Sforza a Cignano, mentre Marsilio e Brunoro Gambara si facevano convincere a sottoporsi a Venezia. Il 6 luglio 1441 il territorio di Gambara fu concesso in premio a Marsilio Gambara, ma Brescia ottenne il 10 luglio 1448 di poter mandare un suo vicario. Nella nuova campagna militare tra Venezia e Milano nel 1452 Gambara fu occupata nel giugno dai milanesi. Con il rassodarsi del dominio veneto Gambara divenne vicariato minore e poi vicariato maggiore. Brescia cercò di favorire in ogni modo il paese di Gambara, opponendosi decisamente nel 1457 al vescovo di Bergamo che accampava diritti sui benefici ecclesiastici che erano già stati degli Umiliati come appare dalle Provvisioni dell'8 novembre 1464. Contrastò pure la famiglia dei Gambara che si erano praticamente impadroniti del paese. Tuttavia la potente famiglia ancora nel 1610 avrà giurisdizione in civile et criminale, purché non per fatti di sangue. Pur non avendo sul territorio diritti feudali, i Gambara vi accamparono continuamente, se non diritti, una loro egemonia anche con continua prepotenza, tanto che i nobili bresciani che tutti gli anni erano nominati quali vicari del paese, sistematicamente si rifiutavano di accettare la carica e pagavano l'ammenda relativa. Per questo il posto restò vacante fuorché quando si trovava l'uomo energico che veniva e comandava in nome del consiglio generale della città, e ciò con grande dispetto dei Gambara. Dai Gambara derivarono famiglie minori, tra cui quella dei Ghibellini o Gibellini a ricordo di quello che fu sempre lo schieramento politico della nobile famiglia. Travagliati anche per Gambara furono i primi decenni del '500 e specie l'aprile 1512 che vide il passaggio delle truppe francesi al comando del de La Palisse, il maggio 1513 quando venne occupata dai Veneti e il capitano Bartolomeo Alviano vi pose la sede del suo comando con l'esercito, e il 16 marzo 1516 quando l'imperatore Massimiliano I vi concentrò il suo esercito prima di prendere la via per il Tirolo. Grandi rovine vi seminò sul finire dell'estate del 1529 l'esercito imperiale. Al seguito di Lucrezio e Nicolò Gambara, alcuni gambaresi nel 1571 parteciparono alla battaglia di Lepanto. Nel 1580 venne posta fine con una transazione a una annosa contesa tra il comune di Gambara e quello di Gottolengo per l'acqua della Gambarella. Riaccesesi col tempo nuove ostilità tra i due comuni per l'interpretazione da dare ad alcuni punti della suddetta transazione sanzionata dal Consiglio dei Dieci, veniva fatta una nuova e, per allora, definitiva transazione nel 1741. Altre truppe stazionano a Gambara durante la guerra per il ducato di Mantova dal settembre 1629 al giugno 1630. Sono in gran numero, Spagnoli e Tedeschi, essendo Gambara località di confine con il mantovano. I nuovi invasori pretendono contribuzioni, depredano, bruciano, costringendo la popolazione a fuggire con roba e animali verso la città e nei paesi vicini. Nel luglio 1630, mentre il paese è in balia dell'esercito imperiale, si accerta il primo caso di peste. Il nuovo flagello ridurrà alla metà circa il numero degli abitanti. Gli appestati vengono sepolti prima nel cimitero intorno alla parrocchiale, poi negli orti e lungo la Gambara, e in seguito, fino all'esaurirsi del morbo, in località Gandone, dove ora sorge il cimitero. Nell'inverno 1701-1702 durante la guerra di successione spagnola Gambara subì gravi danni per il passaggio delle truppe imperiali al comando del principe Eugenio di Savoia. Gli anni successivi furono molto duri per le privazioni, le miserie, le imposte dovute alla guerra contro i Turchi e alla moria di bestiame. Nel 1800 vi pose il quartier generale il generale Suchet, comandante il centro dell'Armata d'Italia al servizio di Napoleone. Col passaggio delle truppe francesi nuove tasse e taglieggiamenti colpiscono i gambaresi che devono in ogni modo contribuire nella quasi totalità al mantenimento dei nuovi conquistatori. Inoltre sensibile è la partecipazione alla campagna di Russia voluta dall'imperatore dei francesi. Ciò impoverì ulteriormente il paese, ostacolando la realizzazione di alcune opere già progettate a beneficio dell'agricoltura. Il colera nel 1836 e poi nel 1855 fece diverse vittime, ma altri guai, e in particolare requisizioni, vennero dai rivolgimenti politici del '49 e nelle seguenti guerre del Risorgimento. Presenti nelle campagne d'Africa alla fine dell'800 e, nel 1911, in Libia, i gambaresi nella Grande Guerra pagarono un contributo di ben 76 caduti, ricordati sul monumento eretto nel 1919. I primi sintomi della resistenza si avvertono all'inizio del 1944 quando la classe del 1925 nella quasi totalità non risponde al bando di arruolamento nella Repubblica di Salò. Tra il settembre e il dicembre 1944 è ospite clandestino della canonica di Gambara, presso l'amico prevosto Don Giovanni Barchi, il parroco di Bozzolo don Primo Mazzolari, ricercato dai nazifascisti, che tiene le fila del movimento resistenziale della zona e, nell'ozio forzato, dà l'avvio ad alcune sue opere. La guerra si conclude con l'episodio tragico di Cavezzo il 29 aprile 1945, dove tra i partigiani consociati restano sul terreno, vittime dello scontro con una colonna tedesca in ritirata, quattro gambaresi. Durante l'ultimo periodo di guerra molte famiglie gambaresi prestano aiuto e assistenza e rifugio ai prigionieri alleati e ai numerosi sbandati. In questa azione si distingue particolarmente la canonica, più volte rifugio di ricercati. Il prevosto Barchi inoltre attraverso le pagine del Bollettino Parrocchiale aveva tenuto per tutto il tempo della guerra una fitta corrispondenza con i militari gambaresi sparsi su tutti i fronti e nei campi di prigionia. I soldati a loro volta avevano scritto di frequente al loro prevosto. Esiste in tal senso una interessante collezione di circa 10.000 lettere, testimonianza di attaccamento e di fiducia dei soldati lontani ai loro pastori. L'ultimo conflitto mondiale oltre agli indescrivibili disagi, porta nelle famiglie parecchi lutti: 36 sono i caduti ufficialmente ricordati.

Versione delle 08:13, 26 lug 2020

GAMBARA (in dial. Gàmbara, in lat. Gambara)

Grossa borgata situata nella pianura delimitata dai fiumi Mella e Chiese, prima che confluiscano nell'Oglio. L'abitato si trova sulla destra del fiume Gambara. Tale fiume ha origine nel territorio di Ghedi, quindi attraversata la campagna di Leno e di Gottolengo entra nel territorio del comune in un avvallamento che ha fatto pensare all'antico letto del Chiese, e sfocia nell'Oglio presso Volongo. È a 51 metri s.l.m., con una superficie di kmq 31,13. Dista 34 km. da Brescia Centri abitati del comune sono Gambara e la frazione Corvione a NE del capoluogo. Abitanti (Gambaresi): 1500 nel 1566; 1100 nel 1573; 1264 nel 1597; 900 nel 1610; 970 nel 1634; 1000 circa nel 1641; 980 nel 1653; 1000 circa nel 1668; 1694 nel 1755; 1621 nel 1762; 1660 nel 1778; 1637 nel 1785; 1843 nel 1805; 2139 nel 1832; 2285 nel 1850; 2138 nel 1853; 2400 nel 1858; 2562 nel 1861; 2689 nel 1871; 2722 nel 1881; 3122 nel 1901; 3555 nel 1911;4600 nel 1924; 4633 nel 1931; 4774 nel 1936; 5779 nel 1951; 5831 nel 1952; 5806 nel 1954; 4339 nel 1961 (di cui popolazione attiva 1641; agricoltura 840, industria 361, edilizia 108, commercio 115); 4232 nel 1971 (di cui occupati in agricoltura 447, commercio 150, industria 879, altri (artigiani e impiegati 175); 4251 nel 1981. Dal 1929 al 1950 facevano parte del comune di Gambara anche Fiesse e Cadimarco. Agli abitanti sono stati affibbiati i nomignoli di "liscù" o "danàcc". Un'alabarda ritrovata nel 1908 in una cava di ghiaia del Corvione di Gambara, oggi al museo di storia naturale di Brescia, viene assegnata alla fase iniziale dell'età del bronzo. È perfino inutile rilevare come Gambara si trovi tra il castellaro di Gottolengo e l'area che vide il massimo sviluppo della cultura di Remedello. Reperti preistorici vennero esposti alla mostra della preistoria della Lombardia tenuta a Milano nel 1962 ed ora al museo romano di Brescia. Sono: torques, armillae e un amuleto egiziano rinvenuti in tombe galliche. Altri reperti sono stati trovati in località Pendéc nelle Campagne dopo il cimitero. Ritrovamenti preistorici ebbero luogo anche nel campo Panesella e al Dos de Grom, località che si trovano ora in territorio di Volongo al confine con Gambara. Abbondanti sono le prove della presenza romana nel territorio. Lo confermano la stele funeraria del seviro Sex Catius, della tribù Fabia, murata all'esterno del Santuario della Madonna della Neve e l'altra ancora con la dicitura Hostil, la lapide di P. Attilio con dedica a Giove (Iovi p. Atili Pagan) che viene da qualcuno ritenuta elemento di un tempietto dedicato a Giove; l'ara cilindrica di Lucio Clodio della tribù Fabia, trovata nel 1972 sul sagrato della parrocchiale con embrici e sesquipedali; frammenti di iscrizioni e bassorilievi al castello. Resti di tombe romane con anfore sono state trovate alla cascina Lotte sulla vecchia strada che, seguendo il corso del fiume, univa Gambara a Gottolengo. Testimonianze romane (tombe con suppellettili) sono state trovate pure in località Saviore nel 1967, a Corvione, vicino al Rino verso Volongo, ai Cappuccini nel 1981, alla cascina Finiletto nel 1930 e ai Pendec. Eco di così lontani insediamenti è anche la leggenda della "cavra d'or" che sarebbe sepolta nel territorio. Senza aderire all'opinione di chi vede Gambara molto vicina o addirittura sorta sulle rovine di Bedriaco, il famoso vicus sulla via Postumia, teatro delle due battaglie combattute tra Ottone, Vitellio e Vespasiano nel 69 d.C., è presumibile che un vicus o un pagus sia esistito a Gambara o nei pressi. Tale vicus si potrebbe identificare anche con Corvione che nell'epoca romana pare fosse chiamato con altro nome e probabilmente con quello di Vernico, oggi cascinale situato alla periferia del comune verso Remedello, vicus forse appartenente a un nobile, o a un legionario, Varrone (Varronis vicus - vico di Varrone). Sull'antico vicus sorse poi, intorno al VI secolo, la Pieve cristiana di Corvelione o Corvione, corte regia, presso l'attuale Brescia-Parma, detta la Plebs Undecim Basilicarum, dal numero delle cappelle la medesima, e cioè di S. Salvatore in Corvione, di S. Maria e di S. Pietro Apostolo in Gambara, S. Donato in Remedello Sotto, S. Lorenzo di Remedello Sopra, S. Lorenzo martire in Fiesse, S. Giovanni Evangelista in Casalromano, S. Michele in Carzago presso Canneto, S. Bartolomeo e S. Donnino in Fontanella e di S. Benedetto e S. Maria in Buzzolano. Corvione venne poi, forse fin dall'epoca barbarica, oscurato gradualmente dal nuovo centro sorto sulla destra della Gambara, e che ebbe come cappella la chiesa di S. Maria, in seguito denominata S. Maria ad Nives. Tombe dell'epoca barbarica sono state ritrovate presso il Roccolo, non lontano dal cimitero di Corvione, e vi è chi vede l'origine del nome di Gambara dalla dominazione dei Longobardi (sec. VI) tra i quali era tradizionale e sacro il nome di Walchiria Gambara, patrona insigne, che, secondo le indicazioni dello storico Paolo Diacono d'Aquileia, veniva ritenuta madre di quei primi condottieri bellicosi, Ibor e Azone, capostipiti di quelle tribù che nel secolo VI si stabilirono in Italia. Nel 776 i Franchi di Carlo Magno nella loro marcia di avvicinamento a Gambara, che era allora un piccolo ducato longobardo, distrutto Monticelli Ripa d'Oglio, passarono l'Oglio ove sino a pochi anni fa esisteva un guado, e assalirono Volongo. Poi si riversarono su Gambara che fu distrutta. Il Conte Suppone intorno all'865 donava i beni di Gambara e Corvione alla badia benedettina di Leno, anche se il Malvezzi attribuisce la donazione, o nuove donazioni, a re Desiderio. Nel 936 l'abate di Leno Uberto investiva del feudo di Gambara una famiglia, secondo alcuni discendente da certo Ancilao, o Ansilaus, o Alimanus, venuta dalla Baviera o dalla Svevia, che aveva portato con suoi soldati o parenti valido aiuto al monastero nelle ripetute invasioni ungare. Da costui sarebbe derivata la famiglia nobile dei Gambara. Già nel 958 esisteva la "corte" di Gambara, quando Berengario vi riconfermava i diritti del Monastero di Leno, sotto la cui influenza rimase per molto tempo e che vi compì bonifiche, fondando probabilmente anche la cappella di S. Pietro intorno alla quale sorse poi il nuovo centro abitato. La giurisdizione ecclesiastica venne tuttavia più volte rivendicata dal vescovo di Brescia in contrasto con gli abati di Leno. Alla prima dieta di Roncaglia, nel 1154, il vescovo di Brescia Raimondo sottopose alla dieta e all'imperatore Federico Barbarossa la controversia che aveva con il Monastero di Leno per la giurisdizione sulle due chiese di Gambara, S. Maria e S. Pietro. Il papa Adriano IV con la curia romana aveva già risolto la controversia a favore del vescovo Raimondo il quale, per affermare i propri diritti vescovili, compiva verso il 1163 la visita pastorale alle chiese di S. Maria e di S. Pietro Apostolo in Gambara, consacrandole ambedue, amministrando la cresima e concedendo la perdonanza. L'imperatore, che oltretutto nel 1158 aveva dato alle fiamme il paese di Gambara, sentenziò in senso contrario al papa e la controversia si protrasse a lungo. Nel 1195 il vescovo affidava al prevosto di S. Alessandro in città e a Gerardo di Pavone di raccogliere testimonianze sulla controversia per avvalersene contro l'imperatore. Nello stesso 1195 il vescovo Giovanni II ordinava ai due preti della chiesa di S. Maria che i "fratres" (canonici) fossero limitati al numero di otto le sostanze della chiesa non consentivano il mantenimento di un numero maggiore. Le chiese di S. Maria e di S. Pietro erano amministrate da monaci e chierici viventi in comunità, alcuni dei quali parteggiavano per il vescovo da cui avevano la giurisdizione in spiritualibus, altri per l'abate di Leno dal quale avevano la giurisdizione in temporalibus. Con la decadenza del Monastero di Leno la famiglia dei Gambara (altrimenti chiamati Capitanei de Gambara), si impadronì di gran parte del territorio di Gambara, e ciò le venne contestato dal comune di Brescia che vi operò una forte penetrazione economica. E' infatti il Liber Potheris della città di Brescia che porta numerosi riferimenti a Gambara e a Corvione. Gambara e il suo castello fu più volte coinvolta in assedi e guerre. Nel 1237 fu distrutta dalle truppe di Federico II, che stava muovendo contro Brescia. La tradizione vuole che da Gambara, come da Pralboino e da Montichiari, l'imperatore abbia portato via quei prigionieri che sacrificò sotto le mura di Brescia. Nel 1258, al tempo delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, questi ultimi spalleggiati da Ezzelino da Romano e dai suoi feudatari Buoso da Dovara e Uberto Pallavicino, dopo aver preso e saccheggiato Volongo, si diressero su Gambara ove sconfissero i loro avversari. Fu chiamata l'infausta giornata di Gambara poiché rimasero prigionieri Cavalcano Sala, vescovo e podestà di Brescia, il podestà di Mantova, il vescovo e il podestà di Verona, nonché il legato pontificio arcivescovo di Ravenna. Nel 1319-20 venne incendiata e rasa al suolo dai Guelfi guidati da Gilberto da Correggio. In effetti i Guelfi si vendicavano soprattutto della pretesa supremazia rivendicata dai Gambara di orientamento ghibellino e tendevano a riaffermare la supremazia del Comune di Brescia. I Gambara, infatti, si erano andati rafforzando anche attraverso compere a volte imponenti. Il 5 gennaio 1371 Federico Gambara dividendosi con i fratelli Pietro e Gerardo i beni famigliari estesi in varie località della provincia, diventava padrone unico di tutti i possedimenti situati in Gambara. Nel 1382 comperava altri 1000 piò terra sul territorio gambarese, pigliava possesso della seriola Gambarella e del Redone, vi piantava nel 1386-1394, anche in contrasto col comune di Gambara, segherie e molini, ed allargava le sue proprietà in Leno e Pralboino. Il 29 marzo 1395 il comune di Gambara acquistava da Marco Lavellongo il mulino con le sue acque e alcuni fondi contigui in località, oggi, Mugliècc. Nel 1397 il papa Bonifacio IX confermava il conte Federico Gambara nel possesso dei beni del Corvione spettanti alla Mensa del Duomo con l'annuo canone di L. 20. Federico, sempre ghibellino e schierato con i Visconti, il 25 aprile 1404 otteneva dal Duca di Milano l'esenzione di tasse e tributi sui suoi beni feudali. Nell'anno 1406, concordava la pace tra i Visconti e Pandolfo Malatesta, Gambara fu costretta a passare sotto il dominio di quest'ultimo. Nell'anno successivo però si dimostrò ostile alla Signoria di Pandolfo e pertanto verrà risottomessa con la forza come altri paesi ribelli. Nel maggio 1427 Gambara venne occupata dalle truppe del Carmagnola e i rappresentanti del comune furono tra i primi a giurare fedeltà a Venezia. 11 13 ottobre 1436 il papa Eugenio IV riconfermava gli atti possessori e le investiture avute dalla casa Gambara nel territorio del Corvione, di ragione della Mensa del Duomo di Brescia per l'annuo livello di L. 20. Il vasto feudo dei Gambara, di oltre 2500 piò di terreno, si conserverà sotto la signoria veneta come una proprietà privata. Ucciso dai gambaresi il conte Federico, nel 1451 i suoi beni - che erano stati requisiti - furono restituiti al nipote Brunoro Gambara. Questi il 21 dicembre 1464 si accordò con gli "uomini di Gambara" per una importante permuta: da essi accettava il possesso di 207 piò di terra in contrada Salvelongo (oggi Cappuccini) e ben specificati diritti d'acqua lungo la Seriola, dove aveva dei fondi, e in cambio cedeva al comune il Mulino sulla Seriola, da cui il comune stesso avrebbe tratto per secoli un sicuro reddito. Ai primi di luglio del 1438 Gambara fu tra le prime località ad essere occupate dal Piccinino, proveniente dal cremonese. Da Gambara nel giugno 1441 il Piccinino partì per scontrarsi con le truppe dello Sforza a Cignano, mentre Marsilio e Brunoro Gambara si facevano convincere a sottoporsi a Venezia. Il 6 luglio 1441 il territorio di Gambara fu concesso in premio a Marsilio Gambara, ma Brescia ottenne il 10 luglio 1448 di poter mandare un suo vicario. Nella nuova campagna militare tra Venezia e Milano nel 1452 Gambara fu occupata nel giugno dai milanesi. Con il rassodarsi del dominio veneto Gambara divenne vicariato minore e poi vicariato maggiore. Brescia cercò di favorire in ogni modo il paese di Gambara, opponendosi decisamente nel 1457 al vescovo di Bergamo che accampava diritti sui benefici ecclesiastici che erano già stati degli Umiliati come appare dalle Provvisioni dell'8 novembre 1464. Contrastò pure la famiglia dei Gambara che si erano praticamente impadroniti del paese. Tuttavia la potente famiglia ancora nel 1610 avrà giurisdizione in civile et criminale, purché non per fatti di sangue. Pur non avendo sul territorio diritti feudali, i Gambara vi accamparono continuamente, se non diritti, una loro egemonia anche con continua prepotenza, tanto che i nobili bresciani che tutti gli anni erano nominati quali vicari del paese, sistematicamente si rifiutavano di accettare la carica e pagavano l'ammenda relativa. Per questo il posto restò vacante fuorché quando si trovava l'uomo energico che veniva e comandava in nome del consiglio generale della città, e ciò con grande dispetto dei Gambara. Dai Gambara derivarono famiglie minori, tra cui quella dei Ghibellini o Gibellini a ricordo di quello che fu sempre lo schieramento politico della nobile famiglia. Travagliati anche per Gambara furono i primi decenni del '500 e specie l'aprile 1512 che vide il passaggio delle truppe francesi al comando del de La Palisse, il maggio 1513 quando venne occupata dai Veneti e il capitano Bartolomeo Alviano vi pose la sede del suo comando con l'esercito, e il 16 marzo 1516 quando l'imperatore Massimiliano I vi concentrò il suo esercito prima di prendere la via per il Tirolo. Grandi rovine vi seminò sul finire dell'estate del 1529 l'esercito imperiale. Al seguito di Lucrezio e Nicolò Gambara, alcuni gambaresi nel 1571 parteciparono alla battaglia di Lepanto. Nel 1580 venne posta fine con una transazione a una annosa contesa tra il comune di Gambara e quello di Gottolengo per l'acqua della Gambarella. Riaccesesi col tempo nuove ostilità tra i due comuni per l'interpretazione da dare ad alcuni punti della suddetta transazione sanzionata dal Consiglio dei Dieci, veniva fatta una nuova e, per allora, definitiva transazione nel 1741. Altre truppe stazionano a Gambara durante la guerra per il ducato di Mantova dal settembre 1629 al giugno 1630. Sono in gran numero, Spagnoli e Tedeschi, essendo Gambara località di confine con il mantovano. I nuovi invasori pretendono contribuzioni, depredano, bruciano, costringendo la popolazione a fuggire con roba e animali verso la città e nei paesi vicini. Nel luglio 1630, mentre il paese è in balia dell'esercito imperiale, si accerta il primo caso di peste. Il nuovo flagello ridurrà alla metà circa il numero degli abitanti. Gli appestati vengono sepolti prima nel cimitero intorno alla parrocchiale, poi negli orti e lungo la Gambara, e in seguito, fino all'esaurirsi del morbo, in località Gandone, dove ora sorge il cimitero. Nell'inverno 1701-1702 durante la guerra di successione spagnola Gambara subì gravi danni per il passaggio delle truppe imperiali al comando del principe Eugenio di Savoia. Gli anni successivi furono molto duri per le privazioni, le miserie, le imposte dovute alla guerra contro i Turchi e alla moria di bestiame. Nel 1800 vi pose il quartier generale il generale Suchet, comandante il centro dell'Armata d'Italia al servizio di Napoleone. Col passaggio delle truppe francesi nuove tasse e taglieggiamenti colpiscono i gambaresi che devono in ogni modo contribuire nella quasi totalità al mantenimento dei nuovi conquistatori. Inoltre sensibile è la partecipazione alla campagna di Russia voluta dall'imperatore dei francesi. Ciò impoverì ulteriormente il paese, ostacolando la realizzazione di alcune opere già progettate a beneficio dell'agricoltura. Il colera nel 1836 e poi nel 1855 fece diverse vittime, ma altri guai, e in particolare requisizioni, vennero dai rivolgimenti politici del '49 e nelle seguenti guerre del Risorgimento. Presenti nelle campagne d'Africa alla fine dell'800 e, nel 1911, in Libia, i gambaresi nella Grande Guerra pagarono un contributo di ben 76 caduti, ricordati sul monumento eretto nel 1919. I primi sintomi della resistenza si avvertono all'inizio del 1944 quando la classe del 1925 nella quasi totalità non risponde al bando di arruolamento nella Repubblica di Salò. Tra il settembre e il dicembre 1944 è ospite clandestino della canonica di Gambara, presso l'amico prevosto Don Giovanni Barchi, il parroco di Bozzolo don Primo Mazzolari, ricercato dai nazifascisti, che tiene le fila del movimento resistenziale della zona e, nell'ozio forzato, dà l'avvio ad alcune sue opere. La guerra si conclude con l'episodio tragico di Cavezzo il 29 aprile 1945, dove tra i partigiani consociati restano sul terreno, vittime dello scontro con una colonna tedesca in ritirata, quattro gambaresi. Durante l'ultimo periodo di guerra molte famiglie gambaresi prestano aiuto e assistenza e rifugio ai prigionieri alleati e ai numerosi sbandati. In questa azione si distingue particolarmente la canonica, più volte rifugio di ricercati. Il prevosto Barchi inoltre attraverso le pagine del Bollettino Parrocchiale aveva tenuto per tutto il tempo della guerra una fitta corrispondenza con i militari gambaresi sparsi su tutti i fronti e nei campi di prigionia. I soldati a loro volta avevano scritto di frequente al loro prevosto. Esiste in tal senso una interessante collezione di circa 10.000 lettere, testimonianza di attaccamento e di fiducia dei soldati lontani ai loro pastori. L'ultimo conflitto mondiale oltre agli indescrivibili disagi, porta nelle famiglie parecchi lutti: 36 sono i caduti ufficialmente ricordati.


Nel periodo che va dalla fine dell'800 alla prima guerra mondiale, il paese viene dotato di varie strutture essenziali. I pubblici amministratori, pur nelle notevoli ristrettezze di un paese economicamente depresso, cercano di adeguarsi al progresso sociale del tempo. Sorge così l'edificio del comune con le scuole elementari, in sostituzione di quello abbattuto in Piazza Vecchia. Tale edificio viene poi completato nel 1930. Con l'arrivo della corrente elettrica Gambara può collegarsi intorno al 1912 con il capoluogo mediante la tranvia del tronco Gambara-Pavone-Brescia (sarà poi sostituita con normali servizi di corriere nel 1932). Nel 1912 viene inaugurato l'Asilo Infantile Regina Margherita, a dirigere il quale verranno poi chiamate, nel 1921, le Ancelle della Carità. Venne poi rinnovato nel 1939. Oltre al Vaso Maggiore, il sindaco Cesare Allegri promuove nel 1913 la costruzione del cimitero, continuato negli anni '30 e completata dal figlio Umberto nel 1965. Nella cappella, dedicata a S. Michele Arcangelo, dal 1934 vi si trovano seppelliti i prevosti e i curati che hanno esercitato il loro ministero a Gambara dai primi anni dell'800. Sotto l'unico altare sono scolpiti i nomi di alcuni caduti della prima guerra mondiale sepolti nel sotterraneo sottostante. Nei primi anni del secolo Gambara diventa sede della stazione dei carabinieri viene costruita la caserma di via Mazzini. Il Paese conosce nuovo sviluppo dopo il secondo conflitto mondiale. Viene dapprima allargato il fiume Gambara, per risolvere in maniera radicale il problema delle inondazioni e per meglio regolare la distribuzione delle acque irrigue. Vengono asfaltate per la prima volta le strade principali. Con gli anni '60 si dà inizio alle fognature e viene portata la luce alle cascine. Nel decennio successivo viene costruito l'edificio della scuola media (scuola già esistente nel 1962) e il primo stralcio dell'acquedotto. Dopo il 1945 lo sviluppo edilizio del paese stenta a decollare, l'unico complesso realizzato é l'INA CASA. Solo dal 1960 con gli anni del boom economico e con la nascente industrializzazione Gambara oltre a sistemare le vecchie case dotandole gradualmente dei necessari servizi, si espande con la costruzione di alcuni villaggi periferici: Quazze, Villaggio Mazzolari (1972), Villaggio Ruca (1973) e Villaggio Breda (1980). Pur tra alti e bassi la vita associativa civile, sociale e politica Gambarese si è variamente manifestata. Dal dopoguerra è in vita l'Associazione Combattenti e Reduci. Nel 1972 si forma il Gruppo Alpini e l'anno dopo la Sezione Bersaglieri, dedicata a Carlo Regonini caduto in Africa Settentrionale. È del 1979 la costituzione della Sezione Artiglieri dedicata a Zanetti Giovanni, morto in Germania in campo di concentramento. Per volere degli Artiglieri nel 1981 viene innalzato un monumento nello spiazzo della Belasina. Vivacissima la vita politica e sindacale fin dal primo dopoguerra e ciò porta a un significativo alternarsi alla guida della pubblica amministrazione. Hanno il loro periodico il P.C.I. ("Gambara domani"), il P.S.I. ("Realtà socialista") e la D.C. ("d.c. notizie"); ognuno esce con circa quattro numeri annuali. Non mancano i numeri unici dell'UDI, che si è impegnata per l'istituzione del consultorio. Altri numeri unici sono della Biblioteca comunale, sorta nel 1974. Nel 1977 si formano il gruppo culturale del Cinefotoclub e degli Amici della Musica. La Parrocchia fa sentire la sua presenza attraverso il Bollettino Parrocchiale che esce regolarmente con circa nove numeri all'anno dal 1969, e che continua l'iniziativa del prevosto Barchi che già aveva pubblicato questo periodico locale dal 1939 al 1946 e poi nel 1952. Il prevosto don Libretti aveva tentato di riportare in vita il Bollettino con tre numeri unici nel 1962-63. Nel 1979 un gruppo di giovani lancia un nuovo periodico, "Bedriaco", con frequenza pressocchè mensile, col fine di stabilire un dialogo tra le varie componenti sociali. Si ha notizia di una Società filarmonica dall'aprile del 1842. Erano dilettanti che accompagnavano con i loro strumenti anche funzioni religiose. Tale società filarmonica è viva ancora nel 1877 e ha come direttore prima Alberto Aliprandi e poi il conte Giovanni Calini. Agli inizi del secolo, senza che si fosse mai interrotta, l'attività continua nell'oratorio per merito del curato don Antonio Bodini che riunisce in una scuola nei locali della Pietà un gruppo di giovani e li avvia allo studio della musica per potenziare la banda locale di cui é direttore. Nel primo dopoguerra la banda musicale di Gambara presta servizio in diversi paesi e partecipa a numerosi concorsi. Il gruppo musicanti è sempre sulla breccia anche per l'adesione di numerosi giovani. Dopo il '45 continua il sodalizio che si esibisce in ogni cerimonia civile e religiosa di un qualche rilievo. Ridottasi a pochi elementi, alla fine degli anni '60 si fonde con altri gruppi di Ostiano, Volongo e Pralboino. Si ricostituisce nel 1980 per interessamento degli Amici della Musica, tra i quali il presidente Mario Bonazzoli e il direttore Arturo Andreoli. Negli ultimi decenni dell'800 e fino agli anni venti c'è in auge il gioco del tamburello che si svolge soprattutto in Piazza Vecchia ed ha come campione locale Francesco Aliprandi. Agli inizi del secolo prende vita pure un nuovo sport, il ciclismo, più che altro a carattere amatoriale. E' il calcio però che trova maggior seguito. Avviatosi nell'oratorio maschile intorno al 1910, esplode subito dopo la prima guerra mondiale. Nel 1919 si forma il gruppo calcistico "La Rinascente" con a capo Gaspare Cerutti che disputa incontri con le squadre dei paesi vicini. Nel 1928 con l'ing. Ottorino Nicoli, la squadra partecipa ufficialmente al primo campionato nelle file dei Liberi. Nasce la necessità di un campo regolare e, dopo varie proposte viene acquistato dal comune l'attuale terreno in via Mantova. Nel 1930 il Gambara vincendo il campionato partecipa alla coppa regionale Foletti. L'attività regolare continua fino al 1932 poi la squadra granata si sfalda e il calcio viene giocato in via dilettantesca dalle nuove leve. I campionati regolari riprendono nel 1945 ad opera di Gigi Desiderati, Umberto Donadoni, Giuseppe Losio e Pietro Aliprandi. La squadra e l'A.C. Gambara. È il periodo in cui trionfa un campanilismo oltre misura e, nel ricordo di oggi, gli incontri hanno un sapore epico. Si gioca nel campo della Colonia, lungo il fiume Gambara. Ma nel 1949, per interessamento di privati, il comune può mettere a disposizione un campo perfettamente attrezzato. Esaurita questa fase nel 1952, la nuova società calcistica rinasce nell'oratorio nel 1954 col nome di Unione Sportiva Oratorio Gambara per interessamento di don Samuele Battaglia, Eugenio Cigala e Romeo Bonazzoli e gioca nel campo di via Montello dove sarebbe dovuto sorgere l'oratorio maschile. Punto di riferimento è il locale delle Acli. Dopo due anni, nuova sospensione. Nel 1960 l'USO Gambara è di nuovo in lizza con elementi giovani dell'oratorio per partecipare al campionato di terza categoria. Continua sempre col nome di USO Gambara fino ai nostri giorni, vincendo tra l'altro la Coppa Brescia nel 1972 e passando anche nelle categorie superiori. Dal 1965 nei mesi estivi organizza un affermato torneo notturno di calcio. Tra i molti che meriterebbero una citazione per l'impegno assiduo nello sport, oltre al prof. Tullio Cavalli, va ricordato soprattutto Gigi Desiderati, vera "anima" del calcio locale, e Mario Zani. Hanno avuto spazio anche altri sport. Prima e dopo la guerra Pietro Cabra ha avuto momenti di gloria nel podismo. Nel primo dopoguerra si forma il Circolo Sportivo e un gruppo di aderenti costituisce il Circolo Cacciatori, ancora in vita. Nel '50 la squadra di pallavolo dell'oratorio femminile allenata dal futuro padre Piergiordano Cabra, vince il campionato provinciale e partecipa a quello regionale. Nel 1967 nasce il Veloclub, una società ciclistica che purtroppo ha vita breve. Sulla scia dei Giochi della Gioventù si fa più viva l'esigenza dello sport. Si formano cosi diversi nuovi gruppi: la Polisportiva favorita dal curato don Luigi Bellini, il Motocros, il Team Zani che organizza ancora oggi in marzo e in luglio due corse podistiche non competitive molto partecipate, le società di pesca sportiva il Gambero e la Spigola, il G.S. Karaté e il G.S. Centro Parrocchiale con le sezioni Hockey su prato, campione provinciale 1981, e calcio.


Anche ecclesiasticamente Gambara dipese dall'Abbazia di Leno. Fin dal secolo IX ebbe due chiese principali: quella di S. Maria della Neve e di S. Pietro, ambedue dotate di beni fondiari e di clero numeroso, collocate sulle due sponde del fiume Gambara e sulla strada Francesca che percorre e divide le due antiche giurisdizioni, ora e almeno da cinque secoli riunite nell'unità della parrocchia prepositurale. Vi ebbero nel Medio Evo contrastanti influenze di dominio spirituale e temporale i vescovi di Brescia e gli Abati della potente Badia di Leno sacerdoti chierici e monaci, isolati o raccolti a vita comune, vi esercitavano la cura d'anime sotto l'alta guida dell'arciprete della vicina Pieve di Corvione. La Prepositura venne nel secolo XV affidata a commendatari spesso assenti. Il parroco venne chiamato prevosto dal secolo XV e forse anche prima. Fu introdotto abusivamente nel secolo XVIII l'uso di una piccola cattedra in cornu evangelii poi proibita e rimossa. Nel 1514 per incrementare il culto eucaristico del quale era zelantissimo, il prevosto Lizzari fondò la Cappellania del Corpus Domini e per la sistemazione della cura d'anime nella vasta e crescente parrocchia, alla quale non poteva attendere da solo, ottenne dal Papa Leone X la facoltà di suddividere una parte del beneficio prepositurale in quattro benefici o Cappellanie per quattro sacerdoti coadiutori del prevosto che furono poi chiamati canonici perché insieme col prevosto avevano l'obbligo della officiatura quotidiana nella chiesa di S. Pietro. Le quattro Cappellanie erano dedicate a S. Marco, S. Giovanni, S. Giacomo e S. Lucia. La presenza di quattro cappellani fece si che si parlasse specialmente nel secolo XVIII anche se impropriamente di una collegiata. La visita apostolica di S. Carlo Borromeo e le bolle vescovili di Mons. Gradenigo nel 1696, del cardinal Delfino nel 1704, di Mons. Nani nel 1796, riconoscono la collegialità insigne della chiesa "tam nobilis" di Gambara, alla quale il vescovo Giovanni Fiumicello fin dal 1195 aveva inviata una bolla che è riportata nella Brixia Sacra del Gradenigo. Anche Mons. Vescovo Nava si adoperò per riportarla all'antico titolo, ma vi si oppose il prevosto Chinelli. Di pertinenza del beneficio prepositurale sono ancora l'antico fondo della cascina Volte di ha 65,9258 e il fondo della cascina Madonna di ha 25,6170 per complessivi 281 piò bresciani. I benefici curaziali, di poco più di dieci ettari ciascuno e formati da appezzamenti dislocati qua e là nel territorio della parrocchia, di recente sono stati parzialmente venduti per sovvenzionare la costruzione del Centro Parrocchiale. Antichissima e la chiesa della Madonna della Neve. La tradizione la vorrebbe costruita sulle rovine di un tempietto dedicato a Giove di cui sarebbe testimonianza una lapide murata all'esterno della casa del custode. Altri la pensano edificata in epoca Longobarda. Documenti storici la testimoniano esistente già nell'865 quando il conte Suppone donò al monastero di Leno questa chiesa e quella di S. Pietro poi parrocchiale. La primitiva chiesa della Madonna della Neve sorgeva al di là del fiume Gambara, come confermano dichiarazioni testimoniali negli atti della causa tra l'abate di Leno Gonterio e il vescovo di Brescia Giovanni. Resasi dapprima autonoma come parrocchia dalla Pieve di Corvione, nel 1226 una bolla del vescovo di Brescia Alberto da Reggio sanzionava la preminenza della chiesa della Madonna della Neve sulla Pieve di Corvione. La servivano due sacerdoti e otto chierici e canonici, quasi tutti senza ordini maggiori. La devozione per la Madonna rimase viva anche in tempi difficili per la chiesa, nonostante il rilassamento dei costumi e l'affievolirsi della vita cristiana. Fu proprio allora che la chiesa risorse. Ne ebbe merito il prevosto Lizzari, dottore in legge, uomo di grande attività. Nel 1504 egli faceva abbattere l'edificio ormai cadente ed erigeva l'attuale santuario. L'avvenimento è ricordato dalla lapide murata all'ingresso: Alla gloriosa vergine Maria, patrona e sposa di Gambara, Marco Lucio (Lizzari), dottore di decreti e prevosto questa chiesa dalle fondamenta a proprie spese fabbricò l'anno 1504. Numerosi gli eremiti che custodirono la chiesa. In essa venne scavata nel 1707 la tomba della famiglia Gambara. La chiesa era dotata di un magnifico organo, oggi alla chiesa del Suffragio, posto dal prevosto Ludovico Emigli nel 1766. La torre ha tre campane, di cui la maggiore fusa da Innocenzo Maggi nel 1788. In più occasioni il santuario venne adibito a lazzaretto, specialmente durante il colera del 1836 e del 1855. Nel giugno 1859 dopo la battaglia di Solferino e S. Martino fu usata come ospedale militare e di nuovo nel 1911 in lazzaretto provvisorio. Nel 1915-18 divenne deposito di cereali. Abbandonata quasi del tutto ai primi del novecento, salvo che nella festa del 5 agosto, il santuario venne restaurato nel 1928 con pavimento nuovo e nel 1939 con decorazione operata da Guido Margoni di Asola. Nel 1940 il benedettino Don Mauro Santolini componeva l'inno alla Madonna della Neve. Un voto venne espresso nel 1944 per l'erezione dell'oratorio maschile. La devozione si rinnovò in più modi nel dopoguerra e culminò il 2 giugno 1966 con la incoronazione della sacra effigie. Continua ancora solennissima la festa del 5 agosto. Recentemente il santuario è stato di nuovo radicalmente restaurato. Già esistente nel secolo VII, la chiesa di S. Pietro è segnalata in documenti dell'865 come donata alla Abbazia di Leno dal Conte Suppone assieme a S. Maria della Neve. Dovette poi essere ricostruita nell'alto Medioevo probabilmente in linee architettoniche romaniche. Ricostruita ancora sulla fine del secolo XVI e ridotta per decreto di S. Carlo da tre navate in una sola, l'11 novembre 1595 ospita il battistero e il capitolo qui trasferiti da S. Maria della Neve. In tal modo la chiesa di S. Pietro diventa parrocchiale e si pone in posizione centrale rispetto al paese che si va espandendo verso occidente. Per esigenze di stabilità viene costruito un muraglione di sostegno che la circonda sui lati nord-est. Il coro è ampliato nel 1679 per offrire maggiori comodità al capitolo canonicale. Nella seconda metà dell'800 la parrocchiale viene allungata di una campata. All'ingresso vi sono due pregevoli acquasantiere in marmo rosso di Verona donate dal curato Andrea Goffi e dal fratello Lorenzo nel 1697 assieme a un massiccio mobile di sacrestia. La pala dell'altare maggiore raffigurante i SS. Pietro e Paolo e una copia di un quadro del Moretto, ora al Centro Paolo VI, eseguita dal pittore Morelli di Pralboino. Salvati dalla chiesa dei Cappuccini e posti nella parrocchiale sono i tre seguenti quadri: una pala d'altare firmata "Petrus de Maronibus faciebat" rappresentante la Madonna in gloria con i Santi Francesco e Chiara, il piccolo S. Giovanni Battista e in basso i santi Eurosia, Gaudenzio vescovo e martire di Ostiano, Girolamo con la Quercia e il leone: sullo sfondo una piccola costruzione (il convento dei Cappuccini?) e terreno a boscaglia (cm. 208x345). Un quadro d'ignoto, forse della scuola del Foppa, raffigurante la Pietà: la Madonna sorregge il Cristo morto tra i santi Giovanni Battista e Francesco (cm. 160 x 162). Un'Annunciazione attribuita ad un pittore senese che lavorò nella nostra zona, recentemente ridotta di dimensione essendo stati tagliati via i santi Rocco e Francesco. Ora in non buone condizioni (cm. 200 x 150). Della prima metà del '600 (arieggiante Palma il Giovane) è la "Cena" (cm. 185 x 270) dell'altare del SS. Sacramento, restaurata da Giuseppe Bertelli. Altra pala, del 1636, ma che richiama lo stile di Giambattista Galeazzi, si trova all'altare della Madonna del Rosario, circondata da 15 quadretti coi misteri del rosario posti nel 1677. Vi sono raffigurati tra gli altri il Papa Pio V, Giovanni d'Austria e S. Domenico. Dalla chiesa della Disciplina proviene il quadro ovale rappresentante la Pietà, firmato da Antonio Paglia e datato 1735. La pala di S. Gottardo vescovo con la Madonna in gloria, già nella omonima chiesa campestre andata distrutta, è ora collocato presso l'altare del SS. Sacramento. In un altro quadro sono raffigurati S. Antonio Abate, di cui è sempre stata viva la devozione tra i contadini, e altri santi protettori del paese. La pala apparteneva all'omonimo altare. Altri quadri: S. Michele, copia eseguita su opera del '600 per devozione dei muratori; Nascita di Maria e Presentazione di Maria al Tempio, copie da originali del '700; in sacrestia: quadro-paliotto del SS. Sacramento, Maddalena (copia del Moretto), Madonna Immacolata. Entrando dall'ingresso principale a destra si trovano: un vano-cappella con il gruppo ligneo raffigurante S. Francesco e il Crocifisso, già della chiesa della Disciplina; l'altare di S. Giuseppe, con soasa lignea attribuita ai fratelli Benedirci di Orzinuovi: come si può notare dal medaglione al centro del paliotto, una volta detto altare era dedicato alle Anime Purganti, la pala ora e andata dispersa; l'altare dell'Immacolata, sistemato alla fine dell'800 e già dedicato a S. Antonio Abate; l'altare del S. Rosario, eretto, nel 1582, legato alla confraternita. Alla sinistra, sempre entrando dall'ingresso principale: vasca battesimale; altare dell'Addolorata, già della S. Croce, nel quale é custodito in una teca un piccolo frammento della Croce di Cristo che in tempi passati veniva portato in processione in momenti di particolare calamità (grandiose furono le cerimonie del 1813, col concorso di migliaia di forestieri); l'altare del S. Cuore, già di S. Carlo, di ragione dei Reggenti della Comunità Gambarese che nel passato si accollavano i vari oneri di mantenimento - la pala relativa si trova ora alla Madonna della Neve; l'altare del SS. Sacramento, con la pala dell'ultima cena, tabernacolo in marmi policromi e piccolo mosaico del mosaicista pralboinese Morelli, legato alla Confraternita del Sacro Corpo di Cristo. L'altare maggiore venne innalzato nel 1774 dal prevosto Antonio Marini: nel 1940 a conclusione di una settimana di cultura religiosa, il prevosto Barchi vi pose un crocifisso ligneo opera di Giuseppe Runngaldier di Ortisei. Oltre ai Santi Pietro e Paolo Apostoli e la Madonna della Neve, risultano protettori comunali S. Giuseppe, S. Luigi Gonzaga, S. Eurosia, S. Filippo Neri, S. Biagio, S. Lorenzo, S. Stefano, S. Rocco, S. Gaetano, S. Andrea Avellino, S. Optato, S. Matteo Apostolo, S. Paolino, S. Apollonio, S. Atanasio, S. Lucia, S. Gottardo. Adiacente all'altare maggiore esisteva in passato la cappella della S. Croce. In essa era custodita la preziosa reliquia donata alla comunità di Gambara dal prevosto Giuseppe Olivieri nel 1724, come risulta dalle "Vicinie del Comune di Gambara". La reliquia venne poi portata all'altare dell'Addolorata e la cappella ristrutturata a sacrestia. Verso la fine del settecento in alcuni vani verso la piazza vennero ricavati quattro confessionali e, al piano superiore, accessibile dall'esterno, la sede della Fabbriceria nella quale sotto tetto era collocato l'archivio parrocchiale. Spariti i confessionali e il locale della fabbriceria per esigenze di spazio, l'archivio nel 1974 venne portato in canonica. L'organo, costruito da Giovanni Tonoli nel 1880, venne restaurato nel 1977 dalla ditta Pedrini di Binanuova (Cremona). È racchiuso in una preziosa cornice barocca. Pure la cantoria è opera artisticamente pregevole. Al tempo del prevosto Gregorio Baresani (1872-1890) furono tolti gli stucchi seicenteschi che adornavano la chiesa, che veniva poi affrescata dal pittore Antonio Franzoni di Gottolengo con richiami a episodi del Nuovo Testamento. Alla fine degli anni venti i fratelli Margoni di Asola decorano il catino dell'abside e il timpano della facciata. Agli inizi degli anni trenta, col rifacimento del pavimento della parrocchiale, vengono asportate le pietre tombali dei prevosti Capponati, Pastorio, Olivieri e Padovani. Una, quella del Capponati, con lo stemma della Parrocchia, viene posta all'esterno davanti all'ingresso laterale nord. Il sagrato si estende su una breve altura e per secoli, fino al 1809, è il cimitero della parrocchiale. Agli inizi degli anni venti diviene, con le adiacenze, Parco della Rimembranza per commemorare i caduti della prima guerra mondiale. Nel 1934 a ricordo del diciannovesimo centenario della Redenzione, vi è posta dal prevosto Gallerini una croce in ferro, costruita da artigiani locali, ora spostata dietro l'abside. Recentemente la parte davanti all'ingresso principale della chiesa ha subito delle trasformazioni. La torre campanaria risale sicuramente al medioevo. Poiché nella parte superiore si era prodotta una larga incrinatura nel lato che guarda verso sud. nel 1559 viene parzialmente demolita, essendo rimasti sicuri e riutilizzabili le fondamenta e il primo tronco di torre di circa sette metri: da questa altezza e sempre nel 1559 fu quindi ricostruita di nuovo, con la sezione di qualche centimetro più ridotta rispetto alla precedente. E a pianta quadrata, col lato interno di m. 3,30; lo spessore delle fondamenta è di metri 1,70. Nei secoli è servita per vari usi: per abitazione dei monaci, per prigione, per avvistamento da parte delle guardie del comune. Sul lato che guarda la Piazza Vecchia è murato un mattone cotto raffigurante lo stemma del paese: una "gambara" affiancata da due gamberetti. Nel 1976 durante lo scavo per l'impianto di riscaldamento della parrocchiale vi furono trovate tegole romano-barbariche e ossa umane. Le campane vennero fuse in parte nel 1770 e in blocco nel 1799 dalla ditta Innocenzo Maggi. Nel 1813 venne rifusa la quarta, nel 1821 sostituita la seconda. Nel 1834 essendosi incrinato anche il campanone vennero di nuovo commissionate tutte alla ditta Giacomo Crespi di Crema. Un nuovo concerto di cinque campane, in tono di Re, venne inaugurato per il Natale 1835. Tolte dalla torre le due maggiori il 13 giugno 1943 per fonderle in Cremona, tornarono a Gambara il 27 ottobre dello stesso anno. Nel 1165 nel territorio di Gambara (oggi passato nella parrocchia di Fiesse con la denominazione di Cadimarco) per iniziativa del conte Alberico Gambara, e di suo padre, sorse un piccolo monastero o Prepositura di S. Maria Maddalena di Gambara, cui nel 1251 si aggiunse una chiesa (V. Cadimarco). Con tale nome si chiamò anche un convento esistente presso la Prepositura di S. Lorenzo in Brescia che aveva fondi anche in Bassano Bresciano. Nel 1556 era in rovina la chiesetta campestre dedicata a S. Paolo, di cui oggi rimane un ricordo nella cascina S. Polo sulla strada per Gottolengo, e quella di S. Giacomo, lungo la Gambara, sulla strada per Volongo: ambedue ospizi o punti di riferimento dei viandanti. La prima pietra della chiesa dedicata ai Santi Gottardo e Lorenzo viene posta il 4 maggio 1494, con gli auspici del prevosto conte Marsilio Gambara e per l'autorità del Vescovo di Brescia. Sorge a circa tre chilometri dal paese in un campo del beneficio parrocchiale in località Volte, e il fatto che sia dedicata anche a S. Lorenzo sembra indicare che vi sia esistita una chiesetta ed un ospizio diaconali. Nel 1534 era ancora in costruzione il coro. Aveva un solo altare, con una croce adorna dello stemma comunale, una pala raffigurante la Madonna col Bambino e S. Gottardo in abito episcopale, di scuola veneta-lombarda del sec. XVII, un busto settecentesco con reliquia e alcuni ex voto. La chiesa era dotata di un campicello e di un orto, goduti dall'eremita che l'aveva in cura. Considerata di pertinenza del prevosto, era al centro di grande devozione degli abitanti della zona e aveva il suo apice nella sagra che si teneva, con grandissimo concorso di popolo, il 4 maggio, festa di S. Gottardo. La chiesa viene ampliata nel 1819 su iniziativa del prevosto Chinelli e restaurata ed abbellita con cornici e lesene nel 1849. Altri restauri sono apportati nel 1913 e nel 1934. Diroccata, viene completamente ricostruita più piccola nel 1971 per iniziativa popolare, grazie al lavoro gratuito di parecchi volonterosi. La festa tradizionale del 4 maggio, con messa e merenda all'aperto, è sempre molto sentita. Una chiesetta dedicata a S. Rocco sorgeva nella boscaglia di Salvelongo, sul luogo dove la tradizione vuole sia esistito un lazzaretto. La costruzione sembra sia stata sostenuta anche dai nobili Luzzago di Brescia. Viene sostituita poi dalla chiesa del convento dei Cappuccini dedicata a S. Giovanni Battista, nella quale é fatto posto anche a una cappella a S. Rocco. Nel 1588, grazie alla liberalità di Ercole Cavallo, farmacista di Volongo, che dona in contrada Salvalongo, a un paio di chilometri dal paese, un'area e una cappella dedicata a S. Rocco, é posta la prima pietra del convento dei Cappuccini. Il convento e la chiesa sono occupati dai religiosi nel 1590. Nel 1628 un tentativo da parte del conte Francesco Gambara di trasferire la comunità a Pralboino trova ostacoli e i Cappuccini si fermano a Gambara fino alla soppressione del convento, avvenuta il 13 settembre 1769. Per alcuni decenni i religiosi si servono della chiesetta di S. Rocco, che poi sostituiscono, dopo la metà del secolo XVII, con altra dedicata a S. Giovanni Battista e consacrata il 22 giugno 1668 dal vescovo Marino Giorgi. Demolita, i suoi resti sono ritrovati nel 1936 assieme ad alcuni oggetti fra cui un calice d'argento, acquasantiere ecc. sepolti nella terra. La comunità ospita nel 1610 ben 14 frati e il convento aveva un orto "circondato di muro assai bello". La chiesa era adorna di tre quadri e cioé: Madonna con Santi, di Pietro da Marone, la Pietà e un'Annunciazione ora nella Parrocchiale di Gambara. Incamerati dal governo veneto, il convento e le adiacenze sono affittati nel 1774 a Francesco Zenucchini e poi nel 1798 finiscono in proprietà ad un ebreo di Ostiano, tale Israele Finzi detto Mosé, passando poi di proprietario in proprietario ai fratelli Rongoni. Oggi la permanenza dei religiosi è ricordata dal nome dato a due cascine. Nel 1954 a ricordo della comunità religiosa viene eretta, per iniziativa del curato don Palmiro Tavini, una cappella, benedetta il 25 marzo di tale anno e adorna di una tela opera del gambarese maestro Francesco Zani raffigurante l'Annunciazione e i SS. Rocco e Francesco d'Assisi, con sullo sfondo la parrocchiale. A destra della cappella è murato il mattone cotto e lettera di fondazione che dice: "LAPIS ISTE FUDATUS FUIT - AD HONOREM SATOR IOAN BPTAE ET ROCHI DEDICATUSQ RELIGIONI S. FRAN. - CAPUC. REGNANTE SIX V - PONT MAX ET FRAN - MAUROCENO CAR EP BRIX - DIE 23 OCTO MD88. Sulla sinistra una lapide dettata dallo stesso curato don P. Tavini dice: "EREMO V SECOLO - AB INCARNATIONE - DOM IESU CHRISTI - DEDICATO A S. GIOVANNI BAT. LAZZARETTO 1432 DEDICATO A S. ROCCO - I CAPPUCCINI ERESSERO UN CONVENTO - DEDICATO A S. FRANCESCO - LA CHIESA ALL'ANNUNCIAZIONE 1588 - LA REPUBBLICA CISALPINA - DISTRUSSE IL CONVENTO - ABOLENDO OGNI SIMBOLO RELIGIOSO - 1797 - L'ANNO MARIANO 1954 - TAVINI C.C. DI GAMBARA ERESSE UNA CAPPELLA SU AREA - REGALATA DA BRIGNANI ANGELO - DIPINTA DA ZANI FRANCESCO - BENEDETTA DAL PREVOSTO BARCHI". La primitiva chiesa della Disciplina, o di S. Giuseppe, viene costruita nel 1587 per volere dei confratelli della SS. Trinità. Il coro pare sia stato affrescato da Orazio Lamberto De Rossi. Nel 1766 viene demolita e ricostruita di nuovo più ampia e a croce greca, con locali idonei alle riunioni dei confratelli, che hanno diritto di essere sepolti nella chiesa. Alla vecchia confraternita dei Disciplini della SS. Trinità si sostituiscono in seguito la Compagnia di S. Filippo Neri (1826) e dei Terziari Francescani. L'altare maggiore, in marmi policromi con raffigurata la SS. Trinità, è attualmente in seminario, portava anche le statue lignee di S. Gioacchino e di S. Anna. Due gli altari laterali: uno dedicato a S. Apollonia, in marmi policromi (ora alla Madonna della Neve) e con soasa in legno; l'altro dedicato a Maria Bambina, tutto in legno, di stile gotico fine ottocento, opera di artigiani locali e ora a Chiesuola di Pontevico. Nella chiesa vi erano i quadri di S. Biagio (ora alla Madonna della neve) e il gruppo ligneo del Crocifisso col S. Francesco, ora nella Parrocchiale. Inoltre il quadro ovale di Antonio Paglia raffigurante la Pietà. La due campane sono ora sui campanili di S. Gottardo e della Madonna della Neve. La Disciplina era una chiesa sussidiaria e serviva per determinate feste: S. Biagio, S. Apollonia, Maria Bambina. Inoltre vi benedivano l'acqua santa il sabato santo. Fino ai primi decenni del nostro secolo vi si recavano i ragazzi per il catechismo e ospitava frequenti riunioni di associazioni parrocchiali. Nel 1950 la chiesa è ristrutturata a salone giochi per i ragazzi dell'oratorio; vi si ricava anche un locale per la scuola muratori. Successivamente è adibita a palestra delle scuole medie e scompare, sotto una colata di cemento, la lapide che ricopre il sepolcro dei Disciplini. Attualmente è deposito magazzino di un'industria calzaturiera e un gruppo di giovani intenderebbe recuperarla, in quanto è anche architettonicamente molto valida, per trasformarla in un centro culturale. I Confratelli del Suffragio, che avevano un loro altare nella parrocchiale, nel 1700 decidono di erigere un proprio oratorio: la chiesa del Suffragio, che viene chiamata anche di S. Rocco. Anima del nuovo oratorio è, nei primi tempi, Giovanni Battista Maggi, ricordato da una lapide ora nel corridoio di sinistra, e sepolto nella chiesa stessa presso l'altare di S. Antonio da Padova (ora di Maria Bambina). Al centro della chiesa vi è la tomba dei confratelli. La pala dell'altare maggiore, impreziosita da un'artistica cornice, è opera del '700; vi sono raffigurati S. Rocco, la Madonna e le anime purganti. L'organo viene in parte rifatto con elementi tolti a quello della Madonna della Neve. Nella prima guerra mondiale la chiesa è adibita a deposito granario. Restaurata nell'800, la chiesa è di nuovo sistemata e affrescata dai prevosti Gallerini, Libretti e Putelli. La chiesa, già sede anche delle consorelle del SS. Sacramento, è stata luogo di incontro delle Suffragine, una compagnia che ha avuto vita fino agli inizi degli anni cinquanta. La chiesetta del castello, come suggerisce l'iscrizione con stemma posto sul portale, viene costruita per iniziativa del conte Giovanni Battista Gambara nel 1782 e viene dedicata a S. Antonio da Padova. Stazione delle Rogazioni, vi si distribuiva il pane dei poveri. Trasformata la chiesetta in abitazione privata, la pala dell'altare è ora alla Madonna della Neve. Scomparsa invece è la cappella detta dei Morti dell'Armata, eretta, sembra, a ricordo di uno scontro avvenuto in luogo fra le truppe viscontee e quelle venete guidate dal Carmagnola il 29 maggio 1427. Sorgeva nelle immediate adiacenze di un campo denominato ancora oggi Lazzaretto, e ciò fa pensare che nei secoli passati, e in particolare nel 1630 la (o Lotte) sia stato luogo di raccolta e poi di sepoltura degli appestati. La cappella della Löt è sempre stata al centro di viva devozione ed è stata abbattuta perchè pericolante nel 1968. Oltre alla santella della Madonna Immacolata in via Montello, voluta dagli abitanti della contrada e posta nel 1980 a ricordo dell'oratorio che vi sarebbe dovuto sorgere, sono sparsi un po' dovunque i segni del sacro sotto forma di antichi affreschi: una Madonna con Bambino in via Cavour, una Santa Teresa in via Veronica Gambara, una Madonna invia Campo Fiera, in via Santa Lucia e alla cascina Madonna, una natività in via Garibaldi (ridotta piuttosto male), una Sacra Famiglia alle Volte, la Madonna col Bambino in alcune cascine del Corvione e all'arco stesso. Rinfrescate negli anni trenta, le più recenti nel territorio del Corvione sono state volute dal sacerdote Battista Barbieri. Al Cantù del Signùr c'era un grande affresco della Crocifissione scomparso una ventina d'anni fa. Scomparso pure un affresco in via Bazzoni. Attiva fu, specie dopo la metà dell'800, la vita parrocchiale. Numerose le confraternite e le congregazioni, fra cui quelle del SS. Sacramento, dell'Addolorata, dei Terziari Francescani, delle Madri Cristiane, del Rosario. Nel 1946, promosso da Erminia Guerrieri, inizia la sua attività il Segretariato del Popolo, uno dei tanti settori dell'ACLI. Contemporaneamente un gruppo di lavoratori aderisce alla nuova associazione cattolica, di cui la maestra Maria Zanetti cura il disbrigo delle innumerevoli pratiche. Con l'arrivo del nuovo curato don Giovanni Collenghi, che ne diviene subito assistente ecclesiastico, l'ACLI riceve nuovo impulso grazie all'esperienza da lui acquisita in organizzazioni a sfondo sociale cristiano nel nord America. Il presidente è Guido Zanetti. Nel 1952, dato anche il numero sempre crescente di associati, l'Acli prende in affitto un'osteria in via Garibaldi trasferendo in quella sede tutte le sue attività. Diventa un punto di riferimento nella vita parrocchiale per la sua azione incisiva nella comunità ed anche per la presenza assidua dei sacerdoti. I gambaresi praticano in gran numero il locale. Tutti lo sentono un po' proprio e ne condividono le finalità. Verso la metà degli anni sessanta, per motivi contingenti, l'Acli si ridimensiona fino a scomparire del tutto con la vendita del locale nel 1971. Recentemente il gruppo Acli si è costituito presso il Centro Parrocchiale. L'assistenza ai lavoratori non è mai mancata. L'oratorio maschile viene promosso intorno al 1880 dal prevosto Gregorio Baresani che mette a disposizione i locali della canonica. Agli inizi del secolo nasce il Circolo Giovanile. All'oratorio da nuovo impulso il prevosto Francesco Gallerini, coadiuvato dal direttore D. Palmiro Tavini, grande anima di sacerdote: l'educazione cristiana della gioventù è il suo costante ideale. Nel novembre 1927, come scrive lo stesso don Tavini, "il prefetto della provincia di Brescia ordina la chiusura del nostro oratorio perchè diamo ai giovani l'educazione fisica e morale, attirandoli con giostra, altalene, giochi di bocce". Viene riaperto poco dopo. Vi trovano la loro sede diverse sezioni maschili, assai numerose, di Azione Cattolica. Il prevosto Barchi era intenzionato a costruire l'oratorio nuovo in via Montello e in tal senso fin dal 1939 aveva operato con tutte le sue forze per poter realizzare l'opera, stante l'entusiastico consenso della popolazione. La crisi sociale ed economica del dopoguerra impedì la realizzazione del progetto, anche se i primi lavori (cinta in cemento del terreno, campo sportivo, fondamenta della chiesa) erano già stati compiuti. Una delle attività dell'oratorio maschile, dall'epoca della sua nascita, è la filodrammatica giovanile, dapprima operante nei locali della Pietà. Rilanciata da don Barchi, ha il periodo più fiorente negli anni della guerra. Soppiantata subito dopo dalla moda del cinema, la filodrammatica viene richiamata in vita tra il 1953 e il 1956 per iniziativa del curato D. Samuele Battaglia, del prof. Tullio Cavalli e di Eugenio Cigala. L'oratorio femminile venne aperto nel 1882 per iniziativa di Domenica Gibellini, nel suo palazzo di Piazza Vecchia, dove ospitò anche i pellagrosi, affidandone la direzione alle Ancelle della Carità. La primitiva cappella fu portata alle dimensioni attuali alla fine dell'800. Decorata da Angelo Zucchi e da Giuseppe Bertagni nel 1903, la cosiddetta chiesa delle suore, dedicata all'Immacolata, contiene una pala di S. Domenica, fatta dipingere dalla Gibellini, una pala dell'Immacolata e due altri quadri di discreta fattura. Nell'oratorio vennero aperti anche i corsi di III e IV elementare, cui si aggiunsero quelli di V, VI, VII, VIII per le ragazze e, dopo la guerra, anche per ragazzi. Vi ebbero sede la biblioteca, la scuola di lavoro, l'Armadio dei Poveri, il gruppo missionario, le associazioni femminili, la filodrammatica attiva specialmente negli anni trenta e fin dopo la guerra. Per testamento della stessa Gibellini nel 1888 la casa passò alle Suore Ancelle assieme ad altre proprietà. Per interessamento di madre Aldina Conforti nel 1955 nell'oratorio femminile furono inaugurati i locali della scuola materna S. Giuseppe già in funzione da alcuni anni. L'attività parrocchiale si è andata intensificando negli ultimi anni. Nel 1971 viene costituito il 1° Consiglio Pastorale Parrocchiale. Nel 1976 viene rinnovato, e sorge il 2° Consiglio Pastorale Parrocchiale, che scade il 31/XII/1979. Nel maggio del 1981 si costituisce il 3° consiglio pastorale Parrocchiale. Durante i lavori del 2° CPP, su proposta dei sacerdoti, dopo ampia riflessione tra sacerdoti, suore, catechisti, e incontri con gioventù e genitori, avviene la fusione dei due Oratori, maschile e femminile, in unico Oratorio, senza distinzione di sesso (novem. 1976). Centro di attività resta però ancora la casa delle suore, in quanto la parrocchia non ha ambienti adatti nè capaci. Per questo, in parrocchia è avvertita la necessità di una struttura adatta e capace di consentire tutta l'attività pastorale, a servizio di tutta la comunità. Matura così l'idea del "Centro Parrocchiale". Idea che si concretizza durante gli anni del 2° CPP. Ne viene deliberata la costruzione sull'area dell'oratorio maschile (13-3-1978), che viene demolito, per far posto alla nuova struttura. Concepito come il secondo luogo di incontro per tutta la comunità, dopo il primo che resta sempre la chiesa, il Centro Parrocchiale viene progettato e realizzato capace di consentire tutte le attività. Nel novembre 1979, i catechismi si iniziano nel nuovo Centro, così le riunioni del CPP; ma il centro Parrocchiale comincia a funzionare in pieno nell'autunno 1980. È stato elaborato uno "Statuto" che ne delinea la fisionomia di "struttura pastorale", le linee portanti della organizzazione, e i criteri di fondo per la sua animazione. La Direzione è affidata a un "Direttore" laico (uomo o donna), aiutato da una Commissione Direttiva. Il sacerdote è presente in qualità di "animatore spirituale". Il centro Parrocchiale comporta tutto quello che in passato erano i due Oratori, maschile e femminile; e inoltre è luogo di incontro e di attività per tutti: ragazzi, giovani, adulti, anziani, fa miglie, gruppi, associazioni. Dall'anno pastorale 1979-80, la casa delle Suore Ancelle non è più sede dell'oratorio femminile; resta solo scuola materna S. Giuseppe, sebbene le suore continuino a restare impegnate nella psatorale parrocchiale. Il decennio degli anni Millenovecento settanta è caratterizzato da due avvenimenti di straordinaria importanza per la vita della parrocchia: la "Visita Pastorale" del Vescovo mons. Luigi Morstabilini (febbraio 1975), e una "Missione al popolo" (ottobre 1979). Avvenimenti che hanno costituito uno stimolo efficace al rinnovamento religioso e pastorale messo in atto nella Chiesa dal Concilio Ecumenico Vaticano II°. Sempre negli anni millenovecentosettanta, sono state compiute anche alcune opere materiali (oltre la realizzazione del Centro Parrocchiale): 1a ricostruzione della Cappella votiva di S. Gottardo, il rifacimento del tetto della chiesa parrocchiale, la elettrificazione delle campane, il riscaldamento della chiesa parrocchiale, il restauro della chiesa del "Suffragio", il restauro dell'organo della chiesa parrocchiale, il restauro del santuario della Madonna della Neve. Attiva la carità e l'assistenza pubblica, fin dalle prime diaconie, una delle quali sorgeva dove venne edificato poi la casa della Pietà, un'altra dove è oggi la cascina di S. Polo (che prese il nome da una cappella dedicata a S. Paolo), e una terza sulla strada per Volongo accanto ad una cappella dedicata a S. Giacomo. Il prevosto Marco Lucio Lizzari nel 1502 comperava una casa che chiamò della Pietà e che dotò di beni in favore dei poveri. Essendo andato disperso il primo documento il Lizzari, il 22 ottobre 1512, per i rogiti del notaio Pietro Franzoni di Asola, riconfermava la donazione. Più tardi il Lizzari dotava la casa della Pietà di altri 40 piò del fondo "Le Campagne", cui il comune aggiunse un altro fondo attiguo a quello, di 20 piò. Quasi contemporaneamente venne istituito, probabilmente dallo stesso prevosto Lizzari, il Monte Grano. A queste istituzioni si aggiunsero più o meno consistenti legati fra cui quello di don Angelo Ferrari (1696), il canonico don Giulio Bozzoni (1769) per fanciulle da marito. Con donazioni e con testamento del 15 aprile 1817 il prevosto Carlo Chinelli disponeva altri fondi per l'istruzione dei fanciulli e l'assistenza ai poveri. Per iniziativa del canonico Giulio Bozzoni e del prevosto Carlo Chinelli, l'Istituto Elemosiniero si trasformava in scuole per fanciulli e fanciulle. Vi insegnò lo stesso prevosto Chinelli e i piccoli "dotti fanciulli" di Gambara destarono la meraviglia e l'elogio del vescovo Nani. Altre disposizioni testamentarie in favore dei poveri vennero da Maria Cigala (15 giugno 1819), Francesco Bassi (25 settembre 1823), l'ex cappuccino don Giuseppe Maria Zanetti (25 luglio 1826), Andrea Olivetti (11 marzo 1829), Antonio Buschini (19 settembre 1834), Luigi Bellini (21 luglio 1836), Antonio Morlacchi (14 gennaio 1834) ecc. Sull'esterno della casa della Pietà venne posta la seguente iscrizione: "La gratitudine dei poveri di Gambara - scrive - a perpetua memoria - il nome dei benefattori - MDCCCXLIX). L'assistenza agli anziani ebbe un nuovo rilancio grazie all'emigrato Dante Cusi che predispose una rilevante somma per la costruzione di un Ricovero Vecchi dedicato poi al suo nome e trasformato, grazie all'apporto di altri benefattori, tra cui Ettore Mettica, in Ente Morale nel 1927. Venne poi ampiamente ristrutturato nel 1973. L'istituzione è provvidenziale per centinaia e centinaia di anziani e malati, grazie anche all'opera solerte e silenziosa delle Ancelle della Carità che la dirigono dalla fondazione. Da ricordare è il curato don Antonio Bodini, che fu uno dei più attivi fondatori del Ricovero. Sorta nel 1965 per iniziativa di Luigi Gibellini, l'AVIS è ancora oggi viva e vitale. Conta oltre 150 soci. Ultimamente dall'Avis ha avuto vita anche l'AIDO. La benefica associazione si è fatta promotrice anche di iniziative sportive e culturali (Lönare Gambarés). I prelievi vengono di norma fatti nei locali della Scuola Materna "S. Giuseppe".


I principali quartieri, o luoghi caratteristici del centro abitato, sono ancora oggi così denominati: Spolt, Piasa Ecia, Cantù di Paseròcc, Cuntrada Granda, Piasa Noa, Camp de Féra, Canù d'or, Cazì de la Guardia, Fusadù, Belasina, Cuntrada del Sul, Cantù del Signur, Dos; e più all'interno: Burghèt, Cuntrada de mès, Curt, Serca, Marchina. Secondo un'ipotesi del Guerrini, il castello di Gambara era circondato da tre ordini di mura. La cerchia maggiore, secondo le logiche supposizioni, forse correva lungo il perimetro del primitivo nucleo di abitazioni intorno a S. Pietro. Ma c'è una Contrada, via Mazzini, ancora oggi chiamata della Cerca: forse della cerchia di mura? (Lungo questa contrada scorreva anche un ramo della Gambarella che, superato un ponte in Piazza Nuova - venuto alla luce nel 1966 - proseguiva nella bassura degli orti). Il piccolo paese comunque era accessibile dall'esterno attraverso tre porte situate in Piazza Vecchia, in Piazza Nuova e alla Belasina. Altro punto del quadrilatero che delimitava l'antico centro storico dovevano essere i Mulini Vecchi (Muglièc'), posti sulla Gambara nei pressi del Dosso. Il castello, sorto pare su precedente fortificazione romana, si trova nel quartiere detto Spolt (spalti), ed era difeso oltre che da mura e dalle fosse, dal fiume Gambara e dalla Seriola che lo isolavano completamente. Fu la culla della sempre più potente famiglia dei Gambara e per diversi secoli ebbe notevole importanza. Del castello antico non rimangono ora che fabbricati modernamente ristrutturati. Il Lechi così lo descrive: "Venendo dal paese si scorge la chiesetta settecentesca al posto, forse, di un torrione, poi una sequela di case costruite nei vari secoli 'ad libitum' dei vari proprietari si affaccia su quella che una volta sarà stata la fossa e oggi non è che un leggero avvallamento verso la strada; l'ingresso scomparso e sostituito da un rustico cancello, si apre verso sera e vi si accede da un lieve terrapieno. Nel cortile si scorgono, a terra, delle colonne che avranno un tempo, formato un porticato, presumibilmente nel '500 quando venne eretto quel fabbricato centrale del quale ancora si scorgono frammenti di una bella costruzione di quel secolo: vi è una bella cornice in pietra che sporge abbondantemente dal primo piano in modo da formare un balcone con ringhiera in ferro, semplice, e sul balcone si affacciano tre porte dagli eleganti stipiti di quel tempo. Nell'interno vi è la bella sala principale a volta a spicchi, che sarà stata certamente decorata non certo quale si presenta oggi, con modesti fregi ottocenteschi; una sala più piccola vicina; in una specie di ammezzato vi è una interessante cucina, con enormi travi nel soffitto, ed è forse questo l'unico locale rimasto dell'antico castello. Al primo piano cui si accede da una modesta scala interna, vi sono delle stanze con travetti dipinti a decorazione continua, caratteristica nei secoli XVI e XVII. Il corpo di casa, verso mattina, è sistemato oggi ad abitazione civile del proprietari ed ha tre stipiti di porte di marmo del settecento. Salvo questa porzione, tutto il rimanente del fabbricato è ridotto ad abitazioni o a magazzini." Finito il periodo di guerre e contese di fazioni, il castello da forte rocca venne declassato a casamento e condannato a continua decadenza. Nel 1610 il Da Lezze lo diceva "derochato" e nel quale "vi sono case et in particolare il palazzo delli Conti Gambara, con le mura in parte ruinose et circonda un tiro di mano, vi è la porta con il ponte ed anco le fosse attorno spianate, che ora da esse si cava il fieno". A quanto scrive il Lechi "quasi tutti i rami di casa Gambara vollero sempre avere una parte di proprietà di questo antico castello che diede il nome alla loro famiglia". Nel 1641 vi erano proprietari il conte Carlo Antonio quondam Francesco, il conte Guerriero quondam Scipione, i conti Federico e Renato quondam Giovanni Battista e i figli minori di Alemanno. Un tale condominio continuò ancora per poco più di un secolo, ed ogni famiglia vi teneva per puntiglio i propri diritti senza dimorarvi che ben poco, preferendo le residenze più comode e piacevoli di Pralboino e di Verolanuova. La suddivisione dei beni giunse a tal segno che, per citare un esempio, nel 1686 Alemanno, nipote Uberto, di certe case in Gambara aveva "il nono di due terzi di un ottavo". Nel 1723 il condominio si semplifica in quanto devono essere intervenuti accordi tra le quattro famiglie, per cui il castello di Gambara passa a Giovanni Battista quandam Federico del ramo di Venezia, mentre Alemanno rinunciata alla sua porzione, volle tutto il Corvione. Le proprietà del castello per le nozze (1807) di Teresa figlia di Giovanni Battista Gambara con il conte Antonio Calini passarono poi alla famiglia di questi. Un nipote di Antonio Calini, Giovanni Battista (1808-1869), sposatosi in seconde nozze con Emilia Tosini, ebbe cinque maschi fra i quali il castello, e le varie possessioni terriere vennero suddivisi e in parte venduti. Oltre alla contessa Teresa, il conte Giovanni Battista Gambara aveva pure un'altra figlia, Ottavia, che nel 1808 sposò il nobile Giovanni Battista Carrara ricevendo in dote l'altra metà del patrimonio fondiario. Con tale divisione vengono ulteriormente smembrati i resti dell'antico feudo e, sostituita dai Calini di Lograto, scompare da Gambara il nome della antica casata che dal paese aveva preso il nome. Parte del castello venne poi acquistato dal conte Gaetano Borra, e rivenduto dalle sue figlie Clementina in Gelmetti e Rosa in Gigli, finchè passò ai Nolli e da questi a Francesco Danieletti di Pralboino. Altri proprietari sono ora Premi, Barozzi e Conzadori. I Calini possiedono ancora la parte centrale, la più antica. Di qualche interesse è la cascina dei Gambara, costruita nel 1727, che si trova tra il castello e la Breda. Sul portale della cascina campeggia un bello stemma dei Gambara in marmo di Botticino.


L'economia fino al 1960 fu prevalentemente agricola. L'estimo del 1850 era di scudi 141.883,4. Scomparsa la produzione del riso e del lino, un tempo molto fiorente, attraverso sempre più vaste bonifiche il suolo produsse abbondanza di cereali, di foraggio con relativo allevamento di bestiame. Le cascine di Gambara furono tra le prime a iniziare, sull'esempio del lodigiano, la pratica della stabulazione permanente. L'irrigazione venne sviluppata con la Gambara, il Vaso Allegri, la Gambarella, la Scaramuzzina e una fitta rete di altri vasi. L'idrovoro Allegri ha origine dalla Ceriana. L'acqua sollevata a oltre tre metri di altezza dalle pompe di un elevatore, viene convogliata nel vaso che irriga circa 700 ettari di terreno, dalle Campagne ai Cappuccini. Il benefico progetto, promosso dal sindaco Cesare Allegri, di cui porta il nome, venne realizzato prima della grande guerra contribuendo efficacemente allo sviluppo dell'economia agricola del paese in quanto i terreni attraversati dal vaso erano scarsamente produttivi. Ma diede anche il via a una astiosa serie di questioni da parte del comune di Volongo che per un trentennio ricorse ai più disparati pretesti giuridici, poi tutti cassati, per vantare propri diritti sulle acque liberamente scorrenti nel comune di Gambara. Fu, per opera di Giovanni Donadoni, De Giuli, Ottorino e Pietro Villa, uno dei primi comuni bresciani che adottarono la coltura intensiva e che vide agli inizi del secolo sorgere, anche per iniziativa di Ettore Mettica, nuove cascine. Si svilupparono caseifici e un oleificio. Nel 1907 circa inizia a funzionare una grossa filanda (già altre a carattere artigianale erano in funzione), che ebbe lavoro fino al 1947. Molto attiva la Cassa Rurale, fondata nel 1891, che ha sempre affiancato le piccole iniziative imprenditoriali locali favorendo soprat tutto artigiani e contadini. Nel 1975 si fuse con quelle di Seniga, Pralboino e Leno, dando origine alla Cassa Rurale e Artigiana della Bassa Bresciana. Nel 1945 l'economia è sempre agricola, ma la meccanizzazione mette ben presto in crisi tutto il settore. La situazione sociale e politica porta ad aspre tensioni, come in tutta la bassa bresciana e nella Val Padana in genere. Durante lo sciopero agricolo del 1949 per il rinnovo del contratto, sciopero durato oltre quaranta giorni, e che ha richiesto l'intervento della polizia, resta ucciso il salariato agricolo Marziano Girelli. Negli anni cinquanta la situazione resta sempre molto critica e solo una massiccia emigrazione verso Milano, Torino e Varese risolve in parte il problema dell'occupazione. Nel marzo 1960 il comune è dichiarato zona depressa: inizia l'industrializzazione nel paese. Si apre un laboratorio di confezioni, seguito da un calzificio e da un bottonificio, oltre che ad officine meccaniche e imprese per la lavorazione del legno. Dal 1962 l'industria di maggior rilievo è il calzaturificio Stil Nuovo che occupava 250 operai. L'emigrazione diventa un ricordo. Lo Stilnuovo conosce un notevole sviluppo, può dare lavoro ad oltre 500 operai. La crisi del settore, in seguito, ne ha drasticamente ridotto l'attività. Nel contempo si sviluppano altre industrie, perno dell'economia del paese: abbigliamento, metallurghiche, meccaniche, odontotecniche, che danno occupazione alla maggior parte della manodopera disponibile. Altro settore produttivo è l'allevamento di tipo industriale di pollame, vitelli, suini. Rilevante l'allevamento Sandrini che nel 1980 riportò notevoli successi. Scomparsi i piccoli coltivatori diretti, l'agricoltura quasi completamente meccanizzata e incentrata in grosse aziende agricole, produce soprattutto cereali e foraggi in funzione degli allevamenti. Il sabato in piazza c'è un piccolo mercato. Fiera di macchine e attrezzzi vari (in verità un po' declassata) si svolge la prima domenica dopo il 19 marzo (Fiera di S. Giuseppe) nel capoluogo, di capelli di paglia il 4 maggio festa di S. Gottardo alla Cascina Volte, di generi vari la quarta domenica di luglio festa di S. Salvatore nella frazione Corvione, di suini macchine e attrezzi vari nel capoluogo la domenica successiva al 13 dicembre festa di S. Lucia. Un tempo questa fiera durava otto giorni. Tramontata con l'epoca industriale anche la tradizione di trascorrere le serate invernali nelle stalle, altre poche sono rimaste: il gran falò nella sera della festa di S. Antonio Abate, che si teneva in Campo Fiera ed attualmente in aperta campagna e in varie cascine; l'incanto di S. Rocco, davanti alla chiesa del Suffragio, con la messa all'asta di svariati prodotti e merci a favore della parrocchia. La festa più popolare e più sentita, con iniziative religiose e culturali, è quella della Madonna della Neve. Antichissima la sagra di S. Gottardo, una scampagnata collettiva che evidenzia ancora oggi il diffuso desiderio di stare insieme. Sono di Gambara il poeta Giuseppe Allegri (v.), l'imprenditore Dante Cusi (v.), i fratelli Santo e Giuseppe Losio (v.). Hanno trattato argomenti di storia locale Luigi Trefoini (v.) con "l'X di Bedriacum", don Emilio Ferrari (v.), Carlo Villa col romanzo storico "Walchiria Gambara" (v.) e il già ricordato G. Allegri. A Gambara fu parroco il celebre oratore Alberto Bazzoni di Cerveno, morto nel 1846, al quale è dedicata una via del paese.


Prevosti della prepositura di Gambara: Gerardo (1144, primo Prepositus non monaco); Aldone (1149); Lanfranco di Gambara (1150, monaco poi Abate di Leno); Aldone (1163 con altri confratres); Guido d'Ostiano (1165-1179); Ugo de Ardericis (1180); Guidello o Wedello (1194); Antonio Zambelli di Chiari (1442-1477 già arciprete di Montichiari); Gasparre Capreroni o Caproni di Pralboino (1480-1490, poi canonico della Cattedrale); Giambattista Capreroni di Pralboino (Proton, Apost. 1490-1494); Conte Marsilio Gambara (Proton. Apost. 1494-1498); Marco Lucio De Lizzari di Pralboino (1498-1522); Giambattista Capreroni (1522-1529); Alessandro Zane Patrizio veneto (1522-1529); Girolamo Bontempi (1530 - ma forse vicario); Conte Giov. Brunoro Gambara di Pralboino (1530-1559 - tenne anche la prepositura di Pralboino); Camillo Gambara figlio naturale del predecessore (1560-1581); Benedetto Legati di Calcinato (1581 - vicario); Bartolomeo Girardini parroco di Fontanella (1581-1582); Filippo Scudellari di Gambara (1583-1584); Daniele Milena di Aquileia (1584-1597); Giambattista Zanibelli (1597-1605 passa a Castrezzato per permuta); Pietro Guidotti (1605-1608); Pietro Venturini (1608-1612); Giorgio nob. Serina di Brescia (1612-1626, promosso Canonico e Penitenziere e Vicario Generale); Giuseppe Taddei di Gambara (1626-1630); Vincenzo Marinetti di Manerbio (1630-1658); Marcantonio Capponati di Gambara (1659-1692); Luigi nob. Emigli di Brescia (1692-1693); Ferdinando nob. Pastorio di Castiglione delle Stiviere (1693-1714); Giuseppe Olivieri di Pralboino (1715-1755); Ludovico nob. Emigli di Brescia (1755-1768, promosso Arciprete della Cattedrale, morto assassinato dalla sorella 1772); Conte Pietro Padovani di Quinzano (1769-1771); Antonio nob. Marini di Brescia (1771 1784); Carlo nob. Chinelli di Rodengo (1785-1819); Alberto Francesco di Cerveno (1820-1846); Luigi Livraga di Brescia (1846-1864); Francesco Tonsi di Rovato (1864-1868); Gregorio Francesco Baresani di Pavone (1868-1890); Giovanni Mateotti di Prabione (1891-1924); Francesco Gallerini di Rovato (1925-1939); Giovanni Barchi di Pralboino (1939-rin. 1962); Pietro Libretti di Urago d'Oglio (1962 - rin. 1969); Abramo Putelli di Cazzago S. Martino (1969 ...).


Sindaci e podestà: 1859 Conte Calini Cav. Giov. Battista; 1868 dott. Luigi Stefanini; 1869, Giacomo Donadoni; 1877, dott. Luigi Stefanini; 1881, Giacomo Donadoni; 1884, avv. Egidio Lanzoni; 1885, Ciro Treccani; 1889, Pietro Villa; 1890; conte Calini Avv. Vittorio; 1893, Pietro Villa; 1895, Ciro Treccani; 1902, avv. Giovanni Donadoni; 1904, Conte Calini Avv. Vittorio; 1905, ing. Cesare Allegri fu Giuseppe; 1921 Giuseppe Nolli: 1926, geom. Innocente Dugnani commissario prefettizio; 1926 geom. Mario Donadoni; 1928 rag. Antonio Scipione commissario profettizio;1929 Guido Cami; 1934 dott. Mario Sabino commissario profettizio; 1935 Libero Fossa; ing. Ottorino Nicoli; 1945 Guido Cabra; 1945 dott. Giuseppe Losio; 1946 Antonio Cavalli; 1948 Antonio Bondoni; 1951 Pietro Prestini; 1960 dott. Umberto Allegri; 1970 Roberto Arturi; 1975 Pietro Prestini; 1980 Roberto Arturi.