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'''FELTER Pietro'''
 
'''FELTER Pietro'''
  
(Volciano, 4 agosto 1856 - Sabbio Chiese, 25 gennaio 1915). Di Antonio e di Diletta Baccoli, da padre oriundo del Trentino. Circostanze familiari lo portarono a Sabbio dove frequentò le prime  classi elementari che completò a Salò e a Genova, dove, come egli stesso era solito dire, il principale suo studio era di sfuggire alla rigida disciplina della scuola. Riuscì a completare le scuole tecniche a Breno facendo poi pratica di Segretario Comunale a Sabbio e di ufficiale del registro a Preseglie. Spirito libero, schietto, e profondamente onesto, intollerante di ogni formalità e regola, sembrava destinato ad ogni ufficio o mestiere ma non alla vita militare. Invece fece il soldato per dieci anni dal 1874 al 1884 arruolandosi volontario e venendo destinato a Roma nel corpo dei Corazzieri. Si accorse subito di essere nato «per fare il frate ma non il soldato o il funzionario». Iniziò, infatti, il primo giorno di arruolamento, con la prigione semplice che tre mesi dopo si tramutava in quella di rigore. Dopo un anno però conseguì il grado di sottotenente di complemento. Poi riprese: sospensioni, retrocessioni, carcere militare e soldato semplice. E poi, di nuovo, da soldato semplice, caporale, caporal maggiore e sergente. Fece di tutto insieme, come litografo, velocipedista addetto di brigata. Nel contempo acquistava una buona cultura. Convinto che la vita di caserma non gli si confacesse, preso dallo spirito di avventura accettava di diventare commissario governativo ad Harrar (Etiopia). Il contatto con ingiustizie, corruzione di funzionari non lo disarmò. Chiesta l'aspettativa nell'esercito alla fine del 1884, si sistemò ad Assab. Ebbe molte offerte, tra cui quella di rilevazioni geodetiche, gli furono perfino spediti materiali, fu invitato da Antonelli per un viaggio nello Scioa ma poi non fece nulla. Fallita la possibilità di partecipare a missioni scientifiche o diplomatiche all'interno dell'Abissinia, per oscure mene ed altrettanto oscure invidie e gelosie, dopo più di un anno di inattività, durante il quale era stato «spettatore di ogni sorta di bestialità che si commettevano all'ombra del potere, contro gli interessi e la dignità di Madre Patria» depose le spalline e ricominciò di nuovo. In Africa ormai si fece la famiglia, sposando una francese di Metz Agostine Porte, la quale gli diede due figlie ed un figlio. Dopo aver fatto l'impiegato delle Saline Bulgarelle e Guastala in Aden, sciolte che furono queste, si ingaggiò come agente della «Perim Coal Company» una casa di commercio carbonifero che di inglese aveva solo il nome perché era francese. Con tale ufficio, dalle rive dell'Arabia tornò in Africa ad Harrar. Rappresentò poi la casa Bienen Feld di Aden e, per le faccende più politiche, il Governo italiano. Seppe, letteralmente, affascinare gli Abissini, ed ottenne da loro il rilascio di prigionieri e di materiale confiscato, diventando in pari tempo loro amico, specialmente con ras Maconnen. Si dice anche che sua moglie facesse da balia al futuro Negus Ailè Selassiè. Nel 1889 fu presente alla firma del trattato di Uccialli.  Il momento di maggior prestigio di Pietro Felter fu quello delle prime imprese africane del 1895 e 1896. A stretto contatto con ras Maconnen egli sapeva che il re Manelik e la regina Taitù erano intenzionati a cacciare gli italiani sbarcati sulla loro terra e che manifestavano sempre più intense brame di espansione. Egfli seppe stringere intensi rapporti fra italiani ed abissini. Comunque non fu ascoltato e ai primi di dicembre 1895 le truppe italiane subirono ad Amba-Alagi una grave disfatta. Gli fu affidato allora il compito di intermediario fra il Comando italiano e l'amico suo Maconnen che lo cercava con insistenza. Giunto al campo abissino non solo non gli fu permesso di avvicinare Maconnen ma per ordine della regina Taitù, in rotte con Maconnen, fu imprigionato ed isolato. Fallito, malgrado un vero massacro, un assalto degli abissini al forte di Makallé il suo ruolo di mediatore fu ricercato questa volta da Manelik e gli riuscì di concordare con il maggiore Galliano responsabile della difesa del forte, la resa onorevole della guarnigione e il suo rientro nelle linee italiane. Anche in seguito fece da mediatore fra Baratieri e Menelik e fu spettatore alla tragica giornata di Adua, al processo Baratieri e a mille altre vicende, camminando sul filo del rasoio fra sospetti, calunnie, accuse di tradimento. Fi spettatore della battaglia di Adua (1 marzo 1896) di cui tracciò una precisa relazione. Nel giugno 1896 fu sparsa la notizia della sua morte «per stroncare le richieste che di Felter facevano Menelik e Maconnen. Amareggiato nel constatare come venivano condotte, specie politicamente, le cose d'Africa, escluso da ogni contatto con i capi abissini che l'avrebbero voluto ancora come mediatore di pace, finì con attendere nuovi avvenimenti a lui più congeniali. Fu Regio Commissario in Assab e in tale ruolo nel dicembre 1898 occupò il territorio del sultano di Raheita, protetto fin dal 1888 dal governo italiano provocando la gelosia di francesi che vi accamparono loro diritti, mandandovi una cannoniera ed un corpo di spedizione ma davanti alla sua fermezza desistettero. Uguale fermezza dimostrò con il sultano di Raheita che aveva sequestrato 20 sambuchi. Rimase ancora in Africa fino al 1913, «consumando ogni sua energia e sapere nelle migliorie della più disagiata delle residenze». Ogni suo sforzo fu impiegato ad amministrare con rettitudine il bilancio dell'Eritrea che, abbandonata con 110.000 lire di passivo, raggiunse il pareggio. Colpito dalla lebbra tornò a Sabbio, si fece costruire una specie di torretta sulla quale visse isolato scrivendo le sue memorie d'Africa. Sue memorie vennero raccolte dalla figlia in un volume dal titolo "La vicenda africana 1895-1896" (Brescia Vannini, 1935; 205 p.). Vie gli vennero dedicate a Roma, Sabbio Chiese, Makallè, Harrar.  
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(Volciano, 4 agosto 1856 - Sabbio Chiese, 25 gennaio 1915). Di Antonio e di Diletta Baccoli, da padre oriundo del Trentino. Circostanze familiari lo portarono a Sabbio dove frequentò le prime  classi elementari che completò a Salò e a Genova, dove, come egli stesso era solito dire, il principale suo studio era di sfuggire alla rigida disciplina della scuola. Riuscì a completare le scuole tecniche a Breno facendo poi pratica di segretario comunale a Sabbio e di ufficiale del registro a Preseglie. Spirito libero, schietto, e profondamente onesto, intollerante di ogni formalità e regola, sembrava destinato ad ogni ufficio o mestiere ma non alla vita militare. Invece fece il soldato per dieci anni dal 1874 al 1884 arruolandosi volontario e venendo destinato a Roma nel corpo dei Corazzieri. Si accorse subito di essere nato «per fare il frate ma non il soldato o il funzionario». Iniziò, infatti, il primo giorno di arruolamento, con la prigione semplice che tre mesi dopo si tramutava in quella di rigore. Dopo un anno però conseguì il grado di sottotenente di complemento. Poi riprese: sospensioni, retrocessioni, carcere militare e soldato semplice. E poi, di nuovo, da soldato semplice, caporale, caporal maggiore e sergente. Fece di tutto insieme, come litografo, velocipedista addetto di brigata. Nel contempo acquistava una buona cultura. Convinto che la vita di caserma non gli si confacesse, preso dallo spirito di avventura accettava di diventare commissario governativo ad Harrar (Etiopia). Il contatto con ingiustizie, corruzione di funzionari non lo disarmò. Chiesta l'aspettativa nell'esercito alla fine del 1884, si sistemò ad Assab. Ebbe molte offerte, tra cui quella di rilevazioni geodetiche, gli furono perfino spediti materiali, fu invitato da Antonelli per un viaggio nello Scioa ma poi non fece nulla. Fallita la possibilità di partecipare a missioni scientifiche o diplomatiche all'interno dell'Abissinia, per oscure mene ed altrettanto oscure invidie e gelosie, dopo più di un anno di inattività, durante il quale era stato «spettatore di ogni sorta di bestialità che si commettevano all'ombra del potere, contro gli interessi e la dignità di Madre Patria» depose le spalline e ricominciò di nuovo. In Africa ormai si fece la famiglia, sposando una francese di Metz, Augustine Porte, la quale gli diede tre figlie e due figli. Dopo aver fatto l'impiegato delle Saline Bulgarella e Guastalla in Aden, sciolte che furono queste, si ingaggiò come agente della «Perim Coal Company» una casa di commercio carbonifero che di inglese aveva solo il nome perché era francese. Con tale ufficio, dalle rive dell'Arabia tornò in Africa ad Harrar. Rappresentò poi la casa Bienenfield di Aden e, per le faccende più politiche, il Governo italiano. Seppe, letteralmente, affascinare gli Abissini, ed ottenne da loro il rilascio di prigionieri e di materiale confiscato, diventando in pari tempo loro amico, specialmente con ras Maconnen. Si dice anche che sua moglie facesse da balia al futuro Negus Ailè Selassiè. Nel 1889 fu presente alla firma del trattato di Uccialli.  Il momento di maggior prestigio di Pietro Felter fu quello delle prime imprese africane del 1895 e 1896. A stretto contatto con ras Maconnen egli sapeva che il re Menelik e la regina Taitù erano intenzionati a cacciare gli italiani sbarcati sulla loro terra e che manifestavano sempre più intense brame di espansione. Egli seppe stringere intensi rapporti fra italiani ed abissini. Comunque non fu ascoltato e ai primi di dicembre 1895 le truppe italiane subirono ad Amba-Alagi una grave disfatta. Gli fu affidato allora il compito di intermediario fra il Comando italiano e l'amico suo Maconnen che lo cercava con insistenza. Giunto al campo abissino non solo non gli fu permesso di avvicinare Maconnen ma per ordine della regina Taitù, in rotte con Maconnen, fu imprigionato ed isolato. Fallito, malgrado un vero massacro, un assalto degli abissini al forte di Makallé il suo ruolo di mediatore fu ricercato questa volta da Menelik e gli riuscì di concordare con il maggiore Galliano responsabile della difesa del forte, la resa onorevole della guarnigione e il suo rientro nelle linee italiane. Anche in seguito fece da mediatore fra Baratieri e Menelik e fu spettatore alla tragica giornata di Adua, al processo Baratieri e a mille altre vicende, camminando sul filo del rasoio fra sospetti, calunnie, accuse di tradimento. Fu spettatore della battaglia di Adua (1 marzo 1896) di cui tracciò una precisa relazione. Nel giugno 1896 fu sparsa la notizia della sua morte «per stroncare le richieste che di Felter facevano Menelik e Maconnen. Amareggiato nel constatare come venivano condotte, specie politicamente, le cose d'Africa, escluso da ogni contatto con i capi abissini che l'avrebbero voluto ancora come mediatore di pace, finì con attendere nuovi avvenimenti a lui più congeniali. Fu Regio Commissario in Assab e in tale ruolo nel dicembre 1898 occupò il territorio del sultano di Raheita, protetto fin dal 1888 dal governo italiano provocando la gelosia di francesi che vi accamparono loro diritti, mandandovi una cannoniera ed un corpo di spedizione ma davanti alla sua fermezza desistettero. Uguale fermezza dimostrò con il sultano di Raheita che aveva sequestrato 20 sambuchi. Rimase ancora in Africa fino al 1913, «consumando ogni sua energia e sapere nelle migliorie della più disagiata delle residenze». Ogni suo sforzo fu impiegato ad amministrare con rettitudine il bilancio dell'Eritrea che, abbandonata con 110.000 lire di passivo, raggiunse il pareggio. Colpito dalla lebbra tornò a Sabbio, si fece costruire una specie di torretta sulla quale visse isolato scrivendo le sue memorie d'Africa. Sue memorie vennero raccolte dalla figlia in un volume dal titolo "La vicenda africana 1895-1896" (Brescia Vannini, 1935; 205 p.). Vie gli vennero dedicate a Roma, Sabbio Chiese, Makallè, Harrar.  
  
  

Versione attuale delle 06:42, 13 gen 2022

FELTER Pietro

(Volciano, 4 agosto 1856 - Sabbio Chiese, 25 gennaio 1915). Di Antonio e di Diletta Baccoli, da padre oriundo del Trentino. Circostanze familiari lo portarono a Sabbio dove frequentò le prime classi elementari che completò a Salò e a Genova, dove, come egli stesso era solito dire, il principale suo studio era di sfuggire alla rigida disciplina della scuola. Riuscì a completare le scuole tecniche a Breno facendo poi pratica di segretario comunale a Sabbio e di ufficiale del registro a Preseglie. Spirito libero, schietto, e profondamente onesto, intollerante di ogni formalità e regola, sembrava destinato ad ogni ufficio o mestiere ma non alla vita militare. Invece fece il soldato per dieci anni dal 1874 al 1884 arruolandosi volontario e venendo destinato a Roma nel corpo dei Corazzieri. Si accorse subito di essere nato «per fare il frate ma non il soldato o il funzionario». Iniziò, infatti, il primo giorno di arruolamento, con la prigione semplice che tre mesi dopo si tramutava in quella di rigore. Dopo un anno però conseguì il grado di sottotenente di complemento. Poi riprese: sospensioni, retrocessioni, carcere militare e soldato semplice. E poi, di nuovo, da soldato semplice, caporale, caporal maggiore e sergente. Fece di tutto insieme, come litografo, velocipedista addetto di brigata. Nel contempo acquistava una buona cultura. Convinto che la vita di caserma non gli si confacesse, preso dallo spirito di avventura accettava di diventare commissario governativo ad Harrar (Etiopia). Il contatto con ingiustizie, corruzione di funzionari non lo disarmò. Chiesta l'aspettativa nell'esercito alla fine del 1884, si sistemò ad Assab. Ebbe molte offerte, tra cui quella di rilevazioni geodetiche, gli furono perfino spediti materiali, fu invitato da Antonelli per un viaggio nello Scioa ma poi non fece nulla. Fallita la possibilità di partecipare a missioni scientifiche o diplomatiche all'interno dell'Abissinia, per oscure mene ed altrettanto oscure invidie e gelosie, dopo più di un anno di inattività, durante il quale era stato «spettatore di ogni sorta di bestialità che si commettevano all'ombra del potere, contro gli interessi e la dignità di Madre Patria» depose le spalline e ricominciò di nuovo. In Africa ormai si fece la famiglia, sposando una francese di Metz, Augustine Porte, la quale gli diede tre figlie e due figli. Dopo aver fatto l'impiegato delle Saline Bulgarella e Guastalla in Aden, sciolte che furono queste, si ingaggiò come agente della «Perim Coal Company» una casa di commercio carbonifero che di inglese aveva solo il nome perché era francese. Con tale ufficio, dalle rive dell'Arabia tornò in Africa ad Harrar. Rappresentò poi la casa Bienenfield di Aden e, per le faccende più politiche, il Governo italiano. Seppe, letteralmente, affascinare gli Abissini, ed ottenne da loro il rilascio di prigionieri e di materiale confiscato, diventando in pari tempo loro amico, specialmente con ras Maconnen. Si dice anche che sua moglie facesse da balia al futuro Negus Ailè Selassiè. Nel 1889 fu presente alla firma del trattato di Uccialli. Il momento di maggior prestigio di Pietro Felter fu quello delle prime imprese africane del 1895 e 1896. A stretto contatto con ras Maconnen egli sapeva che il re Menelik e la regina Taitù erano intenzionati a cacciare gli italiani sbarcati sulla loro terra e che manifestavano sempre più intense brame di espansione. Egli seppe stringere intensi rapporti fra italiani ed abissini. Comunque non fu ascoltato e ai primi di dicembre 1895 le truppe italiane subirono ad Amba-Alagi una grave disfatta. Gli fu affidato allora il compito di intermediario fra il Comando italiano e l'amico suo Maconnen che lo cercava con insistenza. Giunto al campo abissino non solo non gli fu permesso di avvicinare Maconnen ma per ordine della regina Taitù, in rotte con Maconnen, fu imprigionato ed isolato. Fallito, malgrado un vero massacro, un assalto degli abissini al forte di Makallé il suo ruolo di mediatore fu ricercato questa volta da Menelik e gli riuscì di concordare con il maggiore Galliano responsabile della difesa del forte, la resa onorevole della guarnigione e il suo rientro nelle linee italiane. Anche in seguito fece da mediatore fra Baratieri e Menelik e fu spettatore alla tragica giornata di Adua, al processo Baratieri e a mille altre vicende, camminando sul filo del rasoio fra sospetti, calunnie, accuse di tradimento. Fu spettatore della battaglia di Adua (1 marzo 1896) di cui tracciò una precisa relazione. Nel giugno 1896 fu sparsa la notizia della sua morte «per stroncare le richieste che di Felter facevano Menelik e Maconnen. Amareggiato nel constatare come venivano condotte, specie politicamente, le cose d'Africa, escluso da ogni contatto con i capi abissini che l'avrebbero voluto ancora come mediatore di pace, finì con attendere nuovi avvenimenti a lui più congeniali. Fu Regio Commissario in Assab e in tale ruolo nel dicembre 1898 occupò il territorio del sultano di Raheita, protetto fin dal 1888 dal governo italiano provocando la gelosia di francesi che vi accamparono loro diritti, mandandovi una cannoniera ed un corpo di spedizione ma davanti alla sua fermezza desistettero. Uguale fermezza dimostrò con il sultano di Raheita che aveva sequestrato 20 sambuchi. Rimase ancora in Africa fino al 1913, «consumando ogni sua energia e sapere nelle migliorie della più disagiata delle residenze». Ogni suo sforzo fu impiegato ad amministrare con rettitudine il bilancio dell'Eritrea che, abbandonata con 110.000 lire di passivo, raggiunse il pareggio. Colpito dalla lebbra tornò a Sabbio, si fece costruire una specie di torretta sulla quale visse isolato scrivendo le sue memorie d'Africa. Sue memorie vennero raccolte dalla figlia in un volume dal titolo "La vicenda africana 1895-1896" (Brescia Vannini, 1935; 205 p.). Vie gli vennero dedicate a Roma, Sabbio Chiese, Makallè, Harrar.




FELTER Marcantonio o Mario


Sabbio Chiese, 1895 - Lavanek, 11 agosto 1915). Di Pietro e di Agostine Porte. Sottotenente del 77° reggimento fanteria; morì in combattimento a Lavanek sul monte Pissola l'11 agosto 1915. "Fatto segno a fuoco nemico, con coraggio si lanciava per primo all'assalto di una trincea e, veniva colpito a morte. Alla sua memoria venne concessa la medaglia d'argento al v.m. I suoi fanti trasportarono la salma a Bagolino.