PODESTÀ, Podesterie
PODESTÀ, Podesterie
Magistratura civile (dal lat. potestas) che con normali caratteri di unicità, temporaneità, cittadinanza forestiera, elettività e diretta responsabilità si impose tra la fine del sec. XII e la prima metà del XIII nell'Italia settentrionale e centrale in concomitanza, agli inizi, coi consoli e poi succedendo ad essi. Come rileva M. A. Benedetto: "in alcuni casi si può considerare un'evoluzione del consolato, se non addirittura un istituto nuovo creato dal comune in base al suo potere costituente. Ma perchè il Podestà possa esercitare effettivamente i poteri di mero e misto imperio che un tempo erano stati attribuzioni del comes bisogna attendere che l'indebolimento della potenza imperiale permetta ai comuni di acquistare tutte quelle prerogative che la pace di Costanza (1183) pareva ancora voler riservare all'imperatore". Ma già in tale anno (non considerando Marquando o Marcoaldo di Grumbac imposto dall'imperatore dal 1162 al 1167) compare come primo podestà di Brescia Guglielmo di Osa. Da quell'anno, come ha sottolineato A. Bosisio, il podestà, istituito come arbitro e giudice di pace e, a garanzia della sua indipendenza, forestiero, annuale (con parecchie eccezioni), soggetto a innumerevoli restrizioni e ad assidua vigilanza perchè non fosse indotto a parteggiare, rigorosamente tenuto all'osservanza degli statuti, vincolato nelle sue decisioni al parere di consiglieri rappresentanti tutti e soltanto gli interessi in gioco, sindacabile e responsabile, è il primo ad essere sacrificato dalla parte, e con lui tutti gli ufficiali del Comune, da che (1253) uno statuto impone «ut nullus qui non sit de parte Ecclesiae habere possit aliquod officium». Il podestà giurava sul Vangelo alla presenza dell'Abate e degli anziani, di reggere e governare la città ed il comune "in buona fede e senza inganno i militi e il popolo di Brescia" (più tardi si aggiunse "e di tutti i Bresciani e i distretti che sono ed erano fedeli e devoti di detta Chiesa e di detto Signor Re (Carlo d'Angiò n.d.r.) e di giurare su tutto questo ecc." e più tardi ancora "e il distretto di Brescia e le singole persone e soprattutto le vedove, gli orfani, i bambini e i miserabili"). Tale giuramento doveva leggere e farsi leggere ogni mese. Era vietato a lui e al suo seguito di condurre con sè qualsiasi parente. Era pagato ogni mese con la trattenuta del salario dell'ultimo mese corrisposto solo dopo il rendiconto finale. Doveva trovarsi ogni giorno in officio ad ore determinate ricevendo qualsiasi persona che lo chiedesse. Giurava di espellere entro otto giorni dal suo giuramento "catari, leonisti, speroniti, circoncisi, arnaldisti e tutti gli eretici di entrambi i sessi" e di farli iscrivere nel libro dei banditi perpetui, ed espellere inoltre le meretrici. Giurava anche di non avere al suo seguito nessun tedesco o cremonese (essendo Cremona ritenuta città nemica). Non poteva allontanarsi dalla città o dal territorio senza il permesso del Consiglio Generale. Gli era prescritta la conservazione scrupolosa degli Statuti comunali, e quella delle chiavi del cassone ferrato contenente le Santissime Croci. Gli era proibito il gioco, tanto in casa come nel palazzo del Comune o in qualsiasi altro luogo dove si giocasse d'azzardo. Eletto che fosse, il Podestà non poteva essere assolto dall'osservanza di qualunque altro statuto, nè dal Papa nè da qualunque suo legato, se non con il consenso del Consiglio in cui fossero presenti almeno trecento uomini; contravvenendo perdeva lire 100 imperiali del suo salario. Il Podestà doveva condurre con sè cinquanta guardie di polizia a piedi, venticinque militi a cavallo, sei giudici, uno dei quali buon letterato, tre cavalieri e dodici domicelli (scudieri nobili a cavallo), otto "Capiferos et coqui et coquorum", il suo stipendio era di lire imperiali 2.600 in buona moneta bresciana. Finito il loro incarico apponevano il loro stemma all'interno del Broletto. Degli stemmi cancellati dalla furia giacobina nel 1797 ne sono rimasti visibili solo due: quello di Romengo Casati e di Fantin Dandolo (1427). Dal 1276 al Podestà venne accompagnato con durata di un anno un Capitano del Popolo (Raniero Pontini) con il compito di reggere e comandare la milizia comunale in guerra e nei tumulti popolari mentre le cause civili e penali erano affidate al Collegio dei Sindaci.
Con il declino lento ma continuo del comune, del libero comune medievale, nel sec. XIV sotto il dominio delle signorie straniere (Scaligeri, Visconti, Malatesta) anche il Podestà, da rettore supremo dello stato comunale, liberamente eletto nei comizi popolari, perdette la sua antica fisionomia giuridica per diventare soltanto un alto funzionario imposto dal signore a regolare tutta la vita politica, economica, militare e finanziaria della regione. Come sottolinea P. Guerrini il podestà scaligero, visconteo e malatestiano del trecento e del primo quattrocento non è più il Podestà del duecento; è un semplice prefetto, non un presidente di repubblica, è una emanazione del potere centrale e lontano della corte di Verona, di Milano o anche di Brescia durante la breve signoria del condottiero romagnolo, non la libera espressione delle libertà civiche e del suffragio popolare. Ma è il maggiore responsabile "governativo" della provincia.
Sotto Venezia il Podestà come il Capitano, designati col nome di Rettori, ebbero attribuzioni completamente diverse da quelle dei Podestà e Capitani del Popolo del Comune medievale. Il Podestà, sottolinea Paolo Guerrini, teneva il primo posto col mandato di vegliare sulla pubblica sicurezza, sul buon costume, sul culto, sulle corporazioni regolari e laicali, sulle scuole di carattere religioso e benefico, sulle arti e mestieri, sul commercio, sulla sanità pubblica, sull'annona, sulle acque e le strade; aveva inoltre competenza sulle cause civili e criminali, e presenziava a tutte le sedute del Consiglio Generale e del Consiglio Speciale del comune di Brescia, prendendo posto prima dell'Abate e dei Deputati di Banca, che rappresentavano la città. Era quindi, secondo la nomenclatura burocratica moderna, Prefetto, Questore, Procuratore del Re, Presidente del Tribunale e Presidente del Consiglio dell'Economia, incentrando in sè tutte queste attribuzioni politiche, giudiziarie, amministrative con unità di indirizzo. Il Podestà dava udienza ogni giorno non feriato nel suo palazzo di residenza, riceveva le petizioni e i ricorsi, le denunzie, le querele, decidendo in materia civile e criminale entro certi limiti fissati dagli Statuti e dalle consuetudini. Era assistito e aiutato in queste molteplici e delicate mansioni da alcuni ufficiali della sua corte podestarile, che egli si conduceva con sè da altre città, e che partivano con lui dopo finito il biennio legale di reggimento. Il Vicario Pretorio ne faceva le veci, il Giudice o Assessore della Ragione presiedeva i processi, il Giudice del Maleficio era il giudice istruttore che inquisiva e riferiva sulle denunce, specialmente di carattere criminale. La corte era completata da uno o più Cancellieri e scrivani, che compilavano gli atti della Cancelleria Pretoria.
Le sentenze del Podestà potevano essere appellate o al locale Collegio dei Giudici o al supremo tribunale della Quarantia di Venezia, ma l'istruttoria dei delitti politici doveva essere direttamente mandata a Venezia, al Consiglio dei Dieci, unico competente tribunale per la difesa dello Stato. Al Capitano era invece riservata la competenza finanziaria, fiscale e militare e la sorveglianza sulle fortezze di confine, sulle truppe, sulla Camera o Tesoreria governativa, affidata alle cure di due Camerlenghi. La figura del Podestà era dunque la figura preminente nella vita civile, come quella del Vescovo nella vita religiosa. Podestà e Capitano duravano in carica due anni, entravano quasi sempre insieme e insieme uscivano, accompagnati talvolta dalle loro famiglie, e sempre dai loro ufficiali e collaboratori; sulla loro amministrazione dovevano mandare un lungo e particolareggiato rapporto al Senato di Venezia. Il Podestà aveva rapporti quotidiani con gli Amministratori del Comune di Brescia, l'Abate e gli anziani, emanazione del Consiglio Generale.
Con provvisioni del 9 giugno 1480 venne emanata una precisa regolamentazione sia per i podestà che per i vicari. Stabilito l'obbligo della continua residenza (in caso di abbandono di posto veniva decurtato lo stipendio), si proibiva ogni forma di attività commerciale, ogni legame ed interesse economico con i sottoposti; si vietavano il concubinaggio, il gioco (dadi, tavolette, scacchi, trionfi), qualsiasi ostentazione di sfarzo o tenor di vita che diminuisse la dignità e il prestigio di un giusdicente; non potevano assumere e tenere presso di sé funzionari a loro legati di parentela od indigeni, ma soltanto cittadini di Brescia; dovevano mantenere in ogni occasione il punto della loro precedenza su qualsiasi persona del luogo, tutelare il nome di Venezia e della patria e soprattutto mai arrendersi al nemico, in caso di guerra, pena la decapitazione. Una lunga formula di giuramento li impegnava alle loro responsabilità. Dall'elenco dei podestà veneti, scrive Paolo Guerrini, "splendono i nomi più illustri della oligarchia veneta: alcuni di questi Podestà salirono alle più alte cariche dello Stato, alle ambasciate, al Senato, al Consiglio dei Dieci, al trono ducale. In essi la memoria e i ricordi della nostra città fedelissima rivivevano nella Dominante, fra gli splendori del palazzo ducale".
Il Podestà veneto risiedette come quelli dei periodi precedenti in Broletto, ma quando questo palazzo divenne sede del Capitano e del governo veneto, il Podestà per i rapporti quotidiani con l'amministrazione comunale emigrò con questa in varie case di affitto dei Martinengo in contrada Calzaveglia nel luogo dove poi sorse l'attuale palazzo Calzaveglia. Nel 1432 occuparono il "palazzo vecchio" che era stato dei Malvezzi e del conte di Carmagnola (nell'attuale via Dante) dove vennero concentrati tutti gli uffici del governo della città e dove il Podestà rimase fino al 1596 anche dopo che gli uffici di giustizia e il Capitano vennero dal novembre 1500 trasferiti in Broletto. Approdo del 1596 fu il palazzo della Loggia che rimase sede permanente del governo amministrativo della città. Il vicario del podestà abitò per qualche tempo nelle case dei Brusati in contrada della Pallata.
Con l'avvento del Dominio Veneto il territorio bresciano venne diviso in tre Podesterie maggiori, in tre minori oltre che in tre vicariati maggiori e in dieci minori.
Le PODESTERIE MAGGIORI furono: Breno, con tutta la valle sino a Pisogne sul lago d'Iseo, Salò con la Riviera e buona parte della Val Sabbia (i paesi cioè posti sulla sinistra del fiume Chiese e precisamente Hano, (oggi Capovalle), Treviso, Provaglio, Vobarno e Roè Volciano), Asola col suo contado erano le tre podesterie maggiori e ivi, oltre al podestà bresciano, sedeva anche un Provveditore veneto, con funzioni di capitano. Avevano quelle terre i loro Statuti ed i loro Consigli generali, dai quali si nominavano i titolari delle cariche minori, senza attributo di nobiltà, ma solo di cittadinanza, con diritto di portare stemma. Le tre PODESTERIE MINORI erano Chiari, Palazzolo e Lonato, ma queste erano rette dal solo podestà bresciano alla stregua dei vicariati. Intorno alla prima metà del Trecento, il territorio bresciano (ad eccezione delle terre feudali) cominciò ad essere suddiviso in Quadre podestarili ed in Vicariati onde garantire il controllo nell'amministrazione della giustizia, far rispettare gli adempimenti fiscali, per la retta applicazione delle regole commerciali, di quelle inerenti alla beneficenza, delle consuetudini locali ed infine per il controllo politico-militare degli ordini superiori impartiti alla periferia del territorio. Queste giurisdizioni territoriali erano presiedute dai Podestà che nelle Quadre maggiori potevano giudicare in civile e in criminale, nelle minori solo in civile; e dai Vicari maggiori e minori che potevano giudicare solo in civile e fino ad una somma di lire 5 planet. La durata dell'incarico podestarile era generalmente di un anno, ma talvolta era prolungato di qualche mese; le nomine erano di esclusiva competenza di organi particolari del Dominio centrale, ma dal 1444 nel territorio bresciano furono solamente "cives" bresciani scelti dal Consiglio Generale della città di Brescia tratti a sorte dagli elenchi dei candidati alle future cariche, compilati dai consiglieri del Consiglio generale di Brescia. Salvo cause di forza maggiore dimostrabili il candidato estratto non poteva rifiutare la carica assegnatagli. Il podestà normalmente presiedeva le assemblee comunali del capoluogo di Quadra ed era in sua facoltà suggerire i provvedimenti o "provisiones" . Prima di iniziare la loro attività, nelle sue mani giuravano gli incaricati di pubblica amministrazione, i consiglieri del consiglio generale e quelli del consiglio speciale, gli "adiuncti in consilio", i consoli bimestrali, i massari, i rationatores, gli extimatores, i ministrali, i campari, i notai, il cancelliere comunale. In quanto rappresentante locale del governo centrale e responsabile della amministrazione della giustizia egli presiedeva ogni assemblea in cui si richiedeva maggior importanza e dignità all'avvenimento, ma specialmente dirimeva le molteplici contestazioni derivanti quasi sempre dalle carature fiscali attribuite all'una o all'altra classe dei cittadini per le numerose sovvenzioni richieste dai mille rivoli della pubblica spesa; garantivano la liceità delle procedure per il rilevamento degli "imbottati" e ogni altra questione relativa alle varie gestioni. Egli applicava le leggi correnti della città capoluogo del territorio, ma anche le leggi consuetudinarie del capoluogo di Quadra se esistevano Statuti locali e privilegi o esenzioni riconosciuti dal Governo centrale. Dal 1426 al 1440 le sette podesterie maggiori ebbero a capo, salvo quella di Palazzolo, un patrizio veneto e godettero di una completa indipendenza giurisdizionale, sia civile che criminale, dai tribunali di Brescia (ad eccezione sempre della comunità palazzolese ed ovviamente di Asola e di Lonato che in quegli anni erano sotto la dominazione gonzaghesca), risentirono dopo il 1440, e particolarmente quelle di pianura, di un maggior influsso di Brescia. Esse, infatti, anche se godevano, sulla base della documentazione, della separazione dal capoluogo, dovevano ricevere ogni anno un podestà bresciano. Inoltre Chiari, Palazzolo ed Orzinuovi, in seguito alle decisioni prese da Venezia all'inizio degli anni Quaranta, mantennero una giurisdizione esclusivamente civile. Diverso il caso dei podestà di Lonato ed Asola, che avevano un'ampia competenza anche nel criminale: Asola soprattutto si dimostrava indipendente da Brescia in quanto gli appelli delle cause civili e criminali dovevano essere portati a Venezia e non presso i tribunali cittadini. Il titolo di podestà tornò con le riforme antigiacobine e antiliberali napoleoniche del 1805 quando la città venne affidata ad un collegio di sette savi e un consiglio comunale scelto fra i cento maggiori censiti della città e con a capo il podestà che fu per primo Luigi Pitossi e che ebbe ampi poteri secondo il pensiero di Napoleone per il quale: "L'amministrare è affare di uno". Il titolo rimase poi sotto il Lombardo-Veneto ai capi della Congregazione comunale. Il podestà veniva nominato dall'Imperatore su proposta dei consigli comunali.
La figura del Podestà tornò nel 1926 (con la Legge del 4 febbraio 1926 n. 237 e R.D. del 3 settembre 1926 n. 1910) e costituì magistratura unica del comune con le funzioni in precedenza attribuite al sindaco, alla giunta e al consiglio comunale: (con unica eccezione il comune di Roma, retto da un governatore). Il Podestà era nominato con decreto reale e durava in carica 4 anni, ma alla scadenza poteva essere riconfermato. Al suo fianco venne istituito, almeno nei comuni principali, un organo collegiale, la consulta municipale, con funzioni però meramente consultive. Pur nominati dal Ministero degli Interni su indicazione del P.N.F. la scelta del Podestà cadde quasi sempre su persone stimate, come scriveva il Popolo di Brescia il 29 agosto 1943, in epoca badogliana «per devozione alla città, per decoro e dignità».
Furono podestà dal 15 dicembre 1927 Piero Calzoni (già commissario prefettizio) con vice podestà l'ing. Guglielmo Fanti e il co. Fausto Lechi, sostituito nel 1929 da Gianni Comini. Calzoni venne riconfermato il 14 dicembre 1931. Il 27 marzo 1933 venne creato podestà Fausto Lechi (vice podestà Osvaldo Bolis, ing. Buffoli, Gino Rovetta). A Fausto Lechi, dopo un periodo commissariale dal gennaio 1937, successe nel settembre 1937 l'avv. Piero Bersi, sostituito il 6 febbraio 1941 da Innocente Dugnani (vice podestà l'avv. Piero Castiglioni). Dopo nuovi commissariamenti il 21 novembre 1944 venne nominato podestà Ruggero Friggeri (vice podestà Luigi Deretti e Tullio Tondini). Nel frattempo con D.L. Luogotenenziale del 7 gennaio 1946 n. 1 erano state ricostituite le amministrazioni comunali su base elettiva ed abolita la magistratura del Podestà e si ritornò al sistema, con l'elezione democratica di sinistra in atto prima delle riforme del 1926 che ebbe applicazione con le elezioni amministrative del 1946.