TRENZANO

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TRENZANO (in dial. Trensà, in lat. Terentianum)

Centro della pianura occidentale, sorge con pianta dispersa alla convergenza di diverse strade vicinali, a 2 km a E della statale di Orzinuovi, a SO di Lograto e a NE di Pompiano, in un territorio percorso da numerosi canali irrigui. Si stende in una zona ricca di sorgive (o fontanili) e rogge. A O del capoluogo, presso la roggia Ariazzale, sorge la frazione principale di Cossirano. È a m. 108 s.l.m., ha una superficie comunale di 19,58 kmq ed è situato a 19 km da Brescia. Frazioni (loro distanza dal centro del Comune): Cossirano km 2, Bettolino km 2, Cacce km 1,50, Fenilazzo km 1,70, Molinazzo km 0,800, Pieve km 2, Vicina Sopra km 2,20, Vicina Sotto km 1,70, Vicine Convento km 2. Terrentianum nel sec. XI, Trencianum nel sec. XII, Trenzano nel 1286. Ecclesiasticamente è parrocchia autonoma della zona VIII, Bassa Occidentale, dell'Oglio. Nell'ambito comunale vi è la parrocchia autonoma di Cossirano.


Difficile è fissare in cifre l'entità della popolazione. Dai dati che possediamo, nel 1493 gli abitanti erano 750. Finite le continue guerre e quietatesi le ripetute pestilenze nel 1565, gli atti della visita pastorale del vescovo Bollani registrano ben 1300 persone di cui 900 comunicati. Nella visita del Pilati gli abitanti salgono a 1380. La terribile peste (detta di S. Carlo) del 1576-1577 decimò senz'altro la popolazione che nel Catastico del Da Lezze del 1610 compare ridotta a 800 anime. Nonostante il nuovo flagello della peste del 1630 (detta del Manzoni), nel 1650 venivano registrati 1050 abitanti. Dopo la crisi economica della seconda metà del '700, nel 1792 essi erano scesi a 993.




ABITANTI (Trenzanesi): 750 nel 1493; 1300 nel 1566; 1380 nel 1572; 1800 nel 1580; 1000 nel 1600; 1050 nel 1658; 1104 nel 1775; 975 nel 1791; 1500 nel 1848; 2178 nel 1861; 2346 nel 1871; 2393 nel 1881; 2842 nel 1901; 3270 nel 1911; 3515 nel 1921; 3885 nel 1931; 3865 nel 1936; 4439 nel 1951; 3703 nel 1961; 3634 nel 1971; 4036 nel 1981; 4478 nel 1991; 4816 nel 2000; 4858 nel 2001; 4986 al dicembre 2004.




Il nome viene fatto derivare da un ipotetico Terentius, un patrizio romano, che ricorre in iscrizioni bresciane come proprietario di un fondo detto appunto "fundus Terentianus", mentre alla famiglia Cossia è riferito il nome di Cossirano. Il territorio era infatti compreso nella centuriazione romana, cioè nella ripartizione della terra ai legionari romani imperiali smobilitati: il non lontano Travagliato era attraversato dal decimo decumano e dal quarantunesimo cardine. Secondo P. Guerrini era attraversato dalla strada romana detta poi Rudiana che congiungeva la pianura bresciana con Rovato e il lago d'Iseo. Del resto negli anni 1939-1940 vennero, nei pressi della cascina S. Stefano, rinvenute tombe ritenute romane, purtroppo presto scomparse. Altre trenta tombe circa, con abbondante corredo e ritenute di epoca tardo-romana, vennero ritrovate nel 1958 in una cava presso il "Convento" ai confini tra Castrezzato e Trenzano. Segni questi di quanto la zona fosse già popolata fin dai tempi antichi. Accettando come plausibile l'ipotesi che le pievi cristiane abbiano combaciato con i pagi preromani e romani, Trenzano sarebbe stato il centro di un pago, e perciò perno della vita religiosa civile, sociale e economica di una vasta zona, che poi assunse importanza come nucleo della evangelizzazione e della organizzazione del Cristianesimo quando vi venne costituita una pieve, che ebbe subito vasta giurisdizione assorbendo le funzioni stesse del pago precedente. Era opinione di don Calimero Cristoni, archivista vescovile agli inizi dell'800, che la pieve, fosse stata istituita da «qualche prencipe Duca o Conte de' Longobardi che abbia dominato Brescia". In effetti la dominazione longobarda è testimoniata nel territorio da toponimi come Berzago, poi Bilzago (nel significato di luogo con siepe appartenente al re-duca), Cacce (da galoagium o galoregium), nome dato ad una cascina. Centro della pieve fu la "Basilica alba" ricordata in documenti del sec. XII, denominazione ovviamente derivata dal fatto che fosse costruita con pietre bianche, che bianca fosse dentro e fuori e che si distinguesse perciò fra le distese dei campi. Ma "albus" venne anche usato ad indicare primo, principale e prima la chiesa di Trenzano fu per un vasto territorio, matrice di altre chiese poi parrocchiali, fra le quali sicuramente quelle di Cossirano, Corzano e Maclodio, ma forse anche di Travagliato, Castrezzato, Castelcovati, Comezzano, Berlingo. La pieve creò, oltre a cappelle sparse per il territorio, anche piccoli organismi assistenziali, che, nell'attuale territorio parrocchiale, si possono individuare in una diaconia, che prese il nome di S. Stefano, presso la cascina che porta ancora tale nome e dove fino a decenni fa esistevano i resti di una chiesa dedicata al santo, e in uno xenodochio, cioè in un ospizio per pellegrini, poco lontano dall'antica via romana, individuabile nel toponimo "Sanaloco" esistente nell'attuale via Damiano Chiesa. Stesso toponimo, indicante una analoga istituzione caritativa, si trova a Cossirano.


Il ruolo della pieve copre per parecchio tempo i più vasti aspetti anche sociali ed economici, come dimostra il fatto che all'arciprete di Trenzano, il nob. Giovanni Pontoglio cancelliere vescovile, viene affidata nel 1255, al tempo del podestà Giovanni Ichino "miles mediolanensis", la trascrizione del codice del "Liber Potheris Civitatis Brixiae", nel quale ebbe a registrare i documenti del Comune di Brescia dal 1039 al 1254. Sostituitisi come "domini", cioè signori, a quelli longobardi i franchi, il vescovo di Brescia dovette assegnare al capitolo della cattedrale e ai monasteri bresciani almeno parte delle terre. Così, ad esempio, decime di terre riscattate o nuove e beni feudali venivano concessi dal vescovo Villano (1116-1132) al monastero delle monache benedettine di S. Pietro di Fiumicello, dal quale passarono poi al monastero dei SS. Cosma e Damiano di Brescia. Probabilmente nel territorio trenzanese ebbe beni il monastero di S. Giulia. Un documento del 7 aprile 1187, che registra l'obbligo, da parte di alcuni trenzanesi, di corrispondere al monastero di S. Giulia agnelli per decime, potrebbe indicare lontane sudditanze al grande monastero di origine longobarda. Più tardi vi ebbe beni, fra i quali la chiesa di S. Stefano, il monastero di Rodengo. La curia vescovile continuò comunque a rafforzare, tra il 1282 e il 1292, il suo patrimonio attraverso acquisti e permute di beni allodiali. In tali anni risulta, come notaio della corte del vescovo Berardo Maggi, un Jacopo da Trenzano, mentre il chierico Bellebono della pieve di Trenzano è chierico al seguito dello stesso vescovo. I Maggi aumentarono sempre più i loro beni familiari dei quali con testamento del 4 settembre 1319 Franceschina qd. Maffeo Maggi faceva erede Galeotto Maggi. Monasteri, affittuari, feudatari incominciarono e continuarono una vasta opera di bonifica e di progresso agricolo attraverso la costruzione di canali di irrigazione e di rogge fra le quali la Trenzana, già documentata nel 1381. Si riscattarono lame ed acquitrini e si edificarono nuove cascine. Il grande risveglio economico-sociale del sec. XII e dei secoli seguenti diede consistenza e definitiva fisionomia al nuovo paese ed impresse un crescente sviluppo all'economia agricola della zona.


Probabilmente le opere di difesa erette specialmente durante le ultime invasioni barbariche (Ungari, X sec.) si trasformarono via via in un borgo fortificato chiamato Castello. Ben visibile nella mappa del Catasto napoleonico a SO della chiesa parrocchiale, doveva essere ancora in buono stato nel XVII secolo, pur non avendo più grande rilevanza strategica. Nel 1610 il Da Lezze lo descrisse infatti come «...un Castello da una parte della terra verso sera, circondato da muraglia, et fossa con la sua porta, di circuito de passi 150, dentro del quale vi sono molte case habitate»: un piccolo borgo ancora chiamato Borghetto, cui s'aggiunse una cappella dedicata a S. Giorgio, protettore tanto della gente d'armi come di quella dei campi. Qui prese consistenza la Vicinia, che, ancora alla fine del '700, si riuniva nel Castello. È interessante il rilievo di Ottavio Rossi (vedi "Elogi storici" p. 144) che a Trenzano, come in città, due porte si intitolassero a S. Stefano ed a S. Maria di Betlem. I piccoli agglomerati abitati sparsi nel territorio della pieve trovarono, specialmente dopo le ultime invasioni barbariche del sec. X, dei poli sempre più consistenti in vari centri che costituirono i vari paesi di Maclodio, Cossirano, Travagliato ecc. Quello di Trenzano sorse più a S della Pieve tra l'antica strada romana e l'incrocio detto della forca, in località Valpersa, dove poi sorse la chiesa di S. Giorgio, futura parrocchiale. Il fatto è che nel sec. XII Trenzano ha un suo ruolo di notevole evidenza. L'1 marzo 1180 il notaio Gallo da Trenzano è rogante dell'atto di vendita da parte del conte Ruffino da Lomello al Comune di Brescia delle sue proprietà di Mariano, Mosio e Redondesco. Nel 1186 Giovanni Forbitus di Trenzano è chiamato a nome del Comune di Trenzano a dar prova di essere fra i possidenti di "cavete" nel comune di Pontoglio. La pieve consolida il suo patrimonio economico, il vescovo stesso e i monasteri infeudano delle loro terre passate ad essi i loro fattori o vassalli, fra i quali hanno sempre più prestigio i Ducco, ai quali il vescovo affida la raccolta delle decime della pieve e di altre terre e che poi allargano sempre più la loro potenza economica. Da loro diramano, e accanto a loro prendono sempre più importanza, altre famiglie e nobili come i De Cathaneis che prendono il nome di Fisogni, i Coradelli ai quali si aggiungono i Maggi, i Baitelli (provenienti dalla Valsassina), i Castelli, i Mazzola e anche i Martinengo proprietari della cascina Conta. Pur senza accettare la notizia di Ottavio Rossi ("Elogi storici", p. 23) di un Opizone Fisogni da Trenzano come uno dei capitani della Crociata condotta da Goffredo da Buglione del 1096 assieme ad Ottone della Garza, Andrea Ballio, Terzo Lavellongo ecc., è certo che, sui possedimenti vescovili come su quelli del capitolo e dei monasteri, questa classe di imprenditori che diventano cittadini e perciò nobili diventa protagonista di una specie di vera rivoluzione agraria attraverso bonifiche e costruzione di rogge. Antichi possedimenti ebbero anche i Martinengo, se fin dal 1032 Lanfranco lasciava alla chiesa di S. Alessandro di Bergamo alcuni suoi beni in Trenzano.


Lo sviluppo economico della zona è testimoniato dall'acquisto nel 1383 da parte di vari consorti di Trenzano di metà dell'acqua di una seriola denominata Galbena derivata dall'Oglio, nel Comune di Pontoglio e pochi anni dopo dallo scavo della roggia detta Trenzana. Questo lento ma tenace progresso ebbe la sua sanzione il 5 dicembre 1392 quando il Conte di Virtù decretò che gli ex contadini di Trenzano, "ora cittadini di Brescia", fossero tenuti alle "gravezze" (cioè alle tasse) del Comune, per il passato, presente e futuro. Tale legame verrà l'8 novembre 1497 ribadito dalla Repubblica Veneta che confermerà tali obblighi. In base a questi documenti si è pensato di fissare al 1392 la data della fondazione del Comune di Trenzano. Data che certo non segnò solo un punto di arrivo, ma anche di partenza per un più ampio e sicuro progresso. Entrato a far parte con Regosa della Quadra di Chiari, Trenzano registra un notevole sviluppo economico-sociale e specialmente agricolo per merito, oltre che dei Ducco, dei Fisogni, dei Coradelli, dei Federici, dei Castelli, dei Baitelli, dei Mazzola, dei conti Martinengo, di alcuni affittuali e piccoli proprietari (Sandrini, Falidi, Paratici, Pandolfi, ecc.) e di una folla anonima di salariati tanto da far scrivere nel 1610 al Da Lezze nel suo Catastico che la campagna trenzanese era «fertilissima, cavandosi buona biava et vini et si semina anca quantità di lini». Egli aggiunge che «sono di valuta li piò migliori vicini alla terra de duesento ducati; gli altri valgono inferiormente entrandoci molte praderie, che puono ascender in tutto a piò n. 400 in circa». Il progresso economico del paese era già nel sec. XIV testimoniato, oltre che dalla fortuna che alcune famiglie ebbero e al prestigio che raggiunsero, anche dalla presenza di numerosi artigiani trenzanesi in città e dintorni, come testimoniano molti documenti pubblicati dal Putelli. Accanto a trenzanesi affittuari di terra a S. Bartolomeo nel 1372, a Brescia, tra gli originari, troviamo "draperii" (cioè tessitori) nel 1347 e nel 1351, fornai nel 1387, orefici nel 1420, calzolai nel 1422, pellettieri nel 1450. In compenso l'artigianato e il commercio si sviluppano anche a Trenzano. Nel 1603 vi è un aromatario; l'estimo mercantile del 1750 annovera a Trenzano commercianti, un oste, due molinari, un prestinaro e inoltre tra gli "artisti" un medico, un chirurgo e tre "sarti da contadini". Tale sviluppo continuò poi nei sec. XVI-XVIII, sia pure con alterne vicende dovute a pestilenze, carestie ecc. Un segno della nuova agricoltura sono le cascine sorte nella campagna e la caratteristica Torre Ducco, che già nel '500 si ergeva a N del paese, simbolo di prestigio economico e di potenza sociale.


Sebbene alquanto fuori delle vie di scorrimento più importanti percorse da eserciti e da mercanti, Trenzano non sfuggì a momenti difficili e ad avvenimenti di un certo rilievo. Nel 1427 il territorio venne percorso dalle truppe di Filippo Maria Visconti che si scontrarono poi a Maclodio con l'esercito veneto al comando del Conte Carmagnola nella celebre battaglia che assicurò a Venezia il dominio del Bresciano per tre secoli e mezzo. Secondo il Rossi ("Elogi storici", p. 139) un Fisogno di Trenzano (che aveva sposato Stefanina Chizzola sorella di Maffeo Chizzola) per alcune lettere inviate nel 1438 da Maffeo Chizzola alla sorella, risultava in contatto con i ghibellini fuorusciti e venne mandato al "supplizio" e poi, dopo morte, riabilitato. Nel settembre 1441 pose gli alloggi del suo esercito con 10.000 cavalli Francesco Sforza prima di dirigersi su Brescia. Il 20 settembre 1448 poneva a Trenzano l'accampamento delle sue truppe milanesi con 10 mila cavalieri e molta fanteria lo Sforza, che presto levò per raggiungere, attraverso Roncadelle, Brescia per porvi il celebre assedio. Lo Sforza con il suo esercito ritornava ancora nell'ottobre 1453. Terminate le guerre e rafforzatosi il dominio veneziano, da piccolo villaggio di 750 abitanti nel 1493 Trenzano raddoppia la sua popolazione raggiungendo, nel 1565, 1300 abitanti e, nel 1572, i 1380. La peste del 1576-1577 falcidiò la popolazione riducendola a 800 abitanti. Come altrove anche Trenzano conobbe il flagello del banditismo o bulismo. Il fatto che il clero indichi pochi inconfessi non significa che la vita a Trenzano sia sempre stata moralmente idilliaca. Non sono infatti rari i contrasti, le liti e le rivalità sanguinose. Per fare solo degli esempi, nei primi giorni del febbraio 1592 vennero ammazzate due persone e al delitto, segnalato da campane a martello, seguirono pericolose sparatorie. Ai primi di giugno del 1622 il nob. Agostino Coradelli veniva bandito perché raggiunta Brescia aveva ucciso o fatto uccidere addirittura in prigione un altro nobile di origine trenzanese, Claudio Baitelli. Liberato dalla prigione nel febbraio 1630 un altro Coradelli feriva suoi avversari. Alla metà di luglio del 1628 vennero ammazzate a Trenzano, con archibugiate, alcune persone. Del delitto fu imputato tra gli altri Francesco Sandrini, colpito dal bando il 23 dicembre successivo, destinato a cento miglia oltre i confini e colpito da confisca straordinaria dei beni e condannato ad esser "tanagliato", tirato a coda di cavallo e squartato. Nella stessa circostanza furono confinati in prigione anche alcuni aderenti al bandito Tomaso Capitanio.


Il paese non venne risparmiato da altri frequenti flagelli quali le epidemie. La peste del 1630 costrinse il medico nob. Antonio Ducco a lasciare la città, per rifugiarsi nella Torre di famiglia, sua abitazione, alla Pieve (ora Cascina Guzzago), dalla quale lo richiamarono le autorità cittadine perché compisse il suo dovere di responsabile della organizzazione sanitaria di Brescia, dove per altro diede prova di alta professionalità. Dalla scena che si vede raffigurata nella pala dedicata a S. Nicola di Tolentino nella chiesa parrocchiale si può arguire quale segno abbia lasciato nella vita del paese la peste. La ripresa tuttavia è pronta, per cui nel 1658 gli abitanti salgono a 1050 mantenendosi poi su tale cifra per decenni. La parentesi della guerra di successione spagnola provoca nel 1701-1707 nuovi danni e momenti di paura e vede spesso la soldataglia spogliare il paese e le campagne di ogni bene e la chiesa stessa delle suppellettili.


Pur tra pestilenze, guerre e duro lavoro non mancano segni di progresso. La istruzione elementare vi giunge nel Cinquecento. È, infatti, nel 1566 che l'arciprete Zanchi promette al vescovo Bollani d'aprire una scuola per ragazzi e di insegnare loro i rudimenti della fede. La stessa intimazione il vescovo rivolge al cappellano dello Zanchi, don Andrea Maggi. Non abbiamo trovato documenti per fissare quando tale scuola fosse stata aperta. Nel 1665 erano in funzione due maestri: un sacerdote e un laico. Una scuola garantita da capitali si ebbe solo nel secondo decennio del '700 quando, tra le varie disposizioni testamentarie, il 12 luglio 1718, don Giovanni Battista Inverardi dopo aver provveduto ai parenti dispose che "tutta la sua facoltà", che al tempo della sua morte sarebbe rimasta "libera e purificata", servisse per costituire «un capitale e con la rendita di questo si formi un onorario che sarà creduto conveniente per mantenimento di un maestro, il quale faccia la scola a tutti i figlioli poveri di questa terra di Trenzano per carità e di quello che resterà di sopra più delle suddette intrade, habbiano a farsi celebrare tante messe per suffragi dell'anima sua ed di quella della sua famiglia». Anche la carità e solidarietà sociale sono presenti. Alla fine del Cinquecento viene fondato il Monte di Pietà o del miglio che nel 1601 dispone di quarantadue salme di miglio e viene amministrato dai confratelli del SS. Sacramento. Nel Settecento, ma forse anche antecedentemente, funziona una "Compagnia dei poveri" che verrà beneficata anche dall'arciprete Galvani. Per vari decenni lungo il sec. XIX non si registrano avvenimenti di rilievo. Da ricordare, il 12 novembre 1856, la caduta, fra lo spavento della popolazione, di un bolide che, conservato nelle raccolte dell'Ateneo di Brescia, venne il 5 giugno 1889 venduto a certo dott. Eger per lire 5.075 (una lira al grammo) che i giornali pensavano destinato al Museo di Vienna. Nei primi decenni dell'unità nazionale la linea della vita amministrativa e politica è, per parecchi anni, orientata al moderatismo, interpretata, la prima, in particolare, dai Remondina e, la seconda, dal senatore Gian Giacomo Morando. Sono un'eccezione le singolari manifestazioni nell'agosto 1893 per i "macelli" di operai italiani di Aigues Mortes in Francia. Tuttavia dominano la più diffusa povertà, la malaria, la pellagra e non poche volte si presentano il vaiolo ed altri mali dovuti ad indigenza.


Tra le iniziative di un certo rilievo vi è la fondazione, nel 1897, per iniziativa di Giovanni Tonoletti, della Banda musicale che, scomparsa in breve tempo, verrà richiamata in vita nel 1904 dall'arciprete don Pietta. La ricorrenza centenaria dell'istituzione verrà ricordata nel 1997 dall'Amministrazione con una pubblicazione a firma di G. Ghilardi. Oltre ad un deciso incremento della vita parrocchiale si verifica anche un miglioramento nella situazione economica e sociale. L'arciprete Don Pietta incomincia nel 1904 con il promuovere l'erezione dell'asilo infantile, affidato alle Ancelle della Carità. A fianco di esso fa erigere un salone teatro nel quale nel 1911 colloca un laboratorio collegato con la ditta Ambrosi di Chiari, nel quale trovano lavoro una settantina di ragazze. Mentre si rafforza la lega bianca, nel 1911 ancora don Pietta promuove il "Circolo Concordia fra i giovani di Trenzano" che ha come scopo «di formare giovani che per religiosità e condotta morale siano un continuo esempio in paese» e di «iniziare in parrocchia il movimento sociale cattolico». Si dovranno a lui altre iniziative, tra le quali nel 1917 il Servizio pompe antincendio che serve anche parecchi comuni contermini. Sono i primi colpi d'ala del progresso civile dei paese, travagliato fino allora dalle dure condizioni economico-sociali nelle quali la maggior parte della popolazione versava. Sorgeranno ad opera di Pompeo Mazzocchi la Cascina Giappone ed il Fenile Tokio. Trenzano è fra i pochi centri della Bassa bresciana nei quali la lega bianca delle Unioni del lavoro riesce a prevalere sulla lega rossa. Dal 1912 al 1914 le campagne di Trenzano e Cossirano sono terrorizzate dalle turpi e assassine gesta di un individuo detto "el barbù" che verrà poi condannato per aver ucciso, oltre a due giovinette nel territorio di Trenzano, altre cinque in Valtrompia.


Scoppiata la guerra mondiale (1915-1918), Trenzano promuove, per opera delle maestre Zanetti e Contrini, il Comitato di soccorso per gli orfani e i soldati in guerra e altre iniziative in aiuto alla popolazione. Non è ancora finita la guerra che già si diffonde l'epidemia della spagnola che miete parecchie vittime. Assieme all'assistenza dei reduci già nel dicembre 1918 viene promossa per particolare iniziativa di don Pietta la costruzione di un monumento ai Caduti che verrà inaugurato con grande solennità il 1° giugno 1919 e che risulta tra i primi del tempo, in Italia. Il 1919 porta frequenti scioperi nelle campagne, che culminano nel settembre 1920 con l'intervento di soldati e della polizia. Per pochi anni la vita amministrativa e politica si articola su due poli, quello del Partito Popolare, presente fin dal 1919 e quello del circolo socialista. A lenire la disoccupazione la ditta Tempini apre in località Fornaci una piccola fabbrica di mattoni, mentre l'arciprete don Pietta promuove per la manodopera femminile un laboratorio di maglieria ed un bottonificio presto assorbito da industrie esterne, mentre per quella maschile continua l'emigrazione di edili per la Svizzera, le Americhe e la Francia. È ancora don Pietta a portare a Trenzano, utilizzando uno stanzone della canonica, il primo cinematografo e, soprattutto, è ancora lui a promuovere le prime case popolari a riscatto. L'amministrazione comunale riesce a realizzare, su terreno donato da Marina Isidora Remondina, il nuovo edificio delle scuole elementari con accanto quello nuovo, edificato su progetto del geometra Giuseppe Falconi, e l'asilo infantile. Segno di un certo risveglio culturale è la nascita della Filodrammatica Locatelli. È ancora don Pietta che si fa carico di aprire al Convento una scuola, sezione staccata delle Scuole Elementari, benedetta il 29 settembre 1924.


Ma lo spazio alla democrazia, che è andato allargandosi nel dopoguerra, già dal 1921, grazie ad un forte appoggio degli agricoltori locali, si va presto restringendo e nel 1922 il fascio riesce a rovesciare l'amministrazione popolare. Nel gennaio 1923 il Fascio Trenzanese inaugura, presenti centinaia di fascisti, il gagliardetto. Non mancano scontri fra fascisti e socialisti nei quali - come in quello avvenuto il 28 settembre 1924 - vi sono feriti. Un R.D. 29 novembre 1928 n. 2974 aggrega a Trenzano il comune di Cossirano. Tra le novità più importanti è l'apertura nel 1932 della linea Soncino-Rovato.


La seconda guerra mondiale segna duramente anche la vita di Trenzano. Costa giovani vite ma anche anni di gravi difficoltà economiche. Non mancano episodi di rilievo. Il 21 dicembre 1944 la popolazione è spettatrice della caduta di un caccia bombardiere anglo-americano. Perisce il pilota W.P. Anderson e l'incidente richiama la presenza di truppe tedesche che minacciano rappresaglie. Due giorni dopo, il 23 dicembre, sull'imbrunire 4 bombe cadono sulla linea ferroviaria Rovato-Orzinuovi in prossimità del paese. La stazione viene più volte mitragliata. Il 23 febbraio 1945 un aereo alleato colpisce un autocarro carico di frumento, uccide una donna e ferisce due degli occupanti. In nome della Resistenza, sotto la guida di don Barbetti e di don Bossoni, un gruppo di giovani entra in contatto attraverso don G.B. Belloli con il gruppo di Fiamme Verdi di Ospitaletto. In uno scontro a fuoco con le truppe tedesche in ritirata troveranno la morte, alla fine d'aprile del 1945, quattro giovani: i loro nomi sono ricordati nel monumento dei Caduti.


Il dopoguerra democratico vede decenni di guida amministrativa democristiana. Oltre al risanamento del bilancio, fin dal 1946 vengono avviati la sistemazione dei fabbricati scolastici e municipali e il loro ampliamento; vengono impiegati i disoccupati nel miglioramento delle strade, mentre molte risorse vengono spese nell'assistenza. Sono anni difficili, specie per la classe contadina: chiusura della Fornace Deretti, disoccupazione, superimponibile e salari insufficienti. Lo sfoltimento della manodopera contadina, la nascita negli anni '60 dei primi laboratori, la crescita del pendolarismo (in direzione di Brescia, di Milano, della Svizzera) creano nuove situazioni di sviluppo con la costruzione di case popolari, ristrutturazioni, miglioramenti di strade e di strutture pubbliche (fognature e depuratori), che culminano nel 1968, a seguito dell'interessamento dell'on. Pedini, con la costruzione della scuola media "G. Verga", che verrà poi ampliata e ristrutturata nel 1988), l'approvazione del Piano Regolatore e la costruzione di due parchi (a Trenzano e a Cossirano). Dagli anni '90 vengono ristrutturati e ampliati il plesso scolastico, sistemati i poliambulatori, urbanizzate con abitazioni l'area Giappone e con insediamenti produttivi l'area Torricella. Intensa, anche grazie alle nuove strutture, l'attività sportiva. Assieme al potenziamento dell'attività calcistica nel 1972 nasce Boxe Ring; nel 1980 nascono la Squadra sportiva U.S.O. Calcio e il gruppo Amici della Montagna; nel 1997 viene costituito il motoclub "Gli amici di Trenzano". Notevole importanza sul piano sportivo ha preso il Tiro al volo del Bettolino", aperto nel 1982, che ha visto sfilare campioni di rilievo in numerose gare e trofei. Viene istituita anche una scuola per giovani tiratori. Nel 1997 viene inaugurato il centro sportivo, comprendente un palazzetto, due campi di calcio, bar, bocciodromo, campi di tennis; nel 1998 viene fondata l'Associazione Polisportiva Trenzanese incaricata di gestire il centro sportivo. Nel 1998 vengono completate le fognature e affrontata la costruzione di un centro civico per ospitare associazioni, ambulatori, la Biblioteca Civica Popolare (istituita nel 1962), l'AVIS/AIDO (fondata nel 1978), l'Ambulanza (operativa dal 1985), l'Associazione Carabinieri in congedo, l'Associazione Alpini, il Corpo Bandistico "G. Verdi". Attiva è la sezione alpini che nel settembre 1998 inaugurerà la sua sede. Notevole sviluppo ha l'AVIS che il 4 giugno 1988 inaugurerà il monumento all'avisino, opera dello scultore Armando Peotta. Il 19 febbraio 1988 viene costituita la sezione carabinieri, nel 1998 la Sezione Benemeriti dell'Arma e nasce il Gruppo giovani agricoltori. Nei primi anni del 2000 viene avviato nell'ex campo sportivo un centro per anziani, viene restaurata la sede municipale, individuata un'area produttiva di 100 mila mq., progettato un centro diurno e la costruzione di una nuova piazza. In sviluppo, anche se più lento, lo spazio riservato alla cultura. Nel settembre 1976 ha inizio l'attività del Gruppo Teatro Aperto 3, che ha per animatore il maestro Giuseppe Consolandi. Nel 1992 viene istituito un "Premio regionale di pittura" a tema in coincidenza della festa di S. Gottardo che ha notevole successo e al quale si accompagnano per iniziativa di don Zupelli numerose mostre d'arte che trovano la loro sede nella galleria dell'Oratorio e alla Cappella gentilizia Ducco. È già alla sua terza edizione un importante Festival di musica jazz, con la partecipazione di artisti europei ed americani. Da ultimo va segnalata la notevole attività di ricerca storica, sociale, folcloristica, letteraria degli alunni della Scuola Media, coordinati dai loro insegnanti, che si è tradotta nella pubblicazione di significativi volumetti che illustrano il passato ed il presente di Trenzano. Nella festa di S. Gottardo 1987, negli ambienti oratoriani antistanti la chiesa parrocchiale, si ammirarono le tele delle chiese di Trenzano e Cossirano restaurate a spese del Comune per interessamento del sindaco Carlo Bocchi e dell'assessore Pierluigi Tregambi.




ECCLESIASTICAMENTE. Trenzano, come si è rilevato, fu antica pieve con centro nella "Basilica alba" ricordata in documenti del sec. XII. Nel tempo la pieve andò accrescendo la sua influenza economica anche più lontano dell'ambito plebanale tanto che nel 1179, come risulta da una pergamena della Biblioteca Queriniana, la chiesa di S. Maria e quella di S. Stefano e di S. Giorgio hanno beni al Grumetto di Rovato. Nel 1422 il Catalogo dei benefici della città e diocesi di Brescia assegnava un beneficio di 70 lire, mentre 48 ne godeva la chiesa di S. Giorgio, e 24 quella di S. Stefano. Nel 1532 il patrimonio della pieve era valutato sui 300 ducati (in confronto dei 120 di Travagliato e dei 150 di Lograto); sui 200 ducati nel 1540 e sui 400 nel 1560. Nel 1547 e 1549 per l'imposizione della tassa delle genti d'arme gli ecclesiastici possedevano 310 piò. Sappiamo che il beneficio era costituito di terre arative, a vigna e a prato e quasi tutte irrigate, di duecento "et ultra" piò, dal quale l'arciprete, nel 1566, riscuoteva 650 scudi e 2600 lire planette di affitti. Al nuovo arciprete, nominato nel giugno 1576, venivano assegnati duecento scudi d'oro con l'obbligo di mantenere un cappellano coadiutore con stipendio di 50 scudi d'oro e un chierico. Nel 1572 gli atti della visita di mons. Cristoforo Pilati registravano un reddito annuo di 100 ducati. Nel 1580, all'atto della visita di S. Carlo, il beneficio vale 2200 monete bresciane, sulle quali grava una pensione di 1400 lire riservata a mons. Zanchi, con l'obbligo di mantenere un coadiutore che è Giovanni Battista Termini di 31 anni, "tollerabilmente idoneo al suo ufficio e di buona vita". Nel 1601 il beneficio è di 3000 lire annue, sulle quali gravano pensioni per quattrocento scudi, dei quali duecento vanno al vescovo di Brescia Pietro Cornaro, settanta a don Gerolamo Terlino, cinquanta a don Gerolamo Verduro. Nel 1610 il Da Lezze nel suo Catastico valuta addirittura a 1000 scudi il beneficio. Nel 1641 il catastico del clero registrava piò 217 tav. 6. Inutile nascondersi come l'entità del beneficio, oltre che il prestigio della sede plebanale, abbia favorito la nomina ad arciprete di personalità distinte ma che a volte considerarono il loro ufficio una specie di "sinecura", affidando spesso compiti e cure pastorali a dei mercenari. Alcuni furono di famiglia nobile, altri si distinsero per cultura oltre che per zelo. Fra coloro dei quali è rimasto il nome è Giovanni da Pontoglio (ricordato nel 1250 circa), probabilmente nobile, sicuramente letterato per aver incominciato dal 9 settembre 1255 il famoso "Liber Potheris Brixiae". Inoltre l'importanza della pieve trova riscontro anche nella presenza di ecclesiastici in ruoli importanti in diocesi. Basta citare l'esempio di Giovanni da Trenzano che nel 1334 risulta arciprete della pieve di Azzano.


Fra gli arcipreti di Trenzano si ricorda, nel 1520 circa, un nobile della famiglia Maggi, Barnabò. Seguono due distinti personaggi bergamaschi: Gerardo (1532 circa) e Marc'Antonio Zanchi, canonico della Cattedrale di Brescia. Il primo, accampando permessi avuti dalla curia, gode contemporaneamente anche il beneficio di Barbariga, ma preferisce starsene a Trenzano perché è una parrocchia "più degna", facendosi sostituire a Barbariga da un altro sacerdote, don Agostino Ceresoli. Il rettore Zanchi mantiene anche a Trenzano un cappellano, certo don Giovanni, da lui stesso stipendiato. Al tempo della visita del 17 agosto 1560 del Prevosto Giovita de Capi, è "padron" della chiesa di S. Giorgio mons. Marc'Antonio Zanchi, canonico a Bergamo, dove è titolare di un beneficio. È suo curato don Lorenzo da Calvagese, «il qual non è permanente». Sappiamo che il fittavolo della Pieve, Giovanni Maria Battista paga un affitto di L. 2000. L'arciprete ha anche un suo agente in Brescia, don Cesare Callario, «qual sta a Sant'Agata». Lo Zanchi legge il breviario «nuovo ma non celebra la messa» e si fa sostituire in tutto dal curato Francesco Zanchi, forse suo parente, e da un altro sacerdote, don Andrea Maggi di Sabbioneta. Possiede dei libri, specie di diritto canonico e civile, e più opere di padri e dottori della Chiesa. Dall'interrogatorio sappiamo che il curato don Francesco è stato ordinato sacerdote a Cremona dove tiene un beneficio e dove vuole ritornare. Don Andrea, che si dichiara cappellano dell'arciprete e sostiene di avere la licenza dal Vicario Generale di esercitare il ministero a Trenzano; è in grado invece di presentare i documenti che lo abilitano ad esercitare a Brandico e a Lograto. Possiede qualche libro e in particolare il "Manipulus curatorum" e la "Summa angelica" e quello dei casi riservati. Il vescovo lo trova idoneo, ma gli intima di aprire una scuola per ragazzi. Si tratta, come ognuno può vedere, di preti non stabili o addirittura vaganti. Difatti, dagli interrogatori dei parrocchiani che il vescovo conduce scopre che l'arciprete Zanchi, che ha anche il titolo di monsignore, «non ha habitato qua se non quest'anno un poco, e per quel poco non ha fatto né bene né male et del passato non veniva se non una volta o due l'anno a spasso». Degli altri preti i parrocchiani desidererebbero che, almeno nei giorni festivi, attendessero di più alla parrocchia «più di quanto fanno et non andar a solazo». Per di più rilevano che di recente i preti hanno litigato fra loro. Non mancano nemmeno le insinuazioni maligne. Di don Francesco un testimone insinua che prima teneva "una massara" che poi ha mandato a Cremona "dove lui vol andare". Di don Andrea sussurra che abbia mandato via la sorella per accogliere in casa una cognata. Il vescovo però appura che, in fin dei conti, non ha fatto che una buona azione in quanto la cognata è vedova con "alcuni figlioli" e per di più non dà alcuno scandalo. Dopo un accurato esame da parte del vicario generale, il sacerdote viene ritenuto idoneo anche se alquanto "leggero". Nonostante le continue assenze e il disimpegno, mons. Zanchi rimane ancora arciprete di Trenzano per anni, anche se cambia i collaboratori. Nel 1572 infatti gli atti della visita di mons. Pilati registrano come curato Cornelio Mapelli (che ha una mercede di 20 scudi) con l'obbligo di tenere un cappellano che è don Francesco Paneri e di provvedere a tutto il necessario della chiesa.


Nonostante tutto ciò non mancano segni di vitalità religiosa e devozionale. Ne è prova la Confraternita o Scuola del SS. Sacramento. Già registrata al tempo della visita pastorale Bollani (1566) senza che sia specificata la consistenza del patrimonio, nel 1572 possiede mezzo piò, con un reddito annuo di cinque lire planette e circa quaranta salme distribuite ai poveri. Inoltre gode di elemosine di denari e granaglie che vengono spese in ceri. Dispensa in elemosine quattro o cinque soldi ai poveri. Il visitatore impone che i confratelli accompagnino il viatico con quattro torce. Nel 1580, la Confraternita non ha ancora delle Regole approvate. Ma già nel 1601, certo sotto la spinta della visita di S. Carlo, la confraternita ha un reddito di circa 100 ducati. Il reddito della Confraternita nel 1648 è di 35 scudi di moneta bresciana. In forza di due legati vi è l'obbligo di celebrare due messe ogni settimana, ed altre messe settimanali per uno stipendio di 65 scudi circa. Nel 1665 la Confraternita ha un'entrata di 160 scudi bresciani. Nel 1703 i cappellani della Confraternita, con salario di 60 scudi l'uno, sono due e l'entrata è di 160 scudi. La Dottrina Cristiana non esistente nel 1566, funzionante nel 1580 migliora sempre più la sua attività. Nel 1665 è frequentata diligentemente; nel 1703 e anche in seguito viene «esercitata ogni festa tanto dalli uomini quanto dalle donne con la maggior diligenza possibile...». Sulla fine del sec. XVI viene fondata la Confraternita del S. Rosario, che non ha redditi. Sappiamo nel 1601 che, come l'altra del SS. Sacramento, è retta bene, anche se i reggenti si rivelano negligenti nel riscuotere i crediti. Nel 1648 la Confraternita ha un cappellano, Andrea Turbini, che ha l'obbligo di celebrare quattro messe la settimana e di aiutare arciprete per uno stipendio di 75 scudi di moneta bresciana, con altri 20 dati dall'arciprete. Ne è presidente l'"illustre" signore Emiliano Castelli, nobile di Brescia. Ha un reddito di 600 lire planette circa in beni stabili e capitali livellati. Gode di legati della famiglia Zucca e della famiglia Paratico. Dagli Atti della visita predisposta dal card. Ottoboni sappiamo che la confraternita è retta da tre sindaci: uno presidente e due consiglieri. Nel 1665 ha un'entrata di ottanta scudi. Svincolata da un altare fisso è la cappellania istituita dai nobili Coradelli, con l'obbligo della celebrazione di 14 messe al mese e che servono con altre offerte di messe a sostenere otto sacerdoti, dei quali sette sono originari del luogo. Col capitale di don Inverardi viene istituita una cappellania arricchita da altri lasciti e censi fra cui quelli di Giuseppe Forbito (1741), Giacomo Ghisalba (1742), Nicola Perotti detto Belli (1742), Giuseppe Prissana (1742), Girolamo Maestrini e fratelli (1742), Fratelli Pellegri (1742), Vincenzo Talento (1742) ecc.


Se queste sono la situazione economica e le strutture ecclesiastiche della parrocchia, più difficile in base ai documenti che finora possediamo è delineare la situazione religiosa e morale. Data la totalizzante presa della religione e l'alta sacralizzazione della vita delle nostre popolazioni nei secoli presi in considerazione, ebbero, come ha rilevato Franco Molinari, un rilievo, come segni più evidenti dell'impegno cristiano individuale, la confessione e la comunione pasquale. Accettati tali dati come parametro e confrontati con quelli di altre parrocchie, si deve dire che la vita religiosa a Trenzano fu sempre particolarmente viva. Infatti gli inconfessi a Pasqua furono sempre pochissimi. Nel 1540 erano tre: Matteo Faita, certo Marchetto e certo Santo tutti concubini sebbene gli ultimi due avessero moglie. Due erano gli inconfessi nel 1565 e cioè Luca de Massini, pubblico concubinario, che però, più volte ammonito, promette di sposare la donna che abita con lui e Santino, salariato del nob. Girolamo Ducco, che si asteneva dalla confessione per inimicizie personali; ma anche lui prometteva di confessarsi. A Rudiano per fare un solo esempio, con meno anime da comunione, alla stessa data gli inconfessi erano ben dodici. Nel 1580 erano ancora due: Pompeo Caravaggio e "Antonia veneta", sospettata di adulterio, e, ancora, la moglie di Giovanni Maria da Roccafranca che viveva scandalosamente separata dal marito e alla quale veniva imposto di ritornare a lui. Prestigioso è il nome del successore di mons. Zanchi, don Ottavio Ermanni di Brescia (1550-1641). Dottore in teologia, precettore del futuro card. Federico Borromeo, caro a S. Carlo di cui fu tra i primi a diffondere il culto, si distinse per elette virtù sacerdotali e per vasta cultura: fu il primo biografo del ven. Alessandro Luzzago. Seguono alcuni arcipreti meno noti, quali don Giovanni Battista Cagna di Gabbiano (investito con bolla papale il 3 gennaio 1593 e morto nel 1596), mons. Francesco Sandrini di Travagliato, nominato il 12 agosto 1596, che nel 1614 rinuncia a favore del fratello don Giuseppe Sandrini, morto a Trenzano il 20 gennaio 1627, e il cremasco don Giovanni Pietro Pagazzi (1627-1647). Verso la metà del '600 la serie degli arcipreti vede non solo dei monsignori ma anche dei laureati. Nel 1648 è arciprete monsignor Vincenzo "qd. magnifici domini Giovanni Spada, civis Brixiensis" di anni 29 che ha avuto il beneficio grazie alle dimissioni appena avvenute di Giovanni Pietro Pagazzi e grazie alla nomina ottenuta con decreto pontificio del 4 settembre 1647. Lo Spada è dottore in legge. Favorisce la costruzione del Convento dei cappuccini. Sono suoi coadiutori e cappellani nel 1648 tre sacerdoti, tutti e tre originari di Trenzano. Si tratta di don Andrea Turlini cappellano della Confraternita del SS. Sacramento, don Giovanni Battista Turlini, cappellano della Confraternita del SS. Sacramento, don Bernardo Facardi, che si mantene da sé. Nel 1648 non esistevano inconfessi. Irregolare era soltanto la moglie di Antonio da Erbusco, Santa, figlia di Pietro Magotti, cui veniva comandato di tornare dal marito. Ne esistevano invece due nel 1656. Nessun inconfesso nel 1665. Anche nel 1703 non vi erano inconfessi; anzi l'arciprete Fenaroli, in verità un po' avventatamente, aggiungeva che «quasi mai ve ne sono stati né mai alcun disordine che meriti riflessi particolari».


A mons. Spada succede mons. Pietro Grazioli di Villavetro di Gargnano, dottore in filosofia. Nominato il 16 luglio 1665 passa arciprete a Bogliaco nel 1670 e viene sostituito dal nobile bresciano Palamede Fenaroli, dottore "in utroque iure", nominato il 3 giugno 1679 e morto il 26 dicembre 1715. A lui si deve la riedificazione della canonica. Abbastanza critico è il quadro che si ricava dai decreti del vescovo Badoaro, che nel 1711 invita l'arciprete perché con continue ammonizioni non cessi di gridare contro l'abuso immoderato degli «amoreggiamenti», la frequenza alle stalle dei giovani e i genitori che troppo indulgono a concedere libertà ai figli, fino a invitare a negare i sacramenti a coloro che non si emendassero da tali negligenze. Depreca il ripetersi dei furti nei campi e nelle case, invita i sacerdoti a mettere in guardia dal frequentare le osterie la domenica, mettendo in rilievo i mali materiali e spirituali che ne derivano. Al Fenaroli succede il nobile bresciano mons. Ottavio Mondella, nominato a 55 anni nel marzo 1716 e morto un solo anno dopo, nell'aprile 1717. A lui segue un altro arciprete di rilevante rinomanza, don Antonio Piccoli. Veronese, proveniente dalla parrocchia di S. Anastasia in Verona, segretario del vescovo Giovanni Francesco Barbarigo, nel 1714 lo accompagna quando viene trasferito alla sede vescovile di Brescia. Dottore in legge, il giovane segretario si fa notare a Brescia come verseggiatore. Iscritto all'atto della fondazione, avvenuta nel 1715 da parte dello stesso vescovo Barbarigo, della Accademia Ecclesiastica, si fa conoscere presto per le sue composizioni poetiche. Nell'accademia tenuta in S. Pietro in Oliveto in onore di S. Barnaba l'11 giugno 1715 presenta tre cantate dal titolo: "I Trionfi della fede in Brescia contro l'Idolatria", poste in musica dal Maestro di Cappella Pietro Baldassari. Nel 1717 entra a far parte, col nome di Aretino Epidotico, della Colonia Arcadia di Brescia, fondata dallo stesso vescovo Barbarigo. Nominato arciprete di Trenzano il 19 dicembre 1717 vi morirà quarant'anni dopo il 4 marzo 1759. A leggere alcuni suoi versi sembrerebbe che la nomina a Trenzano sia stata da lui presa quasi come un castigo. Nel 1718 scrive: «Da questo cieco misero soggiorno chi mai sollieva lo mio fosco ingegno tal che s'immerga nel perpetuo giorno?». Comunque nel «misero soggiorno» continua a poetare. Suoi versi sono fogli volanti e altri in raccolte poetiche. Tra l'altro entusiastici (e migliori dei versi citati) sono i suoi sonetti in lode del card. Angelo Maria Querini «per il prodigioso innalzarsi della nuova cattedrale promosso dall'instancabile zelo, e sostenuto dai copiosissimi sovvenimenti di Sua Eminenza». Di lui esalta il «pensier sublime e saggio». Sembra anzi che, ormai anziano, Piccoli si sia riconciliato non solo con Trenzano, ma con tutta la terra bresciana, dove trova «pregi di natura e cento e cento opre dell'arte al bel disegno amica...». Del resto il parrocchiato di don Piccoli risulta tra i migliori di tutti quelli trenzanesi. Si deve a lui la costruzione della nuova bella parrocchiale ed è merito suo l'averla arricchita di tele, fra cui quella dell'altar maggiore. Zelo, carità, gusto artistico gli meritano di essere sepolto, con il permesso della curia, davanti all'altare maggiore. Morto l'arciprete Piccoli, segue il parrocchiato alquanto travagliato di don Vincenzo Bordonali, nominato nel 1759 e morto il 26 novembre 1786. Di lui esiste in curia un ricorso inviato nel 1774 contro l'indisciplina dei suoi cappellani nella celebrazione della messa festiva. La vitalità religiosa, specie nei sec. XVII-XVIII, è segnata dalla Compagnia di S. Orsola cui appartennero anche donne delle famiglie più distinte di Trenzano. Nel 1665 ne è superiora Giulia Castelli.


Tra le devozioni più vive è certo quella a S. Gottardo, il santo vescovo di Hildesheim, invocato soprattutto contro i reumatismi e la gotta. Don Emilio Spada seppe dal maestro Giuseppe Consolandi che l'ing. Giorgio Catturich, erede dei nob. Ducco, aveva trovato un documento attestante che nel 1484 i Benedettini trasferitisi a Trenzano per opere di bonifica, vi avevano portato un busto contenente le reliquie di S. Gottardo, dando così vita ad un culto che ancor oggi è intensissimo. Come ha scritto il Guerrini, «l'origine della devozione è spiegata dalla natura acquitrinosa del territorio circostante, ricchissimo d'acqua e in parte ancora lamivo e paludoso, malgrado le opere di prosciugamento e di progresso agricolo ivi compiute». La devozione era già così viva agli inizi del sec. XVII che nel Catastico del Da Lezze del 1610 alla chiesa parrocchiale viene dato erroneamente il titolo di S. Gottardo. Frequentata la sorgente che scaturisce sotto l'altare del santo da folle di devoti in cerca di guarigione, specie da forme di gotta, di artriti, di disturbi intestinali e di protezione delle partorienti. Negli elenchi delle acque medicamentose del Bresciano l'acqua di S. Gottardo, pur non conoscendosi analisi chimiche, era reputata alla fine dell'800 come "efficace nelle affezioni croniche degli intestini". Una vera folla andò sempre frequentando la festa del 4 maggio, partecipando alla solenne processione con la statua e le reliquie del santo secondo un rituale codificato da secoli. Il 6 maggio 1896, tanto per fare un esempio, l'anticlericale "Provincia di Brescia", pur ironizzando sulle grazie ricevute ("tutti i malati ed infermi, scriveva, appena portati all'altare erano perfettamente guariti") valutava sui seimila i devoti partecipanti alla processione. E come tale è durata fino ad oggi. La processione con il simulacro del santo ispirava, come scriveva Paolo Guerrini negli anni '20, atteggiamenti e forme che ricordano da vicino le esaltazioni mistiche delle folle medioevali. Vi accorrevano uomini e donne a piedi scalzi, che sfilavano in disordine quasi pittoresco per le vie del paese, cantando devote canzoni o recitando preghiere ad alta voce. Per la devozione al Santo il 4 maggio 1993 la parrocchia di Trenzano, con la concelebrazione presieduta dal cardinale Augustin Mayer, dal parroco della basilica di S. Gottardo in Hildesheim e dal parroco di Trenzano, si è gemellata alla parrocchia di S. Gottardo di Hildesheim in Sassonia, aprendo una serie di pellegrinaggi alla e dalla Germania. Solennissime le feste del 3-5 maggio 1931 in occasione del VII Centenario della canonizzazione, del 1987 con restauro a spese del Comune di tutte le tele della chiesa e quella del 2000 con l'inaugurazione della grandiosa statua del santo eseguita dallo scultore Federico Severino. Ma la devozione dei Trenzanesi non si limitò a quella per S. Gottardo. Nel 1710 Benedetto XIV concedeva l'indulgenza plenaria all'altare del Rosario per il giorno dei morti e per l'ottava. È del 16 dicembre 1767 la concessione della Via Crucis. Indici di devozione sono le cappellanie legate agli altari del SS. Sacramento, del Rosario e più tardi a quello di S. Nicola da Tolentino. Si aggiunge inoltre quella dell'altare di S. Antonio istituita dalla famiglia Inverardi; in seguito i legati si andarono ancor più moltiplicando. Espressioni insopprimibili di vera vita cristiana sono certo le opere di carità. Si è già accennato alla diaconia e agli ospizi per pellegrini. Bisogna aggiungere che opera caritativa svolsero le confraternite e sono consistenti i documenti che riguardano legati anche caritativi o l'attività di sussidio e di prestito da parte delle stesse. La serie degli arcipreti del sec. XVIII si chiude con un'altra personalità di grande rilievo. Il 2 gennaio 1787 viene infatti nominato don Bernardino Galvani di Gambara. Sebbene ancor giovane (ha 35 anni), è stato insegnante di italiano, greco, ebraico, filosofia, dogmatica e morale e rettore del Seminario. È in amicizia con Pietro Tamburini e con don Giovanni B. Guadagnini ed è forse il suo orientamento giansenista a causare il suo allontanamento dal Seminario e la sua nomina a Trenzano, dove morirà il 18 gennaio 1816, particolarmente amato per la sua grande carità. Larghissimo di carità con i poveri fu don Giovanni Bettinelli (1847-1885) attirandosi la stima di tutta la popolazione. Di carattere forte e battagliero e accorto amministratore, ma soprattutto zelante sacerdote è don Giacomo Nabotti (1896-1902). Egli promuove un vero, ampio risveglio di vita religiosa. Aspramente ostacolato da un ristretto ma combattivo gruppo anticlericale, fonda la Società di S. Luigi. A lui si deve il primo nucleo dell'oratorio maschile e nel 1896 con la collaborazione della signora Ottaviani di quello femminile. Con accortezza riordinò il beneficio parrocchiale. Curiosa è la provvista di statue che don Nabotti fa per la chiesa parrocchiale: S. Giuseppe, Maria Bambina, S. Filippo Neri, Gesù Fanciullo, S. Vincenzo de' Paoli, l'Immacolata di Lourdes, Gesù morto, S. Angela Merici, S. Antonio, l'Addolorata, S. Agnese.


Particolarmente ricco di iniziative è il parrocchiato di don Girolamo Pietta (1903-1929). Appena giunto a Trenzano fonda l'oratorio maschile ed avvia le classi di catechismo. Nel 1904 apre l'oratorio femminile alle Suore Ancelle della Carità. Sempre nello stesso anno ripristina il corpo bandistico e promuove la "schola cantorum". Nel 1905-1907 erige la cappella del S. Cuore per l'asilo e le suore; dal 1908 al 1911 restaura e fa affrescare la chiesa e la facciata. Fonda, inoltre, il Circolo S. Filippo Neri che adotta lo statuto della Gioventù Cattolica Italiana aggregato alla Federazione Giovanile Leone XIII. Nel marzo 1911 viene inaugurato, con la benedizione della bandiera, il Circolo Cattolico Concordia. Poco dopo viene costituito il circolo giovanile femminile S. Girolamo, il quale il 3 luglio 1922 inaugura il proprio vessillo ricamato dalle Suore Poverelle e dipinto da Angela Melchiotti. Don Luigi Troncana (1929-1962) continua con tenacia l'opera del predecessore. Catechizzatore efficace, è particolarmente vicino alla sua gente e specialmente ai più poveri. Promuove la bonifica e la ristrutturazione delle case coloniche del beneficio, della canonica e dell'oratorio. Con la collaborazione decisa del "cüradù" don Francesco Barbetti riprende nel 1935 il circolo S. Filippo Neri dell'Azione cattolica con le sezioni filodrammatica e musicale. Nel secondo dopoguerra costruisce la sede del Circolo ACLI e promuove l'ampliamento del campo sportivo. Dal 1952 al 1954 effettua restauri alla chiesa parrocchiale e dà vita ad un nuovo oratorio femminile (1958-1959) con aule catechistiche. Nelle opere parrocchiali spende tutto del suo, morendo povero. Travagliato da problemi di salute e da incomprensioni è il parrocchiato di don Battista Barbieri (1963-1978). Buon oratore e scrittore brillante, dà subito vita al bollettino parrocchiale con frequenti note di storia locale e cura particolarmente l'istruzione religiosa. Ristruttura la canonica, migliora la struttura dell'oratorio e del teatro, nel 1976 fonda il Circolo ANSPI ristrutturando la chiesa dei morti, ora Cappella gentilizia Ducco. Rifonda la Pia Unione di S. Gottardo. Subisce tuttavia contrasti per gli interventi nel patrimonio artistico della chiesa. Attivo il parrocchiato del successore don Cesare Verzelletti (1978-1993). Fin dai primi mesi egli affronta il problema dell'oratorio e delle sue strutture. Nel 1979 fonda la stazione radio parrocchiale "Radio fonte". Realizzato nel 1979-1980 il campo di calcio e il nuovo bar, costruita nel 1980 la nuova abitazione del curato, nel 1981 viene affrontata la risistemazione del vecchio oratorio assieme ad un nuovo appartamento delle suore, il rifacimento del teatro, ecc. Dal 1983 al 1985 vengono rifatti il campanile e il tetto della chiesa, viene ricavato nel sottotetto della sagrestia un eremo dedicato a S. Gottardo per incontri spirituali, ecc. Dal 1985 al 1987 vengono restaurate la chiesa del convento e la chiesetta del cimitero o Cappella gentilizia Ducco antistante alla chiesa parrocchiale. Al cospicuo sforzo finanziario parteciperà anche il parroco successivo don Guido Zupelli. Inoltre viene riordinato da don Emilio Spada l'archivio parrocchiale. Nel 1987 l'Amministrazione Comunale provvederà al restauro dell'intero patrimonio di opere pittoriche provenienti da tutte le chiese di Trenzano (ed in parte di Cossirano), affiancando all'iniziativa l'edizione di un catalogo, a cura di Camillo Barbera, con la schedatura storico-artistica. Dal giugno 1990 al febbraio 1991 la parrocchiale viene completamente restaurata, il presbiterio è sistemato secondo le nuove regole liturgiche con altare, ambone e vasca battesimale; il riscaldamento viene posizionato a pannelli radianti sotto il pavimento e, non risultando la data della consacrazione, il vescovo di Brescia, mons. Bruno Foresti, domenica 29 settembre 1991 consacra chiesa ed altare.




CHIESA PARROCCHIALE S. MARIA ASSUNTA. La prima chiesa plebana fu la Basilica Alba, sacra a S. Maria Assunta. Di essa poco sappiamo se non che decadde dal sec. XV e ancor più da quando arciprete si trasferì a S. Giorgio, per cui la chiesa si ritenne dedicata a S. Maria Assunta e a S. Giorgio. Nel 1540, all'epoca della visita del Grisonio la chiesa plebana non aveva più alcun reddito. Tuttavia celebrava ogni giorno un cappellano, Nicola de Scobusis, grazie ad un legato di dieci ducati di Girolamo Faita, e perciò alle dipendenze degli eredi suoi. Nel 1565 si accenna ad un altro legato di un certo Baitelli del valore di lire 32. Ma nel 1580 negli atti della visita apostolica di S. Carlo, la chiesa, senza alcuna decorazione, con l'altare maggiore spoglio e la sagrestia senza paramenti, aveva anche il tetto in rovina. In più vi si trovavano botti e altre «cose profane». Sempre più abbandonata la basilica andò in rovina. Fu definitivamente demolita nel 1665 per utilizzare il materiale nella costruzione della nuova chiesa di un piccolo convento cappuccino, qui trasferito da Corzano, la cui chiesa venne dedicata a S. Michele che, dopo la soppressione nel 1798 del convento, passò alla parrocchia ed è tuttora officiata.




S. GIORGIO, poi S. Maria Assunta e S. Giorgio. Una tradizione locale vuole che sia sorta nei tempi delle Crociate: il titolo fa però pensare ad una più antica dedicazione longobarda. Sorta in contrada «alla forca» probabilmente per la biforcazione delle vie che ancora esiste, essa assunse importanza per essere incorporata nel centro abitato vero e proprio. Gode già di una certa qual autonomia nel sec. XIV quando compaiono nel regesto del notaio vescovile Giacomino da Ostiano i nomi di tre rettori della cappella di S. Giorgio e cioè Antonio de Rogaciis da Vimercate (che rinuncia al beneficio nel febbraio 1379), del suo successore (nell'aprile 1379), Chiarino Malfatti da Castrezzato e di Stefano Guarini di Crema, che come rettore di S. Giorgio il 2 settembre 1381 permutò alcuni fondi del beneficio con Antoniolo da Coccaglio. Nel Catalogo capitolare del 1412 il beneficio della chiesa è valutato in 48 lire ed ha due benefici del valore di 4 lire ciascuno. La chiesa è già parrocchiale all'epoca della visita del Grisonio (20 ottobre 1540) ed è consacrata. Non è molto ricca (il visitatore registra l'esistenza di due soli calici); è però ben tenuta. Disastrose invece sono le condizioni della chiesa nel 1566 al momento della visita del vescovo Bollani. Il visitatore indica la necessità di «subito provveder per il luogo del Sacratissimo Sacramento, il quale è tenuto in un luogo, «sine honore aliquo, et reverentia» e anche «senza lume». Gli altari sono senza pietra sacra e senza la tela che dovrebbe ricoprirla. Mancano anche «banchetti per li confessioni», graduali e antifonari. «Il visitatore ordina che li cimiteri siano serati e solata la chiesa dove manca». Nella sua visita del 9 settembre 1572 mons. Pilati ordina che venga distrutto l'altare di S. Rocco eretto davanti alla chiesa. Verrà invece conservato, per qualche tempo ancora, con l'erezione di una cappella come si riscontra dagli Atti della visita di S. Carlo (1580).


Dagli Atti della visita del vescovo Marino Giorgi sappiamo che, mentre l'abside è di proprietà dell'arciprete, il resto della chiesa è del comune; che alle suppellettili della sagrestia e alla cera dell'altare maggiore e alle candele della Domenica delle Palme deve provvedere l'arciprete, mentre al cero pasquale, alla provvista delle candele dell'arundine del Sabato Santo è obbligato il comune. Al momento della visita del vescovo Bollani (11 settembre 1566), la chiesa ha cinque altari, di cui uno all'esterno presso la porta grande, due ai lati dell'abside, e altri due dedicati a S. Antonio e S. Gottardo. Il visitatore ordina che l'altare di S. Gottardo debba essere collocato sotto il pulpito, sia chiusa la porta che immette nella casa del Rettore e venga costruita la sagrestia. Nel 1580 la chiesa ha sempre tre altari ed è stata costruita la sagrestia. C'è il tabernacolo con il lume, ma il battistero è ancora irregolare e il cimitero senza recinto.


La chiesa nel 1658 ha cinque altari: oltre al maggiore ve ne sono altri dedicati al Corpo di Cristo, alla Madonna del Rosario, a S. Nicola da Tolentino, a S. Carlo. Il vescovo raccomanda che la parrocchiale venga restaurata e che venga spianato e pareggiato il pavimento. Viene poi completamente ricostruita negli anni Venti e Trenta del sec. XVIII, per iniziativa dell'arciprete Piccoli, secondo Giovanni Cappelletti ("Storia di Brescia" III, p. 373) da un architetto o capomastro influenzato da Carlo Corbellini; ma è finita solo a distanza di decenni. Infatti, sotto la gronda occidentale della sagrestia si legge la data MDCCXLI. Il coro, come emerge da un registro ricco di cifre, venne costruito dal 1766 su progetto dell'abate Gasparo Turbini e terminato, come si legge sopra l'architrave della finestra settentrionale esterna, nel MDCCLXXXII (1782). Negli stessi anni fu costruito dal tagliapietre rezzatese Angelo Lepreni il nuovo altare maggiore. Le spese vennero sostenute con offerte in denaro e in generi di natura e attraverso la filatura del lino e le multe sul lavoro festivo. Probabilmente la chiesa parrocchiale, verso la metà dell'800 venne di nuovo restaurata dal pittore Giuseppe Provenzi da Palosco. Nel 1903-1904 l'arch. Carlo Melchiotti esegue il progetto di ingrandimento della Chiesa. Risulta irrealizzato. Dal 3 luglio 1908 al 22 gennaio 1910, su progetto dell'arch. Melchiotti, la chiesa viene affrescata dai pittori Giuseppe e Gezio Cominelli di Lograto. Nel 1911 viene restaurata, ad opera del capomastro trenzanese Pietro Fisogni, la facciata, ridipinta da Gezio Cominelli e arricchita di due statue di S. Pietro e di S. Paolo opera di Emilio Righetti. Nel 1927 la chiesa viene dotata di un nuovo organo. Sulla controfacciata è raffigurato Gesù che scaccia i mercanti dal tempio.


Il primo altare a destra è dedicato a S. Antonio di Padova. È dominato da una pala raffigurante S. Antonio (olio su tela, cm. 280 x 150) di Carlo Francesco Nuvolone, che Luciano Anelli definisce "magnifica opera"... "risolta con una morbidezza, con una attenzione alle luci pastose e fin untuose e grasse nei volti, con un senso decorativo di altissimo gusto, che non sono comuni. Affettuosissimo è il gesto del Santo che abbraccia il Bambino; e non da meno è questi, che risponde al moto affettuoso con un gesto di eguale tenerezza".


In un'ampia nicchia successiva per volontà del parroco don Zupelli è stata collocata il 4 maggio 2000, in sostituzione dell'altare ligneo collocato nel 1991 a seguito dei restauri della parrocchiale, una grande statua in bronzo di S. Gottardo, opera di Federico Severino, offerta in dono dall'Amministrazione Comunale alla comunità. La statua è appoggiata ad un basamento sul quale due formelle narrano episodi della vita del santo: quella a sinistra rappresenta il santo che dal cavallo si abbassa a soccorrere poveri e sofferenti; quella di destra il santo davanti alla cattedrale di Hildesheim attorniato dal clero e dal popolo. Negli spazi laterali sono lo stemma di Trenzano e la scritta latina "A.D. MM Terentianenses" cioè "nell'Anno del Signore duemila i Trenzanesi (offrirono)"; sull'altro il sigillo del vescovado di Hildesheim con la scritta "Burgenses de Hildesheim" cioè i "cittadini di Hildesheim". Dietro la possente statua del santo si erge una stele in bronzo con in alto Dio Padre e, sotto, l'immagine di un vescovo benedettino, S. Bernardo, predecessore di S. Gottardo.


Segue l'altare dedicato alle SS. Lucia, Caterina di Alessandria e Apollonia con una tela (olio, cm. 400 x 200), opera secondo Luciano Anelli di Giacomo Zanetti. Secondo l'Anelli «i colori caramellati e chiari, come le attitudini degli angioletti in volo, le eleganti posizioni delle figure femminili, il modo di atteggiare collocano il dipinto in via stilistica almeno alla metà del '700». Nel restauro compiuto nel 1949 dal Bertelli è stato aggiunto in alto un calice con l'ostia, a sostituzione del busto ligneo contenente la reliquia di S. Gottardo, come testimoniano ancora oggi le insegne episcopali (mitria e pastorale) che nulla hanno a che fare con l'Eucarestia.


Il terzo altare di destra intitolato un tempo alla B.V. del Rosario è ora dedicato a Maria Rosa Mistica. La soasa nella cornice lobata ornata da tre belle teste scolpite, di fattura bresciana settecentesca, accoglie quindici telette dei Misteri del Rosario che, sia pure dubitativamente, l'Anelli attribuisce a Francesco Savanni: al centro la statua della Madonna del Rosario. Il presbiterio con la cantoria e la controcantoria è dominato dalla grande pala (olio su tela cm. 565 x 320) raffigurante la Madonna Assunta coi SS. Giorgio, Francesco da Paola, Giovanni Nepomuceno, di maestro lombardo del sec. XVIII, che l'Anelli avvicina a Felice Campi e definendola una grande "macchina" barocca che «riporta alle epoche in cui la fede veniva vissuta non (o non solamente) come un fatto individuale e personale, ma come l'affermazione della vittoria di tutto un popolo su di un altro o meglio sulla diffusione dell'eresia presso i popoli dell'Europa del Nord». È una vera e propria opera ideologica e dottrinaria per i molti contenuti iconografici e ancora «una pala molto ricca di dottrina e di spunti da commentare, piena di allusioni e di significati, certo frutto di qualche indicazione di un teologo, ma - più - della fervida fantasia creativa e dello spirito tutt'altro che accademico del suo autore». La cantoria sovrastante la sacrestia alloggia l'organo antico restaurato e completato con un contr'organo posizionato nella contro cantoria nell'anno 1993 in occasione del gemellaggio. Pregevole il nuovo altare maggiore costruito verso il 1777 dal tagliapietre rezzatese Angelo Leprini e adorno di preziose pietre, grazie alle offerte in denaro, in generi vari e coi proventi della filatura del lino e le multe per il lavoro festivo.


Scendendo sul lato di sinistra si incontra l'altare del SS. Sacramento. È dominato da una pala raffigurante il Cristo Risorto con i SS. Sebastiano e Rocco (olio su tela cm. 308 x 161) che Luciano Anelli descrive come "dipinto piacevole (sia per il grande paesaggio, sia per i ricordi moretteschi delle figure) ancorché dovuto ad un coloritore minore del nostro Cinquecento". Segue l'altare dedicato a S. Nicola da Tolentino con i committenti (tela ad olio cm. 330 x 185) che l'Anelli assegna ad un maestro bresciano-bergamasco del sec. XVII (Fiammenghino?). Raffigura il santo nella gloria fra angioletti. Singolare è la scena del lazzaretto ricca di figure rese magistralmente. L'Anelli la ritiene una bella tela, ben caratterizzata, ariosa, con delle gamme cromatiche che vanno dal rosso vivace al blu, al giallo, al verdino, al verdone, al giallo citrino della luce "delle nubi dietro il Santo". L'ultimo altare di sinistra prima dell'uscita è dedicato al Crocifisso. La pala (olio su tela cm. 288 x 180) raffigurante i SS. Firmo e Carlo Borromeo è attribuita dall'Anelli al bolognese Francesco Monti "costruita secondo un modulo guidato dall'uso drammatico delle luci e delle ombre, su di uno schema sostanzialmente semplice, ma non ovvio. Nel senso che la centralità dei vuoti - fuori, quindi, di ogni ambito di composizioni classiche - avrebbe anche potuto far pensare, prima della rimozione delle vaste ridipinture in corso di restauro, a un qualche possibile soggetto centrale nella zona alta, verso la quale sembrano convergere il gesto e lo sguardo dei due Santi; invece ora dobbiamo convenire che la composizione un po' sorprendente è frutto dell'estro dell'artista". Le stazioni della Via Crucis delle quali dieci originali opera di Santo Cattaneo e quattro rifatte, provengono dalla chiesa conventuale di S. Michele. Sulla porta infine che comunica con l'esterno, a nord della Chiesa, è collocata un'importante tela della Scuola di Pompeo Batoni, rappresentante l'"Immacolata". La sagrestia è ricca di arredi sacri; tra cui - collocata dal parroco attuale Don Zupelli - la statua lignea di S. Gottardo, cara a molti fedeli.




S. STEFANO. Chiesa sorta probabilmente come diaconia della pieve di Trenzano, e cappella dell'ospizio o xenodochio per pellegrini e malati. È già nominata nel sec. XII come proprietaria di beni, oltre che in Trenzano anche al Grumetto di Rovato. L'oratorio di S. Stefano decade presto dalle sue funzioni diaconali e viene unito con l'annessa cappellania assieme alla chiesa di Lograto al monastero Olivetano di Rodengo, il quale si impegna a mandare nei giorni festivi uno dei suoi padri a celebrarvi. È opinione plausibile che siano stati questi padri a portare a Trenzano il culto poi vivissimo di S. Gottardo. Nel 1562 il titolare del beneficio di S. Stefano, don Girolamo Sterlado, tenta di unire il beneficio che viene valutato 100 ducati, a quello della cappella delle SS. Croci del Duomo. Dopo essere stato appannaggio del conte Gianfrancesco Martinengo, nel 1540 vi è rettore Baldassare qd. Matteo da Cazzago, che ha l'obbligo di celebrare tre messe la settimana oltre che la festa. Mentre il beneficio passa di mano in mano, la chiesa decade irrimediabilmente. Già nel 1560 infatti il visitatore, prevosto di Chiari, deve insistere «che la chiesa sia tenuta da chiesa et non da stalla; perché è fatta recettacolo se non di cose della agricoltura». Vi è rettore «messer» Vincenzo Caravaggio «il quale non vi fa mai celebrar messa et ha d'intrata scudi 200». Il visitatore insiste che «bisogna subito proveder de Capellano perché sono senza messe». Nel 1572 i frati di Rodengo continuano a tenere nella chiesa di S. Stefano cose profane senza permesso. Anche gli Atti della visita di S. Carlo registrano che l'edificio è bisognoso di massicci restauri, che è senza ornamento e spoglio anche se affrescato. «Si legge negli Atti medesimi che possiede non pochi beni in proprietà dei monaci»; ma nemmeno il santo arcivescovo e i suoi convisitatori riescono a sapere quanti siano. I frati poi negano che abbiano l'obbligo di far celebrare, come si afferma, una messa quotidiana. Nel 1703, mentre il beneficio è sempre goduto dai padri Olivetani di Rodengo, la chiesa è ormai «profanata del tutto». Abbandonata anche dai frati negli ultimi anni dell'800, di essa non rimangono che alcuni resti. In suo luogo, a ricordo dell'antica diaconia venne eretto un altare nella chiesa parrocchiale. Nel 1920 veniva trasformata in abitazione con stalla.




CHIESA DI S. MICHELE E CONVENTO DEI CAPPUCCINI. Convento e chiesa vennero costruiti dal 1665 al 1668 con il trasferimento della comunità cappuccina da Corzano dove si era insediata nel 1618. Il clima nefasto dovuto anche dall'espandersi di risaie, cagionando febbri intermittenti, mietendo molte vittime e impedendo la regolare osservanza, dopo dieci lustri d'esperienza, costrinse i superiori dei cappuccini «ad abbandonare quel luogo, erigerne un altro in luogo d'aria più salubre» e scegliere la pieve di Trenzano, «ove nel 1610 era già stata loro offerta un'antica chiesa plebana»; «...Posero l'occhio sopra un fondo dell'arciprebenda, due chilometri a N del paese; fondo che arciprete Vincenzo Spada assai di buona voglia cedeva, onde acquistare alla parrocchia una famiglia di religiosi Cappuccini». Il 27 gennaio 1664, riuniti nella chiesa parrocchiale di S. Maria e S. Giorgio il General Consiglio, clero, gentiluomini e cittadini in numero di più di cento davano il loro consenso perché si potesse "edificar, costruir et fondar un monastero nel terren di Trenzano... dove si ritrova la chiesa parrocchiale vecchia...". Il 9 maggio 1664 s'ebbe un breve da Roma, che permetteva di traslocare il convento da Corzano a Trenzano, ed anche di commutare il convento di Corzano colla sua adiacenza, stimato scudi romani 1043, col terreno dell'arcipretale prebenda del valore di scudi romani 768. In pratica l'arciprete di Trenzano concedeva il terreno nei pressi dell'antica chiesa plebana ricevendo in cambio l'area dell'ex convento di Corzano anche se gli abitanti di questo paese, contrariati dalla partenza dei buoni padri, continuarono a sperare di riaverli tra loro. La prima pietra venne posta e benedetta dal vescovo mons. Marino Giorgi. Per la costruzione venne utilizzato il materiale della cadente antica chiesa plebana. Era la terza domenica dopo l'Epifania del 1665. La nuova chiesa, piccola e povera, fu dedicata a S. Michele Arcangelo, come quella di Corzano. L'anno successivo venne benedetta dal P. Vittorino Pinelli da Cevo e nel 1668, compiuta la fabbrica, venne consacrata il 16 giugno 1669 come ricorda un'iscrizione posta sotto il pulpito: "D.O.M. - Templum hoc in D.O.M. - B.M.V. ac S. Michaelis Arcangeli honorem. - III. et Rev. D.D. Marinus Joannes Georgius Brixiae Episc. Du.x, Marchio, Comes, etc. consecravit die 16 junii 1669. Festumque in ultimam augusti diem transtulit". Il convento ospitò per anni anche il Noviziato e lo studentato teologico oltre a circa una ventina di religiosi. Godette fama nella zona e fu frequentatissimo specie nella festa di S. Michele tanto da spingere le autorità venete a proibire più volte (1726, 1727, 1738, ecc.) di tenere mercato e commercio. La chiesa è ricca di dipinti fra i quali si distinguono: la "Madonna in gloria coi SS. Carlo B., Giovanni Battista, Francesco d'A., Giovanni Evangelista" attribuito a Jacopo Palma il Giovane, al quale, scrive Luciano Anelli: "competono in toto il disegno generale dell'opera (si veda la medesima concezione dello spazio e della distribuzione della luce in opere come quella a S.M. degli Angeli di Murano, a S. Nicolò dei Tolentini di Venezia, ai SS. Pietro e Paolo di Monno, nella parrocchiale di Vezza d'Oglio), la figura della Madonna (si confrontino in particolare lo stesso tipo fisico nella Madonna e Santi di S. Pietro Martire a Murano), la figura di splendido modellato del Bambino, quella inginocchiata di S. Giovanni Battista e quella in piedi di S. Carlo, che ritroviamo assolutamente identiche ma variate di posizione (ciò che esclude una copia) nella già citata pala muranese; forse la figura di S. Giovanni Evangelista, che potrebbe anche competere al Rama, ma che ad ogni modo troviamo con la stessa tipologia nella "Vergine in gloria con Santi e l'Angelo con Tobia" nella chiesa di S. Maria degli Angeli a Murano. Sull'altare maggiore campeggia la "Madonna in gloria coi SS. Francesco, Nicola, Michele Arcangelo, Martino" (olio su tela cm. 177 x 139) che l'Anelli definisce "splendida" e che attribuisce a Francesco Giugno. Vanno ricordati anche l'"Immacolata" di maestro bresciano del '700, un'altra "Immacolata" sempre settecentesca; il b. Lorenzo Russo cappuccino, attribuito dall'Anelli a Giuseppe Tortelli, il "b. Felice di Cantalice che riceve il Bambino dalle mani della Madonna" di maestro bresciano del '700, il "Martirio di S. Giuseppe di Leonessa" di Giuseppe Fali (sec. XVIII), "S. Antonio di P. col Bambino" di maestro bresciano del '700, Gli angeli salvano dal martirio S. Giuseppe di Leonessa", di Luigi Sigurtà, il "Martirio di S. Fedele di Sigmaringen" attribuito sia pure dubitativamente dall'Anelli a Luigi Sigurtà. Altre tele raffigurano p. Vittorino Pinelli di Cevo, di pittore bresciano della seconda metà del '600; il b. Serafino di Montegranaro attribuito con dubbi dall'Anelli ad Antonio Paglia, lo stesso beato, di maestro bresciano dell'inizio del '700. La chiesa, molto semplice, ha forma quadrata con l'altare maggiore in legno e due altari laterali dedicati all'Immacolata e a S. Antonio di P. Al 1987 risale il resto. Soppresso il convento dalla Repubblica bresciana del 1798 la chiesa tuttavia rimase aperta. L'immobile venne venduto dal Demanio e passò in varie mani. Nel 1888 il convento passò in proprietà una parte a Giovanni Tonoletti e l'altra ad Enrico Ongaro, mentre la chiesa venne ceduta alla fabbriceria che più tardi dopo averla restaurata, l'aperse al pubblico. Nel 1986 e nel 2001 la chiesa venne di nuovo restaurata.




CHIESA DEI MORTI. Cappella gentilizia Ducco: presenta un'importante epigrafe secentesca che ricorda il giovane Adriano Ducco morto di peste. Sorge di fronte alla chiesa parrocchiale.




CHIESA DEL S. CUORE. Cappella dell'asilo infantile e delle suore. Eretta nel 1906, venne benedetta il 15 ottobre dello stesso anno ed è attualmente sconsacrata e abbandonata.




EDIFICI NOTEVOLI.


CASA TORRE DUCCO (oggi CATTURICH). A Sorge a N di Trenzano nei pressi del quadrivio Trenzano-Rovato e Berlingo-Castrezzato). Alta una ventina di metri, sola e imponente domina sulla pianura circostante. "Tipica costruzione di questa zona della provincia di Brescia, come scrive Fausto Lechi ("Dimore bresciane" IV, p. 402) (a Rovato vi è quella dei Porcellaga e a Maclodio quella dei Calini), di pianta quasi quadrata, essa ha l'aspetto severo di un luogo forte di difesa e nello stesso tempo di piacevole dimora campagnola". Sul vertice di quattro spigoli in alto, vi sono, quattro «guardiole» o torrette per guardie; e sul tetto un'altana con ringhiera in ferro semplice. È a tre piani collegati da una comoda scala ognuno dei quali contiene una bella stanza a volta. La casa torre venne costruita dal ramo di Cristoforo Ducco probabilmente verso la fine del '500. Nel territorio e nell'abitato di Trenzano sono presenti altri edifici appartenuti a casate nobiliari (Ducco, Martinengo, Coradelli, Mazzola).




ECONOMIA. Solamente agricola fino a pochi decenni fa, si è basata per secoli sulla coltivazione di cereali, foraggi, della vite e più tardi di barbabietole. Ciò è anche dovuto alle acque sorgive e ai fontanili di cui è ricca la zona. Una ricerca compiuta dai tecnici Giovanni ed Eugenio Fasser e Simona Albini fanno assommare a ben 34 i fontanili che danno dai 36 litri d'acqua, al centro dell'abitato, ai 44 litri del fontanile Roggia Conta; va ricordata anche sull'argomento la recente ed esauriente pubblicazione, finanziata dal Comune, del tecnico Ermete Giacomelli. Di antica data la costruzione di rogge quali la Trenzana (v.) realizzata intorno al 1383, quando i proprietari terrieri di Trenzano acquistarono da quelli di Pontoglio le acque della seriola Galbena o Gardena realizzando un proprio vaso d'acqua, che attinge anche dal vaso Fiumazzo. A metà del '600 vengono introdotte molte risaie e marcite.


L'agricoltura trova negli anni '30 del sec. XX un supporto valido nel Consorzio Agrario mentre si diffonde la meccanizzazione e viene montato, presso l'azienda agricola "Eredi Agnesi fu Angelo" il primo forno essicatoio. Negli ultimi anni vivaci polemiche si sono ripetute per l'introduzione della coltivazione di mais transgenico. In sviluppo recentemente è l'agriturismo a partire dalla cascina "La Conta". Per decenni l'economia agricola venne integrata dal pendolarismo su Brescia, Rovato e Milano. Inattive da lungo tempo le fornaci che hanno dato il nome ad una località, nella quale come già s'è detto, nel primo dopoguerra la ditta Tempini apriva una fabbrica di mattoni a cui si aggiunsero negli anni '30 del sec. XX la ditta Marazzi e la ditta Tenchini. Tentò di rompere l'egemonia dell'agricoltura l'arciprete don Pietta in collegamento con l'industriale Amadio Donati di Palosco, che creò un bottonificio di madreperla che poi continuò con la ditta Aceti, sempre collegato con il Donati rappresentante della ditta "La Madreperla". Nel 1920 ancora don Pietta diede vita ad una Società Pulitura Ottonami. Lo stesso, ancora una volta nel 1925, apriva presso la casa delle Suore un altro laboratorio per la confezione di frange che assorbì una ventina di ragazze.


Tuttavia il predominio dell'agricoltura è stato scalfito solo dall'apertura negli anni '60, da parte dei fratelli Padovani e di Pietro Zanardelli, di un piccolo laboratorio di confezioni che più tardi diventò la Pantex (fabbrica di pantaloni con 130 operai) e la Tecnocar (specializzata nella trasformazione di veicoli industriali). Oltre ad essi sono stati aperti il laboratorio di confezioni Benedetti, una fabbrica di forni per pizzerie, in cemento e mattoni esportati anche all'estero, promossa da Francesco Metelli. Sempre negli anni '60 veniva fondata la Metelli, azienda di montaggio che nel 1997 è entrata a far parte del gruppo Cycleurope A.B., la più importante holding mondiale del settore ciclistico. Nel 1973 veniva fondata da Carlo Ravasio la "Emmegi", specializzata in prodotti per la detergenza domestica e l'igiene personale, che nel 2003 dava lavoro a 210 dipendenti distribuiti nelle aziende operative di Trenzano, di Padova ("Hidra Farmacosmetici") e di Bergamo ("Kleifer"). Nella frazione di Cossirano è stata attiva per decenni la Filatura di Cossirano che si è trasformata nel maggio 2001 nell'"Ente Globo Filatura Italiana" attualmente dismesso. Fiere si tengono il 4 maggio, l'ultima domenica di settembre e la prima domenica di ottobre.




PERSONAGGI ILLUSTRI. Oltre ai personaggi delle famiglie Ducco, Fisogni ecc. e arcipreti come Giovanni Pontoglio, ricordati alle singole voci, è di famiglia originaria di Trenzano il celebre abate benedettino - discepolo e amico di Galileo Galilei - studioso ed esperto Benedetto Castelli (v.); e trenzanese è p. Francesco Antonio Fogari (v.) o Fogarino, religioso dei Minori Conventuali. «Di pronto ingegno e pieno di sapere», fu superiore in conventi di Brescia, Firenze e Vienna, fu definitore e provinciale ed insegnò filosofia e teologia. Pubblicò opere filosofiche e teologiche e morì a Brescia «carico di anni e di meriti» il 3 agosto 1702.


Più recentemente Trenzano ha dato personaggi come mons. G.B. Belloli, direttore dell'Ufficio catechistico diocesano, promotore dell'ANSPI, consulente al Concilio Vaticano II; insigne p. Giacomo Bonomi (1917-1996) piamartino, educatore e autore di poesie e di racconti; il prof. Bartolomeo Tommaso Gozzi, docente di letteratura italiana all'Università di Pavia; suor Eugenia Menni, superiora generale delle Ancelle della Carità dal 1981 al 2000 e realizzatrice di opere grandiose come la nuova Poliambulanza e la Domus Salutis, con l'Hospice; mons. Carlo Verzelletti, attuale vescovo ausiliare di Belém (Brasile). Hanno dedicato studi a Trenzano il dott. Camillo Barbera e Giacomo Ghilardi.




ARCIPRETI DELLA PIEVE DI S. MARIA E S. GIORGIO. Giovanni Pontoglio di Brescia (1250 circa); Bernabò Maggi di Brescia (1520 circa); Geraldo Zanchi di Bergamo (1532 circa); Marcantonio Zanchi di Bergamo (rin. 1567 c.); Gianbattista Zerlino di Verolanuova (m. nel 1590); Ottavio Ermanni di Brescia (1590 - 1592); Gianbattista Cagna di Borgo S. Giacomo (1593 - 1596); Francesco Sandrini di Travagliato (1596 - rin. 1614); Giuseppe Sandrini di Travagliato (1615 - m. 1627); Giovanni Pietro de Pagaciis di Crema (1627 - rin. 1647); Vincenzo Spada di Brescia (1647 - m. 1665); Pietro Grazioli di Gargnano (1665 - Bogliaco 1670); Palamede Fenaroli di Brescia (1679 - m. 1715); Ottavio Mondella di Brescia (1716 - m. 1717); Antonio Piccoli, veronese (1717 - m. 1759); Vincenzo Bordonali di Brescia (1759 - m. 1786); Bernardino Galvani di Gambara (1787 - m. 1816); Bernardo Spagnoli di Brescia (1817 - m. 1820); Giambattista Martinelli di Bione (1820 - m. 1843); Cristoforo Galimberti di Pralboino (1844 - m. 1857); Giovanni Bettinelli di Brescia (1857 - rin. 1895); Giacomo Nabotti di Brescia (1896 - tr. Lovere 1902); Gerolamo Pietta di Orzivecchi (1903 - m. 1929); Luigi Troncana di Travagliato (1929 - 1963); Giov. Battista Barbieri di Urago d'Oglio (1963 - m. 1978); Cesare Verzeletti di Travagliato (1978 - tr. Mompiano 1993); Guido Zupelli di Orzinuovi (dal 1993).




PODESTÀ E SINDACI. Dal 1866 al 1920, sindaci: Cesare Remondini (1866 - 1879); Domenico Remondini (1879 - 1881); Gioachino Bettalli (1881 - 1884); Giovanni Maria Rivetti (1884 - 1887); Ottavio Almici (1888 - 1891); dr. Giovanni Remondina (1892 - 1919). Dal 1920 al 1945, sindaci e podestà: Giuseppe Falconi (1920 - 1941); Ermete Dognini (1941 - 1942); Antonio Toninelli (1942 - 1945). Dal 1945 al 2004, sindaci: Emilio Bulgarini (1945); Giovanni Morelli (1945-1956); Ugo Falconi (1956 - 1975); Ciro Mangiavini (1975 - 1985); Carlo Bocchi ( 1985 - 1990); Giancarlo Morghen (1990 - 1999); Vito Bracca (1999 - 2004). (collab. Camillo Barbera e Giacomo Ghilardi).