ARICI Cesare
ARICI Cesare
(Brescia, 2 luglio 1782 - 2 luglio 1836). Di Agostino e di Caterina Brozzoni. Di nobile famiglia, fu educato, fino ai dieci anni, nella casa paterna e poi nel collegio dei nobili, dove si distinse soprattutto per l'amore allo studio dei classici latini e italiani. L'esiguità del patrimonio familiare lo costrinse a terminare il più presto possibile gli studi di legge a Bologna e ad entrare nel 1802 nella carriera burocratica. Fu attuario criminale nella Corte d'appello di Brescia fino al 1807, diventando poi commesso di seconda classe presso la Corte civile e criminale. Pur essendo tiepido verso Napoleone, inneggiò alla sua incoronazione con l' ode "Le vittorie". Alle prime fortune poetiche, ottenute con il poemetto didascalico "La coltivazione degli ulivi" (1805-1808), lodato dal Monti, lasciò l'impiego per la cattedra di eloquenza nel liceo di Brescia, lasciata da Angelo Anelli. Con l'appoggio del Monti, divenne poi segretario dell'Istituto italiano per la sezione di Verona, raggiungendo quella tranquillità che gli permise di dedicarsi all'attività letteraria per tutta la vita. Al sopravvento degli austriaci esaltò l'arciduca Ranieri. Ma amò, soprattutto, il quieto vivere, pur rimanendo per anni sospetto agli occhi del governo austriaco. Dopo la pubblicazione de "La coltivazione degli ulivi", tradusse le "Georgiche" di Virgilio (1811), curando, fino al 1822, la stampa delle altre opere virgiliane. Tradusse poi "Le nozze di Peleo e di Teti" di Catullo, passi delle opere latine del Petrarca, gli "Inni" di Bacchilide (1815), che volle far credere tradotti dal greco, mentre erano un'elaborazione di terza mano di lavori altrui. Tra le opere poetiche sono da segnalare il carme "In morte di Giuseppe Teti" (1808), come imitazione del carme manzoniano "In morte di Carlo Imbonati", per il quale fu accusato di contraffazione poetica in un articolo che fu creduto del Foscolo (per cui il Monti ruppe i rapporti con questi) mentre era del Borsieri. Seguì nel 1817 "Il corallo", che ebbe poca fortuna per la chiara imitazione dei poemetti scientifici del Mascheroni. Più ampia eco ebbe il poemetto "La pastorizia" (1814), in verso sciolto. Scrisse anche drammi fra i quali "Cromwello", "Calliroe" (1809), "Egeria", e tentò, con la "La Gerusalemme distrutta " (1819) il poema epico. Influenze romantiche furono individuate nell' "Origine delle fonti", mentre, oltre ad altri versi raccolti nell'opera omnia "Poesie e prose" in 6 vol. (Brescia 1818-1819), lasciò inedito il poemetto "L'elettrico". Ma l'Arici eccelse, soprattutto, come scrive N.Tanda, come traduttore, anche se fu considerato uno dei più decorosi cultori del genere didascalico. In verità egli è uno degli epigoni di rilievo del mondo napoleonico, dell'accademismo classico del tempo, e a metà strada fra il poema georgico virgiliano e il poema scientifico.