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VESCOVI di Brescia

Accantonata come leggendaria l'origine della Chiesa bresciana dall'apostolato di S. Barnaba, sembra che il primo vescovo di Brescia sia stato verso la fine del III secolo S. Anatolio o Anatalone, vescovo di Milano, mentre il primo esclusivo vescovo di Brescia è ritenuto S. Clateo, martire.




LA SERIE DEI VESCOVI BRESCIANI vede


S. Anatolio o Anatalone, vescovo di Milano e di Brescia (sec. III);


S. Clateo (seconda metà sec. III);


S. Viatore (I metà sec. IV);


(Flavio) S. Latino (sec. IV);


S. Apollonio (I metà sec. IV);


S. Ursicino (Ursacio) (... 343 ... 344);


S. Faustino (344-378);


S. Filastrio (...379 ... 387), padre della Chiesa;


S. Gaudenzio (387-411);


S. Paolo o Paolino (411-418);


S. Teofilo (I metà sec. V);


S. Silvino (I metà sec. V);


S. Gaudioso (I metà sec. V);


S. Ottaziano (... 451 ...);


S. Vigilio (480 c.);


S. Tiziano (II metà sec. V);


S. Paolo II (inizio sec. VI);


S. Cipriano (I metà sec. VI);


S. Ercolano (I metà sec. VI);


S. Onorio (II metà sec. VI);


S. Rusticiano (II metà sec. VI, 591);


S. Dominatore (II metà sec. VI, 395 c.);


S. Paolo III (inizio sec. VII);


S. Paterio (I metà sec. VII, 604 c.);


S. Anastasio (I metà sec. VII, 610 c.);


S. Domenico (650-661);


S. Felice (661-672);


S. Deusdedit (Diodato, Adeodato) 679-680 ...);


Gaudioso (fine sec. VII);


Rusticiano (inizi sec. VIII);


Apollinare (inizi sec. VIII);


Andrea I (I metà sec. VIII);


Teobaldo (II metà sec. VIII);


Vitale (II metà sec. VIII);


Benedetto (753-761);


Ansoaldo (II metà sec. VIII - 774?);


Cuniperto (fine sec. VIII);


Anfrido (813-816);


Pietro (primi decenni sec. IX);


Ramperto (... 824/826-842 ...);


Notingo (844 ca. - 859);


Antonio I (... 863-898 ...);


Ardingo 901-922 ...);


Landolfo I (922-942);


Giuseppe (942-950 ca.);


Antonio II (... 950-969 ...);


Goffredo di Canossa (975-979);


Attone (Azzone) (fine sec. X);


Adalberto (966-1002 ...);


Landolfo II (... 1002-1030);


Olderico I (1031-1054);


Adelmanno di Liegi (1057-1061);


Olderico II (1061-1070/73);


Conone (1073 ca. - 1084 ca.);


Giovanni I (1084 ca. - 1086 ca.);


Oberto (1086/1087-1098 ca.);


Arimanno da Gavardo (... 1087-1112 ca.);


Villano (... 1116-1132 ca.);


Manfredo (1132 ca. - 1153);


Raimondo (1153-1173);


Giovanni II da Fiumicello (... 1174-1195);


Giovanni III da Palazzo (1195-1212);


Alberto da Reggio (1213-1229);


b. Guala de Roniis (1229-1243/1244);


Azzo (Azzone) da Torbiato (1244-1253);


Cavalcano de Salis (1253-1263);


Martino (1263 ca. 1275);


Berardo Maggi (1275-1308);


Federico Maggi (1309-1316);


Princisvalle Fieschi (1316-1325);


Tiberio della Torre (1325-1332);


Iacopo degli Atti (1335-1344);


Lambertino Balduino (1344-1349);


Bernardo Tricardo (1349-1358);


Raimondo Bianco da Velate (1358/1359-1362);


Enrico Sessa (1362-1367);


Agapito Colonna (1369-1371);


Stefano Palosii de Veraineriis (1371-1373);


Andrea de Aptis (1373-1378);


Nicolò Zanasio (1378-1383);


Andrea Serazoni (1383-1388);


Tommaso Visconti (1388-1390; 1396-1397);


Francesco Lante (1390-1396);


Tommaso Pusterla (1397-1399);


Guglielmo Pusterla (1399-1416);


Pandolfo Malatesta (1416-1418), amministratore apostolico;


Francesco Marerio (1418-1442);


Pietro del (dal) Monte (1442-1457);


Bartolomeo Malipiero (1457-1464);


Domenico de Dominici (1464-1478);


Lorenzo Zane (1478-1481);


Paolo Zane (1481-1531);


Francesco Corner (Cornaro) (1532-1543);


Andrea Corner (Cornaro) (1543-1551);


Durante Duranti (1551-1558);


Domenico Bollani (1559-1579);


Giovanni Dolfin (1579-1584);


Francesco Morosini (1585-1596);


Marino (Giorgi) Zorzi (1596-1631);


Vincenzo Giustiniani (1633-1645);


Marco Morosini (1645-1654);


Pietro Ottoboni (1654-1664);


Marino Giovanni (Giorgi) Zorzi (1664-1678);


Bartolomeo Gradenigo (1682-1698);


Marco Dolfin (1698-1704);


ven. Giovanni Badoer (Badoaro) (1706-1714);


Gianfrancesco Barbarigo (1714-1723);


Fortunato Morosini (1723-1727);


Angelo Maria Querini (1727-1755);


Giovanni Molin (1755-1773);


Giovanni Nani (1773-1804);


Gabrio Maria Nava (1807-1831);


Carlo Domenico Ferrari (1834-1846);


Girolamo Verzeri ( 1850-1883);


Giacomo Maria Corna Pellegrini (1883-1913);


Giacinto Gaggia (1913-1933);


Giacinto Tredici (1933-1964);


Luigi Morstabilini (1964-1983);


Bruno Foresti (1983-1998);


Giulio Sanguineti (1998 - ...).


Il nesso iniziale tra la chiesa bresciana e quella milanese, come «figlia primogenita», ha comportato il privilegio per il vescovo di Brescia di occupare il posto d'onore alla destra del metropolita nei Concili provinciali e in tutte le altre assemblee pubbliche della vastissima giurisdizione metropolitica della Chiesa ambrosiana, che oltre la Lombardia comprendeva il Piemonte, la Liguria, il Canton Ticino e la valle dei Grigioni e parte dell'Emilia. Negli atti pubblici collettivi dell'episcopato lombardo il vescovo di Brescia firmava subito dopo l'arcivescovo, e nelle episcopali assemblee collettive aveva, in assenza dell'arcivescovo, il primato di precedenza e di presidenza.


Tale primato fu contestato nella seconda metà del sec. XII, ai tempi di Federico Barbarossa, a causa della sua politica antipapale e contestata pure nel 1151 dal vescovo di Vercelli, Uguccione di Bergamo che occupava per un suo primato la successione da S. Eusebio, apostolo contro l'arianesimo e martire dell'ortodossia romana. La questione venne risolta da papa Alessandro III, con bolla del 1160 ed altra del 1167 che riconfermò la preminenza del vescovo di Brescia. Questa andò tramontando nel sec. XV quando, con la nomina di vescovi di origine veneta, le relazioni con Milano si andarono sempre più diradando fino a quando il Concilio di Trento modificò completamente il protocollo. Fino a quando si verificò tale nuova situazione, il vescovo di Brescia venne eletto, prima dal clero e dal popolo in assemblea solenne e spesso per acclamazione, poi fino a Berardo Maggi (che fu ultimo vescovo eletto con questa procedura nel 1274), dal capitolo della Cattedrale, dal clero urbano e dagli arcipreti delle pievi rurali. Egli poi doveva recarsi a Milano per essere consacrato dall'arcivescovo e ciò, come suppone Paolo Guerrini, forse fin dal sec. IX, in coincidenza con la formazione del potere temporale, ad imitazione di quanto si praticava a Roma con l'ingresso del Papa e a Milano per l'ingresso dell'arcivescovo. Invalse così una singolare consuetudine, detta della "chinéa": nel ritorno dalla consacrazione il novello presule, accompagnato dai suoi familiari e da una scorta militare di onore, veniva accolto fuori della porta di S. Giovanni dal corteo delle autorità comunali, dai patrizi e dai cavalieri, che erano in maggior parte vassalli o gastaldi dei feudi vescovili. Il vescovo discendeva dalla sua cavalcatura di viaggio, e, vestito degli abiti pontificali, saliva sopra la bianca "chinéa", che era o un cavallo bianco o una mula bianca riccamente bardata, e cavalcava per il corso della Pallata fino alla porta della Cattedrale. La "chinéa" era guidata per la briglia dal capo della famiglia Avogadro, l'"advocatus Ecclesiae", che era anche capo dell'amministrazione civile ed economica del vescovato; quando il vescovo discendeva dalla cavalcatura per entrare in cattedrale, l'abbandonava in proprietà all'Avogadro come primo compenso dei suoi servigi, e non poteva redimerla se non pattuendo col suo vassallo una somma di denaro.


Per secoli il vescovo di Brescia, come molti altri vescovi, era stato investito dagli imperatori anche del governo civile della città della quale era il Signore (Dominus o Domnus) e con la piena giurisdizione legislativa, militare e giudiziaria e la libera disposizione del Comune di Brescia come piccolo stato provinciale. Da età remotissima fino all'anno 1796, i vescovi di Brescia portarono i titoli di Duca, Marchese e Conte, come pochi altri vescovi d'Italia: negli atti pubblici del governo diocesano, come nelle relazioni con le autorità governative, questi titoli davano al vescovo una certa preminenza di autorità. Specificamente i titoli corrispondevano in antico alla realtà del dominio temporale, poiché il vescovo era Duca della Valle Camonica, a lui infeudata dagli Imperatori germanici e dove i gastaldi vescovili governavano in nome del vescovo signore nelle curie delle pievi di Pisogne, Cividate, Cemmo e Edolo; era Marchese della Riviera occidentale Benacense per i feudi di Salò, Maderno, Toscolano e Gargnano, ricchi di decime e di prestazioni dell'olio necessario al culto divino nella Cattedrale; era Conte di Bagnolo poiché nel secolo XI una contessa longobarda, Ferlinda, ultima di sua stirpe, aveva donata la corte di Bagnolo al vescovo Raimondo e suoi successori "in remedio animae suae", come similmente erano pervenuti al vescovato per pie donazioni di fedeli i fondi numerosi di Visano, Montirone, Manerbio, Offlaga, S. Gervasio e Bassano nella fertile pianura, così da costituirvi intorno a Bagnolo un vastissimo latifondo feudale.


Con la decadenza dell'istituto feudale e la formazione dei liberi e irrequieti comuni, anche il potere temporale dei vescovi decade e si fossilizza in forme più rigide di semplice amministrazione. Mentre scompare l'autorità esercitata per oltre tre secoli, i vescovi tentano di fermarne il ricordo, che tramonta, usando dei titoli, ciò che non avevano fatto quando il titolo non era ancora una "fictio iuris", come divenne poi. Il primo vescovo che usò negli atti pubblici i titoli di Duca, Marchese e Conte (Dux, Marchio et Comes) fu Berardo Maggi (1275-1308), il potente sognatore di una signoria bresciana per la sua famiglia, come quella che l'amico suo e parente Giovanni Visconti, arcivescovo di Milano, stava formando per la sua famiglia nella metropoli lombarda.


Nel quattrocento il vescovo aveva già perduto una buona metà dei suoi diritti feudali, usurpati da vassalli infedeli o da comunità ingorde; i titoli andavano sempre più diventando un anacronismo storico e una pomposa affermazione di diritti ormai passati in prescrizione. L'imperatore Federico III, disceso in Italia in cerca di danaro per le casse imperiali, rilasciò al vescovo Domenico de Dominicis un diploma di conferma dei tre titoli araldici (14 settembre 1477): il diploma imperiale autentico, in pergamena, si conserva nell'archivio vescovile; venne pubblicato nel 1658 dallo storico don Bernardino Faino nel suo volume "Coelum S. Brixianae Ecclesiae", pag. 7076, ma con molti errori tipografici. I titoli vennero completamente aboliti dal Governo Provvisorio Bresciano nel 1796, insieme con le ultime reliquie dei beni della mensa vescovile. Il vescovo mons. Nava, declinato il governo napoleonico, tentò di far risorgere, mediante le sue alte relazioni di Corte, della quale era Elemosiniere, i titoli araldici della sua sede, poiché non poteva più rivendicarne i diritti e le rendite; ma nel 1815 la Delegazione araldica austriaca di Milano rispose negativamente al Prelato, troppo benviso al governo napoleonico e quindi poco simpatico al governo austriaco. Così venivano aboliti i tre titoli storici, che i vescovi bresciani avevano portato per più di sette secoli e che compendiavano in sé antiche e larghe benemerenze della sede illustre.


Nel 1923 un decreto governativo riconosceva e iscriveva nell'albo araldico gli antichi titoli per cui furono resi di nuovo al vescovo di Brescia i titoli di duca di Valle Camonica, Marchese della Riviera occidentale del Benaco e Conte di Bagnolo. Con decreto della Congregazione Concistoriale del 12 maggio 1951 la S. Sede, uniformandosi alla legislazione democratica di vari stati, ha proibito ai vescovi l'uso dei titoli nobiliari personali o uniti alla Sede e dei relativi simboli araldici, tanto nei sigilli che negli atti vescovili e negli stemmi, sancendo la cancellazione di ogni titolo.


Quanto alla dimora del vescovo si sa che questi visse dapprima in comunità con il clero e poi con i canonici nell'unica "domus" (casa) dalla quale ebbe origine la parola "duomo", attribuita ancora alle due cattedrali, cioè dove il vescovo aveva la sua cattedra. Il vescovo interveniva e presiedeva all'ufficiatura quotidiana nella chiesa estiva di S. Pietro de Dom e in quella invernale di S. Maria de Dom. Ne abbiamo ancora il ricordo nella stessa ufficiatura liturgica quando l'ebdomadario, rivolto al Vescovo che presiedeva, chiedeva la benedizione prima di ogni lezione con la formula «Jube, domne benedicere». Il dominus, il capo della casa, era precisamene il Vescovo e ne abbiamo molte altre indicazioni nella stessa toponomastica urbana, come il Monte Denno (la Maddalena), Caccia Denno (Mompiano).


Come ha sottolineato Paolo Guerrini, «nel secolo XII avvenne la separazione dei beni della "Mensa vescovile" da quelli della "Mensa canonicale" pur continuando il Capitolo a collaborare col Vescovo nell'amministrazione e nel governo della Diocesi. La corte vescovile ebbe allora i suoi funzionari laici ecclesiastici: oltre il Cancelliere, che era un notaio laico (i cancellieri ecclesiastici incominciano soltanto intorno al 1846), vi era l'Advocatus, il Confaloniere, il Giudice de Palatio, il Medico, le principali cariche del governo vescovile, donde sono venute le famiglie feudali degli Avogadro, dei Confalonieri e dei Palazzi, e dei Medici di Gavardo che erano ricompensate dal "domnus episcopus" con larghe investiture di beni demaniali. Nel ceto ecclesiastico il Capitolo dava al Vescovo alcuni collaboratori di diritto: come l'Arcidiacono che era il Vicario nato, chiamato anche negli statuti "oculus episcopi" e ordinariamente anche successore del Vescovo; il Vice domino, quarta dignità del Capitolo che era a capo dell'amministrazione della Curia e Ispettore nato dell'Amministrazione beneficiaria di tutta la diocesi, ma soprattutto capo amministrativo del "potere temporale". La trasformazione di questi istituti e la divisione dei beni, a cui abbiamo già accennato, portano naturalmente ad un indebolimento progressivo dello stesso "potere temporale" che lentamente va sfasciandosi, specialmente con l'insorgere della potenza civile, delle comunità e delle famiglie feudali, che si rendono indipendenti dall'autorità temporale del loro signore» (v. Episcopio o Palazzo Vescovile).




SEPOLTURE DEI VESCOVI BRESCIANI. Dalle origini della Chiesa bresciana fino al secolo X i vescovi bresciani, anche per le contingenze politiche e religiose del tempo, furono sepolti un po' dovunque nelle varie basiliche e nei monasteri della città e del suburbio. S. Latino (sec. III), S. Faustino (sec. IV), S. Felice (sec. VII), Cuniperto (sec. VIII) trovarono sepoltura nell'antico cimitero suburbano di S. Faustino ad Sanguinem poi S. Afra, ora S. Angela Merici; S. Gaudenzio, S. Teofilo, S. Gaudioso e S. Ottaviano furono seppelliti nella basilica suburbana di S. Giovanni de foris chiamata "concilium sanctorum" per le reliquie ivi raccolte, in quelle di S. Lorenzo e di S. Alessandro; S. Paolo, fratello di S. Gaudenzio, S. Ursicino, reduce dal famoso Concilio di Sardica, S. Dominatore, S. Paolo II, S. Anastasio e S. Domenico vescovi del secolo VI furono inumati nelle basiliche più antiche dei ronchi sorgenti in località di S. Fiorano e dedicate a S. Andrea, S. Eusebio e S. Gervasio e nella chiesa di S. Stefano sull'Arce del Castro (cioè sul castello). Nella basilica di S. Pietro in oliveto sui pendii del Cidneo furono sepolti S. Paolo III, S. Cipriano, S. Deusdedit o Diodato. La salma di quest'ultimo fu poi traslata sulla fine del sec. XIII in S. Agata dove furono più tardi seppelliti anche Ansoaldo e forse altri vescovi del sec. IX e X che furono di tale basilica fondatori e benefattori. Altri vescovi trovarono sepoltura fuori Brescia. In S. Pietro in Monte Orsino fu sepolto S. Silvino, in SS. Cosma e Damiano nei Campibassi, S. Tiziano; nel monastero di S. Faustino maggiore furono inumati S. Onorio, Anfrido, Pietro, Ramperto e Adelmanno, forse, almeno questi ultimi due, monaci benedettini. Nel monastero di S. Eufemia extra muros ebbero invece sepoltura Landolfo e Antonio, vescovi del secolo IX, mentre Arimanno, il grande vescovo della riforma gregoriana, riposò nel monastero vallombrosano dei SS. Gervasio e Protasio della Badia, oltre il Mella. Altri vescovi dei secoli più oscuri dell'alto medioevo dovettero essere sepolti nella basilica dei SS. Crisanto e Daria o nel Battistero della città, ed altri ancora nelle numerose chiese della città antica, ora distrutte. Tale dispersione delle sepolture si dovette soprattutto alla consuetudine di seppellire i vescovi nelle basiliche da loro stessi fondate o beneficiate. Almeno fino al sec. XI l'ubicazione della tomba indica infatti relazione stretta del vescovo con la chiesa che lo accolse morto.


Alcuni vescovi però trovarono sepoltura fuori di città o anche fuori diocesi. Ricorderemo fra questi S. Viatore, forse vescovo missionario, sepolto a Bergamo; S. Vigilio, sepolto nella pieve di Iseo forse da lui fondata e sicuramente a lui dedicata fino dai tempi antichi; S. Ercolano, morto a Campione e poi traslato e inumato a Maderno; Apollinare (a. 730), sepolto a Milano; Notingo, ricco e dotto longobardo, sepolto a Pavia; il Beato Guala de Roniis bergamasco, uno dei primi compagni e discepoli di S. Domenico da Guzman, ardente apostolo di pace in Italia, fu sepolto nella Badia Vallombrosana di S. Sepolcro, in Astino in Val Cavallina, fondata nel 1107 da un monaco bresciano di nome Paterio; Cavalcano Sala, capo del partito guelfo scacciato da Brescia dal ghibellino Ezzelino da Romano, morì a Lovere e fu sepolto nella chiesa di S. Giorgio dove però non esiste più segno di tomba.


Dall'XI al XII secolo i vescovi bresciani vennero sepolti in S. Pietro de Dom, l'antichissima Cattedrale che sorgeva sulla stessa area del Duomo nuovo. Dal sec. XIII al XVI, cioè con la sepoltura del vescovo Martino da Gavardo (1274), immediato predecessore di Berardo Maggi, fino a quella del card. Gianfranco Morosini, luogo di sepoltura dei medesimi, fatta eccezione di alcuni, fu la Rotonda del Duomo vecchio, cioè la Cattedrale iemale di S. Maria Maggiore. Dal 1631 in poi, con la morte di Marino Zorzi, si incominciò a seppellire i vescovi di Brescia nella nuova cattedrale. Fecero eccezione alla regola mons. Vincenzo Giustiniani, morto in Venezia ed ivi sepolto nell'anno 1645, il card. Pietro Ottoboni, eletto papa col nome di Alessandro VIII, il card. Gianfrancesco Barbarigo e mons. Fortunato Morosini, ambedue morti vescovi di Padova.


Di alcuni sepolcri non si conosce nulla, di altri invece sono rimaste tracce. Ricorderemo fra questi i monumenti sepolcrali di S. Filastrio in Duomo vecchio, l'arca di S. Tiziano a S. Cosma, quella di S. Apollinare in Cattedrale; le arche funerarie dei vescovi Baldovino Lambertini della Cecca ( 1349) e di Domenico de Dominicis (1478) negli ambulacri della Rotonda e soprattutto il bellissimo mausoleo del vescovo Berardo Maggi ( 1308) che sorge sul matroneo della Rotonda, ed è opera d'arte pregevolissima in porfido veronese. Dei monumenti sepolcrali del Cinquecento non è rimasto che quello del card. Gianfrancesco Morosini di fronte alla cappella delle SS. Croci in Duomo vecchio. Il grandioso mausoleo del vescovo Domenico Bollani, opera insigne di Alessandro Vittoria, fu invece rovinato dal crollo della torre che si elevava sulla fronte del Duomo. Ne rimangono solo alcune parti decorative disperse negli ambulacri sotterranei del Duomo stesso, mentre le statue sono raccolte nel Museo civico dell'età cristiana. Nel Duomo nuovo, accanto alle tombe dei vescovi Nava, Ferrari, Verzeri, Gaggia, Tredici, Morstabilini, vi è la lapide che ricorda Giacomo Maria Corna Pellegrini, la cui salma venne traslata nella chiesa parrocchiale di Pisogne.