UGONI Filippo (2)

UGONI Filippo

(Brescia, 11 novembre 1794 - 12 marzo 1877). Di Marcantonio e di Catterina Maggi della Gradella. Rimasto orfano ancora fanciullo del padre, trascorre l'infanzia con i fratelli Camillo, Marianna e Lucia, sotto la tutela dello zio materno don Francesco Maggi. Compie i primi studi nel collegio dei nobili di S. Caterina di Parma, retto dai Gesuiti, ritenuto fra i migliori di Italia, del quale come della città ospite, conserverà grato ricordo "per quel po' di educazione avuta e per la conoscenza di ottimi parmigiani". Soppresso nel 1806 il collegio, passa al collegio Cicognini di Prato dove completa gli studi, con scarso entusiasmo e poco profitto, ma come egli affermerà, con una sempre più convinta apertura verso gli ideali della rivoluzione francese e di una "patria o nazione italiana" instillatigli da un domestico. Tornato nel 1813 a Brescia, orfano anche della madre morta nel 1806, è ancora sotto la tutela dello zio don Francesco Maggi. Chiamato alle armi, si fa sostituire da un piacentino, certo Luigi Paradisi, sborsando 350 napoleoni d'oro. Seguendo le orme del fratello entra in contatto con i migliori intellettuali del tempo, frequenta il Cantinone di S. Afra, ritrovo di intellettuali. Nel marzo 1815, in seguito al proclama di indipendenza nazionale di Rimini, aderisce con un gruppo di amici al proclama di Murat e all'indirizzo di Pellegrino Rossi, resi poi inutili dal Congresso di Vienna. Ha influenza su di lui Giovita Scalvini che gli fa conoscere il "Progrès d'esprit humain" di Condorcet. Dagli ultimi mesi del 1816 ai primi del 1818, frequenta l'Università di Pavia per studiarvi chimica e scienze naturali, discipline che poi abbandona.


Nel frattempo entra in contatto con l'ambiente milanese e soprattutto con il conte Confalonieri che lo inizia alla Federazione italiana, e al problema dell'istruzione popolare e del mutuo insegnamento. Ad un impegno più intenso viene poi sollecitato nell'estate del 1819. Un soggiorno svizzero lo persuade della validità del nuovo metodo di insegnamento ivi realizzato dal Pestalozzi, dal Fellemberg e dal padre Girard ed al suo ritorno in patria, seguendo l'esempio del concittadino Mompiani e del Confalonieri, si pone con entusiasmo alla nuova esperienza di educatore. Nell'ottobre 1819 apre a Pontevico una scuola di mutuo insegnamento, iniziativa ben accolta fin dal primo momento da intellettuali (Pellico ed altri) e dalle stesse autorità austriache tanto da spingerlo a progettare scuole in altri centri lombardi (Pavia, Cremona, ecc.). L'iniziativa è però troncata da interventi energici dall'I. R. Governo Lombardo del 24 luglio e 22 agosto 1820. L'Ugoni ricorre al diversivo di una scuola per adulti anch'essa proibita con nuovo ordine del 6 ottobre seguente. Ripiega allora, sempre su esempi svizzeri, su una scuola di fanciulle con principale insegnamento il canto, ma viene ancora una volta dissuaso dal delegato della Polizia. Vengono inoltre accantonati i progetti di una "società filarmonica" e, assieme al fratello Camillo e al conte Bortolo Fenaroli, di una società filodrammatica.


Ma oramai i suoi interessi sono rivolti altrove. Santorre di Santarosa, che incontra a Torino, lo orienta a ideali patriottici ed è poi il conte Federico Confalonieri a coinvolgerlo nella cospirazione carbonara aggregandolo alla Federazione Italiana con l'incarico di "associare alla stessa quanti più proseliti io poteva". Fin dai primi mesi del 1821 l'Ugoni è in movimento diffondendo la Federazione a Pontevico, in città e in provincia. Anni dopo, nel 1863, ricorderà i nomi di Andrea Tonelli da Coccaglio, del cav. Peroni da Quinzano, Lodovico Ducco, Alessandro Cigola, Vincenzo Martinengo, l'ardentissimo avv. Alessandro Dossi, Antonio di lui figlio, Mocini segretario del municipio, il fratello Camillo, il professor don Pietro Gaggia, il dott. G.B. Passerini, Antonio Panigada, Giovita Scalvini, in sulle prime riluttante, e i colonnelli Moretti ed Olivi, "i quali, coi segni ancora delle catene di Mantova alle mani accettarono il primo di andare a sommovere le valli, ed il secondo di recarsi a Torino, dove venne messo a capo dello stato maggiore". In effetti diventa uno dei perni della cospirazione, da Confalonieri riceve proclami da diffondere e somme da distribuire anche ad altri patrioti lombardi, cremonesi e mantovani, incarica (a nome di Confalonieri o di Pecchio) Manfredini di chiedere al generale Zucchi a Reggio se è disposto ad accettare un comando in Piemonte.


Scoppiata la rivoluzione in Piemonte, verso il 10 marzo 1821 moltiplica la sua attività e verso il 17 dello stesso mese, in una riunione alla quale partecipano G. Scalvini, A. Panigada, L. Ducco, l'ex col. Moretti, Dossi e il fratello Camillo, vengono poste le basi dell'insurrezione a Brescia e prese le misure necessarie (impadronirsi delle fortezze di Peschiera e di Rocca d'Anfo, procurare armi dalle fabbriche bresciane di Gardone V.T. e Brescia, disarmare la guarnigione austriaca, sequestrare il denaro delle casse pubbliche). Al sopravvento di incertezze, emerse in una riunione tenutasi a metà marzo a Milano dal Confalonieri, raggiunge Torino dove viene a sapere che il re Carlo Alberto si appresta a fuggire. Arresosi all'insuccesso, sospesa ogni azione, si ritira al Campazzo dove fa vita ritiratissima e dove gli giungono le prime notizie degli arresti. Preparandosi alla fuga, vende, onde evitare il sequestro, tutti i suoi beni al fratello e il 24 maggio, mentre lo zio don Francesco intratteneva abilmente gli alti esponenti della Polizia austriaca venuti ad arrestarlo, brucia le carte compromettenti, raggiunge Alfianello e con un cavallo prestatogli dai fratelli Panigada raggiunge Montichiari presso il nob. Gerolamo Monti; infine, con l'aiuto di questi, del commissario aggiunto del paese, Pietro Tanfoglio, e del fattore del Monti, Silvestro Bettola, risale verso Brescia, e senza entrare in città, per la valle Trompia fino a Lavone, Pezzaze e poi attraverso il colle S. Zeno entra in Valle Camonica e da lì, per il passo di Aprica, scende in territorio svizzero dove verrà raggiunto dal fratello Camillo.


Compromesso dalle rivelazioni dei compagni di congiura, con sentenza del 29 dicembre 1823 e del 21 gennaio 1824 verrà condannato in contumacia alla pena di morte mediante impiccagione. I capi d'accusa, che secondo l'articolo 52 del Codice penale austriaco lo rendevano reo del delitto di alto tradimento, erano «essersi aggregato alla segreta società dei federati italiani e data cura di diffonderla in Brescia e nel distretto; avere egli proposto di sorprendere le casse pubbliche e d'operare un movimento insurrezionale in Brescia e nei dintorni, onde distrarre parte delle truppe austriache, promuovendo l'invasione dei piemontesi, fare quindi causa comune con essi contro il legittimo governo austriaco; avere egli, reduce dal Piemonte, ove si recò di soppiatto per esplorarvi lo stato delle cose, proposto nuovamente che si eseguissero insurrezioni nel bresciano, onde affrettare l'invasione dei piemontesi in Lombardia».


Intanto a Lugano passa a stretto contatto con G. C. L. Sismondi e, tramite Giovanni Prati, conosce Filippo Buonarroti e l'Andryane fino a quando nell'ottobre 1821 è costretto a rifugiarsi a Parigi da dove, dopo essersela goduta "assaissimo", passa ai primi di maggio 1822 a Londra dove è dapprima ospite di Ugo Foscolo al "Green Cottage" dal quale si allontana poi per una violenta lite con il poeta. Nell'autunno 1822 raggiunge il fratello Camillo ad Edimburgo, soggiornando poi a Permiston, dedicandosi allo studio dell'inglese, a viaggi tra nuovi disagi e difficoltà avendo l'autorità austriaca sequestrato i beni suoi e del fratello. Ai primi di luglio 1824 si stabilisce in Belgio dove un gruppo abbastanza attivo di emigranti si era formato intorno al marchese Arconati Visconti ed a sua moglie Costanza nel castello di Gaesbeek, presso Bruxelles. Filippo rivede amici carissimi come Arrivabene, ed i bresciani Gaggia, Franzinetti e Panigada, nonché l'anziano Buonarroti il quale, nonostante i suoi rapporti con uomini di diverse tendenze politiche, era al centro dell'ambiente democratico-repubblicano francese, belga e tedesco. Tra le poche notizie emerse da questo soggiorno, si conosce quella di un arresto avvenuto alla fine del 1824 su pressioni del governo austriaco. Dopo qualche decina di giorni di prigione può comunque, grazie all'esborso di 6 mila franchi, limate le sbarre della prigione e fatta una fune con le coperte, fuggire e raggiungere la Danimarca e quasi subito l'Inghilterra. Nella primavera del 1826 è di nuovo in Belgio dove si dedica con più costanza alla lettura, allo studio del tedesco e dello spagnolo e si cimenta nella traduzione del Faust di Goethe. Di nuovo in Inghilterra nel settembre 1826, per un anno e mezzo si adopera inutilmente per trovare i mezzi che gli permetterebbero di sposare una giovane inglese, Anna Vanderlowe, mentre per sbarcare il lunario si dedica a dar lezioni.


Finalmente nel luglio 1828 può raggiungere il fratello e molti amici a Parigi, dove ritrova la perduta volontà di lavoro. Si dedica a nuovi studi, si cimenta a comporre una tragedia o commedia e verso la fine del 1829 con G. Ciani, P. Rossi, G. Scalvini, G. Arrivabene, G. Arconati si impegna al progetto di un periodico "Rivista Italiana" diretto da Pellegrino Rossi, da stampare a Lugano dall'editore Ruggia, ma che non comparirà mai. Nel frattempo offre pieno appoggio al belga Luigi De Potter, specie per informare l'opinione pubblica circa la questione belga. Tramontato nei primi mesi del 1830 un nuovo progetto di matrimonio con una marchesa Trotti, nel luglio viene coinvolto in pieno dalla rivoluzione parigina e si trova "in mezzo alle schioppettate". Entra a far parte del Comitato di S. Marsan di indirizzo moderato che raccoglie l'emigrazione aristocratica e meno avanzata cercando di estenderne l'influenza in Inghilterra. Ai primi di dicembre 1830 si reca a Ginevra forse per l'incarico del direttorio parigino di chiedere aiuti in denaro ai vecchi amici di Milano e di Londra che la Belgioioso riuniva in casa sua o di organizzare in Svizzera un movimento d'appoggio alle insurrezioni in Italia attraverso la Savoia. Fra le prime incombenze, di cui si occupò, è il richiamo da Parigi del veterano delle campagne napoleoniche, il colonnello bresciano Olini, per capitanarlo.


Nel settembre 1831 è a Lugano dove lavora per traduzioni, correzioni per l'editore Ruggia attraverso il quale si lega in stretta amicizia con il bresciano G. B. Passerini che lo ospita per due mesi a Zurigo. Politicamente si va spostando verso posizioni antimoderate e verso Mazzini, senza tuttavia affiliarsi alla "Giovine Italia" ma formando gruppo ad essa favorevole con il Ciani, il Pastori, il Grillanzoni, oltre che con l'editore Ruggia e collaborando alla diffusione a Brescia di materiale di propaganda rivoluzionaria, in contatto specialmente con il conte Ettore Mazzucchelli e con il conte Gaetano Bargnani con i quali fa da tramite per procurare da Brescia armi alla progettata rivoluzione mazziniana. È ancora l'Ugoni che ispira il titolo "Il Tribuno" ad un nuovo periodico che compare a Marsiglia il 2 gennaio 1833 e del quale cura con il Pastori i contatti con i collaboratori. Sul giornale scrive una recensione sulla "Storia d'Italia" di Carlo Botta elogiandone l'ispirazione patriottica, ma criticandone l'antiromanticismo, l'antimazzinianesimo e l'antirivoluzionismo. Le stesse posizioni ribadirà in seguito in polemica con una recensione di A. Bianchi Giovini all'opera del Botta, con un opuscolo recante l'intestazione "Giovine Italia" e il titolo "Osservazioni sulla storia di Carlo Botta di continuazione a quella del Guicciardini e difesa della medesima, in risposta al ragionamento di A.B.G." (Marsiglia, 15 aprile 1833, firmato F.U. e stampato a Lugano dal Ruggia).


Ma da Mazzini si separa presto, da quando cioè nel maggio-giugno 1833, presente Mazzini, si tiene a Lugano un convegno nel quale viene messa a fuoco un'invasione in Piemonte, attraverso la Savoia. In deciso dissenso, Ugoni abbandona Lugano e, inseguito dalla polizia che ha l'ordine di arrestarlo e di estradarlo, si rifugia a Zurigo, dove si stabilisce definitivamente pur continuando a collaborare con l'editore Ruggia con traduzioni, alla pubblicazione di opere del De Potter. Si dedica ora anche a studi di economia politica avvicinandosi sempre più al "romanticismo economico" del Sismondi, critico nei confronti del capitalismo e attento al "benessere ... di tutti". Del Sismondi traduce, e arricchisce di un'appendice, l'opuscolo "Del voto universale" nel quale sostiene un sistema federativo-centrale e propone la ripartizione dell'Italia in cinque stati aventi come capitali Milano, Firenze, Roma, Napoli e Palermo con preminenza per Roma, suddivisi a loro volta in dipartimenti composti di un certo numero di comuni, nei quali "sarebbero trattati gli affari concernenti i singoli stati; mentre gli affari dell'intiera Italia verrebbero interamente riservati al congresso nazionale" con una sola camera elettiva e, al più, con l'aggiunta di un "senato conservatore" espresso dal congresso nazionale.


Con tutto ciò l'Ugoni non si trattiene dall'entrare in relazione con Mazzini sviluppando, come ha sottolineato E. Galassi Bignetti, dalla fine del 1834, rapporti epistolari che si protrarranno fino al 1840 e che testimoniano chiaramente il sorgere e lo svilupparsi di un'amicizia che resterà sincera, pur senza presupporre una stretta comunanza di posizioni, dato che tutti i tentativi del Mazzini per attirare nuovamente l'Ugoni nella propria orbita e spingerlo a un maggiore impegno politico risultarono vani fin dall'inizio, tanto che Mazzini scrive alla Sidoli "ho trovato Ugoni vano, leggero, satirico, superficiale, antipatico" e ancora "rimarremo probabilmente tutte due nelle nostre opinioni; e d'altra parte, perché m'incalorirei a convertire?".


Nel maggio 1836 collabora alla rivista letteraria "L'Italiano", uscita a Parigi sotto la direzione di Michele Accursi e di G. Ghiglione che però abbandona presto. L'aver ottenuto, ai primi del 1837 dal duca di Montebello, un salvacondotto per l'Inghilterra per Mazzini e per Giovanni Ruffini, gli procura nuovi guai. Tuttavia, nonostante il governatore austriaco di Lombardia, conte Harting, e lo stesso principe di Metternich sollecitino la sua estradizione, egli riesce, dopo una breve assenza, a ritornare a Zurigo, dove conosce anche l'esule russo Vladimir Pecerin, anima mistica che approdò al sacerdozio.


Alla fine, l'aggravarsi della situazione economica, in seguito alla morte dello zio don Francesco Maggi (8 novembre 1835) e la migliorata situazione politica, lo convincono, nel maggio 1837, ad avanzare all'imperatore di Austria la domanda di grazia. Escluso dall'amnistia del 1838, fallita una supplica di grazia da parte delle sorelle al vicerè, soltanto nel novembre 1840 può rientrare a Brescia. Sottoposto a stretta sorveglianza dalla Delegazione provinciale di Polizia "fino a che con contegno perfettamente corretto egli avrà dato sufficiente motivo all'autorità di disporne l'abolizione" si dedica ai suoi affari risolvendo con il fratello Camillo l'annosa questione patrimoniale e familiare e sposando il 30 settembre una cugina, Camilla Ugoni (di Ottavio e di Isabella Cinelli, n. a Bettegno il 13 marzo 1807) che gli porta una dote di 80 mila lire in denaro e 5 mila in mobilia. Via via riprende anche contatti con personalità della cultura come Tommaseo (dal 1842). Nel 1845 progetta un lungo saggio "destinato a raccogliere le sue rimembranze e impressioni spettanti alle fisiche, morali e civili condizioni de' vari stati da lui conosciuti durante le sue lunghe dimore in estranee contrade", la cui prima parte, "Della geografia fisica della Svizzera" compare nei "Commentari dell'Ateneo di Brescia" del 1845.


Quando finalmente Brescia nel marzo 1848 è abbandonata dagli austriaci, l'Ugoni è subito in prima fila. Egli stesso vanterà, chiamando a testimoni tutti gli abitanti della contrada Mercato Nuovo, "appena che le tre cannonate di Schwarzenberg ebbero dichiarato la guerra, mi armai e respinsi dalla mia casa, coll'aiuto di altri cittadini, un Maggiore austriaco e il Comandante della Gendarmeria che volevano far atterrare una barricata che si stava costruendo..., come io armassi tutta la gente di casa mia, ed insieme abbiamo proceduto a formare nuove barricate, ... come ... sia andato a portare le nuove della Capitolazione ai nostri prodi, che a Rezzato avevano fatto un ricco bottino di polveri e un gran numero di prigionieri Croati ...; come nel mio ritorno di Rezzato io solo in mezzo a migliaio di Austriaci abbia rivolto i più amari rimproveri allo Schwarzenberg col principe Sigismondo per aver essi rinnovato le ostilità contro di Brescia". Infine l'Ugoni rammenta di aver diretto dopo il 22 marzo i lavori che si facevano alle barricate e sugli spalti e di aver diretto l'azione di intercettazione di un grosso convoglio di munizioni diretto da Verona a Brescia per rifornire le truppe austriache.


Il 29 marzo viene chiamato a far parte del Comitato Provvisorio nel quale è fra i più attivi. Membro del Comitato di guerra con Tommaso Caprioli e A. Dossi firma, infatti, numerosi decreti relativi al rilascio di buoni a coloro che davano ospitalità alle truppe alleate; al passaggio di proprietà del denaro esistente nelle casse pubbliche dal cessato governo provvisorio; all'abolizione dell'ordine dei gesuiti; all'abolizione dei residui vincoli feudali; ed al progetto di censimento delle case, edifici e terre provinciali. Dal Governo ha l'incarico, con Ducos e Campana, di andar incontro a Treviglio all'Esercito piemontese. Ottiene dal gen. Bes che il col. Lamarmora e il capitano Beretta si affrettino a portare l'opera loro in difesa di Brescia. Dopo che l'1 aprile il Bes raggiunge Brescia con 9-10 mila uomini, l'Ugoni con Francesco Longo va a Lodi da re Carlo Alberto per presentargli "i ringraziamenti e i voti del popolo bresciano", subito tra i più accesi sostenitori dell'annessione della Lombardia al Piemonte. Probabilmente per questo il 13 aprile, nel rimpasto della Congregazione provinciale sulla quale prevalgono i repubblicani, Ugoni viene escluso.


Ma egli non si disanima e il 16 aprile pubblica un opuscolo dal titolo: "Forza e Libertà. Indirizzo di Filippo Ugoni a' suoi concittadini" (Genova, aprile 1848), nel quale auspica la nascita di una Confederazione Italica "La Confederazione Italica" venisse composta "di non più che tre o ... quattro Stati ... stretti insieme da analoghe liberissime istituzioni". Passando poi a trattare "dello stato a cui ... dovremmo appartenere noi", l'Ugoni afferma che i cardini di questo stato avrebbero dovuto essere "Forza e Libertà". Lo stato sarebbe stato composto "di Piemonte, Lombardia, Venezia, Tirolo fino alla cima del Brennero, Illirio, Dalmazia, Modena e Parma: le quali provincie fuse tutte insieme dovrebbero riconoscere a loro capitale Milano", appoggiandosi alle armi dei piemontesi, senza i quali "il Ciel sa quanto sangue dovremmo versare, quanto tempo stentare prima di poterci dir liberi..." e promuovendo un plebiscito che ne crei le condizioni. Ritenute intempestive e dannose dai repubblicani le proposte dell'Ugoni, respinte sdegnosamente dal giovane Zanardelli, viene accolto, invece, largamente da molti che si costituiscono in un "Circolo patriottico" a sostegno dell'Ugoni il quale il 2 aprile ristampa nella "Gazzetta di Brescia" l'indirizzo facendolo precedere da una lettera "A Niccolò Tommaseo" nella quale si consiglia la popolazione veneta a desistere dalla forma repubblicana proclamata a Venezia e invita veneti e lombardi a unirsi al Piemonte.


Il 9 giugno gli viene affidato l'incarico di comandante interinale della Guardia Nazionale, sottolineando in un ordine del giorno: «Se noi non ci facciamo tutti soldati vedremo il nostro paese ridivenire preda dello straniero». Avvalendosi dell'incarico di "deputato" di Brescia presso il Governo provvisorio centrale si fa propagandista dell'adesione a Carlo Alberto anche in altre città come Pavia (11 maggio 1848), Milano, dove assicura che in favore di essa sono già state raccolte a Brescia oltre 40 mila firme. Alle vigilia dell'apertura dei registri per la votazione plebiscitaria, che doveva decidere la fusione della Lombardia al Piemonte o una semplice dilazione di essa, F. Ugoni il 22 giugno ripropose ai concittadini le sue idee circa il futuro assetto politico dell'Italia contenute nella prefazione alla traduzione dei due articoli del Mill e del Sismondi, da lui già pubblicati a Lugano nel 1835. Questo aperto atteggiamento scatena sempre più contro l'Ugoni la sinistra repubblicana e specialmente i redattori del giornale "La Vittoria" secondo i quali i disordini verificatisi in seno alle Guardie Nazionali nei giorni che precedettero la parata del "Corpus Domini", erano da addebitare "al colonnello interinale F. Ugoni" che avrebbe voluto abusivamente limitare la presenza delle guardie civiche nella parata, accettando solo quelle che avevano la divisa regolamentare". Ugoni deve difendersi con lettere aperte e fogli volanti non solo per i fatti denunciati, ma anche dalle insistenti voci di essersi nascosto nei primi giorni della Rivoluzione e di non averla favorita. Nonostante le polemiche e le avversioni, dopo la disfatta di Custoza (23-25 luglio 1848) è ancora l'Ugoni con Luigi Maggi, il dott. Marchionni e Angelo Averoldi a lanciare un progetto di resistenza armata della città contro le vittoriose truppe austriache sostenendo la difesa ad oltranza perché "l'onore e l'amore di patria, valevano più dei beni materiali da salvare". Prevale l'idea del Marchionni che due patrioti di fiducia siano investiti di poteri dittatoriali col mandato di provvedere alla tutela dell'onore e della salute della patria con facoltà di aggregarsi altri due colleghi. Vengono eletti Luigi Lechi e Angelo Averoldi ed essi scelgono il generale Fanti.


Le Dieci Giornate lo vedono ancora attivo, ma al contempo cauto di fronte alla intransigenza dei duumviri e dei più accesi resistenti. Egli stesso racconterà anni dopo all'Odorici ("Storie Bresciane" X, p. 181-182) che, precipitando gli avvenimenti il 29 marzo, settimo giorno della strenua difesa della città, alle ricorrenti notizie della sconfitta di Novara e della firma dell'armistizio, "portatosi in Municipio propose che gli venissero date lettere per il console francese a Milano affinché perorasse la causa di Brescia e di raccogliere dati sicuri sulla situazione militare". Senonchè giunto a Gorgonzola saputo della sconfitta, dell'armistizio e dell'intenzione di Carlo Alberto di abdicare, ritorna a Brescia. È facile che, profondamente deluso anche dal comportamento dei duumviri che nascondono la verità ai Bresciani, si sia ritirato subito al Campazzo. Giacché, come scrive la sorella Lucia alla sorella Marianna, il 6 maggio ivi «si trova nei giorni più terribili».


Al Campazzo vive quasi sempre per tutti i dieci anni della nuova dominazione straniera, dedito agli affari familiari e all'agricoltura. Nel novembre 1849 vince contro il fratello Camillo una causa circa la primogenitura superando poi via via gravi dissapori così da assisterlo con recuperata amorevolezza negli ultimi mesi di vita e nel trapasso estremo avvenuto nel febbraio 1855. E subito si dedica alla pubblicazione delle opere postume del fratello, aggiungendo inediti alla "Storia della letteratura nella seconda metà del XVIII secolo" e pubblicando, in appendice al IV volume, un suo lavoro dal titolo "Della vita e degli scritti di Camillo Ugoni" che risulta il primo ampio studio di lui. Assieme a queste cure familiari, come scrive nel 1855, quelle "campestri empiono la mia poca vita". Si dedica infatti con passione alla conduzione dell'azienda familiare e ai problemi più generali dell'agricoltura".


Per l'Ateneo si interessa alla proposta per la costituzione dell'Associazione Agricola Lombarda detta di Corte di Palasio; al diffondersi dal 1855 della pebrina che va distruggendo la coltivazione dei bachi, si sobbarca a faticosi viaggi a Vienna e a Adrianopoli (Turchia), per acquistare seme sano. Particolare attenzione dedica alla coltivazione del lino, facendo scrivere a Carlo Cocchetti, in occasione della Esposizione Bresciana del 1857: «Il nobile signor Filippo Ugoni si rese grandemente benemerito pei saggi di lino, sano ed affetto dalla crittogama; per tutti i processi a cui lo si assoggetta fino a che è ridotto in tela; e pel premio che destinò a chi troverà una macchina atta a divellere le piante del lino senza danneggiare né allo stelo, né al seme. Questo è in vero far nobile uso delle ricchezze e dell'ingegno». Alla esposizione l'Ugoni presenta una "Collezione degli stromenti adoperati nel basso bresciano per ridurre il lino atto alla tessitura" producendo, inoltre, quattordici elementi, e una collezione di 33 esemplari, "intesa a mostrare la serie di trasformazioni fatte subire al lino per ridurlo atto alla tessitura". Alla stessa Esposizione contribuisce con "un saggio di granoturco" e "saggi di lino coltivati nella Bassa Bresciana".


Dalla campagna lo tolgono gli avvenimenti del 1859 che vedono finalmente la liberazione della Lombardia dal dominio austriaco. Dopo la disfatta di Magenta e la partenza pacifica degli austriaci ai primi di giugno è tra i primi, come scriverà nel luglio seguente, a inalberare il tricolore "ben deciso a difenderlo se fossero ritornati quantunque ci trovassimo quasi del tutto senza armi". È tra i primi anche a visitare Napoleone III che aveva conosciuto a Zurigo e col quale, scriveva Zanardelli, aveva qualche familiarità, il quale "mi raccomandò l'ordine". E che ce ne sia bisogno secondo lui sta nel fatto che, come scrive sempre nel luglio, «... alcuni elementi di disordine li coviamo ancora in seno; sono elementi rossi, in dottrina, repubblicani, ma in sostanza egoistici; noi però non li temiamo, ed io temo più la servilità di coloro che adesso corrono a mendicare i posti lucrosi, e che li ottengono per raccomandazioni di femmine».


Il 5 agosto 1859 scende in campo pubblicando un indirizzo ai Piemontesi intitolato "I Lombardi ai riacquistati fratelli" comparso sul giornale zanardelliano "Gazzetta Provinciale di Brescia", nel quale saluta calorosamente i "liberatori", augurandosi che piemontesi e lombardi formino presto "una sola famiglia ... sacra per l'amore della patria comune, pei patimenti che abbiamo sofferti". Il 16 agosto, sullo stesso giornale, dopo il resoconto sull'entrata in città del Re Vittorio Emanuele e sull'accoglienza entusiastica a lui tributata dalla popolazione, pubblica un altro indirizzo al Re, intitolato "A Vittorio Emanuele nella sua visita a Brescia il di 13 agosto 1859" firmato "un bresciano condannato a morte del 1821", in cui incita il "Re battagliero" a tenere "la mano guantata, la sciabola al fianco, perché il nemico calpesta tuttora il bel suolo cenomano". Pochi giorni dopo, sullo stesso giornale, viene pubblicato il discorso che Ugoni ha pronunciato nella riunione del Circolo Nazionale del 19 agosto, nel quale espone l'indirizzo da lui vagheggiato per il Circolo stesso, a cui si è associato proprio in quei giorni.


Con recensioni collabora all'organo del Circolo "La Gazzetta di Brescia". Le benemerenze patriottiche, ma anche la stima personale, lo portano con i suffragi della sinistra e della destra nel Consiglio comunale di Brescia e nel Consiglio Provinciale; dalle due correnti verrà sostenuto nelle prime elezioni politiche dell'Italia Unita come candidato per il collegio di Verolanuova alla VII Legislatura, in vista della quale lancia un opuscolo dal titolo "Guida al Governo rappresentativo"(Brescia, Gilberti 1860, 4 p.) nel quale riafferma che il governo monarchico rappresentativo, oltre che "ottimo" è l'"unico conveniente", ma che deve essere anche popolare "ossia rappresentativo in tutte le classi che sonosi ormai fuse insieme per formare il nostro popolo perché tutte hanno cooperato alla cacciata dello straniero, e tutte vogliono essere libere...". Tutte le classi sociali devono essere rappresentate anche se il maggior numero dei deputati dovrebbe essere scelto fra "i proprietari di terre e padri di famiglia" per il fatto che "i loro interessi sono identici a quelli di tutta la nazione". "Indipendenza, unità, libertà" sono lo slogan assoluto, ma accompagnato da un ponderato decentramento amministrativo. Ma al contempo contesta il carattere "perpetuo e irrevocabile" dello Statuto albertino che deve essere aperto ad una realtà dinamica, imposta dai tempi e applicato con coerenza nelle nuove province, traendo esso l'unico titolo di legittimità dalla volontà della nazione e non dalla concessione regia o "per grazia divina". Al posto di un Senato per forza statico ed opposto alla Camera legislativa, l'Ugoni propone una seconda Camera elettiva nella quale le decisioni prese dalla prima abbiano un controllo ed una revisione.


Nelle elezioni del 25 marzo 1860 risulta eletto nel Collegio di Verolanuova con 259 voti su 292 votanti (iscritti alle liste 601), nonostante che sia stata diffusa la notizia, a quanto pare dal Circolo Politico, che la candidatura dell'Ugoni sia stata ritirata in seguito ad una sua dimostrazione in favore de' Toscani e al suo posto fosse stato proposto il barone Ricasoli. Durante la VII Legislatura (2 aprile - 17 dicembre 1860) interviene sulle elezioni in diversi collegi in Italia, e nel Collegio di Chiari. Inoltre vota a favore del trattato di riunione alla Francia della Savoia e del circondario di Nizza. Tiene anche alcuni discorsi e fa parte di giunte e di commissioni parlamentari. Nelle elezioni del 18 febbraio 1861 per la VIII Legislatura, l'Ugoni, di nuovo proposto dal Circolo Nazionale, non viene eletto al primo scrutinio ma al ballottaggio con Stefano Jacini, nel quale scrutinio è documentata l'influenza del governatore di Brescia, Agostino Depretis. durante questa legislatura che egli differenzia la sua posizione da altri esponenti del Circolo Nazionale, Zanardelli compreso, votando nel maggio 1861 a favore dell'ordine del giorno Ricasoli relativo all'esercito meridionale, e poco tempo dopo, contro l'emendamento proposto da Depretis all'articolo 3 del progetto di armamento di un esercito nazionale.


Anche sul piano locale, sia in Consiglio Comunale che Provinciale, non mancano di affiorare dissensi dei quali suscita clamore quello sulla pensione da assegnare alla madre di Tito Speri, nato da un equivoco poi dissipato, o sulla questione della costruzione della ferrovia Brescia-Cremona che poi difese nella discussione sul progetto di legge alla Camera. Sempre più critico nei confronti del governo Rattazzi e in crescente dissenso con il Circolo Nazionale, nel gennaio 1862 presenta alla Camera le dimissioni che vengono respinte. Nonostante ciò, il dissenso circa la politica del governo Rattazzi si accentua nel maggio 1862 in seguito al comportamento tenuto dal governo riguardo ai fatti di Sarnico e alla repressione delle manifestazioni per gli arresti conseguenti. Continua nonostante ciò a partecipare all'attività della Camera e nel marzo 1862 presenta l'unico suo progetto di legge che propone di togliere l'immunità e le pensioni vitalizie accordate dai cessati governi ai padri di dodicesima prole vivente, e che è approvato il 12 agosto 1862, dopo essere stato discusso alla Camera l'8-9 agosto '62. Il 27 novembre del 1863 presenta una nuova interpellanza al ministro dei lavori pubblici Menavrea, "sugli ostacoli che continuano ad impedire la costruzione della strada ferrata, la quale partendo da Brescia per Cremona e Pizzighettone, deve condurre a Pavia ...". Nella discussione tenuta il 30 novembre l'Ugoni rimarca il ritardo nella costruzione della ferrovia (dovuto ad una vertenza insorta fra la Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali e la Società delle Ferrovie Lombarde e dell'Italia centrale) e il disagio che ne deriva.


Lo scontento verso la politica governativa si accentua sempre più. Il 10 agosto 1863 a Nicolò Tommaseo scrive: "Con 9 decimi di popolazione avversa al nuovo ordine di cose, quali per avarizia pretestando che gettiamo i danari in mantenere una immensa catena di inutili parassiti; quali per bigotteria o pregiudizi pretestano l'offesa alla religione; quali per vedersi scaduti da ogni ingerenza nel potere pretestando la fedeltà agli antichi legittimi sovrani; la maggior parte per lo stato d'inerzia in cui viene lasciata, ben più malefica del brigantaggio, e a cui cooperano le maldate onorificenze, mal ripartite retribuzioni, l'estrema confusione nei dicasteri, e soprattutto l'imperizia e volgarità di molti Prefetti e Sottoprefetti, e duolmi di dirlo la nullità o peggio forse di colui (Vittorio Emanuele ) al quale innalziamo gli inni, continuiamo a chiamare Miracolo, e che purtroppo invece di animarsi come sole benefico, infanga un po' troppo gli allori che si era acquistato in battaglia, né temo assai che il successore voglia essere un etto migliore di lui". Tutto ciò lo porta ad avvicinarsi sempre più al partito d'azione e a scrivere che "l'azione vince sempre l'inerzia, e anco perché quelli che lo conducono non ponno essere accusati di essere meno morali i più immorali dei ministeri che abbiamo avuto finora".


Sempre più convinto di non reggere all'incarico e sempre più disorientato dall'andamento degli avvenimenti, il 22 dicembre 1863 rinnova "per motivi tutti a lui particolari" le dimissioni da deputato che vengono accettate. Negli stessi mesi e per le stesse ragioni allenta i rapporti con il Circolo Nazionale fino al definitivo distacco il 6 gennaio 1865 prendendo a pretesto le discussioni in programma circa l'abolizione della pena di morte e delle "congregazioni religiose non potendo intervenire, scrive, perché avrei sostenuto l'abolizione della pena di morte, sottomessa tuttavia all'avere prigioni sicure; ed avrei sostenuto la soppressione degli ordini religiosi sempre che venga provveduto ad un'onorata esistenza dei buoni frati, che per la massima parte furono forzati ad incappucciarsi, e non si devono, discapucciati, lasciarli nella miseria. Le leggi devono essere sempre ispirate d'amore. Via la forca, ma via anche i birbanti. Via i frati, ma di zotici, ignoranti e tristi, facciamone dei galantuomini". Mantiene tuttavia l'amicizia con Zanardelli e continua ad interessarsi delle questioni dibattute nel Circolo.


Come continua, intensa, l'attività oltre che nel Consiglio Comunale di Brescia particolarmente nel Consiglio Provinciale dai cui Atti risulta che l'Ugoni partecipa attivamente: settembre 1863: "Concorso della Provincia per agevolare la ferrovia attraverso le Alpi Elvetiche Orientali"; settembre 1864: "Relazione sull'armamento e stato di organizzazione della Guardia Nazionale"; "Domanda di concorso per l'erezione di un monumento a Pellegrino Rossi" (questa proposta di Ugoni fu respinta); settembre 1868: "Studi sugli Istituti di beneficenza della provincia" (la Commissione, formata da Ugoni e da G. Rosa, dette una particolareggiata descrizione delle opere pie e delle loro funzioni. Si decise l'abolizione della "ruota" nei brefotrofi e una migliore amministrazione nei patrimoni. Gli atti del Consiglio Comunale fra altro registrano: nel 1868 la proposta di trasferire i pazzi degli Spedali Civili all'abazia di Rodengo; nel gennaio 1869: "Relazione della Commissione sul Regolamento pei funerali Civili" (l'Ugoni biasimava l'accompagnamento degli orfani, delle zitelle, ecc. perché era un atto di ipocrisia). Nel gennaio 1867 Ugoni viene nominato assessore: "il consigliere Ugoni, leggiamo negli Atti del Consiglio, dichiara che ove il Consiglio creda che un uomo ormai giunto alla età di 73 anni, che non ha cognizione alcuna di amministrazione, ed a impegni particolari di famiglie, possa sobbarcarsi al carico di formar parte della Giunta, egli, quantunque convinto di non poter degnamente adempiere ad un dovere onorifico, vi si proverà per qualche tempo" (seduta del 10 gennaio 1867).


Ancora più incisiva è la sua attività nel campo economico-sociale. Mutuandola da un'iniziativa francese, il 4 aprile 1861 è fra i principali se non il principale fondatore del Comizio Agrario; nel 1875 promuove la fusione dell'Associazione per il progresso degli studi economici con la Società degli economisti; nel dicembre 1876 è tra i fondatori della Scuola di agraria della Bornata (poi Istituto G. Pastori).


Molto vivi anche i suoi interessi culturali. Dal 1859 partecipa attivamente alle varie commissioni dell'Ateneo; il 2 gennaio 1872 viene eletto vicepresidente e di nuovo il 15 gennaio 1874 presidente, ma sempre per breve tempo per sopravvenuta rinuncia. All'Ateneo commemora nel 1865 Pellegrino Rossi e nel 1873 Giovanni B. Passerini.


I suoi interessi si allargano anche all'archeologia e all'arte. Nel febbraio 1874 segnala la scoperta di sepolcreti alto medioevali in località Morti di S. Vitale a Pontevico e nel 1876 è tra i promotori di altri scavi compiuti al Campazzo. Ad artisti di rilievo affida i ritratti del fratello Camillo e dell'antenato Filippo Ugoni, celebre podestà di Bologna. Non manca un vivo interessamento alle Opere pie di Pontevico e per il Pio Luogo del quale, dal 1869 al 1871, prepara il progetto di statuto e regolamento. Utilizzando l'eredità toccatagli per la morte della figlia Isabella sposata ad un Brunelli, fonda in Pontevico l'Asilo infantile, che dota nel 1873 di £. 30.000. Ancora negli ultimi mesi, nel marzo 1876, è tra i fondatori di un Patronato per i liberati dal carcere.


Unico superstite ormai dei moti del 1821 per interesse particolare del presidente della Provincia Aureggi il 16 novembre 1876 viene nominato senatore del Regno, ma rinuncia per la tarda età ma anche per la sua posizione critica nei confronti della politica italiana. Dopo pochi mesi, il 17 marzo 1877, muore nella casa di Brescia dopo tre settimane di malattia. "La Sentinella Bresciana" scrive: «Già nel principio della malattia ne sentì la gravezza: chiese e volle i conforti della religione nella quale sempre ha confidato: si divise da' suoi cari, dalla figlia, dal genero, da un bambino in cui tanto si compiaceva, come chi va dopo lungo cammino a riposarsi». Solenni i funerali con discorsi di Gabriele Rosa e Giovanni Folcieri. Più tardi tenne una sua commemorazione molto sentita il nob. Pietro Zambelli. Un ritratto dell'Ugoni dipinto da Madame Valleè di Le Mans (Francia) venne da una nipote di questa donato nel 1893 al Comune di Brescia.




PUBBLICAZIONI.


Nei Commentari dell'Ateneo di Brescia: "Della geografia fisica della Svizzera" (1845-46, p. 189); "Cenni biografici intorno a Giovita Scalvini" (1845-46, p. 189); "Sulla storia degli Svizzeri, considerata sotto l'influsso del paese che abitano" (1848-50, p. 180); "Guida al governo rappresentativo" (1858-61, p. 279); "Della vita e degli scritti di Camillo Ugoni" (1858-61, p. 307); "Di Pellegrino Rossi" (1865-67, p. 196); "Vita di Giov. Battista Passerini" (1870-73, p. 484). Altre pubblicazioni: "Forza e libertà. Indirizzo a' suoi concittadini" (Genova, Grondona, 1848, 16 p.); "Parole di un bresciano ai suoi concittadini. Precedute da una lettera dello stesso a Niccolò Tommaseo" (Brescia, Tip. Venturini, 1848, 22 p.); "Guida al governo rappresentativo" (Brescia, Tip. Gilberti, 1860, 40 p.); "Discorso in lode di Carlo Antonio Venturi" (Brescia-Verona, 1868).