TOLINE

TOLINE (in dial. Toline, in lat. Tolinarum)

Frazione di Pisogne (m 195 s.l.m.) a 2,500 km a SO di Pisogne e a 40,3 km da Brescia, posta sulla strada del lago di Iseo fra Pisogne e Vello, allo sbocco della valle di S. Bartolomeo, dominata a SE dalla Corna Trentapassi (1248 m s.l.m.). È attraversata dalla statale 510 del Sebino Orientale e dalla ferrovia Brescia-Edolo. Il centro storico si raggruppa intorno alla chiesa parrocchiale con vecchie case, con portico e loggiati che salgono a N sui declivi di prati, mentre nuovi quartieri si sono andati estendendo lungo la litoranea. Compreso nel comune di Pisogne, è parrocchia indipendente nella zona IV dell'Alto Sebino. Col nome di "Toline" è indicata da Leonardo nel suo schizzo del lago di Iseo e della Valle Camonica (Windsor, collezioni Reali n. 12674), del 1508 circa.




Abitanti (Tolinesi, nomignolo Tiratròle): 225 nel 1562; 230 nel 1567; 170 nel 1573; 188 nel 1578; 227 nel 1646; 205 nel 1652; 200 nel 1656; 274 nel 1672; 294 nel 1702; 272 nel 1729; 270 nel 1727; 216 nel 1775: 270 nel 1791; 370 nel 1805; 240 nel 1819; 240 nel 1835; 240 nel 1848; 250 nel 1850; 280 nel 1858; 301 nel 1868; 304 nel 1875; 310 nel 1887; 310 nel 1898; 370 nel 1908; 445 nel 1913; 455 nel 1926; 370 nel 1939; 412 nel 1963; 396 nel 1971; 396 nel 1981; 327 nel 1991; 307 nel 2001.




Nonostante tutte le spiegazioni fornite, il nome rimane ancora misterioso. Bonifacio Favallini vi ha visto una voce preromana, senza darne spiegazione; l'Olivieri è ricorso alla voce lombarda "tollina" = padellina, forse in riferimento alla conformazione del luogo; lo Gnaga accetta una tale formulazione, ma osserva come la voce non esista nei vocabolari. Si avvicina anche a tale supposizione A. Sina, che vede l'origine del nome nella conformazione a "conca" che si apre tra i monti e il lago. Giancarlo Piovanelli si è riferito invece al recipiente, la "tola", utilizzato per conservare le sardine poste ad essiccare al sole. Si potrebbe, forse, ricorrere, con più approssimazione, ad una base "tul", affine all'etrusco "tular"=limite, confine, trovandosi Toline al confine fra il dominato bresciano e la Val Camonica. Franco Bontempi insiste come, dai riflessi dell'acqua del lago, si indovini l'esistenza dei più diversi minerali ed individua in parecchi toponimi giacimenti, miniere degli stessi. Egli scrive che gli risulta «evidente come Pisogne e Toline con la medesima posizione sul lago siano i due punti dove è giunta la civiltà dei metalli. I due paesi, sotto l'aspetto geografico, hanno praticamente le stesse caratteristiche, anzi in un certo senso Toline precede Pisogne. In seguito, con la costruzione del grande porto di Pisogne, Toline dovette cedere il passo al centro, che darà il nome a tutto il comune». Comunque nel territorio, ancora agli inizi del sec. XX, venivano segnalati giacimenti di ossidi di ferro e cave di gesso. Ma da secoli tale economia era secondaria rispetto all'agricoltura, alla pesca e al commercio. Probabilmente Toline fu vico del pago di Rogno e poi vicinia nell'ambito della pieve di Pisogne, legato alla Valcamonica, della quale segna il confine con Brescia. Non si rinvennero segni di presenza umana in epoca preistorica e romana, ma di una presenza benedettina, risalente forse fin dalla dominazione franca; e, in seguito, della donazione che, nel 760, Carlo Magno fece della Valcamonica al monastero di Tours, è probabilmente segno la dedicazione a S. Gregorio Magno della prima cappella del luogo. L'altra frazione, Sedergnò (v.), un nome misterioso che gli studiosi di toponomastica non registrano, invece, come indica l'intitolazione della chiesa a S. Bartolomeo, sorse probabilmente intorno ad un piccolo ospizio per pellegrini e viandanti sorto lungo la principale via della Valcamonica detta Valeriana, con una cappella dedicata a S. Bartolomeo. Nel territorio si ebbero due nuclei abitati: quello di Sedergnò, formatosi su un antico sentiero preistorico, diventato poi la strada della valle, e quello di Toline, sviluppatosi in riva al lago.


Vi ebbero probabilmente preminenza i Brusati, gli 0ldofredi e più tardi i Federici e, dal di fuori, i Visconti. La gran parte del territorio passò poi sotto il dominio temporale del vescovo di Brescia, in seguito all'investitura di Corrado II al vescovo di Brescia Olderico I, del 15 luglio 1037, di ambedue le rive dei fiumi Oglio e Mella. Del territorio è investito ancora alla fine del sec. XIII il vescovado di Brescia, quando il vescovo Berardo Maggi invia, nel 1299, il suo ministrante o delegato Cazoino da Capriolo.


A tale data, Toline (come Sedergnò) è già comune e conta 17 fuochi o nuclei familiari; mentre 15 ne conta Sedergnò. Cazoino registra come gli uomini di Toline debbano alcuni soldi imperiali «e due imperiali per il fitto della terra designata con il criterio delle sorti, che si trovano nel territorio di Toline, e cui fan coerenza a mattina gli uomini e i vicini di Sedergnò, a mezzogiorno la Val Finale, a monte l'acqua bianca e a sera il lago. Il comune di Toline paga dodici lire imperiali per il fitto della decima degli alberi. Paxetus di Toline paga dodici lire imperiali per l'acquedotto del suo mulino nella terra di Toline. Benvenuto Ottoni Levate dà ogni quatro anni una gallina di fitto, gli eredi di Zanni di Toline dà ogni anno una gallina del vitto della corna. Il Comune di Toline dà sei sestari, secondo la misura del sestario di Iseo, di biada, cioè scandella, milio, panico». Stando ai registri della Curia, gli abitanti di Toline e quelli di Sedergnò erano obbligati ad intervenire nelle opere di fortificazione e di difesa della torre e della rocca di Pisogne. In caso contrario potevano essere colpiti con apposite sanzioni dall'autorità vescovile. Il comune di Sedergnò doveva versare all'amministrazione vescovile 19 soldi imperiali «pro ficto sortarum de Sethergno» ed una somma di poco inferiore per la concessione della decima sulle sue terre. Per gli stessi obblighi il comune e gli uomini di Toline versavano un canone leggermente superiore. Canoni di affitto erano dovuti per i molini e i forni e per l'acquedotto che li alimentava, fra i quali vi era quello degli eredi di Gregorio di Toline. Negli atti del vescovo Berardo Maggi ricorreva Ravam di Sethergno, Garattum (Garatti) e Marochetum (Marchetti) di Toline. Tolinesi erano investiti di terre nelle "contrade di Golgi, di Renzò, di Predalba". Una ventina erano debitori verso il vescovo di Brescia. Delle proprietà vescovili venivano infeudati anche i Federici di Erbanno, che ancora nel 1373 riscuotevano dai "vicini" di Toline e di Sedergnò l'affitto per un bosco in contrada Cogolo. Il 22 maggio 1382 il rappresentante di Toline "Tomasinum f.q. Gregori de Tolinis" è fra i "prescelti" per il "designamentum" ordinato dal vicario del podestà di Brescia delle proprietà del vescovo.


La vita economica e civica, ma anche, in parte, quella religiosa, viene regolata nell'ambito della pieve e poi della comunità di Pisogne, dalle vicinie di Toline e di Sedergnò, riunite a loro volta in due piccoli comuni, che dureranno fino ai primi dell'800.


Tra i personaggi tolinesi, come ha messo in luce Franco Bontempi, agli inizi del sec. XIII compare Teutaldo, notarius possidente e autorità pubblica. Il piccolo comune di Toline compare in arbitrati circa la ripartizione di boschi e l'incanto dei dazi, come quello affidato il 13 giugno 1508 al celebre nob. Matteo Avogadro. Un atto del notaio Guaragnoni di Bienno, del 1565, indica che la proprietà collettiva della vicinia di Toline in «tutto il terreno a loro servizio, ossia il bosco, le rocce, la terra deserta giacenti nel territorio di Toline nella contrada sotto la chiesa di S. Bartolomeo fino al confine di quelli di Zone e fino alla grande strada che viene da Zone e va a Pisogne fino ad un certo limite o sentiero chiamato il "senter della via nova" che va fino ai prati delle piane dei Sonetti e non oltre e inoltre sotto detta strada e limite fino alla contrada chiamata dell'acqua rossa o corno rosso della vite, fino al plumott della valle. Tutti questi beni devono essere dei detti di Toline sempre alle condizioni del diritto comune e degli uomini di Pisogne.» D'altra parte personaggi di Toline, come, nel 1702, Ottavio Bonetti, incaricato della spedizione di legname alla Serenissima, compartecipano all'amministrazione di tutta la comunità di Pisogne, della quale la Vicinia di Toline fa parte. Anche Toline non sfugge al clima socialmente agitato dei tempi, registrando frequenti liti ed anche uccisioni; tuttavia registra anche significativi progressi nelle abitazioni.


Tra le famiglie più in vista e presenti sul piano civile ed economico, Franco Bontempi segnala i Bonetti, già ricordati nel 1299, i Vicario, i Tempini, i Bertoli, i Bertoletti e i Belleri, che compaiono nel '600. Toline sembra godere, a differenza di altre comunità del territorio, pari dignità con Pisogne nello stabilire gli statuti comunali, dato che nel 1496 viene affidata agli "uomini di Pisogne e di Toline" la facoltà di eleggere "tre o vero quattro uomini tra i più prudenti e discreti per la parte e potestà spettante a loro da esser data potestà di statuir overo far constituir e affermare tutti li capitoli che si faranno e costituiranno per occasione di detto accordo, e pace di detto Comune di Pisogne, con pubblico ed autentico istromento di sindacato di detti Vicini stanti ed abitanti in detta terra di Pisogne". Il comune di Toline è sempre attivo nei sec. XV-XVI. Tuttavia la vita del piccolo comune si svolge sempre più nell'ambito della più ampia comunità di Pisogne mentre si trasforma l'aspetto urbanistico, avvertibile nell'abitazione tre-quattrocentesca di via Canale, 3; in altra della stessa via al n. 9; in quella Guidetti-Tempini di via Lago 5 e di via Tresanda 4; nella vecchia canonica di via Costa, 12. Ma la maggior fioritura si ebbe nel '600, con abitazioni sorte in via Boifava 2, in via Costa 57, in via S. Gregorio 5 (casa Bonetti, poi Bodei), in S. Maria 10. Ad esse altre ne seguirono nel '700. Dai documenti e per quanto si è detto riguardo alle abitazioni, si nota una certa qual preminenza di Toline rispetto alle altre frazioni; che dura nei secoli e che viene ancora rilevata in atti del 1778, pochi decenni prima che nel 1806 venisse del tutto abolito il piccolo comune.


Scarse sono le notizie nei sec. XVII-XIX. Curiosa è la richiesta dei consoli degli uomini di Toline di costruire un nuovo mulino appoggiandolo alla parrocchiale; richiesta respinta dal vicario generale della diocesi il 3 novembre 1601. Giovanni da Lezze (1609-10) ricorda Toline frazione di Pisogne; Ludovico Baitelli, nella sua relazione "Confini della città di Brescia", del 1643 (Ms. Queriniano), la indica come "piccola terra"; p. Gregorio di Valle Camonica (1698) la definisce «prima terra di Vallecamonica, assai comoda per la fertilità della terra e dell'acqua che danno frutti e pesci squisiti in abbondanza». Il 16 luglio 1713 una grave inondazione minacciò il paese e, per lo scampato pericolo, si ebbe la conferma dei voti ai santi Sebastiano, Rocco, Defendente, Pantaleone e alla Madonna del Carmine. Il Maironi Da Ponte (1820) definisce Toline "villetta sul lago Sebino, adiacenza del villaggio di Pisogne, nella pretura e nel distretto di Breno".


Anche l'economia si trasforma: le miniere e le fucine, sulle quali insiste Franco Bontempi, lasciano il posto all'agricoltura e alla pesca. La fertilità del suolo viene attribuita alla posizione riparata dai venti (o "ore") di marzo, che fa sì che la frutta maturi più presto che nei luoghi circonvicini. Una guida del 1820 sottolinea: «il piccolo territorio nella massima parte piano è ferace di biada, e di gelsi, ed ha de' vigneti, dei prati, e qualche boscaglia. Tra i suoi duecento quaranta abitatori quelli che non attendono alla pesca, sono tutti agricoltori e trafficanti di legname». Tale situazione indica il "Dizionario corografico" del 1850: "fertile in biade, gelsi, vigneti, prati, castagneti e boschi". Ancora dopo il 1920 sul lungolago erano disposte frasche piegate ad arco con fili tirati per appendervi le sardelle e per essiccarle. Intanto continua attivo il mulino sul torrente Viriello che lì scende; segni di nuovi indirizzi economici si avvertono nei primi decenni dell'800, quando viene costruita la filanda di Francesco Bertoli in via Crocetta, che coinvolge quasi tutte le famiglie del paese. Inoltre, sparsi in case private, esistevano 9 telai di lino, cotone e canapa. La filanda, che nella seconda metà dell'800 aveva 15 bacinelle, chiuderà alla fine del secolo.


Servita quasi solo dal lago e da qualche sentiero in collegamento con l'antica Valeriana, Toline viene tolta dall'isolamento dalla strada costruita con "stolto ardimento" nel 1850, come ricorda una lapide che si trova allo sbocco dell'ultima delle otto gallerie tra Vello e Toline: «Ai deputati Damioli-Corna-Fanzago che fidando nei magnanimi pisognesi col perseverante animo compierono quest'opera creduta stolto ardimento, riconoscenza. Collocata MDCCCL ricollocata MDCCCLXXIV». Ma ad aprire più vasti orizzonti è la ferrovia Iseo-Pisogne-Breno inaugurata nel luglio 1907.


Nel 1912 si conclude la costruzione, per iniziativa dell'ingegner Giov. B. Milesi, sposato alla nobile inglese Elisabeth Sadler, di un grande stabilimento per la produzione di gesso, che cessa la sua attività con il suicidio del Milesi nel 1929. Solo a distanza di anni, nel 1941, negli ex stabilimenti Milesi i fratelli Giacomo, Battista e Santo Sala di Lumezzane trasferiscono da Tavernole s. M. la produzione di baionette per l'esercito, che, finita la guerra, trasformano in una fabbrica di coltelleria, e, su progetto dell'ing. Giordani di Pisogne, quella, fra le prime in Italia, di posateria "inox" con stampaggio e lavorazione a freddo. A tale attività i Sala affiancano, nel 1954, un laminatoio del tondino, chiudendo l'attività nel 1957. Nel frattempo, nascono le "Officine di Toline. Società Anonima" (OTSA) per la produzione meccanica; mentre nel 1947 Bortolo Bonomi trasferisce dalla Valtrompia a Toline la sua attività produttiva imperniata sulla maniglieria e posateria, trasformata poi in rubinetteria per gas. Ad essa subentrerà, nel 1973, l'attività di pressofusioni per rubinetterie "Bresciani Ettore". Dal 1960 è presente a Toline Giuseppe Facchinetti, che trasforma il vecchio laminatoio nella Società F. F. (Fratelli Facchinetti), iniziando, nel 1963, la produzione di serrature, proseguendo in società con i fratelli fino al 1969, anno in cui si stacca e fonda la Iseo Serrature. Oggi, a Toline, in seguito allo sviluppo aziendale, sono presenti due aziende del Gruppo Iseo: la O.M.S. (Officine Meccaniche Sebine) e la ISEO Tecnology. L'industria trasforma completamente la vita di Toline. Nel 1940 Toline conta ancora cinque pescatori "professionisti" ed un dilettante; nel giro di qualche anno la pesca scompare del tutto.


La I guerra mondiale richiede numerose vittime, alla cui memoria viene inaugurata, il 30 ottobre 1920, una lapide; nasce un'attiva sezione dell'Unione Nazionale Reduci. L'8 giugno 1922 una alluvione minaccia persone e porta distruzioni. Seguono decenni abbastanza tranquilli fino alla II guerra mondiale, che richiede nuove vittime. Una novità di rilievo, diretta a togliere Toline dall'ingolfamento viario, è, agli inizi degli anni '60, un tratto di variante di oltre 3 km, in gran parte in galleria, abbandonando il vecchio tracciato. Minacciosa, ma senza conseguenze, l'alluvione provocata dai torrenti Viriello e Comaso il 9 luglio 1953; disastrosa fu invece quella del 1963. Nella notte dal 12 al 13 luglio una violenta alluvione provocò una frana che investì con massi e detriti una ventina di edifici, compresa la stazione, provocando rovine, demolizioni, ed investendo i capannoni degli stabilimenti Facchinetti e Bonomi. Tale frana causò enormi squarci e fracassò macchinari, attrezzi, ecc. Le ferite inferte dall'alluvione vennero presto superate. Tra le ultime iniziative, nel luglio 2002 vien dato il via, auspicato dal 1996, al recupero ai fini turistici (pista ciclabile, pedonale, ecc.) della vecchia provinciale "Vello-Toline", dismessa nel 1960 con l'apertura della statale 510. Nel gennaio 2003 iniziano i lavori di posa delle tubature del metano. In grande sviluppo dagli anni '70 il volontariato, con la viva partecipazione della popolazione. Particolarmente attiva la Polisportiva, che nel 1975 organizza il Trofeo Teresa Bresciani Bonomi, e riporta in auge la "Sagra di S. Bartolomeo". Hanno pure rilievo il gruppo alpini e "Tolininsieme". Tra i personaggi che Toline ha vantato negli ultimi anni è il barnabita p. Luigi Cagni (Toline, 1929-Roma, 1998), assirologo di fama internazionale.


ECCLESIASTICAMENTE Toline appartenne dapprima alla pieve di Rogno, passando poi a quella di Pisogne. Ma non è escluso che sia stata dapprima una cappella dipendente da un monastero benedettino. Secondo Gaetano Panazza la sua esistenza potrebbe risalire ai secoli XI o XII "ma potrebbe essere riportata anche all'epoca longobarda". Come ha rilevato lo stesso Panazza, il nome Gregorio del padre del rappresentante, nel 1382, della piccola comunità, indicherebbe già l'esistenza non solo del culto del santo patrono, ma anche della cappella stessa. Come rileva ancora il Panazza, dall'inventario del 1430 la cappella di Toline risulta ancora unita alla pieve, mentre in quello del 1463 è ormai separata ed autonoma; da qui l'ipotesi avanzata da alcuni studiosi che l'autonomia possa essere stata concessa dal vescovo Pietro del Monte negli anni fra il 1430 e il 1436. Nel 1463 faceva parte del vicariato foraneo di Pisogne, per passare poi alternativamente sotto quelli di Lovere, di Artogne e più a lungo ancora sotto quello di Pisogne.


Nella sagrestia della chiesa si conserva una cartella, rifatta in epoca moderna, ma tratta da un testo antico, contenente alcune notizie storiche relative alla chiesa: «Die 18 aprilis 1502/ego Marcvs Darato archiepiscopvs/nominatensis r.mi d.ni episcopi/Brixiae locvm tenens consecravi/hoc altare et ecclesiam in honore/s.ti Gregorii et in eo reliquiae S.S.rum/Innocentii Eusebi Rvsticiani Ionae/prophetae». In basso, con scrittura corsiva ottocentesca è l'aggiunta: «Exemplvm extractvm/ab originali in parvula pergamena/ exarato de verso ad versum/qvantvm intelligi potvi». Seguendo la traccia offerta da Gaetano Panazza (in "Arte in Valcamonica" vol. III, parte seconda, pag. 659) si può, attraverso le visite pastorali, così ricostruire la storia della chiesa di S. Gregorio. Dalla visita di G. Pandolfi (1562) risulta che parroco di S. Gregorio a Toline era Francesco Fanelli di Verola dal 1548; invece il vescovo D. Bollani, nel 1567, ricorda la parrocchiale, non dotata, come dipendente dalla pieve di Pisogne, con parroco stipendiato dal Comune; la dice con tre altari e dispone che, dove non è affrescata, sia imbiancata. Interessante è la disposizione del Pandolfi per rinfrescare la pala dell'altare della Madonna e per provvedere al necessario in favore dell'altare di S. Stefano, cioè i due altari laterali.


A sua volta il visitatore Cristoforo Pilati (1573) ordinò di togliere dal coro i legni entro cui si inserivano i grandi ceri che erano da collocare ai lati dell'altare maggiore; inoltre prescrisse di imbiancare la chiesa dove non fosse dipinta (disposizione questa che fa presumere l'esistenza di affreschi sulle pareti dell'interno). Ricca di dati la relazione di G. Celeri (1578), da cui si evince la povertà della chiesa, anche per lo scarso numero degli abitanti: per i tetti in disordine piove all'interno, è priva di sagrestia, con campanile iniziato e non finito, con altare senza tabernacolo e battistero non delle forme prescritte; rotto risulta il pavimento. La navata è con tetto a vista e il presbiterio a volta: ha le pareti imbiancate, ma non mancano figure affrescate. L'altare ha una piccola icona dipinta sul muro. Tuttavia la chiesa di Toline, come quella di Sedergnò, è dotata di beni immobili amministrati dalla vicinia, che provvede anche ai paramenti ed agli ornamenti.


Come sempre di particolare interesse, per le notizie che si possono trarre, sono gli atti della visita apostolica di Carlo Borromeo del 28 aprile 1580. La chiesa era consacrata, ma non vi si teneva il Santissimo Sacramento per il numero esiguo di parrocchiani e la povertà del beneficio. Trova il battistero incongruo e un solo altare consacrato e senza dote, rivela la mancanza di sagrestia e ordina che il cimitero venga chiuso con un muro. Dispone che venga costruito il battistero, ingrandito l'altare maggiore, provvisto di una pala decente, e che si costruisca un nuovo pavimento del presbiterio. Inoltre ordina che si costruisca entro due anni la sacrestia nella parte meridionale, presso il campanile; il soffitto della chiesa sia coperto da travature; sia terminato il campanile collocandovi le campane ora appese fuori della chiesa e si acquistino paramenti. Le disposizioni così onerose impartite da S. Carlo non vennero completamente eseguite, se il vescovo card. Gio. Francesco Morosini, nella sua visita pastorale del 1593, oltre a prescrivere un tabernacolo decoroso in legno, ordina l'attuazione di una pala decente e la soffittatura della chiesa con travature, entro due anni, ecc. Ancora nel 1602 il vescovo Marino Giorgi si lamenta per la mancata esecuzione della pala, da farsi entro un anno; ordina l'ampliamento dell'altare maggiore e l'esecuzione del soffitto della chiesa, la costruzione della cappella battesimale presso la porta maggiore dalla parte del Vangelo entro due mesi.


Il distacco dalla pieve di Pisogne avviene con la visita del Celeri (1578) e poi con quella di S. Carlo (1580), allorché la chiesa è detta dipendente dalla vicaria di Pisogne, secondo il nuovo ordinamento. In questa sede hanno poco valore i passaggi successivi da una vicaria all'altra, fino a quando, con il card. A.M. Querini, la chiesa torna sotto quella di Pisogne. Nella sua visita pastorale del 24 luglio 1646 il vescovo Marco Morosini ordinava di togliere una struttura in legno, giudicata indecente e ingombrante, che raccoglieva un antico affresco della Madonna. Ma ancora nella seconda visita il vescovo Morosini, nel 1652, dispone che le pitture sulle pareti della chiesa corrose per l'antichità o si ripassino entro sei mesi o si tolgano e si imbianchi la chiesa, e ancora che si ripari la volta in legno. Del 1656 è la notizia della celebrazione delle Quarant'ore. B. Faino (1658) definisce la chiesa rettoria parrocchiale, con due altari. Nella visita pastorale di Marino Giovanni Giorgi (1675) il vescovo ordina che il battistero sia chiuso con cancello di ferro o di legno. L'edificio viene rifatto dal 1685 al 1710; pur conservando la struttura precedente, il parroco Ludovico Belleri (1682-1692) erige il nuovo battistero chiuso con cancello; trasforma la chiesa, coprendola «con volto ad archi di tufo»; viene fatta la cappella dei santi Antonio e Carlo con relativa pala, alla base della quale è il ritratto del parroco. Sotto il parrocchiato di don Vito Piazzoni (1692-1708), viene eseguito, ad opera di Giacomo Silva di Riva di Solto, nel 1707, l'altare di marmo, ed è abbellito pure l'altare della Madonna. Fra il 1709 e il 1756 la chiesa si arricchisce di opere della bottega dei Fantoni, con il coro (del 1709) voluto dal parroco Cristoforo Francesconi; e successivamente si iniziano le trattative per l'acquisto della nuova ancona, collocata sotto il parrocchiato di don G.B. Mondinelli (1745-1791), che istituisce la festa delle Reliquie e il Triduo dei defunti. Nel 1740 «un espositorio con due angeli grandi» viene eseguito da Andrea Fantoni. Nel 1770 viene fusa la campana grossa, è posto l'organo e sono acquistati arredi. Ad opera del parroco Modesto Trotti (1817-1868) vengono eseguiti i seggi del presbiterio, la bussola, il confessionale, i banchi. Inoltre arricchiscono la chiesa i candelabri grandi argentati dell'altare maggiore, donati da don Alberto Giordani, quelli argentati di seconda classe per l'altare della Madonna, donati da Anna Tonelli ved. Bordiga, e sono acquistate le statue di S. Luigi e dell'Immacolata. Viene sistemato il sagrato. Con don Carlo Tognoli, parroco, fra il 1867 e il 1884, si acquistano vari paramenti; con il successore, don Giulio Berardi (1886-1896), la Via Crucis. Con questo parroco, inoltre, si fa la balaustra e si rinnova l'organo.


Nominato parroco nel 1897, don Tommaso Scalvinelli - che rimane fino al 1906 - provvede al restauro della chiesa, all'acquisto della statua del Sacro Cuore, di quella di S. Gregorio, all'indoratura dell'altare e della statua della Madonna, alla fornitura dei candelabri, di due lanterne, della macchina per le Quarant'Ore e del «trono».


Interventi di rilievo si verificano nel 1930 con la soffittatura del portichetto, il sopralzo del campanile e l'inaugurazione, il 17 agosto, di un nuovo concerto di campane. Negli anni '60 si provvede al riscaldamento della chiesa, al restauro dell'altare del Sacro Cuore, alla costruzione della nicchia per ospitare la statua del patrono e al nuovo battistero, alle vetrate artistiche, al nuovo pavimento della navata, all'automatizzazione delle campane e dell'orologio della torre. Lavori di sistemazione al tetto e all'altare di S. Rocco si hanno nel 1978. Impegnativi lavori di restauro e ristrutturazione vengono progettati nel 1989 dall'arch. Luigi Cottinelli di Lovere, sia all'esterno (sistemazione della facciata, del portichetto, demolizione dei ripostigli a fianco della chiesa e loro ricostruzione dietro, riparazione del campanile), sia all'interno (la sciagurata sistemazione dell'altare, il restauro delle pale e dell'organo Sgritta e il rifacimento degli impianti di illuminazione e di riscaldamento). Sotto la guida del parroco don Boniotti e quella del successore don Andrea Cristini, la chiesa viene completamente ristrutturata e restaurata, con la spesa di oltre 300 milioni (un milione per abitante). I restauri hanno portato alla luce, nel 1996, sulla parete di destra, lacerti di affreschi raffiguranti S. Rocco e S. Sebastiano, con la data 1494, attribuiti da Ruggero Boschi a Giovanni Pietro da Cemmo. Questi furono restaurati nel 1998 dal prof. Candido Baggi e risultati fra le opere più rappresentative del pittore camuno. Nel 2002, per iniziativa del parroco, in occasione del mezzo millennio di consacrazione della Chiesa, sono state restaurate la soasa e la pala dell'altare maggiore. I restauri furono coronati nel giugno con grandi celebrazioni.


La facciata, come scrive G. Panazza, «è di severe forme secentesche, racchiusa ai lati da due lesene in muratura fortemente aggettate, ma con zoccolo e base in sarnico, con capitelli tuscanici che sorreggono, sempre in aggetto, i tratti di architrave che fanno da pulvino sopra le lesene, riccamente adorne di teste di cherubino in stucco. Una cartella indica che la chiesa è dedicata "Divo Gregorio". Il portale è in arenaria grigia e architrave con rami a girali e teste di cherubini e lesene con motivi vegetali, cimasa con la figura a mezzo busto di S. Gregorio Magno e cartella con ostensorio, i chiodi della Passione e il monogramma di S. Bernardo. Sopra la porta c'è una finestra bifora con ricca cornice. Sul lato S si svolge un portichetto con colonne dai capitelli tuscanici in sarnico. Sotto il portichetto è ricomparso nel 1991 un affresco raffigurante S. Cristoforo, rovinato da una lapide posta a ricordo dei Caduti della I guerra mondiale. Si apre poi una porta in sarnico, architrave e cornice lavorate come lo è la porta. A lato della porta segue una nicchia con una statua in gesso di S. Rocco. Oltre si erge il campanile. L'interno è ad una navata di tre campate con volta a botte unghiata, divisa da archi traversi. Questi sono sostenuti da lesene con capitelli corinzi, in stucco bianco, sormontati in modo poco gradevole da specie di pulvini, costituiti da un elemento del cornicione fortemente modellato che gira intorno alla chiesa e aggetta in corrispondenza delle lesene: abbiamo la testimonianza visibile del rifacimento tardo seicentesco della volta. L'arco santo, fiancheggiato da paraste, immette nel presbiterio di pianta rettangolare, pure coperto da volta a botte con unghiature. La chiesa si conclude con il coro semicircolare. Secentesca come la struttura architettonica è la decorazione a stucco, dorature, festoni e teste di cherubini, che adornano anche i medaglioni della navata e la controfacciata».


Sulla porta principale è raffigurata la "Pesca miracolosa", rifatta nel 1970 dal pittore Pasotti. Sulla volta, nella prima campata è la Sacra Famiglia, pur questa rifatta completamente dal Pasotti; nella seconda, il Martirio di S. Bartolomeo; nella terza, S. Pietro e il gallo; nel presbiterio, la Vergine in gloria, mentre ai lati sono i quattro Evangelisti, opere che il Panazza presume del Bate, mentre i quattro Evangelisti sono del Taramelli.


Entrando, accanto alla bussola del portale della metà dell'800, vi è un confessionale di una certa eleganza neoclassica. Salendo, sulla destra, si incontra il fonte battesimale, con affresco firmato "Pasotti" (1970). Sopra è posto un Crocifisso settecentesco di buona fattura. Nella seconda campata si apre la porta laterale, con ornamenti in legno e un medaglione con il profilo del Redentore. Segue, nella terza campata, una nicchia con ricca cornice dorata, con una statua recente di S. Gregorio Magno. Due gradini portano al presbiterio, affiancato da sedili in legno. "Di grande interesse", definisce il Panazza, l'altare maggiore, anche se "irreparabilmente rovinato" per realizzare l'altare proposto dalla riforma liturgica, rivolto al popolo. Il paliotto ad intarsio in marmo è stato usato per il nuovo altare, mentre il tabernacolo, bellissimo, ora in un deposito, è stato sostituito con un tronetto per l'esposizione del SS. Sacramento, opera di Andrea Fantoni (1740). Lo affiancano due angeli policromi e dorati, opera dello stesso Fantoni. L'abside è dominata da un'imponente soasa in legno che, come ha sottolineato il Panazza, assume la forma di grande cartella sagomata, con ricca decorazione a rilievo e in alcuni punti persino a tutto tondo, costituita da volute, cartigli, motivi vegetali, foglie d'acanto, figure di angeli in volo o seduti, sia nella parte bassa come in quella alta. È affiancata da due statue che occupano le due anse della cornice, raffiguranti, con grande eleganza, la Vergine col libro in mano che schiaccia la testa del male, da una parte e, dall'altra, Gesù che tiene alto nella destra il cuore, mentre sotto i piedi tiene il globo terrestre crociato: sono figure assai mosse, dai ricchi panneggi pittoricamente resi. Ricca è anche la cimasa con figure di angeli e, nel mezzo, su una mensola a forte rilievo, è la figura di S. Giuseppe che tiene in braccio Gesù Bambino. La cimasa si conclude con una cornice che fortemente aggetta nel mezzo. La soasa è certamente fantoniana; la Bossaglia e altri l'attribuiscono alla "mano Z" della bottega; la prima trattativa per l'esecuzione risale al 1730-31, ma nella parte inferiore è una cartella dove a graffito si legge: «F.co M.na V.ni/DI CL.ne/ HAD.vit/OPUs 1756», il che significa che la pala sia stata alterata, o rifatta da altri. La pala raffigura in basso S. Rocco, S. Gregorio Magno, S. Bartolomeo e S. Sebastiano, dietro ai quali si sviluppa un paesaggio lacustre. In alto, fra le nuvole e una corona di angeli, è seduta la Madonna col Bambino. Del primo decennio del '600, la pala fu rifatta più tardi e restaurata; è assegnata, da L. Anelli e G. Panazza, a Bernardino Gandini. Alle due finestre che illuminano l'abside sono vetrate, opera della ditta Bontempi, raffiguranti S. Rocco e S. Gregorio Magno, che hanno sostituito nicchie con statue degli stessi santi, collocate altrove.


Scendendo sul lato di sinistra, nella prima cappella, adorne di decorazioni a stucco, le lesene, la piccola volta con motivi floreali e vegetali, teste di angeli che incorniciano anche gli episodi della vita della B.V. Le due tele ad olio, una raffigurante S. Domenico, l'altra S. Caterina, le medaglie che le sovrastano e le altre dieci che (cinque per parte) decorano la parete di fondo tutte in riquadri poligonali sono opere di G. Chizzoletti, restaurate nel 1985 da Eliseo Franceschetti. Nella cornice di marmo della soasa si apre la nicchia con lesene adorne di festoni di frutta, figure d'angeli, rosoni, di lavoro ottocentesco, in sostituzione di altro precedente. La statua della Madonna, opera sicura, anche se alterata, dei Fantoni (1699-1711) è stata restaurata a cavallo dell'800-'900. Ricco di ornamenti (foglie, elementi vegetali) in marmo è l'altare con paliotto, molto rovinato.


Il secondo altare, dedicato al Sacro Cuore, è ottocentesco, di stucco colorato; ha una statua di nessun valore, come di poco valore è la statua del "Cristo morto" collocata sotto la soasa, acquistata nel 1978. Più vicino all'uscita è l'organo con cantoria dal parapetto mosso, adorno di tre specchiature mistilinee e rettangolari su cui sono a rilievo, nelle due lesene, trofei di strumenti musicali e spartiti nel riquadro centrale. Le canne sono collocate entro un'incorniciatura sobria, conformata a serliana su lesene, con forte cornice modanata che nella parte centrale s'incurva ad arco ribassato. Sopra questa, ma in un piano più arretrato, è la mossa cimasa, con volute, festoni e, a rilievo, altro trofeo di strumenti musicali. Collocato nella seconda metà del '700, attribuito al Bossi, venne restaurato nel 1856 da Egidio Sgritta. Restaurato una nuova volta, ha riacquistato la potenza sonora delle 822 canne presenti nel progetto originale, nonché la sua ineccepibile bellezza timbrica e la perfetta funzionalità.


La sagrestia a volta è dei primi anni del '700; ha un bel lavabo. Conserva un Crocefisso in legno, settecentesco, su croce dell'800, restaurato nel 1991 a Ortisei; figure di angioletti della scuola dei Fantoni, che facevano parte del "Paradisino" dei Fantoni (1740); candelabri, un secchiello dell'acqua santa della fine sec. XVII; un turibolo e navicella del '700; una pisside del seicento, un calice del tardo '500, un calice del '700, un ostensorio del '700 e, dell"800, reliquiari, ombrellini, tovaglie, ecc.




S. BARTOLOMEO. Su un dorsale del monte, tra un verde denso e compatto, si scorge appena il campanile elegante e svelto. Ma chi vi giunge sull'antica strada si trova di fronte il santuario di S. Bartolomeo. Sorge in fondo alla valle che dal santo ha preso il nome, in località Sedergnò. È opinione di Franco Bontempi che il primo edificio religioso sia sorto in un periodo precedente al dominio franco, come chiesetta di un villaggio autonomo con propria vicinia. L'origine del santuario dovrebbe essere ovvia, trovandosi sulla via principale della valle, cioè la Valeriana o Romana (una vera e propria carrareccia), per chi da Brescia voleva andare in Valcamonica passando dalla Riviera Sebina, attraverso la Croce di Zone, e da Pisogne. Sul luogo sul quale sorge la chiesa esisteva, con tutta probabilità, come già detto altrove, un ospizio per pellegrini e viandanti, dedicato al santo, come in molte altre località. Alla chiesa "campestre sotto il titolo di S. Bartolomeo nella contrada di Cordegnoni" accenna p. Gregario di Valcamonica nei suoi "Curiosi Trattenimenti". Potrebbe darsi che si riferisse ai resti della prima chiesetta, quella piccola abside dipinta esistente sotto il pulpito (poi scomparso) che, secondo una testimonianza raccolta da don Domenico Boniotti, gli anziani ricordavano di aver visto. La prima notizia sulla chiesa la troviamo nel "designamentum" del 1430, nel quale è ricordata come "oratorium campestre" in "contrada Cedergnone", dipendente dalla rettoria parrocchiale di Toline, nell'ambito della pieve di Pisogne. Ma ben altra attenzione le hanno dedicato i vescovi di Brescia, indicandone con ciò l'importanza. Le origini devono essere quattrocentesche, se non ancora più antiche. Un documento, registrato nella visita di don Giacomo Pandolfi, richiama un testamento del 1523 rogato da Manfredo Celeri, secondo il quale Giovanni Ravelli di Seniga aveva lasciato un legato di trenta salme al santuario di S. Bartolomeo. Don Cristoforo Pilati, nella sua visita del 3 ottobre 1573, l'ha registrata come S. Bartolomeo "in montibus", nella quale si celebra la festa del santo e talvolta il visitatore ordina venga tenuta chiusa. Ampie sono, invece, le notizie di don Giorgio Celeri nella sua visita del 27 luglio 1578. "È posta, egli scrive, sui monti che vengono detti di Sedergnò Campestre, non consacrata, è piccola e con un piccolo altare". Ha proventi annui di 23 lire e vi si celebra talvolta la devozione. Ha il presbiterio a volta e dipinto con varie figure che sono però, per l'antichità, in parte stinte e sporche e in parte rovinate. Il resto della chiesa è coperto di tegole. Ha due porte e una finestra munita di inferriate, il pavimento è di pietre disuguali e le pareti rustiche. Ha un campanile. L'altare non è consacrato e su di esso sta una pala con tre figure. Per celebrarvi vi si portano i paramenti e le suppellettili dalla parrocchia di S. Giorgio. Il visitatore ordina che si faccia una croce di legno dipinto, si dipingano i gradini per i candelabri, si faccia un pallio di legno dipinto e che la predella di pietra venga riattata o venga tolta. Inoltre si tolga entro sei mesi la colonna di mattoni che è presso l'altare; venga portata all'interno della chiesa l'acquasantiera che ora si trova all'esterno, le pareti della chiesa vengano intonacate, e venga tolto l'altare che si trova fuori la chiesa, i redditi vengano spesi per la mercede del sacerdote che vi celebra e amministra i Sacramenti a Toline.


Il vescovo Morosini nel 1593 ordina che l'altare venga ridotto nella forma dovuta e venga ornato di un'icona decente, che vengano murate le finestrelle attraverso le quali si può guardar nella chiesa, che le pareti vengano intonacate e imbiancate, che si copra con assi il soffitto, che si eguagli il pavimento. Inoltre non vi si celebri fino a quando non vengano eseguiti tali ordini.


Gli atti delle visite pastorali del luglio 1646 e del novembre 1656 ci dicono che vi si celebra solo per devozione e che la chiesa non ha beni di sorta né obblighi e, come assicura il vescovo Dolfin, il 7 agosto 1702, le "elemosine sono ben amministrate dalli Sig. Reggenti". "Per esser molto lontano vi si celebra di rado". Vi si solennizza però la festa di S. Bartolomeo. Dal 1700 al 1710, come hanno letto P. Guerrini e Alessandro Sina nelle "Parti della Vicinia", nell'archivio della Pieve di Pisogne, la chiesa venne rifatta. Il vescovo Barbarigo il 30 ottobre 1717 ordina che si costruisca, entro due mesi, la sagrestia. Ma dalla relazione parrocchiale per la stessa visita pastorale del 1717 abbiamo notizie importantissime, fra cui quella della riedificazione della chiesa. "Questa - si legge - non ha un soldo di entrata e questa chiesa benché riedificata di fresco, va alla mal'ora per causa di non havere chi attualmente la custodisca, dove stimo necessario la presenza di un heremitta solito esservi anche molti anni sono". Per custodire la chiesa la Vicinia deliberava, il 1° agosto 1783, la costruzione di una casa per alloggiarvi l'eremita Cristoforo Bonetti. Il parroco nel 1807 sostiene che la chiesa è "necessaria per la Messa festiva al popolo, parte di cui in tempo d'estate ritrovasi colà per acceder alla campagna e al bestiame" e che la chiesa era di diritto pubblico. Il Rizzi nel 1870 si accontenta di riferire come "sulla collina" esista il piccolo santuario di S. Bartolomeo". Recentemente è stata ripresa la sagra di S. Bartolomeo, che vede intorno al santuario grande folla. Nel 1981 Pietro Bonetti, in memoria della moglie, offrì le due vetrate dipinte con la Madonna del Rosario e con S. Antonio abate, altre cinque (quelle con Giovanni XXIII, S. Francesco, S. Pietro ecc.) vennero donate dal medesimo, sempre in ricordo della moglie, nel 1982.


Esterno. La facciata è racchiusa da due lesene aggettate in muratura e si conclude con alta cornice sporgente dotata di tettuccio, su cui s'imposta la cimasa inflessa pure con cornice modanata. In basso, nel mezzo, è il portale in sarnico con cornice piuttosto liscia, con architrave e cimasa decorati con elementi vegetali, affiancato da due finestre con cornice in sarnico; una semplice finestra con lieve arco sovrasta la porta. Sul lato S stanno il campanile e la sagrestia. Il lato N ha, in basso, la porta secondaria, in sarnico, molto semplice, e più sopra, lievemente spostato, un affresco molto rifatto, sormontato da tettuccio, raffigurante il martirio del Santo e attribuibile allo stesso pittore che ha eseguito l'affresco dell'interno, cioè Domenico Voltolini detto il Nasino.


L'interno è ad una navata di due campate con volta a botte e con presbiterio di pianta rettangolare pure con volta a botte. Le campate sono segnalate da lesene o semilesene marmorizzate, che sostengono un alto cornicione che circonda l'edificio. Sulla parete di destra è murata una lapide a ricordo dei benefattori della chiesa. L'unico altare ha il paliotto in legno dipinto a finta scagliola, in maniera assai fine, del principio del secolo XVIII; della stessa epoca è il tabernacolo, dalle linee assai mosse, ma di semplice forma architettonica. La soasa, pure lignea, ma più antica dell'altare, ricca di elementi architettonici, di festoni di frutta e con cimasa sormontata dal busto del Padre Eterno, accoglie una pala raffigurante la B.V. col Bambino, affiancata da S. Gregorio Magno e S. Maurizio, con sotto il martirio di S. Bartolomeo. Reca in basso, a destra, la firma e la data: "Dominicus de Voltolinis/iseanus pictor/fecit 1714"; venne ordinata dal parroco don Cristoforo Francesconi. L'altare originario oggi è nascosto dall'altare nuovo eseguito a ricordo di Margherita Ravani (m. 1973), con tre pannelli in lamina di rame. Nel tabernacolo sono conservati due reliquiari a cartella in lamina argentata applicata su anima di legno, di fattura piuttosto fine, sia per la forma architettonica sia per i ricchi elementi decorativi propri del sec. XVIII. La sagrestia è stata restaurata nel 1965.


Fra le SANTELLE sparse nel territorio assume un particolare rilievo quella della "Madonna del lago" restaurata da Armando Risi, adorna di una Madonna dipinta ad olio su zinco dal cognato di lui, Tarcisio Zigliani ed inaugurata il 17 ottobre 1985.




Attiva per diversi aspetti la vita parrocchiale. Dal 1996 viene organizzata la "Passione vivente". La parrocchia, con propri collaboratori (Settimo Ferrero, Italo e Fulvio Romelli, Pinuccia Ducoli, Sandro Piccinelli, ecc.) ha pubblicato sue pagine ne "L'Onda del Sebino" di Pisogne.




RETTORI-PARROCI. Francesco de Fanellis di Verola (1548 e 1567); Giacomo Guarneri di Vione (1573); fra Matteo Silvani dei Minori è ricordato rettore in un documento del 27 luglio 1578; Pietro Albrici rector curatus è citato in un documento del 1602; Giuseppe Bertoli di Toline (21 febbraio 1629, rinuncia 29 novembre 1636); Cristoforo Belotti (24 aprile 1640, m. 2 agosto 1682); Lodovico Belloni di Pisogne (12 novembre 1682, m. 31 marzo 1692, a 58 anni); Vito Plazani o Piazzani di Incudine, (16 giugno 1692 - rin. 1708); Cristoforo Francesconi di Pisogne (12 novembre 1708, m. il 20 marzo 1745); Giov. Battista Mondinelli di Corti (23 giugno 1745, m. 23 luglio 1791); Alberto Pandocchi di Niardo (29 novembre 1791, rin. 1800); Giacomo Cominelli di Cerreto Alto in Val Seriana (9 dicembre 1802) non entrò in parrocchia; Francesco Ghirardelli di Predore, bergamasco (18 maggio 1803, rin. il 26 gennaio 1804); Francesco Bosio di Clusane (il 9 maggio 1804, rin. 1807); Giov. Battista Invernici di Pisogne (21 dicembre 1808, rin. 13 gennaio 1815); Giov. Battista Zatti di Zone (7 giugno 1815, m. 29 settembre 1817); Modesto Trotti di Angolo (2 dicembre 1817, rin. 1867); Carlo Tognatti di Incudine (14 marzo 1867, rin. 1886); Giulio Berardi di Zone (2 luglio 1887, rin. 1896); Angelo Nazzari di Remedello Sopra (14 settembre 1896, rin. 28 maggio 1897); Tommaso Scalvinelli di Terzano (20 luglio 1897, rin. 18 luglio 1905); Domenico Tarsia di Nadro (21 giugno 1906, rin. novembre del 1911); Bartolomeo Pacchiani di Bossico (12 dicembre 1912 - 1929); Ambrogio Signorelli (1 aprile 1929); Giuliano Bianchi (13 settembre 1929 - 1946); Angelo Donina (27 febbraio 1946 - 1977); Giacomo Locatelli (7 giugno 1977 - 1981); Domenico Boniotti (7 gennaio 1981 - 30 settembre 1994); Andrea Cristini (1 novembre 1994 - 1 gennaio 1997); Giovanni Arrighetti (1 febbraio 1997 -14 luglio 2002); Ermanno Turla (dall'ottobre 2002).