PIETRO de Dom, Chiesa

PIETRO de Dom, Chiesa

Cattedrale estiva esistente fino ai primi anni del sec. XVII, accanto alla cattedrale iemale di S. Maria de Dom o Maggiore. Una tradizione reinterpretata da alcuni storici dice che le due basiliche avrebbero tratto origine alla fine del sec. V o agli inizi del sec. VI sull'area di un edificio termale del quale sono state trovate porzioni di pavimento, per iniziativa di due vescovi, uno ariano e l'altro cattolico. G. Panazza ha comunque assegnato al V secolo il trasporto delle cattedrali all'interno della città mentre secondo la falsa cronaca di Rodolfo Notaio pubblicata da G.B. Biemmi nel 1749 S. Pietro de Dom sarebbe stata edificata dal vescovo Anastasio (636-652) mentre i "duchi Marquardo e Frodoardo (662-671) innalzarono grandem et celeberrimam civitatis basilicam, cioè S. Maria. Determinante per la storia della basilica un'epigrafe che ricorda il vescovo Antonio (863 - 894) per la sua pietà e zelo attribuendogli le migliori cose esistenti nel tempio dove venne sepolto, come anche Landolfo V vissuto nel sec. X. Anche Landolfo II si adoperò verso il 1025 al riassetto della basilica, con la costruzione della cripta e forse la decorazione con stucchi; e ciò per accogliervi le reliquie di S. Apollonio qui trasportate dalla chiesa suburbana a lui dedicata il 6 ottobre 1025. Nella chiesa ebbero luogo investiture, deposizioni di testi, condanne, fondazioni di monasteri, elezioni di cariche; nella basilica veniva custodito il carroccio del Comune. Nel tempio il 6 ottobre 1426 i bresciani giurarono fedeltà a Venezia nelle mani del Carmagnola. Nel 1561, presente S. Carlo Borromeo venivano trasportate le reliquie dei SS. Vescovi Dominatore, Paolo, Anastasio e Domenico, con una processione fissata in una grande tela da Francesco Maffei. Come appare da una immagine allegata all'Estimo del 1558 la facciata molto semplice compare come disadorna, con la parte centrale più alta delle laterali con tetto a capanna, e queste con la copertura spiovente. Tre gli ingressi entro altrettanti comparti delineati da lesene; sul maggiore l'evidente rosone. L'incisione, alquanto sommaria, e la descrizione fatta da Baldassarre Zamboni sono integrabili con la più attendibile pianta attribuita all'arch. Giuseppe Antonio Avanzo che l'avrebbe eseguita nel 1603-1604 nella quale appare il tipo ancora legato alle forme basilicali paleocristiane con tre navate larghe m. 25,27 (la centrale di m. 10,925, le laterali di m. 6,175) e lunghe m. 47, con i colonnati formati da 14 colonne e con intercolunni di m. 3,15, mentre le pareti esterne misurano m. 0,95. Non ci è invece documentato il presbiterio con la parte absidale, perché il rilievo ci presenta questa parte sicuramente rifatta in epoca rinascimentale con forme quadrangolari. Si ha inoltre indicazione relativa ad un mosaico pavimentale: ci è data dal codice mediceo e poi da Sebastiano Aragonese (sec. XVI) che ricorda "apud altare Sancti Antonii patavini Maximianus - et Leontius - Cum suis p.c." Nel frattempo vennero operati ripetuti interventi fra i quali quello del 1455 - 1457 che privò la navata degli stucchi e delle decorazioni con figure di animali mostruosi e motivi vegetali considerati sconveniente ricordo del paganesimo. Nel secolo XVII, scomparsi i tre ingressi nella fronte, resta il maggiore, mentre i minori si specchiano a mezzo delle pareti laterali. Il tempio ridotto con le porte sotto il livello della piana, e al quale si giungeva attraverso una scala, compariva già compromesso così da spingere il vescovo Bollani nel 1567 ad invitare Andrea Palladio a preparare il progetto per una nuova cattedrale. L'opposizione di personalità quali il card. Gianfrancesco Gonzaga e l'esorbitante spesa da affrontare convinsero mons. Bollani ad affidare i lavori all'arch. Giovan Maria Piantavigna. Costui intervenne nel 1572 per inglobare nella basilica le scale, per otturare le finestre antiche e per aprire 18 finestroni. I lavori di consolidamento e di restauro si susseguirono. A Cristoforo Rosa nel 1575 venne affidata la decorazione delle navate laterali, il volto e le pareti, opera che venne poi continuata da Pietro Marone e Tommaso Bona i quali dipinsero anche le cappelle e l'abside. All'epoca della visita di S. Carlo B. nel 1580 sull'altare maggiore esiste «Il tabernacolo ligneo, bello e dorato con due armadietti, uno sulla fronte e uno sul retro dell'altar maggiore, che non è consacrato. Numerosi i minori, con quelli di S. Pietro, di S. Michele, S. Stefano, S. Apollonio che custodisce il corpo del Patrono, v'è memoria di altri, dedicati alla Conversione di S. Paolo, a S. Girolamo, allo Spirito Santo, ai SS. Faustino e Giovita o S. Faustino e Liberato, a S. Lorenzo, S. Lucia, S. Clemente, S. Sebastiano ecc.». Gli interventi sviluppati con insistenza non riuscirono a salvare la chiesa che nel 1604 venne sacrificata. In pochi mesi l'edificio venne abbattuto e il 12 maggio dello stesso anno veniva posta la prima pietra del Duomo Nuovo. Alcuni dipinti vennero trasferiti nelle civiche raccolte, alcuni altari vennero trasportati in Duomo vecchio. Anche le colonne vennero disperse: due ai lati della porta del Broletto verso la piazza, due inglobate nella chiesa di S. Maria della Carità, sei nel prato dell'ingresso della villa Mazzucchelli di Ciliverghe, e tre, secondo lo Scrinzi, nella villa Olmo di Chiari. L'arca funeraria di S. Apollonio ritenuta opera di Maffeo Olivieri venne trasferita in Duomo Nuovo.