PERLOTTI Luis

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PERLOTTI Luis

(Buenos Aires, 23 giugno 1890 - Punta del Este, Uruguay, 25 gennaio 1969). Figlio di un ciabattino di Vico di Corteno, emigrato in Argentina nel 1880. Fin da piccolo ebbe inclinazione per l'arte, anche se già a nove anni fu, costretto a cominciare a lavorare. Conoscenti e genitori incitavano la sua vocazione letteraria, così che egli potè scrivere e poetare con una certa spontanea facilità. Sua madre sperava che potesse laurearsi, ma la morte prematura della stessa lo costrinse ad un altro destino. Cominciò così come apprendista presso un vetraio, ma si trovò quasi subito a disagio; passò in alcune officine e fabbriche della zona, senza miglior fortuna. Grazie però all'interessamento di suo padre riuscì a entrare al servizio di un ebanista: qui riuscì a dar sfogo alla sua creatività artistica e, contemporaneamente, a proseguire gli studi. Si iscrisse infatti ai corsi della "Società Italiana Unione e Benevolenza", per mezzo dei quali imparò la tecnica del lapis e del carboncino, nozioni di prospettiva e uso del gesso. Successivamente si perfezionò presso scuole più qualificate e in poco tempo ottenne il primo riconoscimento ufficiale delle sue opere: il Premio Anchorea. Non riuscì però a farsi accettare all'Accademia Nazionale di Belle Arti, se non dopo aver portato a termine gli studi dell'obbligo. Compiuti questi, entrò nell'Accademia direttamente al terzo anno, per lavorare sotto la direzione di illustri artisti, tra i quali lo scultore Lucio Correo Morales. Un conflitto corporativo fra gli ebanisti, scioperi e rivendicazioni proletarie lo costrinsero a confrontarsi con la triste realtà della disoccupazione e di momenti economici assai difficili. Fortunatamente lo sviluppo della città di Buenos Aires e il conseguente incremento demografico permisero al Perlotti di sfruttare le proprie capacità di decoratore a favore delle nuove costruzioni (abitazioni, edifici commerciali...). Contemporaneamente si specializzò nei lavori in terracotta e argilla; in seguito ad una circostanza a lui favorevole, salvò la vita alla figlia di un alto funzionario del Ministero dell'Agricoltura, gli fu offerto un posto di guardaboschi addetto al settore del disegno, cosa che gli permise di continuare tranquillamente i corsi dell'Accademia Nazionale. Nel 1915 gli fu affidato l'incarico di scolpire su legno un'allegoria della Repubblica Argentina per l'Esposizione Internazionale di San Francisco: rappresentò in tale lavoro figure e rilievi ispirati a scene campestri, a cui si aggiunsero lavori su lamine di rame mostranti la ricchezza forestale del paese. Sempre nello stesso anno fu insignito del titolo di professore, per il quale aveva tanto lottato. Si trovò ben presto in contrasto con un'avanguardia artistica decisa a rivoluzionare quei canoni classici cui si sentiva molto legato: di fatto Perlotti non fu mai tentato dalle mode o dalle stravaganze; semmai utilizzava la fantasia come mezzo per realizzare le proprie opere, senza perdere come punto di riferimento il sentimento umano, per lui inscindibile da ogni creazione artistica. L'incontro con Edoardo L. Holmberg (professore del Collegio Militare della Nazione) e Juan Ambrosetti (archeologo artista) orientò il Perlotti verso un lavoro artistico di stampo prettamente indigeno: fu così che egli viaggiò molto nell'interno del paese, lesse parecchio, si interessò di storia, archeologia, filosofia. Riprodusse in vario materiale (legno, terracotta, pietra, bronzo) i tipici personaggi delle stirpi autoctone argentine e, più in generale, sudamericane. Nei primi anni venti inviò al Salone Nazionale opere di stampo classico: nudi, teste e ritratti. Nel 1923 ottenne il massimo riconoscimento al Primo Salone dell'Arte della provincia di Buenos Aires, grazie all'opera in bronzo "Testa di vecchio". In seguito alla sua notorietà eseguì anche lavori commissionati dal governo (es. dal Ministero della Marina) e da personaggi influenti della vita pubblica argentina.


La fama del Perlotti varcò poi i confini nazionali: nel 1924 la Compagnia Peruviana di Arte Incaica giunse a Buenos Aires e incaricò l'artista di eseguire bronzi e sculture in legno raffiguranti cerimonie, riti, costumi relativi agli Incas. Organizzò poi la selezione di sculture da portare in Bolivia per partecipare all'Esposizione Internazionale di La Paz: questo viaggio gli permise anche di legarsi con gli intellettuali di quel paese, studiando così i costumi, le tradizioni e le usanze religiose boliviane del periodo incaico. Si recò anche in Perù ed ebbe anche contatti con il Museo Nazionale di Belle Arti di Montevideo (Uruguay). Le conoscenze e i miglioramenti nelle tecniche apprese all'estero permisero al Perlotti di ottenere numerosi riconoscimenti, una volta rientrato in Argentina. Gli anni Trenta lo videro all'apogeo della sua notorietà, tanto che critici illustri come Francisco Villarejo lo definirono "precursore dell'arte indigena, al quale dovevano consacrarsi gli artisti americani decisi a plasmare espressioni di contenuto autoctono"; nello stesso decennio si recò in Brasile, invitato dall'Associazione degli Artisti Brasiliani, per i quali modellò il ritratto del compositore Héctor Villalobos, collocato presso il vestibolo del Teatro Municipale di Rio de Janeiro. Incominciarono inoltre a raccogliersi intorno al Perlotti numerosi artisti e discepoli: così che fu in grado di riprendere i viaggi, questa volta nel Sud del paese (Patagonia, Terra del Fuoco). Il 1949 segna un'altra svolta nella sua vita: sposa Filomena Bianco, la migliore delle sue collaboratrici, grande incentivo per la sua attività artistica che gli fu consigliera, critica, ispiratrice; a lei si deve la decisione del Perlotti di regalare la propria casa e la collezione privata alla città di Buenos Aires.


Nel 1953 abbandonò la professione di docente, inaugurò una propria mostra professionale e partì con sua moglie alla volta dell'Europa. A Roma, presso la Galleria S. Marco, realizzò la sua prima mostra con un'esposizione di trentacinque tra bronzi, legni, marmi e ceramiche tutte a carattere indigeno ed etnografico. Da Roma passò a Milano e a Venezia, quindi a Madrid e poi in Francia. Tornò in Argentina nel 1955 e subito accettò l'incarico commissionatogli dal governo per un monumento a Mar del Plata dedicato al Generale don José de San Martin, grande eroe di quel paese. L'opera, di quindici metri di altezza, venne inaugurata il 25 febbraio 1956. Un monumento dedicato alla stessa personalità venne poi eseguito dal Perlotti in Guatemala nei primi anni '60.


Tra i ritratti si ricordano in particolare: Quechua (legno Quebracho), Nina del Cuzco (legno Madera), Nina Aimarà (legno Madera), Nortena (legno Madera, oggi alla Pinacoteca), Guaranì (legno Quebracho), Viejo del Altiplano (bronzo), Indiecita (legno Madera), Dolor Indio (legno Quebracho), Arancano (legno Madera), Nortena (legno Madera), Cabeza de viejo (bronzo). Dedicati alle condizioni di vita degli indigeni sono le composizioni Amanecer (bronzo), Danza de la flecha (bronzo), Ofrenda cuzquena (pietra), Laika-Paya (legno Madera): opere alle quali si può accostare la serie dedicata alla Madre di cui alcuni esemplari tradotti in monumenti come quello più noto e imponente dedicato al Retorno a la Patria in Mendoza e quello per la collettività italiana della stessa città, le varie figure della Madre in Buenos Aires e della provincia, il Gaucho a S. Cruz. Né si possono alfine ignorare i frutti dell'attività del ceramista, riflettenti le tematiche ispiratrici le opere su ricordate, i ritratti eseguiti per personalità del mondo. Durante il soggiorno in Italia nel 1953 espose a Roma 95 opere e donò, tramite il Circolo argentino di Brescia alla città, in occasione di una personale, un busto in legno del padre. Singolare anche un suo autoritratto in costume cortenese.