PANAGIOTI o Panagiota da Sinope

PANAGIOTI o Panagiota da Sinope

(Sinope, Galazia, 1665 c. - Brescia, 1736). Egli stesso non sapeva l'anno preciso della sua nascita. Di famiglia di media condizione sentì fin da fanciullo trasporto allo studio e fu a scuola per pochi mesi del precettore, certo Teodoro, di un ricco signore del luogo, continuando poi gli studi da solo e in particolare lo studio del greco sull'Iliade. Ottenuta dal padre una somma con la scusa di dedicarsi al commercio, si recò a Costantinopoli dove venne accolto da un professore del Seminario della Gran Chiesa, il quale oltre che insegnargli, gli ottenne incarichi di insegnante anche a persone adulte. Dopo cinque anni abbandonata dopo una breve esperienza l'idea di diventare scrivano dell'interprete generale e segretario del re ottomano, si portò in Valacchia, per imparare logica da Sebasto da Trebisonda. Dopo aver fatto per qualche tempo anche il correttore di bozze, ritornato a Costantinopoli venne convinto di andare in Sassonia presso un letterato, certo Cristoforo. Arrivato però a Venezia in compagnia di un mercante, vi venne invece trattenuto per le insistenze del vescovo greco cattolico Melezio Tipaldo. Convertito da scismatico a cattolico, ottenne l'insegnamento del greco nel Collegio Giovanni Loturnio di Padova dove curò la stampa dell'"Etimologico Grande" o l'Etimologico di Megallo. Convinto da un nobile giovane dell'isola di Paro (Zante), Giorgio Condili, di recarvisi per insegnare, vi incontrò a causa della sua professione di fede cattolica, gravi pericoli. Dopo essere passato attraverso la Romania per sfuggire a continue persecuzioni, giunse a Venezia dove venne ordinato sacerdote e nominato cappellano della chiesa di S. Giorgio. Ma trovando nuove ostilità da parte dei greci residenti sulla Laguna, si recò a Verona ove fu accolto in casa del marchese Scipione Maffei, come insegnante di greco. Nel 1720, durante una lunga assenza del Maffei, il Panagioti veniva invitato dall'abate di Pontevico, Filippo Garbelli, a Brescia sempre come professore di lingua greca. Ospite del Garbelli stesso in una sua casa di città incominciò ad insegnare nel Seminario Vescovile, non solo ai chierici ma a tutti coloro, laici e religiosi che fossero, che desideravano imparare tale lingua. E da Brescia non si staccò più, nonostante le insistenze del Maffei che lo rivoleva a Verona. Accontentandosi del solo pagamento delle spese, anzi come il Panagioti scriveva «trattato come un mendico», e nonostante l'incostanza degli allievi, Panagioti vi rimase infatti per sedici anni fino alla morte, riconfermato nell'incarico presso il Seminario Vescovile dal vescovo Morosini e dal card. Querini. Fra gli alunni ebbe Pierantonio Barzani (che ne scrisse la vita pubblicata dal Rizzardi nel 1760), Giulio e Giulia Baitelli, Giuseppe Zola, Pietro Tamburini. Fu assiduo studioso di S. Agostino e specie della "Città di Dio", avversario del fozianismo. Assieme all'insegnamento della lingua egli si dedicò ad un intenso apostolato fra tutti quei suoi connazionali che poteva incontrare. Morendo fu rimpianto da tutti, umili e dotti, e lasciò tutto quanto aveva al Seminario, salvo parte dei libri che destinò alla Biblioteca dei Padri della Pace, o che regalò all'abate Garbelli. Il Panagioti fu salutato come restauratore dell'insegnamento del greco a Brescia dopo che da due secoli tale lingua era completamente caduta in disuso e si distinse, a detta dei suoi contemporanei, per «rara dottrina, profonda cognizione di quanto scrisse e negli antichi, e ne' moderni tempi la Grecia». «Raro esempio di pietà, di amor vero, e di una brama meravigliosa di giovare a tutti, insegnando loro una Lingua, la quale, due secoli fa (cioè nel '500) era da' nostri Concittadini e colta e tenuta in grandissimo pregio» lo definiva l'abate di Pontevico Filippo Garbelli. «Uomo piissimo e ristauratore delle lettere greche in Brescia» scrive di lui P. Sebastiano Maggi della Pace. Il Barzani che, come s'è detto, fu suo biografo e allievo e che fu con lui in consuetudine di vita, lo dice «specchio di ogni cristiana virtù», d'animo mite, dolce e sensibile, caritatevole verso i poveri, fino a donar tutto in elemosina, diligentissimo nei suoi doveri, lealissimo verso il prossimo, severo con se stesso fino al cilicio, ma sempre largo di comprensione con tutti. Fu anche paleografo peritissimo, filologo e cultore di scienze teologiche, conoscitore delle controversie fra cattolici e ortodossi, e bibliofilo appassionato. Alla biblioteca dei Padri della Pace fra preziose rarità donò un volume del «De Civitate Dei» di S. Agostino. Fu carissimo ai dotti bresciani del tempo. Apprezzato dai chierici e dal clero bresciano, fu «amicissimo» dei Padri della Pace, «ad alcuni de' quali insegnava pure quella lingua (greca) e tra gli altri al padre Gio. Battista Onofrio, il quale gli serviva la Messa in greco». Per nostra fortuna il suo biografo riporta la iscrizione sepolcrale a lui dedicata nella chiesa di S. Afra (ora Santuario di S. Angela Merici): «D - O - M / PANAGIOTAE Synopensis / Cui Brixia Reducens / E diuturno Exilio / Graecas Litteras Debet CINERES HIC SITI SUNT / PHILIPPUS GARBELLUS / illius ex asse haeres / post caetera / humanitatis OFFICINA / QUOD IMMATURA SEMPER / FELICIBUS INGENIIS MORS / RELIQUUM AMANTI FECIT / PRO CESPITE AC FLORIBUS / MEMORIAM HANC / PIISSIMIS MANIBUS AMICI / AC PRAECEPTORIS OPTIMI / GRATUS MOERENSQUE P. / KAL. APRIL. A.D. MDCCXXXIIX». La lapide, che era situata nel corridoio a sinistra vicino alla scala che conduce al campanile e alla sacrestia è ora scomparsa, forse a causa degli avvenimenti bellici.