ONOFRIO, Santo

ONOFRIO, Santo

Eremita della Tebaide d'Egitto, sarebbe morto verso la fine del sec. IV o all'inizio del sec. V. L'unica fonte alla quale si può fare riferimento è la biografia tracciata dal monaco Pafnuzio che, curioso di conoscere la vita degli eremiti e messosi sulle tracce di uno di essi, si incontrò con S. Onofrio che dopo avergli narrata la sua vita e la sua santa esperienza ed avergli svelato i segreti della vita anacoretica, gli confidò prossima la sua morte, alla quale Pafnuzio in realtà assistette. S. Onofrio, da quanto risulta dalle notizie di Pafnuzio, sull'esempio di Elia e di S. Giovanni Battista, si era ritirato nel deserto, dove sarebbe vissuto sessant'anni senza più vedere altro uomo che Pafnuzio. Il suo culto si diffuse in Italia e in Europa ai tempi delle Crociate e dovunque l'arte l'ha sempre raffigurato come un selvaggio, irsuto, vestito di erbe selvatiche oppure nell'atto di ricevere la S. Comunione per mano di un angelo.


Nella leggenda santorale bresciana la sua figura finì con il coincidere con quella di uno dei molti eremiti che popolarono la terra bresciana. La leggenda, raccolta prima dal Malvezzi e poi da Elia Capriolo nel libro terzo delle "Istorie Bresciane", racconta che "dopo le guerre che susseguirono alla spartizione dell'impero, fatta da Costantino il Grande, Costanzo, uomo di ingorda ferocia, continuò le persecuzioni verso i nipoti che dal ramo Costante, erano Arnolfo ed Onofrio. Appunto per sfuggire alle persecuzioni dello zio, i due fratelli elessero l'esilio, spartendosi un anello, del quale toccò l'oro ad Arnolfo e la pietra preziosa ad Onofrio. Quest'ultimo, ordinato sacerdote da Eusebio, vescovo di Nicomedia, venne, dopo molte peregrinazioni, a Brescia dove alcuni cittadini che in altri tempi erano stati a Roma e Costantinopoli, lo riconobbero; ma temendo egli tuttavia dello zio si ritirò appunto sul monte che fu poi detto Conche e visse santamente alcun tempo.


Senonchè, la figlia del preside della città, chiamata Marcella, si ammalò di fistole incurabili; interrogati gli oracoli, si ebbe risposta che la fanciulla sarebbe guarita bevendo latte di capra avvelenata dal morso di un serpente. Andarono vari uomini in cerca di latte, ed uno di essi, giunto presso la dimora di Onofrio, vi fu sorpreso dalla notte e, dormendo, ebbe un sogno. Vide cioè un serpe che, succhiando latte da una capra gonfiava in modo da sembrare una conca; indi dalla bocca emetteva un candido fiume che, crescendo, parea sommergere il sognante (di nome Fausto) sinchè nol traeva a salvezza un uomo dall'aspetto selvaggio. Alla sera vegnente, ricercando ancora dove riposare la notte, con un pastore dei luoghi, arrivò Fausto alla caverna di Onofrio e gli espose il sogno. Ma il Santo Eremita gli dimostrò quanto fallaci fossero tali superstizioni e come il salvare le genti spettasse al Cristo. Stupito a questo linguaggio strano e suadente, Fausto scese in città, conducendo il Santo alla corte del Preside: ed ivi Onofrio, deposto ogni timore, nuovamente predicò la parola divina. Ahimè, che anche questi tribolati chiesero al Santo di rivelarsi con un miracolo. "Risana la fanciulla o sarai decapitato". Applaudirono i cortigiani, ma il Preside, rivoltosi a Onofrio, soggiunse: "Tu fai ciò che devi, perchè in ogni modo, grande è la tua virtù. Il parlare è da molti, ma l'oprare è da pochi". E Onofrio, battezzata Marcella, invocò su di lei lo spirito di Dio. Ecco una nube avvolgere la fanciulla, splendida così che gli occhi non vi reggevano: quando la nube fu sciolta, la fanciulla era salva. Questo avveniva nel 354, cioè sette anni prima della morte di Costanzo: ma Onofrio, tenuto ormai per Profeta, più nulla ebbe a temer dallo zio, ed alla morte di Ercolano, vescovo di Brescia, ne ereditò la carica. Così dalla Conca sognata da Fausto, la tradizione volle chiamato il monte". Al suo culto vennero infatti dedicati eremi e chiese sui monti di Bovezzo (v.), Capriolo (v.), Sabbio Chiese (v.).