NEGROBONI Giacomo detto Giacomino

NEGROBONI Giacomo detto Giacomino

(Bovegno (?), 1461-1527). Di Negrobono. Famoso uomo d'armi valtrumplino. Passò parte della sua esistenza in Valtrompia dove si distinse per sagacia diplomatica e abilità nelle armi e anche per pietà tanto da essere aggregato dal beato Sebastiano Maggi ai Padri domenicani di Brescia. Per i meriti del padre a soli 16 anni venne eletto capo delle truppe della Valtrompia e Valsabbia con gli stessi privilegi paterni. La Comunità della Valtrompia se ne servì per alcune ambascerie a Venezia in difesa dei propri privilegi. In più fu sempre fedelissimo agli Avogadro. Nel 1496 si diede con il fratello Bartolomeo interamente alla vita militare. Dal gennaio al maggio 1499 combatté con l'Alviano e agli ordini del Provveditore veneto Pietro Marcello nei pressi di Bibbiena. Ritornato a Venezia fu destinato con 100 fanti in Levante. Dopo essere stato passato, nel luglio del 1499, in rivista al Lido colla sua compagnia da Giovanni Moro e da Francesco Duodo, in settembre venne aggregato all'armata del Capitano Generale e presidia Corone, Castelfranco e La Canea con Francesco Zigogna provveditore alla Morea. Nel 1500 partecipò alla campagna contro i turchi nel Friuli. Nel marzo 1501 fu conestabile con 200 uomini nello Zaratino dove fortifica Nona ed altri luoghi contro i Turchi, finché vien fatto prigioniero, a quanto pare, e ridotto in schiavitù. Liberato, partecipa in seguito, sempre a capo di uomini d'arme, alle guerre di Romagna e di Lombardia: parte da Brescia per il Polesine; presidia il castello di Russi; passa a Faenza nel novembre del 1503 e pare vi rimanga, a presidio della rocca, fino al settembre del 1508, allorché viene trasferito colla sua compagnia di cento fanti a guardia della rocca di S. Croce in Cremona, allora comandata dal Provveditore Veneto Marco Loredan; e qui viene assediato dai francesi di Luigi XII nel maggio-giugno del 1509. Come ha scritto Carlo Pasero, i discendenti di Giacomino ricordarono mirabili cose intorno alla difesa fatta dal loro antenato in questa circostanza, e soprattutto esaltarono la fiera risposta da lui data a chi sotto le mura aveva innalzato le forche, minacciando d'impiccarvi il figlio suo Giovanni Antonio (pochi giorni prima fatto prigioniero in Brescia), se il padre non si fosse arreso; ma pure sussistono alcuni dubbi intorno alla lealtà del «fedelissimo» Giacomino, anche perchè il Sanudo raccoglie (ed ha l'aria di credervi pienamente) certe voci che accusano esplicitamente il Negroboni di tradimento perpetrato a favore dei francesi dietro istigazione di Luigi Avogadro, valtrumplino egli pure. Sembra, infatti in base ai sospetti di Zanetto da Castello, del Priuli, del Sanudo che il Negroboni abbia avuto abboccamenti segreti con Luigi Avogadro di cui si dichiarava «servitore sviscerato», favorendo la resa del castello, consegnandone una porta, come poi si disse, anche se in seguito egli amasse rappresentarsi e farsi rappresentare quale eroico difensore di S. Croce. Giacomino, avute salve vita e robe, si ritirò attraverso Pontevico verso Brescia, almeno secondo il Sanudo; assicurò Venezia che si sarebbe giustificato delle accuse mossegli, ma non si fece più vedere, perché si ritirò in Valtrompia. Montando l'avversione contro i francesi, con i famigliari e specialmente con il figlio Giannantonio finì con l'unirsi agli Avogadro, ai Martinengo e ad altri nella congiura antifrancese e prese parte attivamente ai tentativi di liberare Brescia. Raccolto un piccolo esercito valtrumplino per due volte tentò l'assalto alle porte cittadine e finalmente il 3 febbraio 1512 riuscì a penetrare una città. Poco dopo, tuttavia, Gastone di Foix riuscì a restaurare il dominio francese, sbaragliando i Valtrumplini sul colle di S. Fiorano, uccidendone ottocento, compreso un figlio di Giacomino, Girolamo. Il Negroboni, che riuscì a salvarsi, trovandosi in Valtrompia a reclutare altri armati, riparò con altri congiurati a Venezia, dove venne accolto con favore dal Senato e rimandato munito di denaro in Valtrompia a sollevare la popolazione contro i francesi. Nel frattempo i francesi lo avevano condannato il 15 marzo 1512 con il figlio Giannantonio in contumacia e alla confisca dei beni. Già nel giugno 1512 Giacomino era in grado, con i suoi convalligiani, di muoversi verso la Valcamonica per fermare migliaia di svizzeri diretti alla volta di Milano e guidati, per ordine di Venezia, dai bresciani Agostino della Rota e Giovanni Gerardo di Bienno, quando il Ronchi ed il Negroboni con altri ancora si mossero. Giacomino si lasciò ben presto fermare da duecento ducati (così almeno sembra) e se ne tornò indietro; andò poi a finire nella quadra di Rovato, da dove i francesi, come da altri luoghi, avevan di continuo, si può dire, tratto uomini per i lavori di difesa cittadini e dove in maggio si erano fermate le truppe del Trivulzio in ritirata verso Milano.Giacomino la difese dagli sbandati dell'esercito francese, vi raccolse altri uomini per la imminente impresa di Brescia e diede poi inizio ad una sua personale guerriglia. In appoggio a Venezia si portò a Mompiano dove tagliò l'acquedotto, adoperandosi in ogni decisione in aiuto di Venezia, così da meritare ampie lodi dal provveditore veneto Leonardo Emo. Al sopravvento in Brescia degli spagnoli, rimase con il fratello e il figlio al servizio di Venezia. Nel 1514 era alla guardia di Treviso. Passò poi alle dipendenze del condottiero Bartolomeo Alviano a Udine e a Cividale, ma quando Venezia si accinse alla definitiva riconquista di Brescia, lasciata la sua compagnia nel Friuli al comando del figlio Gio. Antonio (6 settembre), fu inviato nuovamente nelle Valli dai Provveditori Giorgio Emo e Domenico Contarini (8 ottobre). Nell'ottobre-novembre 1515, chiamato in Valcamonica forse da Vincenzo Ronchi e da una Lega o Compagnia dei Marcheschi di Breno che i ghibellini locali avversavano, accolse per conto dei veneti il capitano Francesco Ducco. Cooperò così all'assedio della città con denaro, armi, soldati e guastatori, mentre egli stesso si assunse il compito di tenere e di difendere la rocca di Anfo, il che avvenne con alterne vicende per la calata di truppe imperiali appoggiate dal Lodrone e per l'incerto atteggiamento della Valle Camonica indecisa tra Venezia, Impero e Spagna. Nel gennaio 1516 si distinse ad Anfo nello scontro contro le truppe imperiali, lanciandosi nel febbraio contro i Lodroni e bruciando il paese di Storo. Nel marzo era ancora a presidio della rocca di Anfo. Ritornata Brescia sotto il dominio veneto collaborò con Andrea Trevisan e col Gritti al ristabilimento dello stesso in città e nelle valli. Nel maggio 1516 infatti sbarrava i passi delle valli contro nuovi pericoli di calata degli imperiali. Ebbe poi ampi riconoscimenti delle proprie benemerenze e in seguito, il 20 luglio 1518, una provvisione annua di 250 ducati con esenzione da ogni gravezza reale e personale per tutte le proprietà dei Negroboni, estesa più tardi ai suoi discendenti legittimi (ducale 29 aprile 1523). Fu poi sempre al servizio di Venezia, comandando, a custodia della città, una compagnia fissa, accorrendo specie nelle valli ove fossero necessari interventi armati. Nel 1519 era a Crema; l'11 agosto 1521 comandava la difesa delle valli e specialmente della rocca di Anfo. Nell'aprile 1524 era con 300 fanti a protezione di Bergamo, passando poi all'assedio di Cremona. Nel 1525-1526 fu posto con 1500 valligiani a presidio di Brescia, da dove passò poi di nuovo ad Anfo e sui passi alpini da lui fortificati contro svizzeri e tedeschi. In vista dei meriti acquisiti il Negroboni otteneva il 9 marzo 1524 una ducale che gli assegnava terreno «vacuo» di «pubblica ragione» in Brescia per fabbricarvi una casa per sua abitazione. «Il 9 aprile seguente in esecuzione di tale ducale, il Negroboni otteneva dai Rettori un luogo in Cittadella Nova vicino a porta Paganora principiando all'orto dei canonici del Duomo e andando verso sera alle mura di detta Cittadella, con tutte le sue pertinenze». Moriva a Brescia fra le ore 18 e le 19 del 23 aprile 1527 e i suoi funerali furono particolarmente solenni, accompagnati dal vescovo Paolo Zane, dal capitolo del Duomo, dai rettori e dalle autorità bresciane più eminenti. Fu sepolto in Duomo Vecchio (S.M. della Rotonda) con una orazione laudativa e con una epigrafe latina a tramandarne la memoria; ogni mese un padre carmelitano assai valente tenne un sermone funebre commemorativo. La sua fama restò a lungo e ancora nel 1761 in un riunione dell'Accademia degli Industriosi Pietro Po tesseva in latino le sue lodi. Si era sposato nel 1494 con una Francesca di incerto casato; ebbe i seguenti figli: Giovanni Antonio, Girolamo (morto nel 1512 a S. Fiorano) ed Elisabetta, che andò sposa a Girolamo del Dr. Giovanni Francesco Grassi de Bonini, con una dote di lire 1240 planet non ancora interamente versata nel 1519; restano forti dubbi intorno ad una Giacomina e ad un Negrobono.