NAVE

NAVE (in dial. Nàe, in lat. Navarum)

Grosso centro industriale a NE di Brescia nell'ampio fondovalle del torrente Garza, è circondato dai monti Maddalena (m 861), Dragoncello (m 1094), Dragone (m 1169), Montecca (m 663 ), Conche (m 1168), Colma Dosso Lungo (m 1041), Pesso (m 915), con pianta dispersa ai lati della statale del Caffaro. È a 226 m s.l.m., a 9,4 km da Brescia. Ha una superficie comunale di 26,95 kmq. Frazioni principali sono: Cortine (a km 3,06 a O del capoluogo), Muratello (km 1,750 a SO), Dernago (km 0,920 a NE), Monteclana (km 0,900 a N), Sassiva (km 1,000 a N), Mitria (km 1,500 a E), Valgarza (km 3,000 a E). Altre località di rilievo sono: Campanile, Calasa, Piazze, S. Rocco, Bologna, S. Cesario, il Torrazzo, la Sacca, S. Vito. Comprende tre parrocchie: S. Maria Immacolata (Nave capoluogo), S. Marco (Cortine), S. Francesco d'Assisi (Muratello). Il terreno del fondo valle è formato da alluvioni fluviali e, ai margini nella zona pedemontana (Cortine, Sacca, Monteclana, Dernago), da falde antiche di detriti e coni di deiezione dei torrenti Cannone, Listrea e Salena. Le rocce della val Listrea presentano fenomeni carsici di rilievo con caratteristiche coppelle. A rocce carsiche si alternano dolci prati e fitte boscaglie che fanno corona a numerose industrie. Il territorio è attraversato dal fiume Garza nel quale confluisce il torrente Listrea e dal quale è stato derivato il canale industriale-irriguo della Minerva. L'acqua vi è particolarmente abbondante e si pensa che alimenti, filtrando attraverso gli strati di «medolo» del colle di S. Giuseppe, la fonte di Mompiano. Una certa rinomanza ebbe verso la metà del sec. XIX la fonte di acqua minerale salino-ferruginosa scoperta dal dott. Vittorio Ghio e da lui esaltata in un opuscolo del 1858.


ABITANTI (Navesi): 5515 nel 1937 (compresi quelli di Caino temporaneamente annesso al comune di Nave), 6632 nel 1951 (compresi quelli di Caino), 6790 nel 1961, 8262 nel 1971, 9049 nel 1979, 9733 nel 1984, 9809 nel 1988. Il nome deriva dal latino alto-medioevale «navis» dato a piana circondata da due costiere di monti, o a conche, o a campi piani fra boschi. Verosimile la derivazione dal latino «nam vallis» cioè ampia valle. Altri hanno pensato ad una voce prelatina Nava che, come quella latina, significa piana circondata da monti. Infine l'Olivieri ha voluto vederci il latino «novus» nel senso di terra bonificata con una trasformazione sotto influenze fonetiche del «nau» (pronuncia «noi») germanico. Nel secolo XI è Nave, nel sec. XII Navis ed ancora Navae, Navarum, de Navis. Studiosi fra i quali Cremaschi, Biagi, Stella e Rossetti, vogliono che i primi uomini comparsi nella valle del Garza e perciò nel territorio di Nave siano stati cacciatori-raccoglitori del paleolitico medio; infatti tracce dei loro bivacchi stagionali o della loro industria litica sono state evidenziate sull'altipiano di Cariadeghe sopra Serle al Buco del Latte (di 70.000 anni fa) e presso il fienile Rossino (età mesolitica circa 10 mila anni fa). Del neolitico superiore (3000-2600 a.C.) Raffaele de Marinis rinvenne nel maggio 1982 in località del Vo, poco lontano dalla pieve della Mitria, numerosi frammenti di ceramica e manufatti in selce riferentisi ad un insediamento stabile. Materiale della cultura del vaso campaniforme (2500-2000 a. C.) raccolse il Biagi in val Listrea lungo la mulattiera del Ballottino nel 1964 circa. Di rilievo una cuspide di giavellotto in selce con ritocco bifacciale. Ritrovamenti analoghi avvennero in località Corna, sul monte Dragone, in comune di Caino ai margini dell'altopiano di Cariadeghe. Le prime tribù preistoriche, che dovevano vivere di economia in prevalenza agro-silvo-pastorale erano stanziate, come ha scritto C. Stella, a mezza costa (S. Eusebio, val Listrea, in località Piés, lungo la mulattiera per il Ballottino), forse perché il fondovalle era paludoso dati i frequenti straripamenti del torrente Garza. La presenza cenomane in territorio di Nave e nella Valle del Garza è attestata, oltre che dai corredi funebri di alcune tombe, qui rinvenute, da nomi di sicura origine celtica in lapidi di epoca romana come Dugiava, Bition, Madia, Cariassus, Clussimus, Esdroni, Senedo, Biraco etc... Già nel secolo scorso e più precisamente nel 1882 venne avanzata l'opinione che Nave sia stata villeggiatura di legionari o veterani di Roma. L'ipotesi è stata confermata da tombe ritrovate in più luoghi e specialmente a Cortine, che hanno fatto pensare all'esistenza in luogo di un caposaldo militare strategicamente importante all'imbocco della valle del Garza. Le iscrizioni trovate nella chiesa di S. Cesario, dedicate all'imperatore Claudio e a Livia, moglie di Druso, madre di Tiberio e di Cesare Germanico, dimostrano un rapporto diretto di Livia con Brescia e il suo territorio, specialmente dopo che Druso ebbe conquistato le valli bresciane; questo rapporto si intensificò poi in quanto Claudio, come si sa, fu largo nel concedere i diritti di cittadinanza romana alle popolazioni alpine. Si può supporre, inoltre, che da Nave, Claudio abbia tratto reclute per il suo esercito, che poi sarebbero tornate nella valle del Garza, per godere il meritato riposo concesso ai legionari. Suggerisce l'ipotesi il ritrovamento in via Brolo a Muratello, nel 1975, da parte del Rossetti, di una iscrizione dedicata a Ottavio Alifano e a Cornelio Placido, probabili legionari. Ma più ancora l'ipotesi si sostiene con la scoperta sempre nella chiesa di S. Cesario, di una iscrizione su due grossi frammenti che riporta il «cursus honorum» di Marco Clodio, della tribù Fabia, prefetto dei fabbri, magistrato, sacerdote, prefetto di coorti legionarie e di vessillazioni ed infine tribuno militare della IV legione scitica. Da ricordare inoltre iscrizioni di vario genere trovate un po' ovunque: come quella di via Borano che ricorda Postumio Marcello e Lucio Fictorio, quella di Monteclana dedicata a Publio Aeterio Frequentioni, quella esposta nella piazzetta dell'ex municipio che ricorda la famiglia dei Vocconi: il frammento murato nell'abside della Pieve Vecchia parla invece di un seviro augustale e ancora il bel monumento eretto da Sesto figlio di Madia alla moglie Lubama Tertia. Ultimamente, nel 1989, proprio nel giardino di casa del geom. Sandro Rossetti, il più appassionato studioso di case navesi, a Grizzago sono emersi i segni di un micro abitato romano. Particolarmente diffusi i segni religiosi in are votive e in iscrizioni. Tra queste si possono ricordare quelle ai Dei Mani, trovate presso casa Bresciani, e su un cippo che si trovava in S. Cesario. Nel 1990 il Rossetti e altri scoprivano sul tetto della chiesa della Mitria due are romane, una con infissa croce dedicata a «Giove, Ottimo, Massimo» da parte di Caio Valerio; un'altra posta in gronda del timpano sempre come base di una croce, dedicata da un Biraco al dio Silvano protettore dei boschi. Di età più tarda, del IV sec. d.C., è il monumento rinvenuto nel 1951, all'interno della pieve della Mitria, raffigurante una grande figura virile che tiene con la mano sinistra un animale per le zampe anteriori, forse un toro nel quale Brozzi e Tagliaferri hanno voluto ravvisare Mitra mentre più verosimilmente Leonardo Urbinati vi ha individuato un Ercole celtico, raffigurato in età romana avanzata. Un'ara votiva molto simile a quella dell'Ercole della pieve venne trovata sulle strade del Gorgo nel 1868 e si trova ora nel museo Romano di Brescia. Alla Mitria poi una stele di marmo di Botticino, che serve da pilastro all'uscio della stalla della casa colonica adiacente la pieve, segnala una prima area sepolcrale perimetrata sul fronte di quaranta piedi (poco meno di 12 metri); superiore quindi alla normalità. Diffusi nel territorio i ritrovamenti di tombe con corredi (ciotole, lucerne, olpai e monete di varie epoche), in via Bologna, a Borano (dove nel 1955 vennero trovate due tombe ad inumazione) e, ancora, presso la pieve della Mitria, in contrada Brolo a Muratello, alla Piazza, in località «Oléer» nella Sacca bassa dove già nel 1841 il Ghio aveva scoperto armille, anelli e frammenti di lucerne donate poi nel 1986 al comune di Nave. Ma i ritrovamenti di straordinario rilievo, sono quelli del così detto «camp dei morcc» a Cortine. Fin dal 1978 vennero scoperte dodici tombe dell'età tardo repubblicana ed augustea (30 a.C. - 14 a.C.) ricche di corredi fra i quali oggetti d'oro e d'argento, vasi di vetro e ceramica finemente lavorati e suppellettili in bronzo che documentano un elevato tenore di vita di un certo strato sociale della popolazione. Sempre nella necropoli di Cortine sono venute alla luce tombe dell'età flavia (55 d.C. - 96 d.C.). Anelli d'argento, anfore ed olle in vetro utilizzate come urne cinerarie, ciste in pietra e diversi olpai indicano uno strato sociale di rilievo. Di rilievo, ai margini occidentali del pago nella zona di Conicchio, nella zona pedemontana di Bovezzo, il percorso per un chilometro circa dell'acquedotto romano, derivato dalla val Gobbia e ad uso della colonia civica augustea brixiana. Importante è rilevare che i ritrovamenti diventano via via più numerosi man mano la potenza romana va decadendo, specie dal 97 d.C. al 476 d.C. segno di una continuità mai interrotta. Due soprattutto i poli della vita nel territorio navese nei secoli del declino di Roma: un centro religioso alla Mitria, raccolto intorno ad un «fanum Herculis», cioè ad un antico sacello che indicherebbe la presenza oltre che di un luogo di culto anche di un mercato e di un vicino «Vicus Minervae». P. Guerrini assegna alla fine del sec. IV o agli inizi del sec. V la diffusione del cristianesimo. Naturalmente, se è da affidarsi alla leggenda la conclamata presenza dei SS. Faustino e Giovita, si può presumibilmente pensare che una comunità cristiana fosse già vitale durante gli episcopati dei SS. Filastrio e Gaudenzio. Il Rossetti ha sottolineato come l'ipotesi del Guerrini possa ritenersi sostenuta dal fatto che ai SS. Vescovi Apollonio e Filastrio sono state dedicate due feste di precetto inserite negli Statuti comunali. Il Guerrini si è spinto più avanti affermando che il pago di Nave aveva il suo centro religioso, amministrativo e politico alla Mitria, dove più tardi, nel sec. IV o V, fu eretta la prima chiesa cristiana, la pieve di S. Maria, al posto medesimo dove sorgeva un delubro pagano dedicato a Minerva, la divinità della sapienza, che non ha lasciato il nome al paese di Nave, come invece lo ha lasciato a Manerbio e a Manerba. I «vicani vici Minervi», cioè gli antichi abitanti di Nave hanno dedicato una memoria d'onore e di riconoscenza a un certo Onesiforo loro patrono e benefattore. Se è poi giusta l'osservazione di P.Guerrini che, pur essendo vicina a Brescia, Nave era tagliata fuori dalle vie maestre e quindi non deve aver risentito molte e gravi scosse dalle invasioni barbariche né dai successivi avvenimenti del regno longobardo e del regime franco, è pur da ritenere continua nel tempo la vita della pieve. Intorno ad essa, collocata al centro del territorio pagense, si andarono stringendo le poche famiglie che attendevano ai lavori rurali, al taglio della legna e, più tardi, ai lavori artigianali. Onorato Comini suppone in più che durante le invasioni barbariche il territorio di Nave sia diventato rifugio dei bresciani in fuga, come lo fu durante le frequenti pestilenze. Durante il periodo delle dominazioni gota e bizantina il cristianesimo dovette diffondersi sempre più ampiamente nella valle del Garza. Di questo fatto rimangono tradizioni tardive, fra le quali quella riferentesi alla vita solitaria in Conche di Onofrio, poi vescovo di Brescia. Scarsissimi elementi riguardano la dominazione longobarda fra i quali alcuni toponimi di radice germanica come il Gas, Listrea, il Carazzolo, il Garza, il Gardellone, etc. Ma soprattutto fanno riferimento alcuni frammenti di sculture altomedievali attribuiti dal Panazza, dal Tagliaferri e dal Brozzi al sec. VIII-IX ed appartenenti ad un edificio poi reimpiegati nella costruzione di S. Cesario. Nell'agosto 1983 il Rossetti segnalava due altri capitelli, provenienti anch'essi, con tutta probabilità, da S. Cesario, uno dei quali trovato nella chiesetta di S. Rocco di Nave, l'altro in una cantina di Villa Mattina di Caino. I due capitelli, di tipo corinzio-cubico, sono identici nelle dimensioni (altezza metri 0.27, abaco metri 0.33 x 0.33, circonferenza al collarino metri 0.58) e presentano la stessa composizione. Infatti sono costituiti da una parte inferiore a campana a cui aderisce strettamente una corolla di otto foglie rettangolari tra di loro staccate e con le estremità ripiegate all'esterno e quindi aggettanti; dall'interno della corolla nascono quattro foglie, sgusciate a lingua di bue, e disposte agli spigoli del nucleo che collegano la campana alla parte superiore concavo-cubica dei capitelli. Ciascuna faccia del cubo, nella sua parte mediana è decorata di una crocetta greca che si appoggia mediante un archetto su una foglia della corolla e termina in alto sotto un gallone a tronco di cono segnato da rigature verticali ed inserito nel centro dell'abaco. Influenza ancora più rilevante ebbe il monastero di S. Pietro in Monte Orsino di Serle della cui presenza sono conferma documenti e toponimi. Il dominio del monastero di Serle sui boschi del Dragone e di Cariadeghe provocò contese, anche cruente fra i navesi e il monastero stesso con reciproche accuse di usurpazioni di confine o di proprietà. La presenza nel 1148 nel castello di Nave di una cappella dedicata a S. Salvatore potrebbe essere un segno della presenza anche del grande monastero bresciano omonimo. Intanto si allargava anche la presenza di feudatari vescovili o dei monasteri. Se è da rifiutare come apocrifo il diploma di Ottone I datato in Verona il 6 ottobre 969 che registra tra le terre infeudate a Tebaldo Martinengo la «curte tutius plebatus de Navis» è tuttavia da ritenersi particolarmente rilevante la presenza della grande famiglia bergamasco-bresciana; presenza che è con fermata dall'investitura del 2 gennaio 1158 da parte del vescovo Raimondo ai fratelli Pietro e Lanfranco Martinengo di decime del plebato di Nave. Caposaldo del progresso economico e sociale e, al tempo stesso, della riforma religiosa fu certamente il santuario e monastero di Conche, eretto da S. Costanzo. Come ha sottolineato il Rossetti, la comunità religiosa da lui promossa costituì una anticipazione di quei «convenia» che furono tipici della strutturazione degli Umiliati. Intanto assieme al monastero di Serle allargano, sulla valle del Garza e specialmente sulla pianura della Prada, le loro proprietà i monasteri di S. Giulia, dei SS. Cosma e Damiano e della Mensa vescovile che, in seguito, investono dei beni stessi le famiglie dei Paitoni, dei Raineri-Teutonici, dei Da Palazzo, degli Ugoni e dei Da Casina ecc. Già nel sec. XIII sono presenti anche i Griffi derivati dai Martinengo. Sempre più ampia la documentazione dal sec. XI che indica un progressivo risveglio economico-sociale e religioso. Nel febbraio 1053 di beni in «loco Nave» era investito di un beneficio dal monastero di S. Giulia da parte di Benzone di Anzano un certo Odone. Proprietà ebbe a Monteclana il monastero di S. Pietro in Oliveto che ne investiva Giacomo e Ugo Palazzi. Segni di un continuo sviluppo sociale e religioso sono i nuovi cicli pittorici nella pieve della Mitria (come l'Ultima Cena), della ricostruzione di S. Cesario, gravemente danneggiata dal terremoto del 1222 e la formazione, su iniziativa dei fratelli Giovanni e Girardo de Bestino, del convento domenicano di S. Pietro martire in contrada del Campanile, nel 1270. Conche, nel 1236, in seguito al rilassamento della disciplina e della decadenza della piccola comunità femminile, viene concesso dall'arciprete Cavalcano Sala all'umiliato fra Lanfranco, preposto di S. Luca in Brescia. Agli Umiliati è attribuita a Lumezzane e nei dintorni la diffusione della lavorazione della lana. Nel sec. XII si forma e si consolida il comune che già nel sec. XIII ha una sua forte autonomia. Nel 1225 il comune di Nave e quello di Bovezzo si oppongono alle rivendicazioni di Brescia su alcuni boschi pedemontani del monte Palosso, messi a coltura da abitanti di Cortine, della Sacca e di Bovezzo, obbligando il comune di Brescia nel 1225-1226 a predisporre per Nave e per altre località la ricognizione di sue proprietà. Come ha sottolineato il Guerrini che li ha trascritti, gli statuti nel testo latino risalgono certamente al secolo XV, almeno, ma sono probabilmente una rielaborazione di un testo più antico, che dovrebbe risalire almeno al secolo XIII. Il periodo delle Signorie (1313-1426) vede la decadenza delle vecchie strutture comunali e l'inizio di un lungo periodo di avvenimenti militari, di pestilenze e di contrasti. Si vuole che nel territorio di Nave ponesse, nel 1311, il quartier generale l'imperatore Arrigo VII durante l'assedio di Brescia. Sotto i Visconti (dal 1336) Nave entrò a far parte di una circoscrizione amministrativa con a capo Mompiano. Sulla fine del '300, Gian Galeazzo Visconti, istituiva la Quadra di Nave che abbracciava i comuni di Caino, Bovezzo, Concesio, S. Vigilio, Collebeato e Urago Mella. A Nave convennero così i rappresentanti delle sette comunità per discutere e deliberare problemi e interessi comuni. Privilegi particolari concedeva nel 1426 a Nave la Repubblica di Venezia, poi in seguito accresciuti. Un ruolo particolare la valle del Garza con Nave assunse durante l'assedio del Piccinino a Brescia. Il collegamento con la Valsabbia, attraverso il Colle di S. Eusebio, costituì l'unica via di rifornimenti da parte di Venezia alla città. Il passo, la valle e Nave furono per questo saldamente presidiati. Nel settembre 1438 la via tenuta libera permise il passaggio delle truppe venete guidate dal Gattamelata, per la Valsabbia. Della fedeltà a Venezia il Piccinino si vendicò su Nave nel dicembre 1439 con gravi distruzioni. Per i meriti acquisiti durante l'assedio, il 7 settembre 1440 il doge Francesco Foscari, in ragione della fedeltà dimostrata da Nave verso Venezia, stabiliva di concedere a Nave e alla sua Quadra gli stessi privilegi ed esenzioni concessi alla Valtrompia dal Provveditore dell'esercito veneto. Essendo stati tali privilegi sospesi nel 1448, venivano poi riconfermati il 21 ottobre 1452. Il 15 dicembre 1453 la Quadra di Nave assieme a quelle di Gavardo, Rezzato, Castenedolo ottenevano di essere assolte totalmente di una taglia generale e, per cinque anni, da particolari limitazioni.Contemporaneamente si intensifica la vita economica. Accanto alle fucine per la lavorazione del ferro si svilupparono nei primi decenni del '400 le prime cartiere. Ma rimaneva ancora assolutamente preminente l'economia agricola, sostenuta tanto dalla proprietà privata quanto da quella comunale, difesa con tale ferma decisione da portare, nel 1475, alla concessione agli abitanti di Nave di quegli appezzamenti della selva del monte Palosso di proprietà della città di Brescia, che i navesi avessero dissodati da vent'anni e, con piccolo tributo, di altri appezzamenti dissodati più recentemente. Sentenze e ducali confermarono in favore e contro privilegi, agevolazioni ed esenzioni conferite alla Quadra anche in contestazione con la città di Brescia, dei cittadini rurali e del territorio. Altri interventi del genere si ebbero nel 1458, 1465, 1469, 1483 per l'esenzione del «dazio del grosso degli animali» e del «bollo sulle bestie». Uguali interventi si ripeterono (1461, 1600, 1652, 1663, 1669) per l'imbotado e il commercio di biada, vino e fieno. Negli anni 1599, 1603, 1677 e 1710 veniva concesso agli abitanti della Quadra di Nave il libero transito nella Riviera del Garda di «maroni, castagne ed altre loro robe»; esenzioni erano accordate alla Quadra di Nave: nel 1550 alla contribuzione di biade alla città di Brescia; nel 1582 relative al dazio del bollo sui pesi e misure; nel 1605 al dazio sugli atti testamentari. Con ducale del 7 settembre 1440 gli abitanti della Quadra di Nave erano esentati dal loro impiego militare fuori Brescia e il suo distretto. Tali privilegi venivano ribaditi riguardo alle cernide nel 1701, 1702, 1706. Nel 1578 la Quadra di Nave veniva esentata dalla «fabbrica di tezze del salnitro». Nel 1736, 1739 veniva ridotto il dazio sulla macina del frumento. E ancora sin dal 1446 la Quadra di Nave era esentata dal ricevere un vicario. Approfittando dei favori della Repubblica veneta, Nave e altri paesi del bresciano si permisero di usurpare boschi del monte Palosso di proprietà della città, suscitando la reazione del comune di Brescia attraverso sdegnate provvisioni (18 aprile 1483, 18 luglio 1484) e ducali venete fino a quando non vennero, il 14 aprile 1499, sanzionati particolari capitali per la conservazione e la custodia dei pascoli e dei boschi. Ciò finì con l'avvantaggiare famiglie di rilievo, tra i quali dal sec. XV i Lana, i Feroldi e altri.


L'importanza di Nave si era andata rassodando per il fatto di costituire una specie di polmone della città, per cui durante nuove azioni di guerra, come nel 1483, Brescia potè macinare a Nave, come a Collebeato e a Chiari, grano per l'esercito veneto e l'anno appresso il paese diventava il rifugio di molti cittadini fuggiti dalla città per sottrarsi all'infuriare della peste. Anche grazie a queste presenze la borgata godette periodi di sicuro progresso che si manifestò in ripetute iniziative economiche e in notevoli manifestazioni artistiche. Nel 1491, il 31 agosto e in seguito con altri provvedimenti, Nave con altre terre e le valli veniva esentata dall'obbligo di alloggiare la cavalleria. Tale privilegio verrà rinnovato poi con ducali del 15 luglio 1526, del 23 novembre 1547. Avvantaggiato dai meriti acquisiti, il comune di Nave muoveva una grossa causa e la vinse, ottenendo nel 1495 da Venezia il riconoscimento dei suoi diritti di legnatico sopra una terza parte del Palosso, come ne aveva sul Dragone e Dragoncello e verso la Maddalena, che erano antiche proprietà del vescovo e del monastero di S. Pietro di Serle. A memoria delle vertenze di confini col comune di Brescia esiste sulla casa Biffi un curioso ricordo; una pietra incassata nel muro, alta cm 17, che nella parte superiore porta lo stemma di Brescia e sotto, in quattro righe, questo geroglifico: T. APSO ALE CASE / DE IACOINO PAI / TO P LO PALOZO DEL / COE DE BRESA, che si deve leggere così: Termine appresso alle case di Jacomino Paitone per lo Palozo del Comune de Bresa. Per la vicinanza alla città Nave giocò un ruolo particolarmente importante nella lunga guerra fra Francia, Spagna e Impero dal 1509 al 1517. I francesi, pur avendo occupato Brescia, non riuscirono nel dicembre 1509, nel gennaio 1510 ad imporre a Nave l'obbligo di alloggiare truppe. Nel febbraio 1512 valtrumplini, valsabbini e gardesani, decisi a contrastare gli occupanti francesi e guidati da Luigi Avogadro, Valerio Paitone e Francesco Calzoni di Salò, con il favore della notte, riuscirono a penetrare in città, costringendo i francesi, dopo breve combattimento, a rinserrarsi nel Castello. Scacciati poi dalla città da soverchianti forze francesi, i congiurati riuscirono a rinserrarsi nel castello di Monticolo e a respingere in un primo momento le scorrerie avversarie. Come ha scritto Carlo Pasero, Valerio Paitone fece della sua rocca di Monticolo «un nido fortificato, difeso da una mano di scelti bravacci e ne partiva spesso per taglieggiare la terra vicino a capo dei suoi Italiani e Svizzeri che lo seguivano a guisa di un piccolo Cesare». Nella sua rocca il Paitone ospitò i congruenti che riuscirono a sfuggire alla vendetta dei francesi. A Nave e nella Valle del Garza si rifugiarono anche cittadini bresciani, fra i quali il pittore Civerchi; ma all'alba del 26 luglio 1512 i francesi riuscirono a cogliere di sorpresa le sentinelle navesi e a penetrare in paese abbandonandosi a feroci saccheggi fino a quando, inseguiti e rintuzzati dai congiurati e dai montanari dovettero ripiegare su Brescia, trascinando con sé molti prigionieri, che, venuto a mancare il pagamento della taglia per il riscatto, vennero impiccati. Nessuna difesa riuscì l'anno dopo a fermare la peste che nel luglio 1513 colpì duramente Nave, mietendo circa ottocento vittime. Un cronista del tempo, p. Innocenzo Casari, ha annotato che i decessi furono tanti e fu così assoluta la mancanza di inumatori che molti cadaveri vennero straziati e divorati da cani e gatti. Nel 1514 presso Nave cadeva colpito a tradimento Valerio Paitone. Nei mesi seguenti Nave e la valle attirarono l'attenzione delle forze in campo. Nel gennaio e nell'aprile 1516 vennero occupate da un corpo di guardia veneto. Tristi episodi fecero da contorno ad altrettanti tristi avvenimenti fra cui il più grave si verificò nel 1518, quando certa Benvegnuda «ditta Pincinella, di terra di Navi, striga...» venne bruciava viva. La ripresa fu segnata da nuovi privilegi da parte di Venezia che il 26 settembre 1517 ristabilì le condizioni precedenti al 1509, confermò i privilegi fino allora concessi e dilazionò per tre anni il pagamento dei debiti contratti precedentemente. Seguirono presto decenni di continuo sviluppo. L'economia vide l'espandersi dell'industria del ferro e di quella cartaria, nonostante i gravi disastri provocati da straripamenti e alluvioni, fra i quali particolarmente grave fu quella dell'1 maggio 1527, quando le acque travolsero cartiere e distrussero molto bestiame.


Tra i navesi parteciparono alla battaglia di Lepanto (1571) Francesco Pincinelli qd. Nicolò, Girolamo Zucchini qd. Giacomo, Massimo del Lino qd. Giovanni Battista; addetti alle galere furono: Pietro Venturini qd. Faustino, Bartolomeo de Lazaris, i fratelli Battista e Mattia Marsilio qd. Innocenzo. Per l'occasione la fucina Rassega, di Giacomo e Filippo Montini e di Giovanni Battista di Lino, e quella di Ponte Tegolo di Battista Sassi fabbricarono spade, stocchi alla veneziana, picche, lame corte ecc. Notevole contributo diedero i fanti di Nave alla guerra di Cipro, sotto la guida del capitano Ludovico Ugoni, cittadino di Nave. Fra tutti i navesi si distinse nel sec. XVI soprattutto Lorenzo Mazzoleni, detto il Turchetto, per aver fatto parte di una ambasceria a Costantinopoli e che si distinse in diverse circostanze morendo da valoroso ad Orleans. Anche Nave venne colpita nel sec. XVII dal crescente declino della Serenissima, impegnata sempre più nella guerra contro i turchi. La sempre più scarsa produzione agricola, causa di ripetute carestie, le pesanti imposizioni fiscali debilitarono anche le attività manufatturiere. Gravissima fu la peste del 1630 che mieté 400 vittime. Grazie al testamento di Domenico Stefana qd. Tommaso, in data 7 settembre 1630 venivano predisposti legati per le confraternite e per la chiesa di Monteclana oltre che per il completamento della chiesa di S. Rocco. Durante la peste si diffuse inoltre la devozione a S. Nicola da Tolentino. La peste seminò rovine anche nelle strutture parrocchiali. Grave fu il fenomeno del banditismo per tutto il '600. 


Momenti difficili Nave dovette affrontare nei primi anni del '700, durante la guerra per la successione spagnola. Truppe imperiali si stanziarono in Nave a più riprese durante il 1704. Il 15 gennaio 1705 circa mille soldati imperiali del reggimento Valles rioccuparono Nave, compiendo per quasi tutto l'anno incursioni su S. Vigilio, Cellatica e Gussago. Gli imperiali tornarono di nuovo a Nave il 21 giugno dello stesso anno. Allontanatesi le armate in guerra, Nave dovette affrontare la rivalità viva da decenni fra originari e forestieri che, dopo il ripetersi di ducali (1678, 1714) disattese, verrà risolta solo con la famosa disposizione del podestà Grimani del 1764 che avviò l'equiparazioni di diritti. Il '700 vede una certa qual ripresa della produzione cartaria, mentre la diffusione del baco da seta e della filatura della stessa supplisce ad altre cadute di produzione. Intensa fu l'attività edilizia che vede il sorgere della chiesa di S. Francesco a Muratello, di S. Antonio a Dernago, il completamento della chiesa parrocchiale e delle due chiese laterali, l'erezione degli oratori privati di S. Giovanni Nepomuceno in Calasa e degli Angeli Custodi alla Torre. Continuò il banditismo anche se il giudice dei malefizi decideva il 20 maggio 1723 di non ritenere responsabili gli amministratori locali della fedelissima Quadra di Nave per bandi non pubblicati, perché non conosciuti in tempo. Il 5 gennaio 1742 la Quadra veniva esentata dall' obbligo di provvedere ai carri per il trasporto della legna in città. Le sempre più gravi condizioni economiche e sociali, conseguenza della decadenza di Venezia, vennero a tratti aggravate dal ripetersi di inondazioni ripetutesi nel 1757 e 1758. Per arginarne i danni vennero avanzate suppliche appassionate al Doge che dispose nel 1760 perizie e aiuti. Il 15 maggio 1773 Venezia consentiva, probabilmente per far fronte alla sempre più grave situazione economica, la erezione di due camere di deposito per le merci a Nave e a Gussago. A Nave e sulla Valle del Garza incombette dal 1780 la presenza delittuosa dei fratelli Peri di Gavardo (uno di loro fu ucciso sulla piazza di Gavardo e gli altri tre impiccati sul luogo stesso vennero esposti a macabro ludibrio), fino al 1797 al passo di S. Eusebio. La fedeltà a Venezia e poi le contribuzioni imposte di alimenti, legna e cariaggi a commercianti e a contadini in favore delle truppe francesi suscitarono forti opposizioni ai giacobini e ai francesi. Ben mille uomini di Nave, secondo un rapporto di parte giacobina, si schierarono con i controrivoluzionari, presidiando con altri armati il valico di S. Eusebio, la cocca di Val Bertone e Caino. Il 9 aprile 1797 le truppe giacobine e francesi si spingevano a Bovezzo e poi a Cortine dove uccidevano il parroco don Carlo Muti, Faustina e Giovanni Maria Pasotti, ferendone altri. Domata la Valtrompia, l'11 aprile, con a capo il gen. Landrieux, le truppe rivoluzionarie investirono la valle del Garza. In uno scontro violento rimanevano uccisi undici persone di Nave e parecchi valsabbini, mentre il paese veniva saccheggiato compresa la chiesa (dove vennero rubate argenterie e una somma di 31 mila franchi) ed incendiate molte case e lo stesso archivio storico. Il 7 maggio venivano predisposti commissari per porre rimedio ai danni subiti, devolvendo a pro del popolo di Nave la proprietà di Zeno Zeni. Solo il 17 maggio 1797 la Quadra di Nave entrava nell'«amplesso del popolo sovrano». Passarono decenni abbastanza tranquilli contrappuntati da poche novità e nuove opere pubbliche quali miglioramenti stradali e nel 1832 il cimitero. A suscitare entusiasmi patriottici anche tra i navesi, intervenne nel 1848 Carlo Giustacchini. Scoppiata la rivoluzione, raccolse un manipolo di compaesani da lui stessi equipaggiati, accorrendo a Brescia e combattendo poi a Castel Toblino. Nave visse da vicino anche le Dieci Giornate di Brescia. A S. Vito, don Pietro Boifava, nei primi momenti dalla insurrezione, pose il suo quartiere generale, per sorvegliare ed eventualmente difendere le vie di comunicazione con la Valsabia e la stessa valle del Garza. E subito trovò sostegno in alcuni volontari di Nave, fra i quali primeggiò ancora Carlo Giustacchini. A Nave il 25 marzo Tito Speri si preparava a fronteggiare una squadra di austriaci scesi dalla rocca di Anfo ma, avvisati da una spia, gli austriaci si sottrassero al combattimento. Da parte sua il Giustacchini, utilizzando la carta prodotta nel suo follo, con altri patrioti stampò i manifesti rivoluzionari della insurrezione. Il torchio tipografico era stato trasportato da Brescia a Nave dal Giustacchini, che lo aveva nascosto sotto un carico di stracci, e collocato in casa Pilati, a S. Rocco, che servì per qualche tempo da tipografia clandestina. Esule in Piemonte, il Giustacchini venne colpito da ripetute multe ed ebbe la cartiera perquisita per undici volte. Nel 1852-1853 il Giustacchini, ritornato a Nave, partecipò con i fratelli Giacomo e Bortolo Zanini, come lui produttori di carta, alla cospirazione mazziniana con Tito Speri che in territorio di Nave istruiva, per conto di un sottocomitato d'azione, i giovani all'uso delle armi, custodite clandestinamente nella chiesetta del colle S. Eusebio. Dopo l'arresto, il Giustacchini venne condannato a morte e i due Zanini a vari anni di carcere da un tribunale speciale di Vicenza nel 1857, come strascico dei famosi processi di Mantova. La condanna a morte del Giustacchini fu commutata in dieci anni di carcere per grazia dell'imperatore Francesco Giuseppe, ottenuta dalla moglie del Giustacchini che si era presentata coi suoi piccoli figli in Padova, dove l'imperatore era di passaggio. Tutto finì solo nel 1859 con la liberazione della Lombardia. Nel frattempo, specie dal 1848 al 1849, il territorio venne infestato da una banda di rapinatori capitanati da un disertore che si presentò come patriota e che commise ogni sorta di delitti, rapine, grassazioni. Contro questa banda di malfattori Nave venne presidiata anche da un plotone di venticinque croati comandati da un tenente italiano, che la emularono nelle ribalderie e soprusi ai danni della popolazione. Il tenente venne poi scoperto a Desenzano e ucciso per rappresaglia, mentre il capo bandito riuscì a riparare in Piemonte, accoltovi come patriota. Ritornato a Nave nel 1859, continuò a vivere una vita scioperata e delinquenziale morendo nel ricovero istituito dall'arciprete don Pederzini. Nel 1866, diretto verso la Valsabbia, Garibaldi pernottava nell'osteria, trascinando con sé alcuni navesi. Dopo l'unificazione nazionale ebbe sulla vita politico-amministrativa una decisa influenza Giuseppe Zanardelli, che a Cortine di Nave aveva una casa di villeggiatura e che vi fu primo sindaco nel 1860 e poi consigliere fino al 1872. Tale preminenza fu avvantaggiata dall'orientamento in senso liberale di buona parte del clero locale con l'arciprete Giuseppe Morsi in testa, che aveva sottoscritto l'indirizzo passagliano, chiedendo che il Papa cedesse Roma allo Stato italiano, e favorita dall'astensione dei cattolici dalle urne e dal ristretto diritto al voto. Il liberalismo zanardelliano prevalse per decenni nella vita di Nave grazie anche alla presenza dell'on. Onorato Comini. Al contempo la vita amministrativa, dominata per quasi mezzo secolo dalla figura del cav. Francesco Barcella morto nel 1894 e ricordato da una lapide, fu presto contemperata dalla presenza di cattolici compreso don Filippo Bassi, assessore dal 1873 al 1878 e da altri di stretta osservanza cattolica quali Giovanni Pasotti, Giovan Battista Zani, Giuseppe Fiori (sindaco nel 1879), Stefano Cottoni ecc. Il partito liberale cercò di rafforzarsi attraverso la Società di Mutuo Soccorso, fondata nell'agosto 1882 e manifestazioni politiche sempre più decise quali quelle per il 20 settembre. Man mano che le divaricazioni politiche si approfondivano, anche i cattolici andarono sempre più organizzandosi, fondando nel settembre 1882, a un mese di distanza da quella liberale, una loro Società operaia di mutuo soccorso che, ad un anno di distanza, nel novembre 1883, inaugurava la bandiera alla presenza di 1200 persone. Ad essa faranno seguito il 4 luglio 1888 la Latteria sociale (premiata nel 1889 di medaglia d'oro all'Esposizione industriale operaia di Brescia), e poco dopo l'Unione agricola, il 20 aprile 1902 la Cassa Rurale, nel 1905 la Distilleria Agraria e Cooperativa. Le lotte politiche ed amministrative si fecero talmente vive che il secondo sindaco di Nave non trovò di meglio che di far dipingere sul soffitto della sala del consiglio una colomba con un ramoscello di olivo nel becco. Ma già dal settembre 1885 la maggioranza zanardelliana si indeboliva grazie all'elezione dell'avv. Beccalossi, all'attività di don Francesco Pilati, dell'avv. De Manzoni, e alla nomina dell'arciprete a sovrintendente delle scuole. Il ribaltamento sarà tale che, nel 1902, l'amministrazione locale verrà accusata di tiepidezza politica per non aver esposto, il 20 settembre, il tricolore. Di rilievo, anche se agli inizi, il socialismo che tra l'altro espresse personalità come quella di Giuseppe Prati (Nave, 1891 - Nichelino, 1972) socialista e antimilitarista, e per questo internato durante la I guerra mondiale ed orientatosi poi verso il fascismo. Ma l'orientamento politico di Nave fu per decenni cattolico-moderato. Nel 1909 il moderato on. Giuliano Corniani sostenuto dai cattolici surclasserà Giovanni Quistini, allineando 156 voti contro 36. Nel frattempo nel 1898 l'ingegnere Carlo Tosana si dedicava a utilizzare l'acqua del Caffaro per la progettata ferrovia Brescia-Nave-Ponte Caffaro. Tra i segni di progresso si può rilevare la fondazione nel 1867 dell'Asilo Infantile per iniziativa di don Filippo Bassi, nel 1881 la costituzione della banda musicale S. Cecilia, nel 1896 l'impianto del telefono pubblico, mentre rimaneva invece incompiuto il progetto della ferrovia dibattuto per decine di anni. In compenso nell'agosto 1914 veniva inaugurato il servizio automobilistico Brescia-Nave-Vestone-Caffaro-Bagolino, gestito dall'impresa Belli di Soresina. Il 2 ottobre 1910 veniva inaugurato il nuovo fabbricato dell'asilo infantile, costruito su progetto degli ing. Carlo e Gino Tosana. Significato ha assunto il periodo di permanenza, in Sacca di Nave, del neonato Giovanni Battista Montini (Papa Paolo VI) presso la nutrice Clotilde Zanotti Peretti dai primi giorni di nascita fino ai 14 mesi di età. A ricordo sulla facciata di casa Peretti nel gennaio 1964 venne posta una lapide. Un grave episodio avvenne il 25 gennaio 1913, quando in uno scontro tra carabinieri e alcuni navesi, che disturbavano con canti la quiete pubblica, certo Giuseppe Zanotti, padre di quattro bambine, rimase ucciso. Fino a tempi molto recenti le 7 contrade distanti l'una dall'altra e dal piccolo centro vissero una loro vita autonoma. Agli inizi del secolo e per decenni gli unici luoghi pubblici rimasero l'albergo «Al Gabanello», gestito da Luigi Negroni e il Caffé Posta. Il paese vide la presenza di numerose truppe e l'1 maggio 1918 venne inaugurata la Casa del Soldato. Nave contò 57 caduti.


Il dopoguerra vide sempre numerose iniziative fra le quali la banda «rossa» di Cortine di Nave (1919), il Circolo di Cultura popolare inaugurato il 24 luglio 1922 promosso dall'autorità scolastica. Seguiva nel settembre 1924 l'inaugurazione del Parco della Rimembranza e nell'aprile 1925 per iniziativa di Andrea Reggio veniva inaugurato il Teatro. Nel dicembre 1926 per iniziative di Enrico Comini e fratelli e a ricordo del loro padre cav. Celestino Comini, veniva inaugurata a Cortine la Casa della Scuola. Con decreto dell'11 dicembre 1927 veniva annesso a quello di Nave il comune di Caino. Nel 1930, per iniziativa dei fratelli Rivadossi di Nave, veniva realizzata una strada privata fino al monte Maddalena. Durante gli Anni Trenta furono costruiti gli acquedotti di Nave e di Caino, un nuovo edificio scolastico a Caino ed estesa a tutto il territorio comunale l'illuminazione pubblica. Nei primi anni (1946-1951) di amministrazione democratica guidati da una maggioranza democristiana, con sindaco Camillo Fenotti, vennero ampliati e potenziati gli acquedotti di Caino e Piazze, l'illuminazione pubblica, e sistemati i cimiteri con le cappelle. A Cortine ebbe il primo sviluppo il Piano Fanfani per le case popolari. In seguito vennero rimodernati il municipio, asfaltata buona parte delle strade interne allargando quelle strette, dotate le frazioni di Cortine, Mitria e Muratello di nuovi moderni edifici scolastici: e più che raddoppiata la illuminazione pubblica. Funzionò una scuola serale professionale e venne istituita la Scuola di Avviamento Professionale. Su progetto dell'arch. Luigi Paolo Bellocchio dal 1972 al 1980 veniva realizzata la nuova sede municipale con biblioteca, ambienti per le associazioni culturali e ricreative e servizi pubblici, inaugurata il 13 aprile 1980. Nel contempo venivano rifatta la rete idrica, ricostruita parte della rete fognaria, ampliate le scuole di Muratello, Cortine, sistemata e migliorata la rete viaria, costruita una palestra a Cortine. Intensi i dibattiti nel 1975-1977 circa il tempo pieno nelle scuole elementari e sulla gestione e l'utilizzo di ambienti della scuola materna «Giovanni XXIII» che si protrassero per mesi. Continui straripamenti del Garza, dei quali particolarmente rovinoso quello del 1976, imposero interventi sempre più urgenti. Nel frattempo veniva avviata l'utilizzazione per la rete idrica della sorgente Zugna. Nell'estate 1977 Nave avviò un centro estivo comunale con proposta di didattiche nuove, e nel 1983 fu con Adro, Manerbio e Milzano all'avanguardia nella scuola a tempo pieno. L'11 ottobre 1983 al villaggi di via Borano veniva inaugurato il monumento alla Sacra Famiglia opera dello scultore Angelo Confortini, con la collaborazione di Giuseppe Rivadossi e Piero Cenedella. Non mancarono negli anni '70 momenti di tensione fra i quali nel gennaio 1978, l'incendio di una tipografia, accusata di stampare manifesti neofascisti. Nel maggio 1978 veniva avviata la discussione sul Piano Regolatore, approvato dalla Regione nell'agosto 1986. Nell'ottobre 1983 veniva intitolata una nuova scuola a don Lorenzo Milani. Nel dicembre 1985 si apriva una Scuola-bottega. Vivace anche l'associazionismo; nel 1968 veniva costituita la Sezione Fanti che nel 1987 varava la costruzione di un «Monumento della libertà». Il 22 maggio 1983 veniva inaugurata la sezione del P.R.I. «Giovine Italia». Nel giugno 1985, veniva lanciata «Estate qui». Nel novembre 1987 alla presenza di p. Bartolome Sorge, veniva costituito un nuovo gruppo di ispirazione cristiana «Nave 2000». Nuovi interventi sulla rete idrica vennero avviati nel 1985. Nel luglio 1989 s costituiva una nuova maggioranza DC-PSI. Nel maggio 1990 veniva approvato all'unanimità il Piano Sociale. Con Bovezzo e Caino, Nave costituì nel maggio 1990 un Centro operativo di soccorso pubblico con sede a Villa dei fiori e che svolge intensa attività. L'1 maggio 1990 veniva inaugurato sul viale del cimitero il monumento dedicato alle vittime del lavoro, opera dello scultore Luigi Bertoli, realizzato dal Gruppo A.N.M.I.L. Il 7 giugno 1990 una alluvione provocò gravissimi danni che crearono nuove difficoltà. Nel giugno 1990 il Centro di soccorso inaugurava un servizio di autoambulanza per la zona. In crescita anche le attività culturali del tempo libero. Tre sono le bande musicali. La prima detta «Banda della Perseveranza» promossa nel giugno 1867 da don Filippo Bassi, curato a Monteclana, da Battista Zani e Paolo Taiola, che durò per diciotto anni, lasciando il passo, nel 1885 alla «Banda musicale di Nave» promossa dall'arciprete don Pederzini e che dura ancora oggi. Cessata nel 1936, assorbita nel dopolavoro, si estinse per risorgere nel 1942 nel Corpo bandistico «S. Cecilia», diretto dal maestro Giovanni Liberini. Fra le attività teatrali da segnalare la nascita nel 1921 della sezione filodrammatica, promossa dal "Circolo Juventus Nave" e sotto la guida del maestro Alfredo Pallavicino. Nell'aprile 1923 la Sezione inaugurava un suo Teatro costruito dal cav. Reggio in un'ala del suo palazzo su progetto dell'ing. Tosana. Attivi gli oratori parrocchiali. Nel 1919 si costituì la banda musicale di Cortine. Nel 1990 l'assessorato alla cultura e all'istruzione ha creato una Scuola di Musica affidata al maestro Ivano Collio. Più viva degli ultimi anni la sensibilità ecologica e la conoscenza del territorio favorita nel 1989 da una carta dei sentieri preparata dalla sezione locale del CAI, sentieri che la squadra antincendio cura con particolare solerzia. Nel febbraio 1990 ha preso forma il Centro di documentazione di storia e di vita locale. Da segnalare la singolare presenza di una stampa locale rappresentata dai bollettini parrocchiali di Nave («Parrocchia S.M. Immacolata»), di Muratello («Pace e Bene»), di Cortine («A spass per Curtine»); e poi da «Nave operaia. Il giornale del Circolo operaio di Nave» (1973), «Nave», «Nave: il paese e la sua gente» (1989), «Comunità di Nave» (1990). «La voce del Garza», «Nave socialista» ecc.


Tra le FAMIGLIE più distinte si possono contare i De Stefani o Stefana, che ebbero case e fondi a Dernago, i Mazzoleni del Campanile, i Giustacchini, i Randini e i Fiori che ne ereditarono la casa e i fondi, gli Zani, i Montini, e tante altre o scomparse o viventi, o emigrate altrove o immigrate da altri paesi, per fenomeni economici e sociali che in ogni tempo hanno determinato passaggi demografici da un luogo all'altro. Note anche le famiglie, Ogna (venute dalla Valle Imagna), i Comini, gli Zeni. Tra le famiglie nobili che ebbero a Nave case e fondi sono quelle degli Averoldi, Bocca, Paitoni, Merlini, Fusari, Penna, Arici, Chinelli, ecc. Gli Averoldi avevano una bellissima villa con oratorio privato e molti terreni alla Calasa; in questa villa c'era un monumentale camino, ormai scomparso, con lo stemma della famiglia e le parole «Averoldo Averoldi 1200» che indicano non la data del camino stesso, ma il capostipite storicamente conosciuto della casata. Anche la casa civile dei Sandrini era una casa Averoldi, i quali cedettero tutte le loro proprietà agli Zanoni nel 1775.


CARITA' E ASSISTENZA PUBBLICA: come ha documentato Paolo Guerrini, Nave godette di due enti largamente provveduti di rendite, la sua Carità parrocchiale e il Monte di pietà di Cortine, esteso a tutta la Quadra navese; anche Caino aveva il suo particolare Monte di pietà parrocchiale. La Carità possedeva nel 1568 due mulini di due ruote (a Bologna e a Muratello) e appezzamento di terra. Con testamento del 18 dicembre 1677 don Vincenzo Penna di Brescia legava tutti i suoi beni in favore dei poveri della Quadra di Nave (Nave, Caino, Bovezzo, Collebeato, Concesio e S. Vigilio) per l'erezione di un Monte di Pietà. Molti i legati più per opere di culto e di carità. Giovanni Fusari lasciava nel 1790 una vistosa sostanza per fare la dote a «tre putte povere» due di Nave e una di Cortine. Nel 1817 Oliva Vidotti ved. Negroni lasciava beni per erigere a Nave una scuola per le ragazze. La povertà della popolazione richiamò fin dagli inizi del sec. XIX erogazioni benefiche quali quelle di Giulia Venturini Fusari (1813) in favore delle donne e uomini impegnati a lavorare e a spigolare nelle 'basse pianure"; nel 1815 don Pietro Stefana, filippino a Roma, disponeva capitali per l'istruzione di ragazzi e ragazze, nel 1845 Giuseppe Giustacchini per i poveri infermi, nel 1848 don Cristoforo Giacomelli per fornire scarpe ai fanciulli poveri, nel 1850 Francesco Frascio per distribuire ottanta braccia di fustagno ai fanciulli poveri. Fin dall'ottobre 1882 Oliva Lonati lasciava capitali per erigere un Ospedale o Ospizio, voluto decisamente dall'arciprete don Domenico Pederzini, sostenuto da Giuseppe Fiori e da Francesco Comini. Un sostanzioso lascito in favore dell'iniziativa dell'8 luglio 1883 da parte di Pietro Ghio permetteva l'erezione con R.D. 24 giugno 1888 e l'apertura nel settembre 1890 dell'Ospedale ai primi sette infermi. Contemporaneamente veniva aperta una locanda sanitaria. Lo stabile veniva continuamente migliorato, affidato nell'aprile 1896 alle Suore della Carità. Dello stesso anno è la costruzione della cappella con decorazioni di Giuseppe e Angelo Trainini. Nuovi ampliamenti vennero avanzati nel 1908-1910. Nel 1917 l'ospedale accolse ammalati del VII Reggimento Fanteria. Chiuso nell'ottobre 1921 e riaperto nel 1924, l'Ospedale continuò ad usufruire di larghe elargizioni (come quella di Bernardo Zanelli). Nuovi ampliamenti vennero compiuti negli anni Trenta. Il 26 aprile 1932 venne acquistata una nuova area per la «sistemazione del nuovo ospedale che venne terminato nel 1938 su progetto dell'ing. Angelo Tosana. Un decreto prefettizio del 9 marzo 1939, classificava l'ospedale di Nave come «Infermeria cronici», con nuovo regolamento. Nuovi ingenti patrimoni provenienti dall'eredità di Emma e Amelia Minola (1942) permisero nel 1944 nuovi ampliamenti. Modifiche seguirono nel 1951 e ampliamenti nel 1954-1955. Determinanti eredità di Caterina ed Angelo Fiori del 1959-1960 permisero nel 1965 su progetto dell'ing. Dario Perugini la costruzione di una nuova sede, alla quale si aggiunse nel 1969-1971 quella di un ampio e moderno complesso. Scompariva così l'Infermeria cronici e prendeva corpo il nuovo Ente Morale denominato Casa di riposo per anziani «Villa dei Fiori» con il compito «di provvedere al ricovero ed all'assistenza delle persone inabili per anzianità o infermità cronica». Il nuovo indirizzo trova la sua concretizzazione in una nuova sede in via Bel Colle, che dopo susseguenti modifiche e ristrutturazioni, portò l'Ente ad accogliere 85 persone nel 1975, 100 nel 1988, 110 nel 1990. Nel 1967 Nave si apriva a sempre più ampi orizzonti sociali con la fondazione dell'A.V.I.S.


SCUOLE: ricerche di Sandro Rossetti hanno permesso di individuare i primi insegnamenti che si conoscano di Nave in un notaio Salvi (1504) «anche professore di grammatica» e in Giovanni Battista Parisio di Muratello che faceva scuola «in ludo literario» (1543) in contrada Taberna. La prima scuola pubblica secondo il Rossetti venne decisa dal Consiglio Generale il 31 dicembre 1611, che deliberò di assumere un precettore idoneo per istruire indifferentemente tutti i bambini di Nave. Continuarono tuttavia anche scuole private tenute dal clero locale, fra le quali quella superiore, chiamata accademia, di don Bartolomeo Moreni (arciprete dal 1704-1744), di don Domenico Sandrino. Un legato per l'insegnamento a dieci fanciulli disponeva il nob. Costanzo Bona nel 1737. Agli inizi dell'800 teneva una scuola pubblica comunale in contrada Campanile don Giovanni Fiori. Con delibera del 25 giugno 1805 veniva istituita una scuola pubblica a Cortine affidata al parroco don Angelo Tabladini. Nel 1809 veniva resa pubblica un'altra scuola tenuta da don Giuseppe Sandrini. Nel 1824 venivano adibiti a scuola due edifici cui se ne aggiungeva un'altra nel 1843. Nel 1850 venivano create due classi miste in locali a fianco della sede municipale, mentre nel 1860 e nel 1867 nascevano rispettivamente le sezioni della Mitria e di Muratello, mentre nel 1890 le due classi miste venivano sostituite da tre classi maschili e tre femminili. Nel 1913 infine, su progetto dell'ing. Angelo Tosana, venne eretto un edificio scolastico che permise di portare le classi fino alla V elementare. L'edificio fu ampliato poi nel 1938-1940, con l'aggiunta di una palestra e di altri ambienti. Nell'asilo di Nave fecero il loro noviziato le sorelle Rosa e Carolina Agazzi che a Nave ritornarono, sfollate, durante la seconda guerra mondiale, dopo la distruzione della loro casa di Brescia.


SPORT: numerose nel tempo le attività sportive dal Circolo Sportivo Iuventus Nave che l'11 aprile 1921 inaugurava il proprio gagliardetto. Nel novembre 1926 Nave registrava un'importante gara automobilistica Nave-S. Eusebio. Nel 1983 veniva avviata la costruzione in località Fucina di un grande Centro sportivo con campo di calcio, pista di atletica ecc. Nel 1985 esistevano a Nave 4 società di calcio con 15 squadre e centinaia di tesserati, una società di pallacanestro, un gruppo sportivo di ciclismo (il S. Marco di Cortine), e la Ginnastica Nave contava 60 allievi. Il motocross allineava due società, il Motoclub ed il Motoclub Uisp; vi sono poi le arti marziali con il Sanca Ku Club, lo sci, il tennis con 104 iscritti, le bocce, la caccia, la pesca. L'attività sportiva formativa veniva svolta dai centri Olimpia di S. Marco e Galileo Galilei; l'assessorato allo Sport del comune di Nave organizza corsi di nuoto per ragazzi, danza classica, di ginnastica di mantenimento. Nel 1991 esistevano tre palestre: Cortine, Monteclana e Nave (in via Fossato). Quella di Cortine era abilitata a grandi giochi di squadra quali la pallavolo e il basket. Attivo il Centro Sportivo comunale, idoneo ad atletica leggera, a tennis. Due campi di calcio esistevano a Nave, più quello dell'Oratorio di Nave e due campetti degli oratori di Cortine e Muratello. I gruppi sportivi erano una ventina, da quelli degli appassionati della montagna a quelli dei gruppi amatoriali (alcuni dei quali, come l'Hobby Nave, contano oltre cento soci), dei centri di avviamento allo sport e centri Olimpia, del motociclismo, della danza, dello sci, della pesca, del karate. Il calcio coinvolge centinaia di giovani: la sola Asc. Nave presenta al via dei campionati ben nove formazioni tra pulcini, esordienti, giovanissimi, allievi, under 18 e squadra di I categoria! A Cortine il calcio era svolto dai giovanissimi del Csi; è pure presente una formazione femminile. Attiva la Virtus Nave nel torneo di 3 a categoria maschile. La pallacanestro si presentava con tre formazioni: due riferite al settore giovanile (propaganda e Juniores) mentre la prima squadra disputa il campionato di serie D. L'atletica Audaces Nave proseguiva dal 1946. Il ciclismo aveva il suo centro nella San Marco di Cortine. Grande il successo della mountain bike. Consolidata la ginnastica artistica femminile, attivo il Tennis Club, la Pallavolo. Numerose le iniziative sportive fra le quali l'U.S.O. Nave e l'ASC. Nave di calcio, U.S.O. Basket Nave, l'Audaces Nave di atletica leggera e di ciclismo, il T.C. Nave di Tennis, lo Sci Club, il Gruppo sportivo S. Marco di Cortine, la Società bocciofila O.R.C. s.p.a., la S.P.S. Nave di pesca sportiva. La passione teatrale ha spinto Bruno Frusca, ottimo attore, a costruirsi in casa, a Monteclana, un piccolo accogliente teatro, e a dirigere la compagnia «La betulla», che ha messo in scena commedie e atti unici di autori famosi.


ECCLESIASTICAMENTE Nave ebbe una sua autonomia fin dagli inizi, nella pieve modellata sul preesistente pago romano. Da qualcuno viene fatta risalire al sec. IV o al sec. V l'erezione di una chiesa paleocristiana, dedicata a S. Maria Assunta, ristrutturata poi in epoca longobarda preromanica. Già nella seconda metà del sec. XI è citato l'arciprete Anfrido (nome di origine tedesca) che possiede terreni in località Plaza, confinanti a mezzogiorno con proprietà del monastero di S. Pietro in Monte Orsino. Nomi di arcipreti si registrano nei sec. XIII e XIV, mentre la serie degli stessi è conosciuta dal 1444. Il nome di alcuni di loro compare, oltre che in documenti, come committenti di affreschi della chiesa plebana della Mitria. La pieve si arricchì anche di edifici di culto. Un segno della ripresa religiosa fu anche la fondazione di una chiesa dedicata a S. Pietro Martire (una delle prime dedicate al martire ucciso dagli eretici nel 1252) e della quale pose la prima pietra il vescovo Martino l'8 luglio 1270. In essa il 15 gennaio 1273 due fratelli e tre donne del luogo fecero solenne professione di voto per il terz'ordine nelle mani di «frater Iacobus de Tercio» priore dei domenicani di Brescia ed elessero il priore e la prioressa del nuovo convento di cura e di attenzioni pastorali. Legati e lasciti indicano inoltre legami particolari della popolazione alla vita parrocchiale. La parrocchia vide poi sorgere chiese e santuari, ma rimase soprattutto legata a quello di Conche di S. Costanzo. Nel 1481 si verificò addirittura una sommossa popolare per impedire il trasporto delle reliquie del santo da Conche al monastero di S.Caterina in Brescia. La disgregazione della pieve incominciò a profilarsi nel 1465 con il tentativo di erigere in parrocchia la chiesa di S.Pietro martire al Campanile e a concretizzarsi nel 1504 con l'erezione della parrocchia di Caino (però già documentata nel 1416). Tomaso Mazzoleni arciprete di Nave fondò insieme a Giovanni Stefani il beneficio semplice della Pietà nella chiesa plebana di Nave il 20 aprile 1531. Il 5 dicembre 1565 un decreto vescovile staccava S. Marco di Cortine dalla pieve, erigendola in parrocchia di libera collocazione e infine di Muratello. Come centro religioso di Nave continuò a funzionare la chiesa della Mitria più volte ampliata e restaurata, fino a quando nel giugno 1668, nell'assemblea della vicinia, veniva lanciata, dal console Pietro Stefana, la proposta di edificare una nuova chiesa parrocchiale più comoda, che venne però realizzata nel secolo successivo. Con la visita pastorale del vescovo Bollani (1567) e di S. Carlo Bonomeo (1580) venne restaurata la vita parrocchiale e riordinato il beneficio, affidati di solito a ottimi arcipreti. Confraternite, cappellanie, devozioni e feste arricchirono sempre più la vita parrocchiale, mentre specie dal sec. XVI si fece sempre più intensa l'edilizia sacra attraverso la costruzione di nuove chiese e che culmina con la costruzione dal 1711 al 1730 della nuova chiesa parrocchiale. Già nei primi decenni del secolo XIX veniva fondato l'oratorio nella chiesa o disciplina di S. Rocco, per lascito di Maria Liberini Zanetti (m. il 23 novembre 1840) che legava tutto il suo patrimonio alla chiesa e alle quattro direttrici dell'oratorio: Rosa Mini, Angela Ceresoli, Maria Bolgeni Fusari e Margherita Sandrini, a vantaggio della gioventù femminile di Nave. La parrocchia dava in seguito segni di vitalità con la fondazione dell'Asilo parrocchiale, e poi dell'Ospedale. Con il parrocchiato di don Domenico Pederzini (1881-1898) la parrocchia approfondì l'impegno pastorale ad ambiti più ampi. Vennero fondati l'oratorio maschile e femminile, l'associazione delle Madri cristiane, la rinascita delle Confraternite del SS. Sacramento. Ampia anche l'attività sociale con la fondazione nel 1882 della Società operaia di M.S. e successivamente della Banda S. Cecilia. Tale attività continuò sotto il parrocchiato di don Marco Pea (1899-1919), quando si realizzò la Cassa Rurale (1903) e venne ampliato l'asilo ecc. Si sviluppa intanto l'oratorio che nel 1900 contava duecento iscritti e che nel 1910 poté contare su una sala ricavata nella vecchia Disciplina e che nel 1922 venne di nuovo ampliato per iniziativa di don Agostino Bonfadini. L'1 gennaio 1914 veniva inaugurato il Circolo cattolico giovanile «Iuventus Nova» al quale si accompagnò poi il Circolo «Giosuè Borsi». Opere di abbellimento alla parrocchiale, al santuario di Conche ecc., vennero realizzate sotto il parrocchiato di don Bartolomeo Giacomini (1919-1960). Nacque il periodico «Nave nostra» (1947-1950), al quale seguirono altri periodici parrocchiali fra i quali l'attuale «Nave S. Maria Immacolata». Nell'autunno 1938, nella villa Reggio in frazione Campanile, veniva collocato lo studentato salesiano, mentre l'anno seguente si formò il primo gruppo di Cooperatori salesiani. Requisita d'autorità il 10 marzo 1944 e trasformata in ospedale militare, fu riconsegnata nel luglio 1946; nell'ottobre 1948 venne affidata alle cure delle figlie di Maria Ausiliatrice. Dal set tembre 1981 la casa ospita il Centro Salesiano di studi «Paolo VI» per i post-novizi d'Italia e del Medio Oriente che, con decreto del 23 aprile 1983 della Sacra Congregazione per l'educazione cattolica, è affiliato alla Pontificia Università Salesiana di Roma. Un rilancio di attività parrocchiale si verificò negli anni Quaranta. Nel 1944 veniva ricostruito il teatro «S. Costanzo», nel 1946 veniva costituita la Audaces Nave poi affiliata al Centro sportivo italiano. Nel 1947 funzionavano due compagnie teatrali. Nel 1962 veniva costituito il Coro «Monte Conche» poi «Coro del Garza». Nel contempo durante il parrocchiato di Don Pietro Vaglia (1960-1982) si alzarono nuovi edifici degli oratori maschile, di S. Filippo N. e femminile di S. Angela Merici (inaugurato il 22 settembre 1968). Nuovi restauri alla chiesa parrocchiale e alla chiesetta di S. Rocco. Nel 1976 veniva fondata, per iniziativa della prof. Rosina Rossi e di don Aldino Cominardi l'Associazione genitori di Nave, Caino, Muratello e Cortine; nel 1980 nasceva l'U.S.O. Nave (Unione Sportiva Oratorio) che ebbe subito forte sviluppo. Un rilancio dell'associazionismo cattolico a tutti i livelli viene registrato sotto il parrocchiato di don Graziano Montani, assieme a imponenti opere di restauro di quasi tutte le chiese del territorio parrocchiale. Nell'autunno 1989 rinasceva lo scoutismo. Nello stesso anno veniva avviata per iniziativa del salesiano Augusto Consolo l'Associazione Progetto Nave, con il fine di istituire una comunità di prima accoglienza per tossicodipendenti. Nel 1989-1990 per iniziativa dell'arciprete e di un gruppo di parrocchiani veniva di nuovo completamente ristrutturato il teatro «S. Costanzo».


PIEVE DELLA MITRIA: appurato da Sandro Rossetti quanto sia recente il titolo di Mitria dovuto all'insegna vescovile, posta da Giulia Zoli ved. Comini sulla sua osteria nei pressi della vecchia pieve, questa non ha perso la sua collocazione storica, che la fa centro almeno religioso e mercantile di tutta la valle del Garza fin dai tempi più lontani. Del primo tempio nulla sappiamo. Francesco Braghini ha avanzato l'ipotesi accettata anche da altri, che la prima chiesa fosse di forma rettangolare orientata N-S, quindi perpendicolare all'attuale edificio, e comprendente le attuali seconda e terza cappella del lato S e la terza cappella del lato N. Ma è ipotesi che non potrà essere provata se non con scoperte archeologiche. Più plausibile la trasformazione e l'ampliamento già nella prima metà del sec. XIII, quando venne con tutta probabilità costruita un'aula perpendicolare alla precedente di esigue proprozioni, ad una sola navata, ricoperta da terra a doppio spiovente con travi a vista, e con pavimento a circa 50 centimetri sotto l'attuale. La trasformazione della chiesa nelle attuali forme con la costruzione dalle crocere, delle volte a sesto acuto sulle cappelle, della sopraelevazione del pavimento, venne realizzata nella seconda metà del sec. XV e completata nel primo ventennio del sec. XVI dal prevosto Giovanni Stefana, come indica l'iscrizione, riportata nella parete della controfacciata sopra il portale in una cartella dipinta al centro di un affresco secentesco: «Die martii...». L'espressione «reedificatum fuit» va interpretata non come una costruzione ex novo della chiesa «ma probabilmente soltanto come costruzione dell'ampio presbiterio, all'annessa spaziosa sagrestia ed alla riconsacrazione della pieve avvenuta il 26 marzo 1501. Un'altra testimonianza di migliorie o restauri di portata non precisata, è graffita nell'intonaco della fiancata della terza cappella di sinistra che dice: «Rest(auratu)m An(n)o 1582 R.do Cottono / Archip(res)b(ite)ro / ...» riferendosi a don Baldassare Cottoni arciprete di Nave dal 1581 al 1630. La chiesa venne restaurata nel 1979, grazie agli «Amici della Mitria». Il navese Giuseppe Rivadossi provvide ad un nuovo elegante portale. Per chi entra già nella controfacciata tra la porta e il rosone si possono osservare una mediocre Annunciazione del sec. XVII. Ai lati della porta d'entrata si presentano ex voto con Crocifissione e Madonna, S. Giovanni, Madonna in trono e devoti di discreta fattura e altri frammenti di figure e di iscrizioni. La prima cappella di destra è dominata, in luogo di una pala, da un affresco raffigurante il «Compianto sul Cristo nel sepolcro», eseguito, come suggerisce un'iscrizione nel 1501, su commissione dell'arciprete Giovanni da Erbanno. Il Begni Redona ha rilevato assieme alla rigidità del corpo del Cristo, una gamma coloristica vivace. A destra dell'affresco è visibile parzialmente una figura di una martire, mentre a sinistra è raffigurata la flagellazione dubitativamente ascritta ad Altobello Melone. Sulla parete di sinistra sono conservati affreschi su due registri. Nell'inferiore in due riquadri sono raffigurati la Madonna in trono col Bambino e a fianco S. Lorenzo che distribuisce l'elemosina ai poveri con lo stemma dei Mazzoleni e la data 1446. Si tratta di affreschi di fattura mediocre. Di buona mano invece è la Madonna in trono col Bambino e S. Rocco. Sul pilastrino di passaggio alla seconda cappella è raffigurato un S. Nicola da Bari quattrocentesco. Più sopra è dipinto un S. Rocco. Nella seconda cappella di destra detta dell'Addolorata sono raffigurati, in funzione di pala d'altare, una «Pietà» e un «S. Rocco» dubitativamente ascritti da Begni Redona ad Altobello Melone. In parte coperto dalla Pietà compaiono una Madonna in trono, i SS. Rocco, Fabiano e Bernardino. Nella cappella hanno rilievo una Ultima Cena e le Storie di S. Orsola che continuano nella terza cappella. La pietà affiancata dai S.S. Rocco e Sebastiano e incorniciata da due colonne decorate di festoni e frutti porta la data del 1512; scoperta agli inizi degli anni Cinquanta venne ascritta, assieme alla figura di S. Rocco, dal Peroni e dal Panazza a Vincenzo Civerchio, da Maria Luisa Ferrari a Francesco Prato da Caravaggio, da altri al Romanino, al Bramantino o al Boccaccino, e infine da Roberto Longhi e poi da Begni-Redona, sia pure dubitativamente, ad Altobello Melone, anche se la sua presenza a Brescia non è documentata. Le storie di S. Orsola, mutile per i danni del tempo, raffigurano ora gli episodi dell'Incontro di Orsola e compagne col Papa Ciriaco e il Martirio, dovuti ad un maestro che si muove come scrive Begni-Redona «nell'ambito di quella corrente tradizionale operosa fin oltre la metà del sec. XIV, che lasciò nel Bresciano, come in tutta la Lombardia, opere ispirate ad una rigorosa fedeltà agli schemi romanici, sebbene non del tutto immuni dagli influssi ben più diffusi della tradizione bizantina. Sotto la Pietà, ai lati dell'altare, una mano rozza ha dipinto Madonna in trono col Bambino e S. Cristoforo. Sulla paretina di destra della cappella sono raffigurati in due distinti riquadri Madonna in trono con Bambino e i SS. Alberto e Rocco. Su quella di sinistra sono visibili la ricordata scultura dell'Ercole italico (secondo altri del dio Mitra), e riquadri con Madonna in trono col Bambino tra due sante di impronta gotica e nell'altro un santo vescovo e i SS. Rocco e Bernardino secondo il Begni Redona «di schietta vena narrativa popolaresca» e «di grande originalità». Sul pilastrino che separa la seconda e la terza cappella sta un santo vescovo con libro. La terza cappella è ricoperta dagli affreschi con le «Storie della vita di S. Francesco» attribuiti da qualcuno a Giovanni Pietro da Cemmo e dai più al cosiddetto Maestro di Nave. Oltre un Padre eterno e angeli, ed una Annunciazione, una Madonna in trono. I riquadri raffigurano: S. Francesco che riceve le stigmate, restaura la chiesa di S. Damiano, visita il cardinale di Santa croce, scrive la regola, benedice due sposi, predica, porta pace, muore. Nel riquadro del registro basso a destra dell'altare è raffigurato un frammento delle Storie di S. Orsola. Nel riquadro superiore si ammira un frammento dell'Ultima Cena. Sulla paretina di sinistra sono raffigurati in un riquadro un Santo vescovo seduto sul trono datato 1444, nel secondo riquadro S. Bernardino da Siena, di fattura mediocre. Ai lati dell'altare in due riquadri sono raffigurate in uno S. Regina, nell'altro la Madonna in trono, di mediocre fattura. Sul pilastrino di passaggio dalla terza cappella a quella ricavata nella base del campanile sta un S. Bernardino da Siena. Nella cappella del campanile sono raffigurati la Madonna in trono e sotto S. Antonio abate, con un'iscrizione incomprensibile. All'ingresso del presbiterio in parte coperta dalla balaustra, si ammira una bella Madonna che adora il Bambino. Anche il presbiterio è ricco di affreschi. L'abside è dominata, nella lunetta, da un'Annunciazione nella quale si apre l'occhio, da una pala con lo stesso soggetto affiancata da due affreschi raffiguranti gli Apostoli distribuiti in due gruppi di sei, individuabili ciascuno dal proprio filatterio con scritto il nome. In tutti gli affreschi il Begni Redona ha individuato: «moduli canonizzati dagli imitatori del Ferramola». La parete è ornata in alto da una fascia di decorazione ad affresco di gusto rinascimentale. Sotto, in due riquadri, sono raffigurati in quello di sinistra S. Bernardino da Siena, in quello di destra la Madonna in trono col Bambino e S. Rocco. In altri riquadri adiacenti sono raffigurati, sopra, la Natività con i SS. Antonio di Padova e Nicola da Bari, influenzata, secondo il Begni Redona dal linguaggio dei maggiori del Cinquecento bresciano. Sotto i SS. Girolamo, Tomaso vescovo e Antonio di Padova il quale respinge alcuni armati sotto i quali si leggono le parole «Marani e Todeschi» e che si riferiscono ai fatti del 1516. Si tratta di opera tradizionalmente, ma anche da studiosi, ascritta al Ferramola, anche se non mancano debolezze di espressione. Scendendo nella navata sul lato sinistro si incontrano quattro cappelle. Nella prima in luogo della pala d'altare, sta un affresco secentesco affatto mediocre raffigurante il Purgatorio con la Trinità in alto e la Madonna a destra. La sola paretina di destra è decorata con affreschi che si stendono su tre registri. In quello superiore è raffigurata la Madonna in trono, col Bambino tra S. Girolamo e una santa di scarsa efficacia; in quello mediano si presenta il martirio di S. Lorenzo (datato 1501), nell'inferiore sono raffigurati cinque santi: Alberto, Calimero, Lorenzo, Ippolito e Martino, secondo il Begni Redona di «buona tecnica e di ardito colorismo». Il pilastrino di passaggio alla seconda cappell porta una figura di S. Stefano «di poco spicco». La seconda cappella è dominata da un affresco a forma di trittico con al centro S. Antonio abate affiancato dai SS. Sebastiano e Caterina da Siena, le cui figure, secondo il Begni Redona, pur non aggettate, «presentano un modellato delicato e atteggiamenti composti molto efficaci». Nello spazio a destra dell'affresco si presentano una figura che porta la croce (datata 1508) e una Madonna in trono col Bambino (datata 1501). A destra del trittico centrale sono raffigurati una Madonna col Bambino e S. Antonio abate, secondo il Begni Redona, di «sostanziosa pittura lombarda» del primo ventennio del sec. XVI, «soffusa d'una malinconica, intensa aura di contemplazione»; sotto la figura di santi. Accanto sono raffigurati i SS. Rocco e Ippolito, con la data 1514 e il dedicante «Antonius de Stephanis». Sulla parete di destra della cappella si trovano su due registri affreschi raffiguranti, in quello superiore, i SS. Rocco, Antonio abate e Bernardino da Siena; e, in quello inferiore, Madonna in trono col Bambino e i SS. Antonio abate e Ippolito, vicini, secondo Begni-Redona, alla maniera di Cristoforo Moretti, di scarsa fattura. Sul pilastrino che porta alla penultima cappella del lato di sinistra, è raffigurato S. Giovanni Battista con la scritta «Ego vox clamantis in deserto». Sulla parete centrale della cappella campeggia, in funzione di pala d'altare, un piccolo riquadro raffigurante S. Maria Maddalena sorretta da angeli, da Begni Redona assegnato all'ultimo decennio del sec. XV. Sulla paretina di destra alcune fiacche figure di santi nel registro inferiore e una Madonna col Bambino e S. Lucia, secondo il Begni-Redona «di esile eleganza, bilanciato ed armonioso nelle sue componenti di gotico e rinascimento nei volti gentili delle figure, nella raffinata ricercatezza del trono istoriato, nell'addobbo finemente ricamato della Madonna, nell'esausta languidezza dell'incarnato». Infine, nell'ultima poligonale cappella, vicino all'uscita, della Scuola del Corpo di Cristo, l'abside è dominata su tre pannelli da una grande Ultima Cena, interrotta da una finestrella. Molto deteriorata rivela tuttavia, secondo Begni-Redona, un «ottimo foglio prospettico, volti e atteggiamenti misurati e composti, atmosfera sospesa che richiamano tante impressioni analoghe a quelle che comunicano le grandi pale contemplative d'un Ambrogio da Fossano». Meno espressive ed efficaci le raffigurazioni della fascia superiore nelle quali vengono narrate l'entrata di Gesù in Gerusalemme, la lavanda dei piedi, l'orazione dell'Orto degli Ulivi, la cattura di Gesù, Gesù davanti a Pilato. Sulla parete destra, in due registri sono raffigurati, in quello superiore, Madonna in trono col Bambino e S. Rocco di «una qualche raffinatezza»; in quello inferiore Madonna in trono col Bambino e i SS. Cristoforo e Bernardino da Siena.


LA NUOVA PARROCCHIALE: fu iniziata nel 1711 dall'arciprete don Bartolomeo Moré o Moreni su progetto dell'arch. Bernardo Fedrighini che seguì da vicino le costruzioni di Antonio Corbellini con l'unica variante della botte che copre il presbiterio al posto della consueta vela. Anche la facciata ha la variante delle estremità leggermente arretrate e il collegamento a volute tra il primo piano, più stretto e il secondo. Le stesse varianti adottate dal Fedrighini si ritrovano nelle parrocchiali di Castrezzato, Dello, Ospitaletto, Calino ecc. raggiungendo come ha sottolineato Giovanni Cappelletto «la sua espressione più matura, messa in risalto dall'inquadramento scenografico: sorge su un'ampia piazza e viene affiancata da due chiesine gemelle che ne ripetono in piccolo il ritmo e sembrano allargarlo a tutto lo spazio circostante». La fabbrica durò fino al 1730 e, come ha sottolineato Paolo Guerrini, fra alternative di soste e di riprese, determinate dalle condizioni economiche del paese, poiché l'opera fu compiuta con le sole oblazioni del popolo, continuamente sospinto dall'esempio e dalla fervorosa parola del suo pastore, che ebbe la consolazione di vederla compiuta dopo vent'anni di sacrifici e di faticose cure. Siccome nell'anno 1711, in cui fu iniziata la grandiosa fabbrica, era stata dichiarata festa di precetto nella Chiesa universale l'antica festa votiva della Concezione di Maria (8 dicembre) l'arciprete Moreni volle che il nuovo tempio fosse intitolato all'Immacolata Concezione di Maria, lasciando alla pieve il vecchio titolo dell'Annunciazione. Assente per il Conclave, il vescovo card. Querini (che volle regalare al nuovo tempio la pala dell'altare maggiore, opera del 1730 di Marcantonio Franceschini di Bologna), la chiesa venne benedetta dal vicario generale mons. Leandro Chizzola, mentre la prima funzione solenne venne compiuta l'8 dicembre festa dell'Immacolata. La chiesa fu poi consacrata dal card. Querini il 16 aprile 1748, fissandone l'anniversario la terza domenica di ottobre. L'altare maggiore è dominato dalla grande tela (olio; cm 584 x 382) del Franceschini, raffigurante l'Immacolata Concezione. Nella tela domina la Vergine che supplica un imponente Eterno Padre, fra stuoli di angioletti, e con ai piedi le anime purganti. L'altare, sontuoso per marmi venne realizzato nel 1796 dai Marchesini, marmorai di Rezzato. Le colonnette della tribuna e i capitelli di bronzo mancanti sarebbero stati trafugati dai francesi nel 1797. Il coro venne restaurato nel 1848. La chiesa aveva un pregevole ed antico organo. Rovinato dai restauri del 1848, venne per intero rinnovato da Giovanni Tonoli nel 1873 e di nuovo restaurato dal Maccarinelli nel 1930-32. Il secondo altare (a sinistra) è dedicato all'Eucarestia ed è dominato da una tela (olio, cm 210x140 c.) raffigurante la Cena di Emmaus, solitamente attribuita al Cossali, ma secondo documenti trovati da Carlo Sabatti, di Antonio Gandino (pagato il 30 aprile 1611), che ha prodotto, secondo l'Anelli, un dipinto «assai composito e culturalmente ricco; ma anche assai arioso ed artisticamente ben riuscito». Venne restaurata gratuitamente da Angelo Sala nel 1846. Nel 1850 l'altare venne rinnovato dai comaschi Peduzzi su disegno del Vantini, mentre le statue vennero eseguite dal bresciano Francesco Stanga. Con il nuovo altare scomparve la soffice pittura degli angioletti, del cielo e delle architetture. In questo altare fu poi collocata l'urna che contiene le reliquie di S. Costanzo e vi si celebra la sua festa patronale nonché quella dei SS. Faustino e Giovita. Nella controfacciata, sopra l'entrata, è appesa una grande tela (olio, cm 410x603) raffigurante la Cacciata dei mercanti dal Tempio, da Luciano Anelli attribuita a maestro bolognese della prima metà del sec. XVIII, richiamando tele di Artogne, Bione, Gandino (Bergamo), «importante opera, sottolinea l'Anelli, di calibrata teatralità, di notevoli virtù cromatiche, con figure dalle masse possenti ecc.». Il primo altare a destra per chi entra, è dedicato a S. Anna in trono con Maria Bambina e le SS. Lucia, Apollonia e Maria Maddalena, dipinto da maestro veneto-lombardo del sec. XVIII, in gran parte rifatto da Giulio Motta (Cremona, 1789-Brescia, 1860), dall'Anelli definito «nobile» anche se seriamente compromesso dal ridipintore, per la maestà e la solennità di S. Anna, da affreschi eseguiti nel 1731 dal cremonese Pietro Natali, nel 1735 dal bresciano Bernardino Bono e opere di scultura di Angelo Orlandi. L'ultimo altare a sinistra, prima dell'uscita, è in scagliola, costruito dai fratelli Peduzzi nel 1846. La pala (cm 293x180), raffigurante la Madonna col Bambino e S. Nicola da Tolentino è opera del Natali citato, completata con scene di pestilenza da Giulio Motta. L'altare di S. Antonio abate, già eretto nel 1731 e arricchito di lasciti, è adorno di una pala (cm 372x236) che raffigura S. Antonio in gloria con ai piedi i due santi Fermo e Mauro; è attribuita ad un maestro bresciano del '700, nel quale si possono vedere Pietro Avogadro o Angelo Paglia o il Savanni. La tela venne restaurata nel 1987. La ditta fratelli Marangoni assunse i restauri di tutte le finestre. Per l'occasione il pittore Angelo Sala ripulì alcune tele. I lavori iniziati nel luglio 1930 terminarono nell'agosto 1932. Nel 1935 la decorazione venne ripresa e completata nel 1936 con nuovi affreschi, per iniziativa dell'arciprete Giacomini, con interventi di Gaetano Cresseri, Eliodoro Coccoli, Vittorio Trainini, Giovanni Bevilacqua di Verona, Pietro Servalli di Bergamo e Angelo Rubagotti di Coccaglio. Il Cresseri ha decorato la cupola (circa 200 mq) col trionfo di Cristo Re, il Coccoli ha fatto i quattro pennacchi della cupola, gli altri artisti hanno affrescato gli intercolumni con scene evangeliche e il Rubagotti ha effigiato S. Costanzo; il Servalli dipinse la Visitazione e la Presentazione di M. Vergine; il Trainini la Pesca miracolosa e sopra il pulpito nuvole di angioletti. Malgrado la diversità stilistica dei vari artisti, la decorazione non ha subito soverchie sproporzioni e mantiene la sua unità di stile neo-classico. Fino al 1940 varie ditte operarono lavori di restauro murario e ligneo. La chiesa più recentemente fu dotata di statue: nel 1959 di quella di S. Costanzo, uscita dalla bottega Poisa di Brescia e offerta dall'Associazione Combattenti e Reduci. Nel dicembre 1989 gli anziani e gli ammalati donarono alla chiesa parrocchiale una statua di Papa Giovanni XXIII, opera dello scultore Bertoli; nel 1990 veniva inaugurata sempre dello stesso scultore la statua di Papa Paolo VI. Il pulpito venne disegnato da Vittorio Trainini. Una nuova campana venne benedetta l'8 dicembre 1987, intitolata a Maria Immacolata e a S. Costanzo. In sagrestia sono una «Sacra Famiglia con S. Giovanni e Sante» (cm 136x190) di Andrea Celesti, restaurato nel 1989 da E. Montagnoli Vertua e una «Flagellazione» di ignoto del sec. XVII (cm 115x154) restaurato nel 1989. Fra i preziosi della parrocchiale, va ricordato un bell'ostensorio di squisita fattura, che sul piedestallo conserva varie pietre preziose incastonate. Vi concorse al suo restauro una Stefana con la cospicua somma di austriache L. 4000 (circa il 1830). Vi è pure un bellissimo calice regalato dalla principessa Maria Elisabetta di Savoia, sposa dell'arciduca austriaco Ranieri, che nel passaggio da Nave di ritorno dall'inaugurazione del ponte sul Caffaro a Bagolino, visitarono la splendida parrocchiale. Detto calice porta le iniziali dell'augusta donatrice. La chiesa parrocchiale è fiancheggiata da due chiese minori, che, costruite più tardi, non si sa se fossero già nel disegno primitivo del Fedrighini e se furono aggiunte intonandole allo stile della chiesa centrale, della quale sono un ornamento. Quella a mattina è dedicata a S. Rocco e chiamata la Disciplina, l'altra a sera è dedicata all'Annunciazione di M. Vergine e serviva ai confratelli del per la loro ufficiatura festiva, e come scuola di catechismo festivo e quaresimale per i fanciulli.


LE ALTRE CHIESE: ANGELI CUSTODI ALLA TORRE: costruita nel 1741, in concomitanza con l'ampliamento del palazzo della torre ora Micheletti. Ad aula rettangolare di 7 metri di lunghezza e 4 di larghezza, con un solo altare, fu di proprietà di patronato dei Mutti che con tutta probabilità la costruirono.


S. ANTONIO ABATE a Ceradello: incastonato nel verde della campagna presenta una facciata a capanna, con un semplice ma elegante portale in pietra, con finestra sopra e due finestrelle ai lati, con il buco delle elemosine. Il complesso della chiesa sembra della fine del sec. XVII o degli inizi del sec. XVIII, ma il presbiterio è più antico, segno dell'esistenza di una precedente chiesetta. infatti, ampliata più tardi, già citata in documenti del 1481, ricordata negli atti della visita pastorale del 1567. Venne probabilmente ricostruita per iniziativa degli eremiti Antonio Bossini (1670-1737) e del fratello Pietro (1674-1724) ricordati in due lapidi collocate nel pavimento. Ben conservato, come testimoniano gli atti delle visite pastorali dei secc. XVII-XVIII-XIX, nel 1896 risultava l'altare dedicato anche a S. Giovanni Battista. Lo domina una icona cinquecentesca particolarmente bella, del 1515, anche se purtroppo ritoccata e restaurata da Domenico Cretti nel 1989: una Madonna in trono soave e severa insieme, come quelle del Moretto, un S. Antonio abate dagli occhi di fuoco, un S. Giovanni Battista serio e compassato. Non è possibile, dopo i ritocchi, dire molto, ma i nomi di Moretto, Romanino o quello di qualche loro allievo non sono sprecati, fatta grazia, come si è detto, dei ritocchi. Non manca di una sua suggestione la figura di S. Antonio morto, dipinta sulla fronte dell'altare in luogo del palliotto. In recentissimi restauri è riapparsa un'Ultima Cena di notevoli dimensioni (m 4x2). La chiesa ha ancora qualche buona suppellettile. Fu di patronato della fabbriceria. Per iniziativa del parroco don Montani e di un gruppo di volontari la chiesetta venne nel 1989-1990 ristrutturata.


S. ANTONIO DI DERNAGO: nel 1689 era eretto da poco e arricchito di una buona dotazione delle famiglie Mazzoleni, Parisio, Ogna e Stefana. Incamerato nel 1797 nello stabilimento scolastico di Brescia, venne poi dotato di nuovo di messe. Nel 1819 gli atti della visita pastorale lo dichiaravano «bello e ben ornato». Venne restaurato nel 1896. Raccoglie una bella tela settecentesca con una soave e dignitosa Madonna che presenta il Bambino a S. Antonio di Padova, mentre S. Firmo, con la solita bandiera, sta ad osservare la scena. Sulle pareti sono esposti due ovali raffiguranti S. Filippo Neri e S. Antonio di Padova, e un quadretto con la Madonna di Caravaggio. In sagrestia, dalla parete guarda arcigno un personaggio, forse un cappellano della chiesa.


S. CESARIO: si trova in una delle più antiche contrade di Nave. L'edificio, pur continuamente trasformato e riadattato, specie internamente, risale al sec. XIII; ma parecchi frammenti indicano la probabile esistenza di una chiesa precedente, forse del sec. VIII. I frammenti si possono vedere, inseriti nell'attuale costruzione o, nel caso di frammento di pilastrino, di lastra decorata, nella casa colonica collegata con la facciata. Più particolarmente, nel rosone della facciata si scorge un bel frammento angolare di pluteo (con anelli annodati a «otto», colombe bezzicanti uva, ecc.). Altri frammenti (di cornice, di lastra decorata, di pilastrino) sono nella porta settentrionale; altri ancora si trovano nel museo di Brescia. A sua volta, la chiesetta alto-medievale sarebbe sorta, secondo alcuni, su un tempietto pagano; supposizione plausibile anche per i ritrovamenti archeologici della zona, fra i quali spicca la stele funeraria ora incastrata ai due lati dell'arco del presbiterio e che ricorda il «cursus honorum» del tribuno legionario M. Claudio. E certo, comunque, che S. Cesario è una delle più antiche e venerande chiese del Bresciano. Accanto ad essa vi era il cimitero, che occupava tutto il terreno a mezzogiorno. Il nome stesso di S. Cesario martire, titolare della chiesa, ha portato molti fuori strada, mentre la chiesa è ora dedicata all'Ascensione di Gesù e nella ricorrenza annuale della stessa vi si celebra la fiera o sagra. Il culto di S. Cesario è probabilmente dovuto all'influenza benedettina, essendo ritenuto martirizzato a Terracina, vicino a Montecassino. Più volte ricostruita, specie dopo il terremoto del 1222 è ricordata particolarmente nelle visite pastorali della seconda metà del sec. XVI da quella del vescovo Bollani del 1567. Da essa risulta dipendente dal Capitolo della cattedrale di Brescia. Negli atti delle seguenti visite pastorali risultano modifiche e miglioramenti e di cappellanie e legati di numerose messe; segni di continue cure. Nel 1666 è l'erezione della torre che affianca il tempio, ragione di dissidi durati per molti decenni. Il concerto di campane venne posto avventurosamente dal 1889 al 1903. La chiesa servì più volte come pubblico lazzaretto. Sotto il portichetto che protegge l'unica entrata oggi aperta, la settentrionale, rimane un bell'affresco quattrocentesco, raffigurante un Crocifisso tra la Madonna, S. Giovanni Evangelista e altri Santi, fra cui S. Cesario ed una santa individuata in S. Radegonda, mentre invece si tratta di S. Caterina d'Alessandria, patrona dei mugnai e dei due mulini esistenti nei pressi. La porta è ornata di pietre di riporto, lavorate, di origine longobarda. L'interno è ad un'unica navata, con un presbiterio più ristretto, questo a volta, mentre il resto della chiesa ha il tetto a vista. La pala dell'altare maggiore è del Bonomini. Il presbiterio è stato affrescato nel 1959 da Vittorio Trainini, con una decorazione che sembra decisamente pesante e stonata, se raffrontata con il resto della chiesa. Vi è raffigurata Maria dal Cuore Immacolato con angioletti, simboli e motti. Ai lati del presbiterio sono stati raffigurati due vescovi, forse S. Filastrio e S. Gaudenzio. Le pareti della navata sono a tinta neutra, ma in alcuni punti occhieggiano figure cinquecentesche: papi, vescovi, santi, fra cui S. Onofrio, che ripete una figurazione comune nella zona del santo eremita. Sul campanile sta scritto: «Comunitas Navarum 1609». Restauri vennero operati nel 1984 e riguardarono gli affreschi all'interno della chiesa, il recupero di un crocifisso barocco dei primi anni del 1600 e soprattutto il recupero di due statue lignee, una delle quali purtroppo acefala, raffiguranti S. Caterina e S. Domenico (1733). La chiesa ha avuto ottimi cappellani, fra cui ultimo mons. Zani, santo sacerdote dalla cultura filosofica e teologica sterminata, ma dall'anima di fanciullo. 


S. FRANCESCO E FELICE CAPPUCCINO: v. Muratello.


S. MARCO: v. Cortine di Nave.


S. MARIA: a Muratello, di patronato Ghio.


S. GIOVANNI NEPOMUCENO a Calasa. L'attuale oratorio fu fatto costruire dai fratelli Alessandro e Cesare Averoldi su progetto datato 13 agosto 1743, il cui disegno è firmato dal «proto muraro» Bortolo Lanza. Sorta alla confluenza del torrente Re con il Garza venne dedicata a S. Giovanni Nepomuceno, invocato contro le inondazioni. Convertita in abitazione civile agli inizi del sec. XIX da Stefano Zanoni, pervenne, in seguito in proprietà dei fratelli Stefana qd. Girolamo, che, come ha scritto Sandro Rossetti, con un equilibrato intervento di ristrutturazione, riuscivano a conservare dell'antico oratorio alcuni elementi architettonici quali le volte a vela della chiesetta e i due rosoni della facciata e dell' abside .


S. MARTINO a Monteclana. Molto antica sorse probabilmente su un possedimento monastico. Già ricordata nel 1567 venne riedificata nei primi anni del sec. XVII. La chiesetta attuale è semplicissima nelle sue linee secentesche. Ha tre altari: il maggiore, è dedicato a S. Martino, i laterali, alla Madonna del Carmine e al Crocifisso, eretto quest'ultimo dalla pietà di don Filippo Bassi. Vi era in questo oratorio una Scuola o compagnia di Disciplini che lo officiavano, e vi risiedeva un cappellano che vi celebrava messa ogni giorno. Tutti i beni furono incamerati nel 1797 e donati allo Stabilimento scolastico provinciale, che doveva pagare una certa somma per l'ufficiatura dello stesso. Un'altra cappellania perpetua fu fondata da Girolamo Zeni col suo testamento 21 marzo 1828 e un legato di messe fu pure aggiunto nel 1846 da Giuseppe Zanotti. La sacrestia è ben provvista di paramenti ed arredi sacri. Benefattrice della chiesa fu la famiglia Zeni (specialmente don Gerolamo e don Antonio) assieme alle famiglie Mutti, e Fiori. L'altare della Madonna venne eretto per iniziativa di Daria Collio, morta nel 1806 in concetto di santità.


S. PIETRO MARTIRE: antica chiesa in contrada del Campanile, eretta nel Duecento dai fratelli Giovanni e Corrado qd. Ambrogio da Vestone, presenti alla posa della prima pietra, compiuta il 7 luglio 1270 dal vescovo di Brescia Martino, alla presenza dell'arcidiacono Oberto di Poncarale, dei canonici della cattedrale Azzone, arciprete di Bigolio, Corrado, arciprete di Gargnano, di Oldofredo di Leno, del domenicano Pasino Barbarubea (Barbarossa), di maestro Nicola de Guardino e di molti altri chierici, come ricorda l'atto di fondazione che si conserva in pergamena originale fra le carte della canonica di S. Giovanni, nell'archivio di Stato a Milano. Opinione plausibile di P. Guerrini è che probabilmente i due fondatori furono due industriali cartieri che, nella nuova chiesa affidata ai domenicani, vollero costituire un centro di formazione cattolica per i loro operai, onde far fronte al movimento patarino e a quello cataro. I patari erano anche straccivendoli e i reggenti delle comunità credettero giusto difendersi dall'eresia, mettendosi sotto la protezione del santo che era morto per l'ortodossia. La chiesetta passò poi ai canonici lateranensi di S. Giovanni Evangelista, che vi eressero una bella casa di adiacente, ora trasformata: in questa erano due lapidi che ricordavano i due abati Alessandro Pocpagni e Patrizio Spini. Sul pianerottolo dello scalone esisteva una colonna sormontata da un'aquila con le ali spiegate, tutto in bianco marmo di Carrara. L'aquila era lo stemma dei canonici lateranensi e questo attesta che la casa non fu edificata dai Mazzoleni, ma dagli stessi canonici prima della loro soppressione (1771). Nel 1732 era ancora dichiarata dei lateranensi con obbligo di 4 messe la settimana. Gli Atti della visita Nava del 1819 lo descrivono come «piccolo ma bello». Lo dicono dei fratelli Mazzoleni e ricco di 309 messe.


S. ROCCO in contrada de Pisognoni. Al santo vennero erette a Nave due chiese. La più antica fu eretta alla fine del sec. XVI o agli inizi del sec. XVII e dotata di una cappellania di tre messe settimanali, con fondi dell'arciprete Giovanni De Stefani o Stefana per suo testamento del 22 aprile 1531, costituendola di patronato e di godimento della sua famiglia, se in essa vi fossero sacerdoti, e disponendo che, nel caso di estinzione della famiglia stessa, passasse alla Carità di Nave. La chiesa si chiamava «La pietà di S. Rocco». Venne riedificata tra il 1580 e il 1620 per voto della Comunità di Nave espresso durante la peste del 1578. Alquanto bassa, si apre sulla strada nazionale. Ha una facciata semplice: un portale, una finestra, un tetto a capanna. L'unico altare di marmo è sormontato da una semplice soasa e da una bella pala con una soave Immacolata e i SS. Rocco e Carlo Borromeo. Sul lato sinistro del presbiterio, in una nicchia sta una bella statua secentesca in legno di S. Antonio da Padova, dalle linee popolaresche ma espressive. Alla destra vi è invece un bel quadro della Madonna col Bambino, incoronata con diadema d'argento. Nel pavimento e sulle pareti stanno tombe e solo iscrizioni che ricordano i benefattori del santuario, fra i quali don Domenico Sandrini, don Pietro Stefana, don Giovanni Battista Ogna, Enrico Fenotti, che la arricchirono di più legati. Fu di diritto della comunità e poi degli Stefana. Verso il 1870, la chiesa era cadente e non più ufficiata: serviva di magazzino legna. Il munifico benefattore Pietro Ghio (fondatore dell'ospedale) che abitava in luogo, rifece tutto a sue spese: il volto, il pavimento, eresse il campanile, che provvide di campane segnate col suo nome, e legò un capitale allora vistoso, per il sacerdote, con le messe in proprio suffragio (L 17.000); una lapide interna lo ricorda con riconoscenza. A questo generoso intervento se ne aggiunse un altro dovuto all'arciprete del tempo don Pederzini che provvide nel 1896 ad un restauro interno ed esterno. Nel 1984 venne rifatto il tetto, sistemato il campanile e ripulito l'esterno dell'edificio. Fu di patronato della comunità di Nave.


S. ROCCO E GIOVAN BATTISTA: sebbene un documento dell'1 marzo 1744 accerti che la congregazione di S. Rocco chiedeva di poter costruire un proprio oratorio, che poi fu l'elegante chiesetta che sta sulla destra dell'attuale parrocchiale (parallelo a quello di sinistra della Madonna costruito nel 1733), ottenendo il nulla-osta della curia in data 4 marzo, una santella o un piccolo ambiente dedicato allo stesso santo, distinto dal santuario già ricordato, esisteva già dal 1684. Gli Atti della visita pastorale del vescovo B. Gradenigo del 5 ottobre di tale anno ricordano, infatti, l'esistenza di un «oratorio di S. Rocco sotto le case parrocchiali», che non aveva però altare. In effetti venne eretta come ricorda il cartiglio del portale nel 1773 e divenne sede di una confraternita dedicata anch'essa a S. Rocco. Il piccolo oratorio funzionò bene. I visitatori non ebbero a ridire gran che, nemmeno in tempi esigenti come quelli dell'Ottocento. Il parroco, nella sua relazione del 1840, diceva che l'oratorio era «detto dei congregati», e che vi si raccoglievano le fanciulle per la dottrina. Continuava, annotando che vi erano due busti con reliquie «ma che si credono poco autentiche». Per cura dell'arciprete don Pietro Vaglia, la chiesa venne restaurata nel 1962 e al centro venne collocato l'antico fonte battesimale.


S. VITO: sorge sul valico verso S. Gallo e Castel di Serle in località Salena. Antichissimo, lo dice P. Guerrini, che lo crede, in origine, un ospizio per i viandanti che dalle coste di S. Eusebio, costeggiando a N il Dragone, scendevano a Botticino per S. Gallo o a Brescia per il monte Maddalena verso la valle del Garza e la Valsabbia. Vi sono ancora le tracce dell'antico sentiero tuttora chiamato la «via bressana» o anche «sentiero bandito». Il culto di S. Vito si sviluppò largamente fino dai tempi dei Longobardi in luoghi molto infestati dai serpi e specialmente dalle vipere, quindi in luoghi sassosi. Il Guerrini individua l'ospizio e quindi anche la chiesa in quella «casam sancti Viti cum omnibus quae ad eam pertinent», cui accenna il diploma col quale, nell'841, il vescovo Ramperto costituì la dote del monastero di S. Faustino Maggiore. Nelle Visite pastorali compare solo nel 1818. Il parroco nella sua relazione scrive che fu «anticamente eretto per voto della Comune ». Non aveva obblighi. Nel giorno del santo lo si raggiungeva processionalmente e vi si cantava messa. «Antico, ai confini di Botticino », lo dicono gli Atti della visita del 1819. In quella del 1846 si legge che «nel dì dello stesso santo il popolo col Clero vi si reca in processione e canta la messa». Anche questo Oratorio, con la casetta e il piccolo bosco attigui, è del beneficio parrocchiale di Nave. «Il bosco», notava il Mingotti, «si lascia godere ad alcuno perchè abbia cura e custodisca la chiesa, alla quale si va in processione dalla parrocchia nel dì di S. Vito (15 giugno) a cantarvi messa conventuale, ma abbisogna di buon restauro» e soggiungeva che vi si andava il primo lunedì di settembre. Nel 1895, dopo anni di trascuratezza, venne restaurato da un gruppo di volontari. Fu di patronato della prebenda parrocchiale.


LA CAPPELLA DEL CENTRO SALESIANO di studio «Paolo VI» venne adornata nell'abside di un Cristo Eucaristico del pittore comasco Mario Bogani. Contemporaneamente veniva inaugurata una cappella a Maria Ausiliatrice.


LA CAPPELLA DELL'OSPEDALE, poi ospizio o «Villa dei fiori», venne adattata nel 1897 con decorazioni dei pittori Giuseppe e Angelo Trainini. Dietro la chiesa parrocchiale sorgeva la chiesa della Disciplina, costruita nella seconda metà del Settecento e che oltre alle adunanze e alle pratiche di pietà dei Disciplini divenne anche il loro luogo di sepoltura. Soppressa nel 1797 la confraternita e allontanati per decreto del 1806 i cimiteri dai centri abitati, la chiesetta finì con il diventare un deposito, fino a quando nel 1910 venne trasformata in teatro e poi abbattuta per fabbricarvi l'attuale teatro S. Costanzo.


LA CHIESA DI CONCHE: sarebbe stata costruita da S. Costanzo intorno al 1110-1116 e consacrata dal vescovo di Brescia Arimanno. L'edificio attuale viene datato, da studiosi come il Panazza, tra il XII e XIII. Dapprima eremitario, sotto la regola di S. Agostino, passò poi ad una comunità femminile benedettina posta sotto la protezione pontificia nel 1157 dal card. Oddone. Decaduta la disciplina delle monache nel 1236, il cenobio e la chiesa passavano agli Umiliati di S. Luca di Brescia, che esercitarono una vasta influenza oltre che religiosa anche economica. Agli Umiliati subentrarono nel sec. XIV le monache domenicane di S. Caterina di Brescia, come succursale economica, mentre la chiesa venne officiata dai domenicani del convento di Brescia. Tale presenza è significata dal crescere di indulgenze che significano un aumento di pellegrinaggi. Il cenobio e la chiesa vennero ampliati nel 1478 dal domenicano Sebastiano Maggi. L'incremento della devozione suggerì la ricerca delle reliquie del santo fondatore ritrovate nel 1481 e poi, nonostante violente resistenze degli abitanti della zona, trasferite a Brescia e conservate, contro l'opposizione degli Umiliati, nella chiesa del monastero di S. Caterina. Il ritrovamento delle reliquie incrementò i pellegrinaggi in Conche specie delle popolazioni di Nave e Lumezzane , così da consigliare la presenza in Conche di un cappellano e di un romito. Beni ed elemosine crebbero sempre più. Il santuario e il cenobio arricchitisi, possedettero anche osterie intorno alle quali sorsero liti fra Nave e Lumezzane. Spogliato di ogni bene da un decreto della Repubblica bresciana dell'8 dicembre 1798 e passato in mani private, il complesso decadde, mentre le reliquie del santo venivano trasferite il 24 novembre 1805 dal convento di S. Pietro in Oliveto (dove erano state trasferite dopo la soppressione del convento di S. Caterina) a Nave «con immenso tripudio» e con un grande incremento della devozione. Dopo lunghe pratiche il complesso di Conche veniva acquistato dal Comune. Feste e pellegrinaggi si susseguirono sempre più frequenti mentre si costituiva una apposita confraternita. Nel 1936 vennero operati ampi restauri. La statua del santo fu sostituita con una pala dipinta dal bergamasco Monzio Compagnoni, che eseguì anche un nuovo altare. Con il 25 agosto 1942 il comune passava la gestione alla parrocchia di Nave. Dopo decenni di abbandono, nel secondo dopoguerra, grazie al parroco don Giacomini, al custode Beppe Dossi e a un gruppo di volontari, specialmente alpini, venivano avviati dal 1958 lavori di restauro. Oltre ad un rassodamento edilizio il pittore Vittorio Trainini decorava con affreschi la chiesa, mentre la bottega d'arte Poisa apprestava una nuova statua di S. Costanzo. Opere ancora più imponenti e radicali vennero compiute dal 1978, mentre il santuario diventava meta di continui pellegrinaggi e di comitive di devoti.


Tra le SANTELLE più antiche, gli Atti della visita del vescovo Bollani ne ricordano una sulla strada per S. Cesario, della quale il vescovo ordinò che venisse rifatto l'affresco e che venisse chiusa con cancello di legno. Una santella secentesca si ammira ancora all'inizio dell'abitato di Nave. Il bell'affresco raffigurante la Madonna col Bambino e S. Antonio di Padova fu restaurato di recente. Due affreschi su portali di antiche dimore su casa Zani, in via Sorelle Minola e su casa Agnoli, vennero segnalati al restauro nel 1991. Numerose le sagre e le feste particolari. Il secondo lunedì di Pasqua si celebra la festa della Mitria; S. Antonio di Padova è festeggiato nel suo santuario al Sardello; il 16 luglio vede la sagra di Monteclana per la festa della Madonna del Carmine; il 15 agosto vede Nave in festa intorno alla santella della «Salve Regina». La frazione di Monteclana, il 16 agosto, celebra la ricorrenza di S. Rocco nella sua chiesetta; la prima domenica di settembre è dedicata a S. Costanzo nel suo santuario di Conche; il giorno appresso molti navesi si recavano a S. Vito sotto la Maddalena. Seguono la festa di S. Cesario e il terzo lunedì di settembre la festa di S. Antonio di Padova a Dernago. Le feste si chiudono l'ultima domenica di settembre con la festa di S. Luigi.


ECONOMIA. Economicamente Nave gode da secoli un'economia integrata. Vere selve coprivano le alture da Brescia a Nave, alternate da prati e pascoli chiamati «i grassi» cui si aggiunse la coltivazione di cereali ed altre colture, fra le quali le castagne. In effetti l'agricoltura ebbe sempre notevole sviluppo che si completò con l'allevamento del bestiame. Diffusa, specie nel passato la coltivazione della vite che resistette fino a pochi decenni fa, tanto da suggerire la fondazione nel novembre 1906 della «Distilleria agraria cooperativa di Nave e dintorni» con presidente Andrea Regis e vicepresidente l'arciprete don Marco Pea. Nel 1974 i fratelli Giancarlo e Raffaele Morandi avviarono un'azienda per la coltivazione di verdura biodinamica secondo il metodo del dott. Rudolf Steiner. Nel 1983 le aziende agricole erano ancora 300, occupavano 1659 ettari (sui 2712 complessivi) dei quali 425 utilizzabili e producevano soprattutto vino, mentre i bovini assommavano a 500, a 100 gli ovini. Capillare la diffusione del gelso e dell'allevamento del baco da seta agli inizi dell'800. Nel 1823 esistevano quattro filande (Angelo e don Clemente Barcella e fratelli, con otto fornelli, di Amadio Venturini, con cinque fornelli, di Agostino Giustacchini con tre fornelli, di Giovanni Girolamo con tre fornelli). Nel 1934 gli allevatori di bachi erano circa 160, ma erano scomparse le filande, già non più nominate del resto fin dal 1852. Attivi fin da tempi molto antichi i mulini. Nel 1609 il Da Lezze registrava sopra la Seriola due mulini. Nel 1821-1823 i mulini erano cinque di proprietà di G.B. Pasotti, Gerolamo Mazzoleni, Bartolomeo Rossi, Pietro Gandelli, Agostino Giustacchini. Nel sec. XIII ebbero origine le prime cartiere, attraverso la lavorazione degli stracci. Ne furono probabilmente pionieri gli Ogna detti Maffizzoli, secondo altri, provenienti dalla valle Imagna, i Giustacchini e i Comini. Alcune di queste famiglie vengono fatte derivare da Toscolano. Nel 1496 una cartiera appartenente al beneficio parrocchiale di Nave veniva concessa a livello ai Grassi, ai Maggini e più tardi ai Calcinati, provenienti da Salò. Una cartiera aveva alla fine del sec. XV Cristoforo dei Zanetti, libraio in Brescia. La cartiera aveva tre ruote, ma venne distrutta poi da tedeschi e spagnoli. Agli inizi del '500 i fogli fabbricati a Nave come a Toscolano, venivano richiesti da lontano e spediti anche in Germania ed in Oriente. Nei secc. XV-XVI molti cartai di Toscolano lavorano a Nave e Caino. Nelle polizze del 1588 dell'editore Vincenzo Sabbio, è attivo a Nave (assieme a Francesco Zani di Caino) certo Giovanni Buonacarne. L'attività delle cartiere di Nave era così intensa che i cartai di Nave dovettero risolversi a chiedere al vescovo di Brescia di poter lavorare in certe feste votive senza incorrere in multe. Nel 1609 esistono sul Garza «sei edifici da far carta» con 8 folli. La carta veniva «mandata in diverse città et particolarmente a Venezia la maggior parte, a Cremona et in molti ». Nel 1641 le cartiere erano sempre otto (di Giuseppe Buonacarne, Antonio Ogna detto Maffezzolo, Feliciano Ogna, Giovanni Maria Spagnoli, Gregorio Zanelli, don Pietro Chizzolo, ecc.). Nel 1803 sono nove le cartiere esistenti a Nave e a Caino. Otto erano le cartiere funzionanti nel 1852 circa, secondo il catasto austriaco (Olindo e Armando Testori al molino Foletto, di G.B. Sandrini e fratelli in località Bologna, di Giuseppe Giustacchini a Pieve Vecchia, di Paolo, Francesco e Davide Comini in Valle delle Cartiere, Antonio Zanetti nella stessa località, Domenico Spagnoli e sorelle Brozzoni alle Ca' Rotte). Nel 1857 le cartiere sono sette. Tra i principali espositori di quell'anno si distinsero Giacomo Zanini e Paolo Comini di Nave. Il primo era apprezzato soprattutto per il cartone di paglia venduto a buon prezzo; il Comini veniva segnalato per carta da involgere da lui fabbricata. Nel 1867 le cartiere erano sempre sette tra cui emergeva quella degli Zani produttori di «cartoni di paglia». Paolo Comini si segnalava ancora all'esposizione di Torino del giugno-luglio 1884, con cartoni di diverso colore, spessore e peso (detti reali e imperiali), particolarmente apprezzati per la pasta omogenea, variata e robusta. Nel 1892 le cartiere erano cinque e occupavano 60 dipendenti; nel 1927 erano quattro con 62 dipendenti. Un incendio distruggeva il 10 giugno 1925 la cartiera Comini. Nel 1930 le cartiere di Nave e Caino erano sei, ma a causa della crisi eonomica della fine degli anni Venti, i dipendenti erano diminuiti in pochi anni: da 180 a 80. Gli anni Sessanta-Settanta videro la decadenza quasi completa dell'industria cartaria. Cedettero i Comini, i Pernis, gli Zani (nel 1965), i Perotti e i Giustacchini, dopo aver passato la mano ai Ceresoli che chiusero nel 1976. L'industria cartaria, pur rimanendo quasi invariata quanto a imprese (9 nel 1951 e nel 1961, 8 nel 1971 e 1981), vide ridursi gli occupati da 189 nel 1951 e 1961, a 178 nel 1971 e a 74 nel 1981. Alla lavorazione cartaria si accompagnò presto la lavorazione del ferro. Nel 1609 esistevano due «buone officine» una delle quali fabbricava spade, lame da taglio, alabarde, stili, con 7 dipendenti; l'altra, di proprietà Brioni, lavorava ferro grezzo. Utilizzavano acciaio prodotto a Bagolino. Semilavorati di Nave e Caino alimentavano officine dei migliori armaioli bresciani. Nel 1641 le fucine esistenti erano sempre due: una di Vincenzo e don Giacinto Borra, l'altra di Giovanni Angelo Vincenzo Vintiolo. Ad esse si aggiungeva un opificio di polvere per schioppo. Nel 1904 a Nave si fabbricavano attrezzi agricoli. Nel 1941 giacimenti ferrosi vennero sfruttati dalla Società Montecca di Nave avviata da Vincenzo Orlandi. Dalla vecchia officina di via «De Puss» (poi via Sorelle Minola), faceva passi verso l'industrializzazione Giovanni Comini (m. nel dicembre 1984), che costruì i primi forni di rilievo, fra i quali quello rotante dell'Acciaieria Fratelli Stefana. La vera espansione dell'industria siderurgica si ebbe nel secondo dopoguerra. Nel 1950 erano presenti le acciaierie e laminatoi della «Stefana fratelli», le Acciaierie ferriere AFIM, i Laminatoi «Busseni fratelli» e «Fenotti e Comini». Le imprese salivano a sette nel 1961 e a nove nel 1971 e 1981, mentre gli occupati da 207 nel 1951 salivano a 776 nel 1961, a 1614 nel 1971, per scendere a 1521 nel 1981. L'industrializzazione ebbe i suoi pionieri in Quinto Stefana che fece di una piccola officina per la fabbrica di attrezzi agricoli, un complesso industriale che nel 1960 occupava 300 operai; in Enrico Fenotti che realizzò una ferriera occupante nel 1960 circa 150 operai. Ad essi seguirono Stefana Giuseppe, zio di Quinto, i Gemini e Ceresoli con la Ilfer, i Fenotti Pierino, Pederzani Luigi e Tullio Pasotti con la Ferriera del Garza ed i cugini Dino e Dante Busseni. Vicino alle esistenti cartiere e alle nuove ferriere sono sorte numerose attività artigianali piccole e medie che hanno portato un notevolissimo benessere alla popolazione di Nave. Si sono potenziate e sviluppate la «Sarca» di Tonino Andri che fabbrica accessori per lampadari e utensili da cucina, la «Proba» dei Benedetti, che fabbrica molle di ogni qualità e specie. Sono sorte la «Imballaggi Industriali» di Giacomo Ghidini che confezionava scatole di cartone di ogni tipo (entrata in crisi nel 1977), la «Facmetal» di Palazzani e Sabbio che costruisce cucine e fornelli a gas, l'officina di Giuseppe Frati per la costruzione di accessori per autoveicoli da trasporto. Né va dimenticata l'officina di precisione di Aldo Velo, unica in Italia che fabbrica determinate parti di macchine compositrici linotype, gli avviati laboratori di tornitura Gelmini Giuseppe, Pasotti Enrico e Pederzani Angelo. Vi sono due artigiani, Rubagotti e Zappa, che costruiscono pregiati fucili da caccia; Faini Guido fabbrica cucine economiche e americane e mobili per gas. La falegnameria Evaristo Pasotti fornisce serramenti. La fonderia Re e Lumini si é infine specializzata nelle fusioni in ghisa e l'elettricista Riccardo Frati ripara i motori picccoli e grossi che nei vari opifici sono soggetti a guasti. La conceria Andri continua da oltre 50 anni a fornire di cuoio pregiato le regioni dell'Italia Meridionale. Rilievo prese la «Fonderia Leghe Speciali» (con 170 unità) che tuttavia nel 1975 dava i primi segni di crisi accentuatasi poi nel 1978 e chiusa infine il 31 luglio 1986. Nel 1981 le Acciaierie e ferriere Stefana fratelli avviavano un nuovo treno di laminazione ed estesero ancor più la produzione allargandola alla vergella, mentre entravano in crisi la «Acciaieria e ferriera di Nave» di Fenotti e Comini ed altre fabbriche che nel giro di quattro anni, dal 1980 al 1984, videro ridursi i dipendenti dell'industria da 1800 a 1100. Nel dicembre 1987 la Afim che faceva capo a Pietro Fenotti passava all'Acciaieria Fratelli Busseni. La crisi del tondino faceva sì che dei forni di cinque aziende in funzione nel 1983, nel dicembre 1988 fosse in funzione solo quello della Afim. Nel 1907 al Crocevia di Nave Dominatore Mainetti costruiva uno stabilimento di tessitura meccanica che in breve occupò fino a 160 operai. Numerose le calchere, anche nei pressi di Conche e lungo la valle del Garza. Vi venivano cavate pietre calcaree, trasportate ancora nella seconda metà dell'800 alle fornaci di Ponte Crotte, dalle quali si cavava calce pura per usi chimici. Nel 1906 in Val Listrea, per iniziativa di Ercole Borsieri, Attilio Mutinelli e soci, si costituì la società «Pietre litografiche Listrea» per cavare dette pietre, fino allora importate soltanto da Solenhofen in Baviera e il cui valore venne confermato dal prof. G.B. Cacciamali e dall'ing. L.G. Tognoli. Fin dall'800 particolarmente apprezzata la calce contenente il 98,49 per cento di carbonato, destinata, per la sua purezza, più all'industria che all'edilizia ed utilizzata particolarmente sulla fine dell'800 e agli inizi del '900 dalla ditta Giacoletti e C. di Brescia. Altre attività si accompagnarono a quelle cartarie, siderurgiche e meccaniche. Nel 1896 veniva aperta una fabbrica di olio di ricino. Nel 1907 lavoravano calze le sorelle Lanti. Nel 1964 veniva fondata da Evaristo Pasotti la Habitat 1 per la costruzione di pannelli in panforte listellare, che nel 1974 si ricostituiva nell'Habitat 2. Varia e diffusa l'attività artigianale come il laboratorio «Monte Dragone» di Stefania Rossetti e di Nadir Bino, che produce dal 1988 bambole e cicisbei veneziani in ceramica. Nel dicembre 1985 veniva istituita una scuola/bottega per artigiani. A Monteclana si trova l'«Officina Rivadossi» (v.) dalla quale escono mobili d'autore di grande pregio. Ideati da Giuseppe Rivadossi e realizzati in legno massiccio, alcuni loro esemplari figurano in vari musei. L'«Officina Rivadossi», Architettura in legno, apre negozi a Brescia e a Milano. Segno di un risveglio economico il ripristino il 25 gennaio 1868 dell'antico mercato di Caino, poi scomparso, e il 23 marzo 1873 della istituzione del mercato di Nave che si tiene ora il martedì e giovedì. L'attività creditizia mosse i suoi passi con la Cassa rurale fondata nel 1903 e che ha avuto ultimamente notevole sviluppo. Nel 1973 raccoglieva 200 soci per lo più artigiani ed agricoltori ed aveva sportelli anche a Bovezzo e a Botticino (1987). Il 7 maggio 1989 veniva inaugurata a Nave la nuova sede. Fra i personaggi navesi si possono ricordare Valerio Paitone, Lorenzo Mazzoleni detto il Turchetto, la «beata Monaca» ossia suor Daria Collio (v. Doralice Collio), il patriota Carlo Giustacchini, l'on. Onorato Comini, il filosofo mons. Angelo Zani, lo scrittore don Pietro Monti, lo scultore Bertoli, lo studioso di storia locale Sandro Rossetti e il musicista concertista Giovanni Rivadossi.


ARCIPRETI:Anfrido (sec. XI); Milone de Navis(1275...); Giacomo de Bragis (1352...); Tommaso de Rainero (1444...); Mazzoleni (1446...); Giacomo de Segalis di Cremona (1470-1493); Giovanni de Stefanis (Stefana) (1493-1526); Tommaso Mazzoleni (1526-1581); Baldassarre Cottoni (1581-1630); Benedetto Negri (1631-1634); Antonio Riccobelli, di Bione (1634-1667); Riccobello Riccobelli (1667-1702); Bartolomeo Moreni, di Bedizzole (1703-1744); Antonio Bettinzoli, di Lodrino (1754-1785); Faustino Testori (1786-1808); Giovanni Savoldi, di Vestone (1809-1835); Giovanni Mingotti, di Gussago (1839-1850); Domenico Turinelli, di Irma (1850-1857); Giuseppe Morsi, di Pontevico (1858-1880); Domenico Pederzini, di Vesio (1881-1898); Marco Pea, di Verolavecchia (1899-1919); Bartolomeo Giacomini, di Levrange (1919-1960); Pietro Vaglia, di Idro (1960-1982); Graziano Montani, di Verolanuova (1982...).