MUZIANO Girolamo

MUZIANO Girolamo

(Acquafredda o Brescia, 1528 o 1532 - Roma, 27 aprile 1592). Il Da Cemmo, suo biografo, non ha dubbi sulla sua nascita nel 1528 ad Acquafredda, mentre come ha rilevato Luciano Anelli un non meglio noto frate N. dell'Ordine di S. Domenico, penitenziere di S. Maria Maggiore «et confessor del detto messer Girolamo» lo dice nato nel 1532. E non è da escludere una nascita a Brescia, dove lavoravano il padre e il fratello. Lo stesso fra N. sostiene che il Muziano fu «di padre milanese chiamato Messer Marco M. et di madre bresciana Madonna Cammilla Hometti, nutrito et allevato in Brescia insino in nella etade di dodici anni» e che «sentendosi stimolato da natural istinto alla pittura, et forse da Dio chiamato a questa vaga dilettevole ed onorata impresa» Girolamo si recò a Padova «dove virtù fioriscono» e fu «allievo di Francesco Pichena, più uomo di onorata virtù che artista di gran talento», il che esclude il tanto conclamato alunnato col Romanino o col Moretto come vorrebbe ancora il Da Como. Documenti riguardanti i lavori in Orvieto lo dicono d'altronde «pittore da Padova». Forse alludendo alla sua prima formazione artistica fra N. ritiene che «In Padova, comunque, egli ebbe modo di conoscere e di imitare altri e più valenti artisti: Lamberto Fiammingo (cioè il grande Sustris) tale in colorito che non haveva pari e Domenico Campagnola, valentissimo seguace del Tiziano, ottimo disegnatore e paesaggista rinomato». Non è da escludere una sua permanenza, a Venezia, dove si trovava suo fratello, Giovanni Battista, valente armaiolo (v.). A Venezia potrebbe aver conosciuto Tiziano e forse anche alcuni fiamminghi. Comunque ancora giovanetto (c'è chi vuole al seguito di Tiziano) lo troviamo a Roma e forse attraverso una via delle armi più che della pittura, anche se ad essa il Muziano si dedicò senza riserve tanto da farsi «radere non solo la barba ma tutta la testa che pareva uno schiavo da galea» pur di non subire la tentazione a uscir di casa. Si fece subito notare come pittore di paesaggi tanto da venir chiamato «il giovane dei paesi». Ma si segnalò anche per opere pittoriche soprattutto nei «santi di bronzo» cioè dipinti col colore della sabbia bruciata nella cappella Gabrielli in S. Maria in Minerva. Fra le opere più lodate fu la «Risurrezione di Lazzaro» per il Quirinale e poi dal 1570 in Vaticano nella Sala del Concistoro apprezzata da Michelangelo e commissionatagli dal cardinale d'Este. Lavorava in seguito per la chiesa dei SS. Apostoli, lavori poi cancellati. Allargando i suoi contatti con gli artisti del tempo, presto mise bottega dove ebbe discepoli Ferdinando Sernici, Cesare Nebbia di Orvieto, Bartomeo Rubeo, Francesco Branca, Giovanni di Varzecu. La conoscenza con questi e la fama acquisita lo portarono nel 1555-1556 a Orvieto dove dipinse in S. Giacomo la «Pietà», nel 1557, «Cristo che porta la Croce», la «Cattura nell'Orto», la «Flagellazione» ecc. ora nel Museo dell'Opera del Duomo. Nel 1559-1560 era a Foligno dove lasciò una bellissima «S. Elisabetta», un «Miracolo di S. Feliciano». Fu poi a Loreto dove oltre che dipinti di santi nella Santa Casa lasciò al Nebbia disegni per episodi della vita di S. Giovanni Battista. Entrato in dimestichezza con il card. Ippolito d'Este dalla primavera del 1560 lavorò per lui a Ferrara, divenendo in pratica il suo factotum, dividendosi fra Montecavallo e Monte Giordano e spostandosi poi a Tivoli dove lavorò a Villa d'Este. Qui lasciò affreschi in uno dei quali in un «Mercurio» raffigurò se stesso. Soppiantato da Federico Zuccari, ritornò a Roma corteggiato da mecenati come il card. Farnese per la chiesa di Gesù e lo stesso card. Federico Borromeo che di un «S. Antonio e S. Benedetto» copiato da Sebastiano del Piombo scrisse che «superò quell'artista». Era l'epoca della «Circoncisione» e del «S. Nicolò» per la chiesa di S. Luigi dei Francesi; e dell'«Assunta» distrutta nell'incendio di S. Paolo del 1823, mentre continuò inoltre a lavorare per Orvieto e Loreto. Il lavoro era tale che dovette impegnarsi «a non pigliare lavoro in altre pitture che in quelle che ha tra mani». Nella chiesa dei SS. Faustino e Giovita, eretta dalla confraternita dei bresciani costituitasi nel 1569, si ammirava una sua tela «Il miracolo del cieco nato»; ma il suo nome si cerca invano tra quelli dei bresciani iscritti alla confraternita. A Roma sembra abbia avuto contatti con il Bagnatore. È questo il tempo in cui si accostò con più decisione all'incisione, sfornando nel 1576, dopo anni di studi, 130 disegni delle sculture della Colonna Traiana, mentre molte sue opere vengono riprodotte dal celebre Cornelio Cort, da John Sadeler, dal Beatricetto e dal Borghegino. Con il pontificato di Gregorio XIII (1572), il Muziano trovò una nuova via maestra, quella del mosaico, di cui lasciò orme incancellabili in Vaticano specie nella cappella Gregoriana, ma anche in altre gallerie e stanze. Sorvegliandone direttamente l'esecuzione, dopo averne preparato i cartoni e aver reso anche sulla tela il pieno effetto da raggiungere con la composizione tessulare, diede alle pareti vaticane l'inusitata armonia di colori, di ombre e di semitoni che si ammirano nelle composte e pur veementi figure dei SS. Padri, nell'Angelo bellissimo e nella soave Madonna dell'Annunciazione. Intanto sorvegliava anche i lavori in istucco, in S. Pietro e nel Vaticano, inventando quel modo di tradurre le grandi pale in mosaici che le imitavano perfettamente, usando una sua specialità, molto lodata dagli antichi biografi, di eseguire uno stucco molto tenace sul quale le tesserine minute si applicavano facilmente. In tal modo spedito e pratico veniva compiaciuto il desiderio del Papa che le pitture della prima chiesa della Cristianità non fossero soggette all'usura del tempo. Per commissione di Gregorio XIII, preparava la pala per la chiesa dei cappuccini di Frascati e il «S. Francesco che riceve le stimmate» dove l'influsso fiammingo si rileva più evidente. Assieme continuava a lavorare ad altre chiese, in Roma e fuori. Intanto si era creato una famiglia, sposando un'Ortensia Rossi, e si dedicava ad opere di bene e di cultura, promuovendo nel 1577 l'Accademia di S. Luca alla quale legò il reddito di tre case, fra le parecchie ch'egli possedeva. Una cospicua fortuna egli aveva accumulato con gli anni, per sé e per i figli; possedeva vigneti e cave di pozzolana. Gli è inoltre attribuita la fondazione di un ospizio per artisti poveri. Nel settembre 1589 otteneva la cittadinanza romana. Il Muziano, come dimostra la sua ricca biblioteca elencata nel suo testamento del 12 aprile 1592, fu anche uomo di lettere, cultore della musica. Morendo lasciò molte opere incompiute completate poi da allievi e discepoli e specialmente da Cesare Nebbia e Paolo Bril dando così il via a dubbi e perplessità nelle attribuzioni. Ebbe l'onore di essere sepolto in S. Maria Maggiore a Roma, con la seguente epigrafe: / Hieronymo Mutiano brix. civi rom. no pingedi / magis arte qvam vitae probitate clarissimo / idem enim Gregorio XIII pont. max. cvivs sacellvm / in vaticana basilica musivo princeps opere / exornarat carissimvs fuit / et a S.P.Q.R. ob insigne morum integritatem rom. / civitate donatvs est / obiit die XXVII apr. an. M.D.LXXXXII / et Hortensiae ursae eius uxori et Victoriae filiae / socero socrui et uxori cariss. / Thomas Tetius moerens /an. M.DC. ». Nel Bresciano è a lui attribuita la sola «Assunta» di Acquanegra, restaurata recentemente. Altri gli attribuiscono con molti dubbi anche la decorazione della cupoletta di S. Girolamo in S. Maria delle Grazie a Brescia. Fu anche ritrattista di valore come dimostrano ritratti di Vittoria Colonna e di Ignoto negli Uffici a Firenze. Dipinti suoi sono in musei famosi quali l'Escorial di Madrid («La figlia di Giairo»), il Louvre di Parigi («Incredulità di S. Tommaso»), l'Accademia Albertina di Vienna («Ingiunzione a un vescovo di adorare idoli» e «Gruppo ascoltante»: disegni), nonché collezioni a Roma (Galleria Borgese: «S. Francesco»), a Napoli (Museo: «S. Francesco»), per non dire di chiese varie romane (S. Maria degli Angeli, S. Maria in Vallicella, S. Caterina e i SS. Cosma e Damiano, S. Caterina de' Funari) dove rivivono episodi della vita di Cristo: dalla «Fuga in Egitto» fino alla «Deposizione». Numerosi ed apprezzatissimi i suoi disegni. Ad Acquafredda gli è stato dedicato nel 1978 un premio di pittura.