MARTINENGO PALATINI

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MARTINENGO PALATINI

Discesero da Giovanni qd. Marco, qd. Gerardo I, qd. Pietro, qd. Prevosto, attraverso: Giovanni, Ercole, Teofilo I, Annibale II, Carlo II, Teofilo I, Curzio II, Teofilo III, Curzio III, Carlo III, Curzio IV, Curzio V e Ignazio estinguendosi con la morte di questi nel 1852. Si chiamarono Palatini per il titolo di conte palatino (o di palazzo) attribuito ad Annibale qd. Giovanni dall'imperatore Massimiliano il 27 novembre 1497, titolo riconfermato al conte Curzio e fratelli e alla loro discendenza il 20 maggio 1556 dall'imperatore Carlo V. Avendo Venceslao II (1730-1780) qd. Carlo III sposato Marianna di Giovanni di Villachiara e di Villagana, ed essendo andato ad abitare nel palazzo della sposa di corso Vittorio Emanuele, i suoi figli aggiunsero al predicato Palatini i due predicati di Villachiara e di Villagana. Più tardi vennero chiamati con l'ultimo nome: Martinengo-Villagana. Da due figli di Venceslao I qd. Carlo III, qd. Curzio IV, discesero due rami: uno da Carlo IV attraverso Teofilo IV e Leonardo II; l'altro da Leonardo I, Giovanni Francesco, Giovanni, Leonardo III, Giovanni, Leonardo IV. I conti Martinengo Palatini ebbero possedimenti in Orzivecchi, Zurlengo, Gerolanuova, Pompiano, alla Cerudine di Orzivecchi, a S. Eufemia della Fonte, sui Ronchi di Brescia, a Sulzano, Peschiera, Pilzone, Paratico, Adro, Ovanengo, Acqualunga, Orzinuovi, nel Cremonese (il castello di Do) oltre che case in Brescia, e la villa suburbana ora villa S. Filippo.


PALAZZO Palatini (INAIL), Piazza Mercato, 15 - Nella prima "edizione" venne costruito da Teofilo Martinengo Palatini, di Ercole e di Isabella Martinengo da Barco, sulla fine del '400 su un'area che Giovanni Martinengo qd. Marco aveva incominciato a comperare sul sedume o terraglie delle antiche mura fin dal 1457 e su altre aree di case ed orti e una torre acquistate in seguito dai Gambara e da altri ancora, così da coprire un vasto spazio compreso fra piazza delle Erbe, corso Palestro, via Fratelli Porcellaga e il vicolo detto «volt dell'asen». L'attuale palazzo invece venne costruito da Teofilo III di Curzio II (n. nel 1633) dal 1672 circa. La fabbrica andò a rilento e venne proseguita dal figlio Curzio III e finita nel 1710. Nel 1715 il Quaglio eseguiva gli affreschi della sala di Apollo. L'ultimo proprietario fu il conte Venceslao (n. nel 1804 e morto nel palazzo nel 1874) che lasciò il palazzo al Comune di Brescia. Il Municipio vi sistemò gli uffici dell'Annona e dell'Igiene, l'Istituto musicale Venturi e la grande sala Apollo per molto tempo sede di concerti. Nel 1928 il Comune vendette il palazzo alla Cassa Nazionale Infortuni e questo Istituto vi compì nel 1931 radicali restauri. Negli anni Trenta divenne sede della Federazione fascista. Dopo il bombardamento del 1944, che ha demolito la parte sinistra della facciata, si resero necessarie nel 1946 nuove opere di ricostruzione eseguite a cura dell'INAIL. Nel 1984 il palazzo venne destinato a sede del Rettorato, degli uffici amministrativi dell'Università di Brescia e di parte della facoltà di Economia. Fausto Lechi afferma che dal punto di vista della linea architettonica esteriore è senz'altro il più completo ed armonico di quanti palazzi sorsero in quel torno di tempo in Brescia. L'architetto non volle imporsi con la massa a linea uniforme, che si addiceva alle costruzioni allineate lungo il lato delle strade, ma, trovandosi davanti lo spazio libero della piazza, preferì, con molto gusto, dare movimento alla linea del suo progetto elevando di molto il corpo centrale sui due laterali e variamente adornandolo. La facciata divisa in tre scomparti, incorniciati da marcapiani e da paraste bugnate in pietra, scrive il Lechi, "è tutta molto interessante". Ogni apertura è adorna di pietre lavorate, il portale molto ricco, il balcone sostenuto da colonne con capitelli fonici con balaustre dai corpi sagomati e pilastri terminali con trofei d'armi, e adorni a metà da festoni sostenuti da una testa di leone, tale da creare, come scrive il Lechi, un motivo unico nel Bresciano. Le finestre dei tre scomparti sono ornatissime con volute, davanzali, stipiti bugnati. La parte centrale è legata ai due scomparti laterali con due volute di pietra e porta in alto un fastigio che termina con due belle statue di Santo Callegari il vecchio, rappresentanti Marte e Minerva. Il ricco cornicione, con le sue mensole ornate a stucco, è un po' la firma dell'architetto che disegnò altri palazzi bresciani. L'atrio, ora molto trasformato, è formato da otto colonne toscane di marmo, accoppiate e alte sul plinto che sostengono le semplici volte a crocera dei sei scomparti. Quattro porte, dagli stipiti molto ricchi, decisamente barocchi, si aprono sull'atrio. Tutto attorno al cortile girava un porticato di dodici campate dalle colonne toscane oggi murate, ma visibili. Di fronte all'ingresso il portico è interrotto da un androne dall'arco semiacuto che doveva addurre alle scuderie. Al primo piano le finestre sono semplici, senza cornice; infine il cornicione con le mensoline scolpite. Lo scalone che nel 1931 ha sostituito quello primitivo, porta al primo piano, dove tutto è stato cambiato salvo parecchie porte con gli stipiti in marmo, il grande salone centrale chiamato salone Apollo con la volta dipinta in cui è rappresentato Ercole accolto nell'Olimpo, e cornici lavoratissime che raccolgono gli affreschi di Giulio Quaglio, raffiguranti la vita di Alessandro il Macedone. Nel grande pannello della parete a S, andata distrutta per il bombardamento, sembra si sia voluto raffigurare Alessandro che, ai piedi della statua di Apollo, ordina di gettare sul rogo Besso, usurpatore del trono di Dario; Besso aveva fatto uccidere Dario e si era proclamato re della Battriana. Sulla parete di fronte, a N, Camillo usa clemenza verso le donne dei Faleri che gli portano le chiavi della città conquistata. Nella parete O vi è dapprima Muzio Scevola dinnanzi a Porsenna e poi una scena di donne che piangono sopra la tomba di un eroe, forse di Alessandro (la figura centrale potrebbe essere Rossana la giovane sposa). Sulla parete E vi è forse l'incontro di Alessandro con Rossana figlia di Ossarte, capo di Battriana, una fortezza della Persia appena conquistata. Infine l'ultimo pannello si pensa voglia rappresentare il castigo di Tebe dopo la rivolta del 235 a.C. mentre la statua di Giove assiste impassibile all'eccidio. Il 10 settembre 1898 nel cortile del palazzo venne inaugurata una lapide, opera dello scultore Pezzoli, al musicista Antonio Bazzini.