MARTINENGO COLLEONI Alessandro (2)

MARTINENGO COLLEONI Alessandro

(1603 - 1675). Di Gian Estore III e di Barbara di Antonio Martinengo di Padernello. Desideroso di istruirsi e di farsi strada, nel 1620 ottene la emancipazione. Viaggiò in Francia, nelle Fiandre e in Germania, manifestando un carattere iracondo e impetuoso. In Fiandra ebbe contese e sfide col Conte Teobaldo Visconti, capitano d'armati. Passò allora ad Anversa, indi a Nancy, poi in Germania e nel ritornare in Italia ebbe altre contese con ufficiali del marchese Spinola. Fu a Padova a studiare giurisprudenza ma non finì gli studi e ritornò a Bergamo. A proprio interesse assunse una impresa in Val Seriana, ma vi compì atti di così inaudita prepotenza che venne bandito dal Consiglio dei Dieci. Appena scoppiata la guerra di successione nel Ducato di Mantova, egli offrì la sua opera alla Repubblica, che l'accettò liberandolo dal bando e mandandolo a Mantova, dove il Duca di Nevers lo nominò nel 1628 Maestro di campo di fanteria. Come tale si distinse contro gli Austro-Ispani, i quali però vinsero e fecero pagare con crudeltà la loro vittoria. Alessandro si salvò con la fuga e riparò a Venezia, e venne nominato Commissario per la difesa dei confini bergamasco e valtellinese. Adempì ai suoi compiti con grande sollecitudine e operosità, e si distinse specialmente durante la terribile pestilenza del 1630 come commissario alla sanità. in Valle Seriana. Innamoratosi della bellissima, ricchissima e licenziosa Camilla Fenaroli, vedova di Sansone Porcellaga, nel carnevale 1630, entrò in rivalità amorosa con il conte Camillo Martinengo Cesaresco, scambiando con lui cartelli di sfida in versi e obbligando i Rettori veneti a proibire quegli esercizi poetici e a intimargli di non muoversi da Bergamo. Le nozze nel 1631 con la nobile Giulia Olmo di Bergamo e la condanna del rivale a 3 anni di confine, sembrarono acquietare i dissidi. Specie dal 1633, alternò la sua residenza fra Brescia, Malpaga e il castello di Scarpizzolo, a lui pervenuto dai Maggi e che era diventato un covo di gente scapestrata e malandrina, compresi i numerosi bravi che colà teneva il conte, nel quale si erano risvegliati gli antichi spiriti di prepotenza e di violenza. Senonchè nel settembre 1663, saputa della liberazione del conte Camillo e timoroso che riprendesse i rapporti con la Porcellaga, partì da Malpaga a cavallo con venticinque armati fino ai denti, entrò in Brescia da porta S. Giovanni e all'angolo di via del Pesce (ora via Marsala), ingaggiò una vera battaglia con il conte Camillo e due altri gentiluomini. La reazione degli aggrediti lo costrinse a ritornare a Malpaga con i suoi. Per l'impresa venne multato di 100 ducati. Ma poco dopo venne accusato di aver fatto ammazzare dai suoi "buli", per averne subito l'eredità, il nob. Troiano Calzaveglia, un giovane di vent'anni al suo servizio, che colpito da bando, prima di emigrare all'estero aveva fatto testamento in suo favore. Sospettato come mandante dell'omicidio, emigrò e fu nuovamente bandito in contumacia, con sentenza di morte 13 luglio 1634, e l'ordine di radere al suolo il suo castello di Scarpizzolo. Le sorelle di Troiano Calzaveglia e gli Avogadro, nemici acerrimi del conte, si incaricarono della esecuzione di questo ordine. Rimase 42 anni in esilio emigrando fra Venezia (dove fu presso l'ambasciatore francese) Ravenna, Ferrara, Bologna e Roma senza poter mai ottenere il perdono con ogni mezzo invocato e fatto invocare al Senato, per il timore che se fosse tornato avrebbe compiuto rappresaglie contro i suoi nemici che a più riprese avevano tentato di farlo uccidere. Nel 1636 passò a Cremona nel convento degli Zoccolanti; nel 1637 andò a Faenza, indi a Milano, dove prese servizio come capitano di cavalleria spagnola; nel 1639 grazie ad un salvacondotto prese stabile dimora in Caravaggio, dove si fabbricò un palazzo e dove strinse amicizia con Bernardino Visconti di Brignano nel quale molti identificano l' "Innominato" dei "Promessi Sposi". Ottenne di poter tornare nell'esercito veneto per la difesa dei confini verso Ferrara e combattè valorosamente a Lagoscuro. Ma finita la guerra, non ebbe, come sperava, la sospirata amnistia e ritornò all'esilio di Caravaggio, dove gli anni e gli acciacchi piegarono il suo animo ribelle verso i casti pensieri della tomba. Visitava frequentemente la chiesa di S. Bernardino dei Frati Minori in Caravaggio e vi fece fabbricare a sue spese una cappella che fosse pure il suo sepolcro. Morendo, raccomandò ai suoi fedeltà e amore alla Repubblica Veneta. Sulla sua tomba venne posto la seguente epigrafe che certo non rispecchia la sua vita turbolenta. «CINERES / ALEXANDRI COMITIS MARTINENGI / DE COLLEONIBV SVB HOC MARMORE CONDVNTVR / QVI / REBVS IN ADVERSIS / MAXIMVM VIRTVTIS PATIENTIAE ET LABORIS / SPECIMEN POSTERIS RELIQVIT / ET SVCCESSORIBVS QVIETIS LOCVM / ANNO AETATIS SVAE LXXII / ERAE CHRISTIANAE MDCLXXV». Dalla prima moglie Giulia Olmo di Bergamo (m. a Cavernago il 2 sett. 1652 e sepolta alla Basella) ebbe due figlie: Barbara e Maria; dalla seconda, Angela Forni, il figlio Giovanni Estore IV e la figlia Emilia. Aveva posseduto una galleria d'arte, confiscata però con gli altri beni dalla Camera ducale, ma la moglie volle tenere per sè un dipinto che le era particolarmente caro, cioè la "Schiavona" di Tiziano, e nonostante le ingiunzioni delle autorità venete perchè venisse consegnato, venne tenuto nascosto fino alla caduta della Repubblica veneta: per eludere ogni possibilità di sequestro la "Schiavona" divenne la Regina "Caterina Cornaro".