GAUDENZIO, S.

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GAUDENZIO, S.

È il IX vescovo di Brescia, computando nella serie anche S. Anatolio, compreso tra i Santi Filastrio e Paolo I, detto poi Paolino; XII tra i presunti diciannove officianti in Sant' Andrea. Il Faino lo computa XI dei vescovi bresciani. Gradenigo, Brunati, Barchi, Onofri e gli Annuari Diocesani IX; Savio, Lanzoni e Guerrini l'VIII. Cronologia: L'Ughelli ne protrae l'episcopato fino al 427, con esso il Labbe, il Faino lo pone tra il 385 e il 424, nel qual' anno sarebbe morto al 26 ottobre; il Gradenigo lo pensa tra il 387 circa e il 410 e in quest'ultima data che segnerebbe quella della morte, concorderebbero anche Luigi Sebastiano Tillemont e il Gagliardi; il Brunati segna gli estremi nel 390 e 410; il Barchi e anche l'Onofri concordano nel 387 circa; il Savio lo vede tra il 390 e il 406; il Guerrini dal 390 al 410, e gli Annuari Diocesani dal 387 al 411. I due martirologi, assegnano alla festa di S. Gaudenzio il 25 ottobre in concorrenza colla celebrazione universale dei Santi Crisanto e Daria, onorati un tempo in una basilichetta tra le due cattedrali di S. Pietro de Dom e S. Maria Rotonda. Alla festa del 25 ottobre, il Martirologio Bresciano aggiunge altri due richiami. Il primo è alla terza domenica di gennaio per la festa strettamente locale a S. Giovanni di città, della quale non se ne sa di preciso l'origine e le ragioni, se non forse nel richiamo del 22 gennaio, ricorrenza dell'omonimo S. Gaudenzio di Novara. Il secondo richiamo martirologico si ferma al 9 luglio per commemorare la solenne traslazione interna promossa per S. Gaudenzio e i Santi Teofilo e Silvia e attuata con un solenne percorso per le vie della città il 9 luglio 1506. Con tutta probabilità Gaudenzio nacque nel territorio bresciano se non in città. Nella Riviera bresciana è viva la tradizione, raccolta pure dall'abate Brunati, nelle Vite dei Santi bresciani, che S. Gaudenzio sia appartenuto a una famiglia emigrata da Roma e stanziata a Gaino di Toscolano. È storicamente accertato infatti che tra le famiglie dell'Urbe accorse sul lago tra Maderno e Toscolano subito dopo la conquista vi furono, oltre la celebre Nonia Arria che costruì le ville di Benaco, mutato allora in Toscolano e di Urago Mella, la Rufina, la Minicia, la Roscia, la Sulpicia, la Severa, la Gaudenzia e la Volusia. Successo a S. Filastrio, S. Gaudenzio ne era prima stato discepolo o figlio spirituale, e forse anche il suo arcidiacono, tanto è vero che Gaudenzio chiamò Filastrio suo padre, certo poi fu di lui affezionato panegirista nelle sue numerose commemorazioni anniversarie, tanto che gli si volle attribuire anche l'inno ritmico saffico acrostico in lode del Santo. Forse ne fu anche canonizzatore perché il culto di Filastrio incominciò dopo la sua morte o poco dopo, rimanendo a lungo l'unico "beatus" negli elenchi episcopali. S. Gaudenzio fu il fondatore della cattedrale suburbana che denominò, per le molte reliquie da lui ripostevi, "Concilium Sanctorum o Raduno di Santi" e che poi, per la sua ubicazione nel suburbio fu chiamata S. Giovanni de Foris, o, in pomario o anche della "Porta Orientale o Milanese", così come S. Andrea era della "Porta Orientale" e S. Faustino ad sanguinem della "Porta Meridionale". Il santo vi avrebbe aperto anche un ospedale parrocchiale che si chiamò appunto "Ospedale di S. Gaudenzio". Fu vescovo di Brescia per circa 20 anni contemporaneo a S. Ambrogio di Milano, S. Zeno di Verona, S. Vigilio di Trento. Senza dubbio fu del clero diocesano, perché nel discorso del XIV Anniversario di S. Filastrio afferma di essere "minima eius operis pars". Da diacono, o fors'anche già prete nel 386 C., partì in pellegrinaggio per la Terra Santa. Attraversando la Cappadocia si fermò a Cesarea, visitandovi due nipoti di S. Basilio Magno, ormai vegliarde e preposte ad un monastero di Sante Vergini, e da loro, come affermò nella consacrazione di S. Giovanni, ebbe in dono delle ceneri dei Quaranta martiri di Sebaste, già regalate ad esse dal loro grande parente S. Basilio. Probabilmente in quello stesso viaggio raccolse anche le reliquie di S. Giovanni Battista, sepolto a Sebaste; di S. Andrea Apostolo e S. Luca Evangelista trasferite a Costantinopoli; di S. Tommaso Apostolo, seppellito in Edessa di Mesopotania; dei Santi Gervasio ed Protasio, martiri ambrosiani, dei Santi Sisinio, Martirio e Alessandro, uccisi il 29 maggio 397; eccezionale complesso di sacri resti da lui deposto nella basilica del "concilium sanctorum" quando ne fece la consacrazione. È probabile ancora che in tale occasione conoscesse a Gerusalemme la santa vergine Silvia, sorella di Rufino, prefetto di Oriente, Rufino di Aquileia, Palladio, autore della Storia Lausiaca, e a Betlemme S. Girolamo. Ebbe certo un'ottima preparazione culturale, umanistica e religiosa. Secondo il Brontesi che abbia potuto seguire il curriculum completo degli studi allora in uso, sembra suggerirlo la perfetta conoscenza che ha della lingua greca e dell'arte retorica. Il Brunati e altri, appoggiandosi alla lettera di ringraziamento del Crisostomo dopo la prigionia di Attiria pensano che Gaudenzio abbia conosciuto in Antiochia il santo ancora diacono o prete (fu ordinato nel 386); la lettera però non vi ha degli accenni precisi che lo possano comprovare. Mentre Gaudenzio viaggiava in Oriente, alla morte di S. Filastrio, clero e popolo, appoggiandosi ai meriti del grande assente, senza badare all'età che il Santo dice "immatura" lo elessero successore, approvati in ciò dal Metropolita S. Ambrogio e dagli altri vescovi coprovinciali. Gaudenzio, pur dicendosi commosso e riconoscente, protestò respingendo l'elezione. Allora i Bresciani si obbligarono con giuramento a non scegliere altro pastore e persuasero S. Ambrogio e i corregionali a spedire al Santo attraverso una delegazione bresciana il comando di accettare, pregando per di più i vescovi d'Oriente a negargli la loro comunione (e cioé a scomunicarlo), se non volesse aderire alle sollecitazioni ricevute. Gaudenzio dovette cedere e tornare a Brescia. Nel giorno della consacrazione episcopale, avvenuta tra il 385 e il 397, probabilmente nel 396, per le mani di S. Ambrogio, e, dice il Guerrini, forse nell'antica cattedrale di S. Andrea al Rebuffone, dov'era allora la residenza vescovile, fu dal metropolita e dagli altri vescovi presenti pressato a parlare al suo popolo e quel sermone, venne felicemente conservato da quei stenografi che poi abitualmente presenti ai suoi discorsi, ce li poterono fortunatamente raccogliere e trasmettere obbligando il santo a rivederli e a volte a sconfessarli. Anche S. Ambrogio lo volle a Milano e ve lo fece parlare due volte ai fedeli, di cui una nel solenne giorno degli Apostoli Pietro e Paolo. Da Milano il santo portò probabilmente le reliquie dei Santi Gervasio e Protasio, scoperte il 396 e anche quelle di S. Nazaro, rinvenute il 392-393, e dei Santi Sisimio e Alessandro, martirizzati in val di Non nel 397. Presso l'amico Benevolo, a cui si deve il merito di aver conservato la maggior parte dei discorsi gaudenziani, S. Gaudenzio tenne, in adunanze quasi private, quattro Trattati o Sermoni su alcuni capitoli del Vangelo. A quello stesso anno risale il discorso della festa dei Maccabei. Un altro discorso sui 40 martiri di Sebaste tenne in occasione della consacrazione della Chiesa "Concilium Sanctorum" avvenuta negli anni 400- 402 e nella quale egli pose le reliquie (onde il nome Concilium sanctorum) raccolte in diverse parti del mondo. Sembra che tale basilica sia frutto della ammirazione di Gaudenzio per l'azione pastorale di Ambrogio e sia segno di una parentela spirituale da tempo esistente fra la Chiesa di Milano e quella di Brescia. I suoi discorsi rilevano la tristezza e la tragicità dei tempi dominati dalle invasioni barbariche di Unni e Goti e più tardi delle rovinose calate di Alarico coi suoi Visigoti (404) e di Radagasio (406) che devastarono Brescia e, secondo alcuni, il tempio di Vespasiano ma gettarono anche luce sulla società bresciana del tempo, sfrenata nel lusso, da un lato e dall'altro, miserrima, sempre soggetta all'incertezza di un domani difficile e avida di conoscere le verità divine. Delle annuali commemorazioni del suo antecessore, per il quale S. Gaudenzio non cessava di scoprire nella vita di lui nuovi motivi di encomio, non abbiamo che il XIV discorso che coi pochi accenni di quella della consacrazione, rimane l'unica preziosa fonte biografica di S. Filastrio. Nel 404, la notte del sabato santo e poi a Pasqua e in tutti i giorni dell'Ottava recitò quei discorsi che vanno sotto il titolo di Sermoni Pasquali. Di questi, che Benevolo non aveva potuto ascoltare perché ammalatosi, e che tuttavia implorava di conoscere e di quello sui Maccabei e dei quattro capitoli del Vangelo, Gaudenzio formò una raccolta di quindici discorsi da lui riveduti nella sua forma brillante e cristallina, nonostante la profonda dottrina teologica, e glieli indirizzò con una lunga lettera, dove, indicandogli il S. Giobbe, si studia di confortarlo santamente nell'infermità. In un'altra lettera a Serminio, spiegò la parabola del fattore infedele, e in una terza a Paolo suo diacono, successore e fratello "carnis de spiritus cognatione carissimus" che allora era forse lontano da Brescia, commenta le sconcertanti parole "Mio Padre è maggiore di me". Abbiamo così complessivamente diciannove sermoni o trattati e tre lettere, la cui edizione critica più accurata e migliore restò, fino al 1898, quella del 1738, dovuta all'illustre canonico della cattedrale bresciana Paolo Gagliardi, e a superare la quale attese, con più moderni criteri comparativi dei vari testi e con lunghi studi, il prof. Don Ambrogio Glück dell'Accademia di Vienna, pubblicando nel 1936 un testo ormai insuperabile e definitivo entro il celebre Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum di quella stessa Accademia. Per questa sua alta personalità e per essere morto poco dopo la versione delle Recognizioni di Clemente da parte di Rufino, si crede che sia lui quel Gaudenzio "nostrorum decus insigne doctorum" a cui Rufino l'avrebbe dedicata. Non così invece la versione delle omelie di Origene, sull'epistola ai Romani, perché se Rufino ricorda la dedica delle "Recognizioni" a Gaudenzio, non dice di avervi poi aggiunta anche la traduzione di Origene. Lo storico greco Palladio nella sua vita di S. Giovanni Grisostomo nota il seguente clamoroso episodio della vita di S. Gaudenzio che il Brunati, seguendo il Tillemont, il Gagliardi, il Gradenigo e la Stilting identificano in Gaudenzio bresciano. La fama del Santo, originata dalla sua profonda competenza teologica e scritturistica, dalla nota eloquenza, dalla conoscenza della lingua greca e dai suoi contatti colla Chiesa Orientale e colla scuola teologica greca, lo fece nel 406 incaricare da Papa Innocenzo I, dal Concilio dei vescovi italiani adunati dal Papa, di portare, insieme ai vescovi Emilio di Benevento, Mariano, Citegio o Cetegio di ignota sede e un quarto anonimo e ai due sacerdoti Valentiniano e Bonifacio, una lettera papale, con altre di Venerio vescovo di Milano, di Cromazio vescovo di Aquileia e di Onorio imperatore di Occidente al fratello suo l'imperatore Arcadio per indire un Concilio universale a Tessalonica, allo scopo di giudicare il caso del Grisostomo, che Arcadio, per istigazione della moglie imperatrice Eudossia, aveva fatto deporre ed esiliare. Salpati nella primavera del 406, giunti ad Atene, venne loro impedito di recarsi a Tessalonica e condotti a forza ad Atira, un castello della Tracia, dove vennero tentati con l'oro perché riconoscessero Attico, il vescovo intruso di Costantinopoli e depredati delle lettere papali. Le pressanti, lunghe implorazioni dei prigionieri ottennero, nell'intenzione evidente di mandarli alla probabilissima morte più che alla libertà, di essere scarcerati e affidati per il ritorno a una nave avariata, destinata al naufragio quasi certo. L'imbarcazione arrivò invece a Lampsaco (Asia Minore, sulle sponde dell'Ellesponto) e di là i reduci, con un mezzo migliore, proseguirono veleggiando per Otranto e poi per Roma per riferire a Papa Innocenzo lo sfortunato esito della loro fallita missione. Il rapporto sulle peripezie di questo viaggio che si legge presso Palladio, biografo del Grisostomo, sarebbe stato scritto da S. Gaudenzio. Giovanni Crisostomo, in cinque lettere, ringrazia i vescovi latini della loro fatica, ma non si riesce a vedere quale sia diretta a Gaudenzio. È invece sicuramente rivolta a lui la CLXXXIV, in cui il santo esprime sentimenti di ammirazione e di ringraziamento al vescovo bresciano. A Gaudenzio, che con S. Silvia aveva sollecitato il lavoro, Rufino d'Aquileia dedicava, poco prima della sua morte la traduzione delle "Recognitiones Clementinae". È ignoto l'anno preciso della morte di S. Gaudenzio. Il Labus e l'Ughelli la differiscono al 427, ma Tillemont, Gagliardi, Gradenigo preferiscono l'anno 410 sul suo finire e al più ai primi del 411 come precisa il Brunati, perché i quarant'anni che passerebbero con queste ultime date per i quattro vescovi, tra S. Gaudenzio e quel S. Ottaviano che troviamo sottoscrivere nel 451 la lettera sinodica del Concilio di Milano, sarebbero già pochi e insufficienti, ma i ventiquattro che risulterebbero dalla cronologia dell'Ughelli diventerebbero poi addirittura inammissibili. Alcuni attribuiscono al Santo (nel 383), piuttosto che a S. Ursicino (nel 320) anche la basilica del S. Salvatore sotto il colle. Com'è facile capire S. Gaudenzio è uno dei santi vescovi bresciani più ricordati nei calendari e martirologi e nelle litanie degli antichi libri liturgici manoscritti superstiti: da quello del sec. XI, accennato dal Gradenigo, all'officio diurno della chiesa di S. Faustino Maggiore del sec. XV. Anche le litanie ricordano S. Gaudenzio: quelle del sec. XIII dell'Ordo ad visitandum infirmum della Chiesa Bresciana, altre in una pergamena del sec. XIV, nei Fragmenta liturgica di Bologna; due nelle schede del Doneda. Benché questi libri liturgici dell'antichità bresciana ricordino S. Gaudenzio e il suo nome risuoni nelle litanie rogazionali del Capitolo della Cattedrale, quando la processione staziona a S. Giovanni ed egli sia uno dei soli due vescovi iscritti nelle file ufficiali dei Padri della Chiesa Cattolica, il Santo, non si sa il perché, ebbe tuttavia un culto inferiore ai Santi Apollonio e Filastrio. Infatti in Brescia non ci fu una chiesa dedicatagli e nella diocesi non c'è che Monti di Rogno che lo festeggi come titolare e Malonno che lo onori nel sacello del cimitero. Fuori diocesi, a Ostiano, lo si solennizzava un tempo, anche con una sua fiera, nella IV domenica di ottobre, finché quella festa venne trasformata nel culto di un oscuro martire locale omonimo, ritenuto corepiscopo del sec. IX. Varie e gravi vicende spogliarono S. Giovanni delle sue numerose reliquie insigni, depositatevi dal santo Fondatore. Fortunatamente sopravvissero però i sacri resti dei Santi Gaudenzio, Teofilo e Silvia, che già rinchiusi in tre eleganti urne furono, come ne parla nel 1595 anche il Libro delle Provvisioni cittadine, portati con grande apparato e processione per le vie della città la domenica 9 luglio 1595, di cui fu promotore il musico e agiografo p. Floriano Canali. A solennità chiuse i venerati resti furono riposti sotto l'altare della stessa loro cappella, mentre le teste vennero collocate in tre busti d'argento che si esponevano all'altare di S. Gaudenzio nei giorni delle loro relative festeggiate solennità. Nel 1602 le sacre ossa vennero trasferite ad altro altare di S. Giovanni detto dei Corpi Santi o delle Reliquie, il quarto a destra entrando, fiancheggiante l'artistica cappella della Madonna del Tabarrino, ampliato e abbellito per l'occasione e internato in una piccola cappella absidata che ora, pur servendo da ripostiglio, conserva ancora due medaglioni quattrocenteschi coi profeti Isaia e Geremia, nei peducci del catino, a commento di un altare coll'antico Crocifisso locale in venerazione, prima dei Santi ricordati, e denuncia tracce superstiti di decorazione alle pareti. Nella basilica gli venne dedicato assieme a S. Teofilo e S. Silvia un altare, posto sopra la tomba che pare fosse stata da lui stesso scelta. Nell'ancona dell'altare, assieme a molte altre reliquie vi è anche il teschio di S. Gaudenzio. Al santo vennero dedicate le parrocchiali di Monti di Rogno, di Paspardo e quella nuova di Mompiano di Brescia, oltre un oratorio a Muslone. Al santo dedicò una bella statua in Duomo Nuovo lo scultore Antonio Callegari. Polemista efficace specie contro gli ariani, i manichei e gli idolatri, Gaudenzio fu oratore poderoso di sicura dottrina e chiarezza di pensiero anche se a volte tradisce la tendenza a ricercare l'effetto, con una certa carenza di interiorità e di fantasia. I suoi temi teologici principali sono l'eucarestia, la fede, la Chiesa, la divinità del Cristo, specie in polemica contro gli Ariani (Cristo si disse "omousion" al Padre) e, intimamente collegata, la verginità di Maria antecedente, concomitante e conseguente al parto. Cristo nel Battesimo chiama il cristiano, il quale deve rispondere in piena libertà ingaggiando la lotta contro le forze del male presenti in lui (concupiscenza) e fuori di lui (mondo e demonio), e vivendo su questa terra "velut hospes et peregrinus", nella condizione di "nullatenente" insistente è il tema del distacco dai beni di questa terra. Una risposta particolarmente generosa a tale chiamata è data dal martirio (che egli stima moltissimo come dimostra il suo culto per le reliquie) e dalla verginità. È suggerita la continenza ai neofiti già sposati con la prospettiva di una grande ricompensa. Il singolare fondamento della verginità è il Battesimo: sarebbe bello conservare la propria carne, qual'è rinata dal fonte battesimale. Su questo tema è chiaro l'allinearsi con la predicazione di S. Ambrogio. Maggior insistenza è a proposito della castità. Per quanto riguarda l'uso della Sacra Scrittura, è facilmente documentabile un netto indirizzo alessandrino (allegoria), anche se in Gaudenzio l'equilibrio innato e la vicinanza con forti tradizioni (esegesi occidentale antica) hanno il loro influsso che, in certi trattati, è preponderante. Di Gaudenzio possediamo una Prefazione indirizzata a Benevolo e ventuno Trattati. Il Gagliardi (Collectio Veterum Patrum Brixianae Ecclesiae, Brescia 1738, pp. 185-379; cf. PL, XX, coll. 827-1002) preferisce chiamarli Sermoni, pur accettando la denominazione di Trattati; ma A. Glück, a ragione, sostiene nei suoi Prolegomena, che lo stesso Gaudenzio volle che i suoi discorsi fossero chiamati Trattati. Pressato da Benevolo che, ammalato non ha potuto intervenire alle solennità pasquali del 404, Gaudenzio gli manda i dieci Sermoni da lui pronunciati nella basilica durante la settimana di Pasqua (Tr. I-X). Otto sono un commento al capitolo 12 di Ex., in cui Dio dà prescrizioni intorno al modo di mangiare l'agnello prima della partenza dall'Egitto; due, sono un commento al miracolo di Cana. A questi ne aggiunge altri cinque (Tr. X-XV), che Benevolo già possedeva, ma che desiderava fossero rivisti e corretti dall'autore stesso (Praef. 10-11, pp. 4-5), e che hanno per argomento: il Tr. XI, l'episodio evangelico del paralitico (+ Io. 5: il segno + indica che il testo scritturistico usato da Gaudenzio è diverso dal testo della Volgata), il Tr. XII, la spiegazione della frase di Gesù: "Nunc iudicium est huius mundi" (+ Io. 12,31); segue il discorso tenuto nel giorno del Natale del Signore, che è una requisitoria contro la insipienza dei ricchi che sperperano il danaro in pazzie, mentre non sanno donare nulla ai poveri affamati; il Tr. XIV riguarda la promessa della missione dello Spirito Santo fatta da Gesù (+ Io. 14); nel Tr. XV viene ripreso l'Antico Testamento: i martiri Maccabei. Poiché questi Trattati sono diretti a una persona che soffre, gran parte della Prefazione (12-54, pp. 5-15) è una trattazione sul perché della malattia e del dolore. Ci restano infine altri Trattati dovuti alla diligenza di stenografi del tempo, detti notarii (cf. C. Gauthey, Sanctus Gaudentius Episcopus et Notarii, in Brixia Sacra, VII,1916); questo studioso fa notare come al contrario d tanti Padri, Gaudenzio non accetti la paternità di questi scritti per la sua modestia e per timore che vengano divulgate sotto suo nome dottrine ereticali: sono i discorsi tenuti nel giorno della sua consacrazione episcopale (Tr. XVI) e della dedicazione della basilica del Concilio dei Santi (Tr. XVII). I codici più antichi e più autorevoli non si trovano a Brescia, ma fuori della città e dell'ambiente che avrebbe dovuto conservare con maggiore cura il culto, non soltanto liturgico, ma soprattutto intellettuale del suo illustre Vescovo. Il primo codice, membranaceo del secolo IX, appartiene alla biblioteca capitolare di Reims, e contiene trattati di Origene e di S. Gaudenzio; l'accostamento non è casuale ma è determinato dalla affinità dell'argomento, sui sacrifici ebraici antichi in rapporto alla Pasqua cristiana, poiché commentando il libro dell'Esodo durante la settimana pasquale, S. Gaudenzio ne prende argomento per illustrare il mistero della Resurrezione di Cristo e quello dell'Eucarestia come base della vita cristiana. Viene secondo il codice parigino del secolo XI, proveniente dal celebre monastero di Corbia, passato in quello di S. Germain des Près a Parigi e ora nella Biblioteca Nazionale; in esso S. Gaudenzio si trova vicino a S. Ilario e a S. Agostino. Questo codice è giudicato un apografo del primo, dal quale ha una evidente dipendenza. Gli altri tredici codici, che si trovano a Parigi, a Worcester, a Dublino, a Firenze, a Roma nella Vaticana, a Brescia, a Bologna, a Berna, sono molto tardivi e appartengono ai secoli XII-XVI, ripetendo più o meno esattamente una tradizione più remota dei primi trattati con la prefazione o lettera dedicatoria all'eminente cittadino bresciano Benevolo, che, a S. Gaudenzio, era legato da altissima stima e venerazione. I due ultimi Trattati, quello brevissimo ma importantissimo tenuto a Milano circa il 397 a preghiera di S. Ambrogio, nella festa dei due apostoli Pietro e Paolo e quello più discusso, nel XIV anniversario della morte di Filastrio, del quale alcuni critici, come il Marx, hanno negato l'autenticità, si trovano invece in alcuni codici italiani dei secoli XI-XIV, che hanno una origine comune a Brescia, in Lezionari locali della Cattedrale, poiché quei due Trattati sono entrati nell'ufficiatura liturgica delle feste di S. Pietro e Paolo e di S. Filastrio (18 luglio) come lezioni storiche del secondo notturno. Il codice della Capitolare di Pistoia proviene da Verona e comprende anche alcuni Trattati di S. Zenone, Vescovo di Verona, come i tre codici vaticani dei secoli XV e XVI che hanno evidenti segni della loro provenienza dall'Alta Italia, accomunando agli gli scritti di S. Gaudenzio e di S. Zenone anche quelli di S. Vigilio di Trento e memorie agiografiche della chiesa tridentina. Brescia ha un solo codice importante nella biblioteca Queriniana, il Lezionario membranaceo del secolo XI, asportato nel 1797 dalla Biblioteca capitolare. Un altro codice, della stessa epoca e della stessa provenienza, veduto e usato dal Gagliardi e dal Gradenigo, è andato perduto insieme con molti altri cimeli del capitolo in quella forsennata devastazione rivoluzionaria che a Brescia, più che altrove, ha infierito con carattere spiccatamente anticlericale. I discorsi vennero pubblicati col titolo di "Sermones" nella Biblioteca dei SS. PP.( Parisiis,1575, 1589, 1654. Coloniae, 1618. Lugduni, 1677, tom. V. pag. 709, 942)Patavii apud Josephum Cominum 1720 in 4 e colle note di Gio. Alberto Fabricio. Hamburgi 1621 in 8 e nella Collezione de' Padri Bresciani. Brixiae ex Typographia Jo. Mariae Ricciardi 1739 in fol. Di queste edizioni venne considerata "princeps" quella di P. Gagliardi in "Collectio Veterum Patrum Brixianae Ecclesiae" (Brescia, 1738, p. 185-379). La prima edizione critica venne pubblicata come 48° volume della serie del "Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum" dell'Accademia di Vienna col titolo "S. Gaudentii episcopii Brixiensis Tractatus ad Fidem codicum" (Vindobonae, MCMXXXVI, pp. XLVI , 275, in 8°) a cura del prof. Ambrogio Glück, che vi spese intorno dieci anni di studi indefessi e di viaggi per darci forza e costanza. Gli vennero attribuite anche altre due opere ora smarrite e dal Gagliardi supposte e cioé: "Liber de singularitate Clericorum"; "Commentarius in Symbolum Athanasii". Svanita ormai da tempo, grazie a studi eruditi di don Germain Morin, l'ipotesi letteraria, che identificava l' Ambrosiaster (cioé l'anonimo scrittore del IV sec. a cui furono attribuite fino al sec. XVI alcune opere di S. Ambrogio) con quel giudeo Isacco, che, convertito al cristianesimo, avrebbe tradotto il suo nome in quello di Gaudenzio, diventando poi il vescovo di Brescia, venerato come Padre della Chiesa, e che avrebbe assunto anche un secondo sinonimo, quello di Ilario, nella pubblicazione del suo Commentario sull'Epistola dei Romani. Il suo culto, nella pieve bresciana di Ostiano, dove si celebra la fiera di S. Gaudenzio nella quarta domenica di ottobre, è stato trasformato nel culto di un martire locale, ritenuto un corepiscopo del secolo IX.